Comunicato stampa

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A volte persino un piccolo Davide riesce ad abbattere un Golia

Le ultime esternazioni bresciane del Presidente del Consiglio in merito alla “necessità” di estrarre gli idrocarburi che mancano alla crisi energetica italiana – che per la verità tale è da sempre, mitigata nel corso dell’ultimo ventennio proprio in virtù del contributo lucano di cui forse egli non ha contezza – ed al testo di legge che dichiara essere già pronto, non lasciano stupefatti, quanto intristiti per pochezza democratica di un autonominatosi premier, di cui non giunge difficile capire l’Italia che egli immagina, un leader forte che comunica via social a mai definibili masse di italiani innamorati di un cambiamento qualsiasi che lui incarnerebbe per inconoscibili disegni, un parlamento segretario, un popolo fatto di numeri plaudenti e non di cittadini soggetti di doveri, di diritti e di potestà di opporsi.

Così nel caso degli idrocarburi lucani la decisione è presa senza alcun riferimento alla condivisione, al dibattito, allo scambio di idee, che pure son figli della stessa democrazia, e i lucani come popolo sono ridotti al rango di numeri che, essendo poco importanti nel contesto generale, si possono “perdere” elettoralmente. Un ragionamento pericoloso che sposta l’asse del diritto dalla soggettività dell’essere cittadini italiani alla quantità numerica, espressione di una entità territoriale, che in quanto tale è ben sacrificabile di fronte ad un generico bisogno di una supposta generalità che si crede di incarnare sulla scorta di un ormai generico 41%, frutto di contesti e ragionamenti d’altro genere da parte degli italiani.

Passa così il concetto che in Basilicata il petrolio c’è e deve essere estratto, come se le estrazioni già non fossero materia quotidiana di una regione vittima prima ancora che delle trivelle, della ignoranza dell’opinione pubblica italiana su quanto accade in questa terra, e facendo passare così l’idea di una regione il cui sottosuolo è ricco di idrocarburi di cui il paese è affamato, facile sarà per il premier e per il contesto mediatico che ormai gli fa da circo, trasformare, una volta passata la sbornia dei comitatini, ogni opposizione generale dei lucani come un egoismo puramente localistico da potersi stigmatizzare e quindi sacrificare.

Ed è proprio per evitare tale incresciosa situazione da cui non ci salverebbe il ricordo di Scanzano e della sua mobilitazione, a tratti evocata a ipotesi persino dai più alti vertici istituzionali locali, che da subito occorre un dibattito aperto tra i lucani, poiché se trasversale, generale e indubitabile è la paura degli italiani verso il nucleare che in quei giorni portò il Paese intero a solidarizzare con il popolo di Basilicata, non altrettanto potrebbe dirsi oggi per gli idrocarburi, verso cui la diffidenza è minore poiché non sentita dagli italiani che nulla o poco conoscono del contesto attuale delle estrazioni.

Utile allora sarebbe l’apertura di un dibattito capace non solo di permeare la coscienza dei lucani, ma di “esportarsi” all’esterno verso il resto del Paese, mettendo in grado gli italiani di toccare con mano la conoscenza di un problema che tale è, nonostante qualcuno ancora si affanni a definire il petrolio una risorsa poiché esiste un pretium, le royalties, del cui controvalore ambientale, sanitario ed economico nessuno può affermare la vantaggiosità netta, essendo forse più facile verificarne le terribili ambiguità a consuntivo che sarebbe il caso fossero dichiarate tali da parte di chi oggi rappresenta la Regione.

Rappresentanza che però nei fatti non muove passi nella direzione della condivisione in quel franco e libero dibattito, prodromo di una decisione collettiva su quale sia l’atteggiamento da tenersi di fronte a tanta protervia, quanto si chiude nel pilatesco attendere un testo definitivo che, se opportuno rispetto a opposizioni da sollevarsi presso gli organi competenti, poco produttivo, addirittura dannoso, rischia di essere proprio in quel processo di formazione di una coscienza di massa su cui dovrà appoggiarsi l’opposizione istituzionale e popolare ad un progetto che non ammette margini di  mediazione.

Poiché se il presidente Pittella crede sia possibile trovare un punto di incontro tra la crisi dell’economia lucana e quelle richieste del sistema energia, di cui Renzi è oggi interprete più efficace di quanto non lo furono a suo tempo Prodi, Berlusconi, Monti, sbaglia di grosso, essendo i termini già molto chiari sia nei quantitativi da estrarre, che solo un ingenuo potrebbe credere limitati al raddoppio che è lo stesso contesto legislativo e di fatto a suggerire come oltrepassabile, visti carattere strategico, secretabile, che l’intera materia assume e titolarità decisoria sui procedimenti di autorizzazione, sia in quelle che saranno le nuove zone di ricerca ed estrazione che a ragion veduta sono già oggi sulle mappe UNMIG e che configurano una regione-damigiana. Così più che mediazione si potrebbe parlare di cessione pura ad un ricatto.

Presidente Pittella, come già più volte ho ribadito sulla stampa, lei ha dovere istituzionale di convocare il Consiglio Regionale ed informarlo della interezza della questione, così informando l’intera regione, rimandando il suo atteggiamento non già a forme di “illuminazione” e volontà personali insite nella rete delle sue relazioni politiche nelle quali ha sinora tenuto chiusa la questione (relazioni forse da rivedersi a quanto pare?), ma a quella linearità democratica che prevede il confronto con gli eletti dal popolo come base delle decisioni e non già ad una singolare reiterazione di quanto il premier impone o tenta di imporre su scala nazionale, ribadendo ad ogni piè sospinto la sua supposta leadership forte come elemento trainante una democrazia che a conti fatti è quella leadership senza contrappesi a mettere in discussione. Ciò mancando, il suo margine operativo e logico consequenziale ai temi della campagna elettorale con cui è stato eletto si restringerebbe alle sue dimissioni.

Ma ovviamente non volendo caricare il presidente Pittella di una croce di cui pure però le sue spalle si sono rese disponibili al carico nella gestione del suo renzismo, è opportuno che il Partito Democratico di Basilicata faccia sentire al più presto la sua voce, voce che supponiamo debba essere la più ferma e schietta opposizione al progetto, ricostruendo in primis la catena dei suoi organi collettivi perché è in essi e solo in essi, nel rispetto delle linee democratiche che uniscono il dibattito alle decisioni che quella opposizione può costruirsi come la voce cosciente dei democratici lucani, e sperabilmente con questa la voce dei lucani tutti, uniti in un No “senza se e senza ma”, ma coscienti che questa regione mai più dovrà essere come l’abbiamo conosciuta e sopportata. Perché se il ricatto alberga sempre nel bisogno ed il bisogno riesce ad essere controllato con la virtù, a volte persino un piccolo Davide riesce ad abbattere un Golia.

Miko Somma, Partito Democratico.

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Sblocca che?…il petrolio!

Nell’attesa di conoscere un qualche testo definitivo del decreto sblocca-Italia che occorrerà sia portato alla firma del Presidente della Repubblica – crediamo che le slides a cui ci ha abituato questo governo 2.0 proprio non bastino a far apporre la firma del Capo dello Stato – e così nell’attesa che la “mano destra” del ministero dello sviluppo economico a guida della destrorsa Guidi si concerti e sappia cosa fa la “mano morta” del ministero dell’economia a guida Padoan e Fondo Monetario Internazionale, pur qualche considerazione, che non siano né le forme di quel bellicismo proto-brigantesco a basso profilo politico o quella quasi godottiana attesa di eventi che a dispetto di tutti arriveranno, toccherà farla.

E non intendendo dilungarmi ancora su argomenti, quelli dell’aumento surrettizio ed esponenziale dei volumi di estratto degli idrocarburi in regione, di cui ormai da anni avviso la politica e la società lucana tutta e che finora sono stati ignorati o messi in disparte per le più varie forme di bassa convenienza o di miopia politica, argomenti che purtroppo e puntualmente oggi sono presentati all’incasso, sarebbe utilmente meglio cominciare a tratteggiare le cose da farsi per impedire che ciò avvenga e che questa nostra regione non diventi quella damigiana petrolifera che paga i conti del Paese, divenendo ciò che tutti sanno divenire qualsiasi zona del mondo dove si estraggano e trattino idrocarburi, una degradata ed inquinata periferia del mondo.

Il decreto nel passo specifico dedicato agli idrocarburi (ma anche delle infrastrutture legate all’energia) introduce una vera e propria innovazione costituzionale, che a titolo V ancora vigente, confligge subito e irrimediabilmente con il dettato costituzionale nelle materie di concorrenza legislativa delegate finora e tuttora alle regioni all’art. 117, derivandone una illegittimità che se non ravvisata dal Presidente della Repubblica che ha comunque facoltà di respingere la decretazione, non impedirebbe comunque alla Regione Basilicata di promuovere subito presso la Corte Costituzionale un giudizio di incostituzionalità del dettato ai sensi dell’art. 134 della stessa carta Costituzionale.

Sarebbe opportuno così che tale iniziativa sia subito messa in campo attraverso il nostro ufficio legale, allo scopo di precostituire una barriera temporale ad una parte del decreto in grado di reggere almeno fino all’approvazione definitiva di quella riforma del titolo V della Costituzione che ignominiosamente e per un meschino calcolo di bottega molti senatori hanno approvato, compresi i lucani, forse senza che costoro abbiano valutato appieno pesi e misure che un simile capovolgimento di assi decisori avrebbe comportato localmente in materie a forte impatto ambientale-strategico, sanitario e di programmazione dei territori.

Sarebbe inoltre molto opportuno che il nostro Presidente della regione prima di tutto spieghi ai cittadini lucani cosa significhino quelle parole del premier circa la proficua interlocuzione con i presidenti delle regioni, chiarendo così la qualità della sua interlocuzione, sia in merito alla materia degli aumenti degli estratti, sia in merito allo sforamento del patto di stabilità che era chiaro a tutti, forse tranne che a lui, che sarebbe stato usato come ariete per un ricatto vero e proprio, poi dica chiaro e tondo alla società lucana, senza quel pilatismo di scuderia renziana che lascia spazio a molti, troppi dubbi nei cittadini, se ha e quale sia la sua strategia per resistere a questa manovra a tenaglia, quindi le azioni che egli intende intraprendere, partendo da un dialogo che pure deve essere alla base di qualsiasi opposizione concertata e condivisa con i lucani tutti. Ma dialogo appunto, non scimmiottamento di un capopopolo.

Personalmente ritengo ancora utile l’idea di un referendum consultivo sulle nuove estrazioni che pure da oltre un anno affermo poter costituire un “fatto politico” tale da mettere sul piatto della bilancia la volontà di una parte del popolo italiano, i lucani appunto, di non volere altre estrazioni sul loro territorio ed intraprese invadenti quel minimo diritto di sovranità sulla propria regione che pure tutto il paese ha conquistato, forse sprecandolo e facendone cattivo uso, ma che non può essere cancellato con colpi di spugna che fanno ritornare indietro le lancette della storia.

È però sempre più urgente un atto di condivisione pubblico che unisca i lucani in questa che o diviene una battaglia di dignità e di sopravvivenza che si basa sulla richiesta di ritiro integrale di quella parte di un decreto che pare invece di sbloccare il paese, sbloccare solo il petrolio, accompagnandolo con atti forti quali il ricorso in Corte Costituzionale o diverrà in breve il disastro di una terra troppo finalizzata al petrolio ed ad interessi compositi che gli girano intorno per trovare spazio per essere altro.

Così se è importante non cadere nella trappola del divide et impera, sia demarcando all’interno della nostra società linee nette di confine tra buoni e cattivi, linee che mai ed in alcun luogo hanno raggiunto risultati, aiutando semmai proprio le forze esterne, sia perdendosi in sterili dibattiti sull’occupazione e sullo sviluppo che pur sarebbe possibile mediare – sugli idrocarburi qualche riflessione pur dovremmo averla maturata – quanto immaginare sin da subito il percorso unitario che porti l’intera società lucana,  a respingere con forza quella destinazione coatta del territorio che qualche facilone, scrivendo il titolo e lasciando lo svolgimento ai soliti lobbysti all’opera da anni, oggi inopinatamente indica come futuro per una regione da cui si è tenuto lontano nei suoi viaggi. Ed il presidente Pittella o unisce i lucani nel no a questo progetto sciagurato o meglio farebbe a trarne le dovute e debite conseguenze.

Miko Somma

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Il fatto politico che può salvare una regione

Era più di un anno fa, esattamente il 6 giugno, quando in un comunicato lanciai una proposta, allora caduta nel vuoto spinto di una regione che affogava in rimborsopoli, quella del referendum consultivo sull’aumento delle estrazioni in Basilicata, aumento a più riprese ventilato e forse poco preso in giusta considerazione dalla nostra classe politica, nonostante qualche Cassandra, quale il sottoscritto, che a più riprese da anni avvisava di un momento che oggi pare concretizzarsi nella riforma del titolo V e nel contesto legislativo, ampiamente anticipato da decretazioni del governo Monti, che seguirà a breve a regolare una materia in cui la Regione sarà del tutto spossessata da competenze.

Ora è da chiarire che è la gerarchia delle fonti legislative, accordate ad una riforma costituzionale del contesto di materie delegate prima alle regioni, che, per motivi ovvi a tutti, pone le leggi nazionali su di un gradino più alto di quelle regionali, imponendole come strumento legislativo di riferimento, in un già ridotto contesto di potestà dove alla Regione, scontandosi la mancanza di strumenti di pianificazione del territorio atti a “sollevare” porzioni dello stesso da determinati utilizzi, non rimaneva che rispondere Si o No a singole richieste (istanze) assegnate a compagnie in virtù di un regime concessorio del tutto avulso dalla partecipazione locale, ciò valendo a dire che a riforma del titolo V concretizzatasi nulla o quasi nulla sarà più possibile per opporsi ad una più che probabile invasione di trivelle ed infrastrutture relative alla ricerca e sfruttamento degli idrocarburi.

E dal momento che prima della fine di ottobre 2014 il processo di riforma costituzionale non potrà dirsi concluso (art 138 della costituzione, comma 1) e che la stessa probabilità di sottoporlo al referendum confermativo potrebbe inficiarsi nei numeri a sostegno della riforma stessa in seconda lettura (comma 4), stante l’impossibilità di procedere con norme regionali ostative che sarebbero impugnate presso la Corte Costituzionale (vedi i casi Moratoria e Patto di Stabilità), nel constatare che molto difficilmente ci sarà alcun parlamentare lucano che potrà o vorrà “caricarsi” del problema, tentando o delle mediazioni impossibili o un suicidio politico personale, è ora e qui che occorre muoversi per erigere una barriera, a cominciare dal formarsi di “fatti” politici in grado di opporsi ad un processo legislativo che rischia di essere omicidiario per il futuro di una delle regioni d’Italia.

E quando si parla di fatti politici, sono fatti politici sia il manifestarsi di una opposizione popolare che fu già dei fatti di Scanzano e che occorre tenere di gran conto, ponendosene però la evidente necessità a riforma e regime legislativo compiuto, sia un referendum consultivo in cui si chieda ai cittadini lucani di esprimersi con un si od un no alla semplice domanda, se siano o meno d’accordo con aumenti delle estrazioni, sia in volumi estratti che in territori coinvolti dalle estrazioni rispetto agli accordi già firmati di Val d’Agri e tempa Rossa, referendum questo che si porrebbe come preventivo rispetto ad ogni uso di un territorio non concertato con le popolazioni e tale da essere posto come la causale di ogni possibile ricorso giuridico e giudiziario in sede nazionale o comunitaria.

Tecnicamente non esiste nella nostra Regione e nel suo ordinamento statutario e legislativo, la figura giuridica del referendum consultivo, e, se si accettasse l’idea del “fatto politico” insito in un esito dello stesso referendum in linea con un sentimento ormai generale della popolazione lucana di essere stati spremuti e sfruttati nell’affare petrolio, la sua veloce introduzione nell’ordinamento regionale potrebbe affidarsi o a una legge di istituzione su iniziativa della Giunta Regionale, procedimento questo in grado di bypassare sia il calendario delle proposte di legge giacenti, o, riconosciuta l’urgenza del deliberare, a un procedimento di urgenza richiesto a norma di regolamento dai consiglieri regionali, stralciando la norma dal processo di rinnovo dello statuto regionale per accelerare i tempi.

Si porrebbero moti esempi nei vari ordinamenti regionali di quale forma tale istituto giuridico potrebbe presentare, permettendomi di suggerire per la facilità di indizione ed il controllo consiliare dell’istanza stessa, quello della regione Molise alla L.R. 35/75, e ricordando che tale istituto, riconosciuto anche dalla nostra Costituzione, pur se nello specifico delle unioni tra comuni e regioni, fu indetto nel 1989, con una legge costituzionale che, in occasione delle elezioni europee, consentì di votare il referendum consultivo sul rafforzamento politico delle istituzioni comunitarie. Una figura giuridica cioè nient’affatto sconosciuta al nostro ordinamento e del tutto lecita e consentita.

Istituirlo e procedere all’indizione del referendum richiederebbe poche settimane, potendosi stabilire in tempo utile così quel “fatto” che richiede l’unità dei lucani e di tutte le forze politiche per concretizzarsi in un generale No ad ogni ipotesi di aumento delle estrazioni che, forte di quella larga partecipazione che è ormai sia nella logica del sentimento e della ragione dei lucani sugli idrocarburi, che nella forza di persuasione e mobilitazione che i partiti hanno ancora nella società lucana, se riescono a saldarsi al sentimento ed alla ragione comune, e non al calcolo o a ben altro, quel “fatto” che è l’unico scoglio per infrangere l’onda montante di un concerto orchestrato da anni sulle risorse del sottosuolo lucano che oggi arriva tristemente alla sua fase finale.

Ciò mancando, il sottoscritto si vedrebbe costretto all’inizio di una massiccia e generale raccolta firme a petizione europea contro il vandalico tentativo di distruggere una regione ed un popolo, finalizzando agli idrocarburi i destini di entrambi.

Miko Somma, Partito Democratico, già fondatore di un comitatino. 

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Una terra che ha il diritto di stabilire da se il suo futuro.

 

Non stupiscono tanto le dichiarazioni rese alla stampa nazionale dal premier Matteo Renzi a proposito  del raddoppio (mi sia consentito però insistere ancora sulla cifra di un 450.000 barili/giorno che appare più congrua rispetto alla Strategia Energetica Nazionale) delle estrazioni di idrocarburi in Basilicata e residualmente in Sicilia, dichiarazioni facenti parte di quella lunga linea rossa che ha attraversato molti governi del paese impregnati dal lobbysmo di certi settori vicini alle compagnie stesse e che cercano a più riprese di costruire un clima culturale volta per volta spacciato come “necessità” od “opportunità” in cui far maturare una scelta irreversibile per un territorio altrimenti vocato che alle trivelle, quanto quella palese e greve aria di superficialità che avvolge le parole del premier stesso quando cita dati irreali.

 

Dati che ben oltre quei millantati 40.000 posti di lavoro che qualcuno (tre-quattro comitatini) starebbe impedendo di creare rispetto agli ancor più millantati ed inesistenti 5.000 attuali – ed in realtà neppure con l’indotto si arriva a 1.000 – è nel dipanarsi delle grandi scelte di politica energetica internazionali che queste resistenze ostacolerebbero, facendolo tra l’altro vergognare, che il nostro premier rivela un certo grado di superficialità che l’Economist pure comincia a rilevare in disamine più approfondite sul fenomeno Renzi e sui suoi reali risultati nel processo di rinnovamento del Paese.

 

Il punto è purtroppo che tali dichiarazioni, ancorché pure dichiarazioni ad uso e consumo di una fronda da stadio che ancora crede che vi siano “gufi ed invidiosi” a remare contro un futuro meraviglioso che è lì da afferrare senza troppi pensieri, non tengono conto né dei valori numerici che pur dovrebbero far riflettere, a cominciare dal fatto che anche solo raddoppiare le estrazioni porterebbe la sola Basilicata a 1/10 della produzione giornaliera del Kuwait (che incidentalmente è un deserto non antropizzato) per proseguire con i prevedibili danni di immagine sui settori agricolo e turistico locale e nazionale che in tutta certezza vedrebbero diminuire sia valore aggiunto della produzione che occupazione relativa non compensati dall’aumento di valore aggiunto dell’aumentata produzione di greggio e gas.

 

Il paese trova beneficio e giacimenti con una seria opera di risparmio energetico che già solo al 10% porterebbe ad un risparmio di circa 180.000 barili/giorno equivalenti con un risparmio complessivo di 6 miliardi e mezzo di euro/anno, compensando così ampiamente ogni ipotesi di raddoppio di estrazioni nella quasi equivalenza del valore, mentre al contrario una piccola contrazione del valore aggiunto del solo settore del turismo nazionale del 2,5% costerebbe circa 3,6 miliardi/anno, contrazione prevedibile tra Adriatico, Sicilia e la nostra Basilicata alla sola notizia che si passerebbe ad un regime estrattivo di scarso appeal per qualsiasi turista. Immaginare poi il danno sul solo settore agroalimentare.

 

Il premier inoltre parla di grandi infrastrutture energetiche dimenticando che esse, ben lungi da essere ancora definite nelle strategie europee e nel quadro di instabilità geo-politica che di fatto le blocca, pur si aggiungerebbero in Basilicata come servitù di passaggio all’aumentare stesso delle estrazioni che, sfugge a pochi, interesseranno altri territori che i bacini attualmente conclamati della Val d’Agri e della Val Sauro, se è vero come è vero che le riserve stimabili e raggiungibili nel solo sottosuolo lucano superano di gran lunga i 3 miliardi di barili di greggio e, in percentuali forse anche maggiori, di gas naturale.

 

Ma ciò che infastidisce oltremodo è l’utilizzo della categoria “renziana” per dividere l’opinione pubblica lucana, in un’operazione di basso profilo politico che non manca però di cominciare già a produrre dei distinguo imbarazzanti tra chi “sarebbe disposto ad ascoltare” e chi “vorrebbe essere risarcito”, mentre l’evidenza acclarata è la necessità di un fronte comune che con maturità e senza eccessi nevrotici od utilitaristici, ponga il governo di fronte ad un motivato NO senza riserve di alcun genere, fede renziana compresa di un presidente della regione che deve ancora farci capire cosa vuole fare davvero.

 

Ciò vale a dire che comunque la si possa pensare su Renzi e sul suo governo, su una strana riforma del Senato che appare sempre più del fogliame mimetico sulla riforma del titolo V e sulle sue materie concorrenti, materie di cui una volta private le regioni, non si comprende in quale forma sarebbero poi compensate da una Camera delle Autonomie senza eletti e senza poteri reali, è necessità per questa regione e segnatamente per il Partito Democratico che ne è la maggiore espressione politica, trovare subito una posizione comune che salvaguardi il territorio, non solo il bilancio del maggiore ente locale, senza altri riferimenti fattuali ed ideali che alla Basilicata ed al suo bene che non è nelle estrazioni.

 

Al premier Renzi occorrerebbe dire che c’è una terra che, comitatini o meno (e non si dimentichi che il sottoscritto ha portato non solo se stesso, ma la sua esperienza e le sue battaglie di merito nel partito di cui è oggi segretario proprio il premier), non vuole divenire la damigiana petrolifera del paese in un progetto dal respiro cortissimo e dalle esigenze di fare cassa per il bilancio dello Stato, ma partecipare a pieno titolo ad una riforma del Paese che non può prescindere però dal comprendere che anche una piccola regione come la nostra Basilicata ha il diritto di stabilire da se il suo futuro senza passare dalle forche caudine della superficialità del “ghe pensi mi” e del lobbysmo mascherato da necessità.

 

Miko Somma

 

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Un picaresco roboare di sciabole di latta

Chiariamo subito che condivido nel merito l’appello che il presidente Pittella lancia a riguardo del Patto di Stabilità interno che “strozza” l’economia lucana, chiudendo la cassa della Regione che, pur avendo fondi propri, è nell’impossibilità di spenderli, ma non ne condivido né metodo, ricorrere ad un disegno di legge regionale che non lascia dubbi sulla sua incostituzionalità, né finalità, forzare nello specifico in una materia, quella delle royalties, che non può divenire la “toppa” con cui ricucire l’evidenza di una programmazione della spesa troppo spesso inutile e clientelare, che sottrae risorse alla collettività, né infine il tono ultimativo che suonando troppo come un “o con me o il disastro” assume un rilievo di comunicazione tutto interna ad una regione che forse il nostro Presidente non è in grado di governare.

Basta infatti vedere le prime dichiarazioni di sostegno alla bislacca proposta di coinvolgere il consiglio regionale in una illegittimità legislativa per comprendere una “chiamata alle armi” di ben altro obiettivo e tono che non sia la giustezza formale di una battaglia sacrosanta sulla quale pur lo appoggerei.

Pittella chiama a suo modo, nella platealità, a corte e coorte un universo corporativo a sostegno nelle difficoltà reali che intravedere solo come ragnatela tessuta dai vecchi poteri sarebbe poco avveduto di fronte alla palese incongruenza della giunta regionale verso promesse populiste che non si possono onorare e verso cambiali pseudo-politiche in sofferenza che fanno fortemente scricchiolare l’impianto della sua rivoluzione democratica.

Ed oltre le suggestioni operate, la stessa realtà consiglierebbe la maggior cautela quando sul piatto di una trattativa con lo Stato c’è l’evidenza di una palese richiesta di un aumento delle estrazioni che non sarà qualche lenticchia in più nel piatto a render meno pericolose per il futuro di una terra che non può permettersi di divenire un unico campo petrolifero. Perché l’argomento da cui non si può sviare affatto è l’aumento di estrazioni e la libertà di trivellare ovunque, stante la mancanza di aree a vincolo, e non sfugge che invocare rivolte sull’effetto, la spesa più libera da vincoli delle royalties, possa oggi servire anche a giustificare nuovi pesanti accordi sulla causa, le estrazioni.

Ma tecnicamente cosa accadrebbe in caso di una inopinata acquiescenza del consiglio regionale che a cuor leggero vari una norma che sappiamo già sarebbe impugnata dal Consiglio dei Ministri? I tempi tecnici con cui l’impugnativa si concretizzerebbe in una sentenza sono di qualche mese, così in attesa della pronuncia, la Giunta potrebbe rimanere inattiva sul fronte pagamenti e nulla cambierebbe anche in prospettiva di una “chiusura” che Pittella recita come ormai nell’ordine di settimane, o autorizzare lo sforamento del patto con mandati di pagamento che però a sentenza tratta risulterebbero illegittimi, in una possibilità di revoca del saldato che suonerebbe a beffa, ma di dubbia esecutività, e di una ipotesi di danno erariale ed altri reati amministrativi a carico di Giunta e Consiglio Regionale.

In ogni caso non sarebbe risolto il nodo reale che è quello sostanziale e causale dello stesso patto di stabilità interno che strozza circa 500 milioni di euro in cassa (questa a mio avviso la cifra realistica) e che non sarà la retorica di questi annunci a risolvere, quanto la capacità di sostenere un dialogo con il Governo che gioca con la riforma del titolo V una carta la cui pericolosità molto prima andava prevista da un presidente che ha avuto qualche mese per mettere in campo una strategia che in realtà non c’è, credendo forse che l’appartenere in prima o seconda battuta al renzismo più provinciale (o marginale) avesse messo lui e, per diritto semi-feudale, la regione al sicuro dal pericolo.

Così se il proclama guerriero rischia di apparire subito come una foglia di fico sulla nudità del re, resta però il problema reale di un vincolo ormai assurdo, un vincolo che non sarà una “specialità” invocata a rendere materia comune anche ad altri territori per farla divenire battaglia collettiva, quanto la capacità di dialogo e di condivisione che finora è rimasta troppo costretta nelle beghe politiche di casa nostra e di cui il presidente dovrebbe chiedersi quanta parte sia anche di sua competenza.

Personalmente avevo illo tempore proposto un percorso ragionato che chiedesse, previa indizione del referendum consultivo, di facile introduzione nell’ordinamento regionale, il parere dei cittadini lucani in merito a nuove estrazioni nell’impegno dei partiti a sostenere un convinto no che fungesse da puntello sociale e politico alla “moratoria” alla cui sostanza finora ci siamo attenuti, senza mai ottenere ascolto.

Oggi chiedo al presidente Pittella di non lanciare la regione in una avventura dai contorni poco chiari e di raccontare, se ne ha avviso, tutta la verità sulle richieste di nuove estrazioni che da più parti si è certi pesino pur qualcosa sul picaresco roboare di sciabole di latta che attraversa oggi via Verrastro.

Miko Somma

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Il cha-cha-cha

Apprendere dalla stampa di un “soccorso” che il presidente Pittella ed il suo fido Polese sarebbero in intenzione di fornire al neo-eletto sindaco di Potenza De Luca, alle prese con un operazione ai limiti di praticabilità politica nella composizione di una maggioranza – una qualsiasi parrebbe a questo punto – per rendere effettiva la sua elezione, non stupisce, ma indigna.

Quale sia infatti il portato politico di un simile atto, fornire un sostegno in consiglio non concertato con il partito al quale costoro pur appartengono, seppur amabilmente seguendo un frenetico passo di cha-cha-cha che ora li pone fuori, ora li pone dentro, a seconda della scansione di un tempo-spazio che in politica è ormai legato più alla convenienza personale che all’opportunità politica che si riconosce solo nell’agire collettivo, non è difficile comprenderlo e lungi dall’essere extrema ratio per la salvezza di una città mortificata dalle piccole e grandi filiere di interessi, pare volere solo spostare l’asse di influenza e portare un nuovo dominus in un supposto terreno di conquista da strappare alla residua influenza dei vecchi e perdenti infeudamenti.

Ora che le colpe di quanto accaduto vadano ben oltre il periodo strettamente elettorale e coincidano in buona parte proprio con i principale attori di una debacle che ha dell’incredibile – e ripetere i nomi che tutti conoscono appare inutile nella tendenza a voler scaricare sulla sola segreteria potentina il fulmine della sconfitta – il punto che ora si pone è quanto sia legittimo che un presidente di regione intervenga in una materia di competenza di quella stessa segreteria cittadina, allargata all’assemblea degli iscritti e semmai del segretario regionale del partito, piuttosto che occupare il suo prezioso tempo nella cura dei gravi problemi regionali, a cominciare dalle mire nazionali sugli idrocarburi.

L’assetto consiliare sia del centrosinistra che del pd nella delicatissima questione della costruzione del quadro di una maggioranza che da perdenti non tocca affatto a loro costruire, in sintesi, non è affare di competenza di altri che delle relative strutture democratiche locali, ed ogni tentativo di determinare dei comportamenti di queste in un senso o nell’altro sono del tutto fuori luogo, irrispettosi, irrituali, al limite della stessa democrazia, fautrici di confusione ed in sostanza di assetti largo-intesisti che non aiutano affatto a dipanare i nodi che essenzialmente sono riassumibili in una domanda: fatta salvo il rispetto per de luca, può il centrosinistra appoggiare una maggioranza costituita anche da Fratelli d’Italia ed il suo carico politico che, se poco conosciamo localmente, è invece ben chiaro a livello nazionale?

Al cittadino che osserva non dovrebbe infatti sfuggire che non è il solo sindaco a rappresentare giunta e maggioranza, quanto ad essere costui sintesi di una volontà politica – ripeto politica – che si applica poi all’amministrazione di una città, giacchè l’amministrazione stessa privata della politica diviene una semplice gestione che tanto varrebbe affidare ad un amministratore di condominio o ad un manager, necessitando la politica ed i partiti per determinarsi indirizzi politici che son poi leggibili principalmente nella qualità e quantità di interventi di bilancio su una partita piuttosto che su un’altra.

E così appoggiare De Luca per costruire una maggioranza significa appoggiare eterogenee coalizioni dove alcune forze dichiaratamente perseguono obiettivi differenti nel proprio genoma da qualsiasi atto politico che anche un generico pensiero centro-progressista rifiuterebbe, ponendosi, in caso contrario, seri problemi di appiattimento proprio del pensiero politico su schemi del tutto alieni alla cultura stessa di una città che nel voto di domenica non ha dichiarato affatto di essere di destra, piuttosto di non voler più quel centrosinistra dei clan e delle filiere e di non volerlo fino al punto di sabotare il voto.

Ci pensino bene allora i soccorritori a non dare spazi di praticabilità a soluzioni che non prevedano lo scarico di atteggiamenti e pensieri politici che nella notte del ballottaggio hanno trovato sfogo in cori e saluti d’altri tempi e che non appartengono affatto alla cultura democratica della città.

Miko Somma

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Il bizantinismo del credersi indispensabili e necessari

Il terremoto elettorale a Potenza necessità prima ancora di ogni commento od analisi dei complimenti al nuovo sindaco, Dario De Luca, che dal giorno del suo insediamento dovrà lottare per costruire una  maggioranza che dagli esiti del primo turno gli è decisamente avversa e su cui, tra quaglie e resilienti, si giocherà un pezzo importante del suo onesto tentativo di tirar fuori dalle secche una città che non merita il suo presente, pur avendolo lentamente costruito nel corso degli ultimi decenni.

Ora l’ovvia retorica del giorno dopo sulla supposta “liberazione” della città dai disonesti, che è la cifra stilistica dei fan meno abbienti culturalmente, si pone però correttamente solo sulla logica del tifo, non certo su un piano di analisi di quanto sarà possibile in concreto al nuovo sindaco operare con i numeri e così misurare il progetto con la realtà, e così dovrebbe far riflettere chi, all’interno di un centrosinistra di cui è evidente il mancato impegno al secondo turno, con comportamenti sufficienti e supponenti ha dato spazio proprio a quella retorica, facendola divenire identitaria nella composizione del voto stesso.

Si è infatti tanto caricata di enfasi istintuale e vendicativa la sfida che De Luca portava all’apparato che i potentini sentivano invece incarnarsi in Petrone, colpevole al più di non esser riuscito a smarcarsi del tutto dal “padrinato” di una scelta sentita come costruita in un salottino dai “potenti” della città, tanto da caricare naturalmente il voto per De Luca anche della rabbia di chi aveva sostenuto al primo turno altri candidati – i suoi voti sostanzialmente raddoppiano – e di disattivare ogni interesse dell’elettorato che pure aveva sostenuto Petrone al primo turno, per convinzione o forse più per le logiche familistiche e di clan legate ai singoli candidati, tanto da farsi identificare quel disinteresse nell’astensionismo.

Il centrosinistra perde così non per aver sbagliato candidato, ma per averlo “abbracciato” dei contenuti e dei significanti partitici, impedendogli di fatto di farlo percepire come libero da condizionamenti – gli incontri pubblici con Boschi e Veltroni a mio avviso hanno nuociuto enormemente – che nello specifico della città di Potenza erano e sono sentiti come fondati sull’arroganza bieca di una classe “padrinale” che si è resa persino incapace di ammettere i propri innegabili errori nella programmazione più ampia della città e delle sue funzioni, delegate ad interessi altri, e nelle pratiche più spicce di una gestione di cosa pubblica affidata al piccolo privilegio da basso impero ed al servilismo trasformato in merito.

E perde perché dilaniato dai conflitti interni tra i padrini, che dal livello regionale e nazionale si traslano su una città che avrebbe meritato altro che essere la cartina di Tornasole di un disagio che di politico ha ben poco, e per la quale si apre ora un periodo di pericolosa e massima incertezza in cui dovrebbe per una volta provare a contare più il buon senso del bene comune nel cercare le soluzioni condivise, che il senso comune dell’interesse di bottega che alberga sempre nel “tanto peggio, tanto meglio” che ieri ha raggiunto il suo climax nel dispiegarsi di un astensionismo sia figlio della noia e dell’indifferenza dei tempi, sia purtroppo del bieco calcolo di alcuni “padroni dei voti” che hanno avuto il loro ruolo in un risultato che proprio difficilmente potremmo accettare come 9.000 potentini che vanno al mare e fanno troppo tardi per riuscire a votare Petrone o i 12.000 che pure avevano votato le liste a suo sostegno e che ieri mancavano all’appello. Errori clamorosi e comportamenti esecrabili non sono dunque mancati.

Il pensiero che allora qualcuno abbia per calcolo speculativo sabotato Petrone, prendendo in ostaggio il futuro e la governabilità della città capoluogo di regione per fini che si misurano su altri livelli, diviene allora qualcosa in più del dietrologo sospetto, naturale dietro ogni sconfitta sentita come vittoria certa, che vi sia complotto, ma se anche per un solo istante pensassimo che dietro questo esito non vi sia anche un ormai desueto bizantinismo da parte di alcuni del credersi indispensabili e necessari a gestir cosa pubblica e partiti, non avremmo compreso che sinistra è soprattutto la capacità di cambiare rotta oltre apparenze e appartenenze declinate a stilema dialettico senza contenuti pratici, senza rese dei conti e con la bussola sempre orientata a nuove idee e prassi in grado di camminare con una società che vuol cambiare. E che cambia anche senza di te, se necessario.

Miko Somma

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Il voto utile dei cittadini…

Sovvertendo qualsiasi attesa, il Pd stravince le elezioni europee con un 40,8% che stupisce forse più del flop di Grillo che, pur avendo nei fatto ottenuto ottimi risultati, viene doppiato, e del tonfo di Forza Italia o della misurazione finalmente realistica di Ncd, ed a scanso di ogni equivoco forzosamente fatto nascere in campagna elettorale sulla valenza nazionale del voto europeo, è invece alla stretta valenza di una rappresentanza dell’interesse nazionale nel contesto delle dinamiche parlamentari dell’Unione che, a mio a avviso, questo risultato deve essere letto.

Quindi non una misura dell’effetto Renzi in quanto tale, pur presente ed operante, quanto una maturità del voto degli italiani che premia la ben supponibile capacità fattuale del Pd di “contare” in un grande e prospetticamente omogeneo gruppo parlamentare europeo, il PSE, e da quella posizione determinare e guidare processi politici comuni in grado di innescare cambiamenti ormai ineludibili anche a fronte di euroscetticismi sempre più strutturati che, emblematicamente, pur rappresentano criticità di fondo che le future scelte di programmazione economico-sociale europea non potrà non tener di conto.

Il paradosso sarebbe così quello di un popolo che, nonostante tutto, ha compreso dinamiche politiche e modalità di esercizio della rappresentanza europea molto più di quanto non gli sia stato spiegato nel corso di una campagna elettorale davvero deprimente per contenuti tutti forzosamente incentrati sulle  dinamiche nazionali, deprimendosi con ciò il reale portato storico di un voto che eleggeva per la prima volta un parlamento capace di nominare senza altri filtri che la dialettica tra i gruppi, il Presidente della Commissione, per la violenza di ingiurie e attacchi personali degni di una repubblica delle banane, per la vacuità progettuale e l’identitarismo spiccio con cui si sono trattati argomenti di grande rilievo quali politiche monetarie, immigrazione, crisi e disoccupazione, equilibrio interno tra paesi, politica estera e via discorrendo.

Più quindi che l’effetto Renzi, sul voto che ha premiato in misura preponderante il Pd suppongo abbia pesato più la considerazione della solidità del portato politico e la capacità di relazione che l’ultimo dei partiti reali rimasti in Italia sarà in grado di mettere in moto per innescare cambiamenti di sistema nella sede europea, che la misura del gradimento per questo partito nell’ipotetica competizione nazionale in cui alcuni hanno strumentalmente tentato di derapare, misurandosi così non il bacino elettorale vero e proprio del Pd dell’era Renzi, quanto il grado di maturità politica di fondo di quella parte di popolazione italiana che, pur non essendo necessariamente coincidente storicamente ed idealmente all’elettorato potenziale Pd, come pure dimostrano le prime analisi sui flussi di voti, è su questo partito che dirige il voto, affidandogli un compito di rappresentanza non affidabile ad altri, a partire proprio dalle bizzarrie, dalle inconcludenze e da un genetico portato demagogico del 5 stelle, e dal trapassare alla storia della politica italiana di un centro-destra carismaticamente appoggiato sull’ex cavaliere.

Ma ovviamente sarebbe folle non considerare però che tale voto non abbia alcuna conseguenza sulla situazione politica italiana e così, pur escludendo lo stesso Presidente del Consiglio qualsiasi effetto di questo voto sulla composizione e gli obiettivi del Governo, è innegabile che sia la misura reale di Ndc, sia il forte ridimensionamento dei vari partiti di centro a sostegno dell’esecutivo e dello schema politico di cui questo stesso è figlio, pongono problemi di nuovi assetti e riequilibri non tanto a Renzi, quanto al variegato correntismo interno che chiederà spostamenti significativi dell’asse politico proprio a partire dal patto del Nazzareno come punto di riferimento per le riforme istituzionali e forse dalla tentazione di sovvertire un “frigorifero” parlamentare a cui lo schema politico è obbligato dai risultati elettorali 2103.

Cosa che non significa essere tentati da nuove elezioni in grado di rompere il freddo conservativo che avvolge la composizione del Governo, determinato in buona sostanza proprio dalla ghiacciaia 5 stelle e dal rifiuto preconcetto di questo di ogni ipotesi di dialogo politico con il Pd, pur richiesto dalla stessa base del movimento (cosa che avvalora ancor di più tesi di una sovra-determinazione del movimento 5 stelle del tutto funzionale al mantenimento del blocco politico che è stato imposto al paese dalla fine del 2011), poiché in mancanza di nuova legge elettorale a stampo maggioritario, il proporzionale puro consegnatoci dalla Consulta, anche riproponendosi gli stessi numeri delle europee, riporterebbe seggi ed alleanze conseguenti allo schema di Governo attuale, a meno non venga esaltata ben oltre numeri, seggi e percentuali del proporzionale che fotografa il paese nelle sue idee, una governabilità sorretta finalmente dalla qualità dell’accordo politico e non dalla necessità di mantenere uno schema imposto.

Eppure Renzi, che sa benissimo quanto questa vittoria epocale che in qualche modo gli è intestata sia stata consentita dall’impegno di tutto il partito democratico, comprese le correnti più ostiche, sa che la suggestione delle sue riforme ancora sulla carta non reggerà il Governo a meno non arrivi a modifiche sostanziali delle ratio delle stesse, a partire dalla legge elettorale che a questo punto diventa il punto nodale attraverso cui tentare il “colpo” di una mancata legittimazione elettorale che pesa molto sul suo governo ed i cui effetti non saranno del tutto assorbiti dalla vittoria del 25 maggio, legge elettorale che potrebbe così perdere molto del carico del porcellum sull’italicum.

Ma oltre le tattiche e le strategie, è compito ormai del Pd prepararsi ad un governo pieno del Paese in cui onorare la fiducia che è impossibile determinare quanto ancora potrà reggersi sul voto utile, non il voto utile suggerito spesso dai partiti a mortificare la democrazia in nome della governabilità, ma quel voto che i cittadini credono sia oggi, per disperazione o calcolo, utile e dovuto per la sopravvivenza di un paese bloccato ormai da troppi anni.

Miko Somma.

 

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Di petrolio e di raddoppi…

Le recenti esternazioni di Romano Prodi sulla “necessità” di un maggiore prelievo di idrocarburi liquidi e gassosi sul territorio nazionale e nei nostri mari, più segnatamente nella nostra regione dove si è già sicuri di trovarne grandi quantità sia dei primi che dei secondi, non stupisce affatto, come non avrebbe stupito pronunciate da qualsiasi altro “personaggio nazionale”, qualunque fosse il suo colore politico.

La lobby degli idrocarburi non abbisogna di particolari vessilli, né disdegna alcun rapporto politico, di fatto finanziando tutti, sia governi che opposizioni, e così non fa alcuna specie che a pronunciare oggi le fatidiche parolette sul paese che rinascerebbe grazie alle trivelle nostrane, sia il professor Prodi, il cui intervento è semmai fuori luogo politicamente nei tempi e nei modi, vista l’incombenza delle urne e il rischio concreto che le sue parole creino difficoltà alla sua parte politica.

Il professore è di fatto il grande cerimoniere degli sciagurati accordi del 1998, essendo presidente del consiglio di uno Stato poco ottemperante agli obblighi pure assunti nell’intesa istituzionale del 2001, con D’alema presidente del consiglio, e nel più recente memorandum che chiosava con una illogica e di fatto reiterata mancata promessa a cui si è accompagnato la supina, beota acquiescenza dell’allora consiglio regionale, un decennio di tentativi della destra dell’ex cavaliere di mettere le mani sull’affare idrocarburi in Basilicata.

Non è quindi il punto disquisire di quanto Prodi sia legato a nomisma-energia, la sigla lobbystica dietro cui si nasconde neppure troppo velatamente un intreccio di legami ed interessi sodalistici il cui scopo è la creazione di profitto ad ogni costo per le compagnie (viste anche le loro ben conclamate capacità di etero-finanziamento politico di queste) ed i maggiori introiti fiscali per lo Stato (che incamera circa il 60% degli introiti derivanti), ed i cui mezzi sono il più o meno marcato peso culturale che, grazie anche alla stampa amica (quote di partecipazione alla proprietà dei media delle compagnie e partecipate), diviene materia di influenza politica in grado di spostare le decisioni di un governo, ed una notevole ed a tratti persino svelata capacità di distorcere a proprio vantaggio a volte persino i pareri di più o meno illustri luminari (scorrere gli elenchi di chi finanzia direttamente od indirettamente la ricerca in Italia).

E non è neppure il punto la disquisizione dell’ignoranza abissale che circola tra i politici “decisori” sulla materia che di fatto stabilisce l’unico e reale punto di misurazione di quegli equilibri tra produzione di energia e valori ambientali, sanitari, programmatori e paesaggistici (ciascuno con un suo valore etico, ma anche economico) di cui occorre tenere conto per valutare tra i vantaggi e gli svantaggi di scelte di peso e valenza altamente strutturale su un paese come il nostro, cioè in un’analisi attinente al caso de quo, se il raddoppio delle estrazioni vagheggiato in una pesante linea rossa che attraversa la Strategia Energetica Nazionale, compensi non solo i danni che ne deriverebbero in campo ambientale-sanitario con costi non solo materiali, ma soprattutto etici, ma persino alla percezione turistica del paese (ed a questo riguardo come non sottolineare l’intervento di Amato nella convegnistica di settore riguardo un settore sciagurato come il gas di scisto?)

E dato che non è neppure il punto la riproposizione pedissequa di quanto da anni vado affermando a riguardo di momento che va proprio oggi concretizzandosi minacciosamente, il vero punto si riassume in una domanda diretta al presidente Pittella in occasione dell’incontro di mercoledì con il ministro allo sviluppo economico Guidi, già autrice di dichiarazioni molto stringenti sull’argomento estrazioni, e cioè se il presidente intenda mettere un secco no ad ogni ipotesi del genere in una legislazione che ancora mantiene il pallino in sede regionale, o se all’incontro ci vada per “pesare” politicamente un no offerto con una ulteriore quota di estrazioni concesse, ancorché non richieste ancora (20.000 barili-giorno, come dalle dichiarazioni ufficiali della strategia), un si molto renziano, quindi del fare, quindi trivellare, od il più probabile ni che contratta e che nulla risolverebbe viste le differenze di “peso” tra una regione, la Basilicata, che fa parte di un paese, l’Italia, una regione abitata da italiani che sono anche lucani ed in quanto tali vanno rispettati, ed il concerto di “voci grosse” che con sconquasso e clangore di media declinano il sacrificio estremo d’una terra lasciata finora sola, prima sedotta di royalties e benefici, poi abbandonata alla perdurante “palude” del non riuscire mai a far di conto tra danni prodotti e vantaggi non pervenuti.

Miko Somma

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Il disastro di qualche spicciolo di royalties in più per ammansire l’asino

Apprendere da una testata giornalistica di una giravolta della Giunta Regionale che concede l’assenso ad una richiesta di valutazione di impatto ambientale a permesso di ricerca di idrocarburi con titolarità Delta Energy e riguardante il territorio di comuni che si erano espressi in maniera negativa sullo stesso, pone nella condizione di controllare la fonte causale della notizia, ed una volta controllata tutto appare logico corollario del tempo elettorale che viviamo.

In un breve colloquio l’assessore Berlinguer nega recisamente che alcun atto di giunta a riguardo sia stato anche soltanto portato all’ordine del giorno sia nell’ultima riunione di giunte (30 aprile u.s.), sia in quella odierna (nds. ieri), quindi a questo punto l’unica notizia è da ricercarsi nel sito UNMIG che data al 24 aprile u.s. l’assoggettamento della procedura in oggetto a Valutazione di Impatto Ambientale nei termini stabiliti dalla legislazione in materia (D.Lgs. 152/2006 e i correttivi alla Parte II, D.Lgs. 4/2008 e D.Lgs. n.128/2010).

Di fatto si sconfessa, sgonfiandosi la “notizia” di un assenso della giunta regionale in una ben misera e poco urlante, in termini giornalistici, procedura obbligatoria al quale dovrà poi seguire un atto di giunta che può, come in altri casi a partire dalla cosiddetta “moratoria”, essere di diniego alla concessione del parere positivo, come ci auguriamo il presidente Pittella vorrà fare, mantenendo l’atteggiamento di un sostanziale “abbiamo già dato” che da quel giorno ha portato la regione a respingere diverse istanze.

Certo rimane il fatto che quell’istanza esiste, come ne esistono purtroppo ancora tante altre sul nostro territorio, e che seguendo il suo corso, nelle more di non auspicabili riforme del dettato costituzionale del Titolo V, segnatamente all’art.117, le norme possano modificarsi in più permissive, veloci e molto centralizzate procedure che di fatto escludono la Regione da ogni titolarità in materia, ma è cosa di cui spesso il sottoscritto ha stigmatizzato gli effetti terrificanti che simili modifiche apporterebbero.

Il punto del discorrere è invece che, escludendo che un giornalista possa voler pubblicare una “bufala” con coscienza di farlo, se la fonte che ha informato la testata del “fatto” sia in grado di capire o meno la differenza procedurale e sostanziale che esiste tra un avvenimento reale, la comunicazione di uffici che trasmettono atti obbligati, seppur per molti di noi culturalmente odiosi, e un avvenimento suggerito per creare un clima d’allarme che rientra nel periodo elettorale e nelle forzature che sempre più sono diventate una becera quotidianità comunicativa nel desolante panorama politico italiano.   

Che la politica sugli idrocarburi seguita da oltre 15 anni dalla nostre giunte regionali sia stata ondivaga ed ipocrita e comunque più legata al filo delle contrattazioni romane con il “consorzio” del petrolio” che ai reali bisogni della regione, è ormai chiaro a tanti, meno chiaro però è l’obiettivo però di capitalizzare consenso elettorale rimestando nel torbido di un clima di allarme e sospetto in cui si divide tra buoni e cattivi, onesti e ladri, forzosamente una società politica e civile che solo ora comincia a fare i conti con l’enormità degli interessi in gioco sugli idrocarburi e la piccolezza dei nostri numeri demografici, numeri tanto piccoli che, a ragion veduta, l’unità di intenti dovrebbe essere il minimo comune denominatore.

Ed il punto è allora capire dove fissare l’asticella di questo minimo comune denominatore che non può misurarsi in barili/giorno, aumentando magari la nostra “disponibilità” di altri 20.000 per blandire quanti non si accontenterebbero con evidenza, stante proprio quegli appetiti voraci, ma andrebbe valutato in termini di quale futuro sarebbe concesso a questa terra nella subordinata di un cluster petrolifero che tutto escluderebbe.

Dei “chiarificanti” incontri romani promessi “a breve” al nostro Presidente dal ministro dello sviluppo economico Guidi non sappiamo alcunché, ma dovendo e potendo giudicare solo da atti e fatti più che da promesse, ci attenderemmo un maggiore dibattito in grado di far maturare un’opinione condivisa da una cittadinanza sfiduciata, magari a cominciare da quella commissione speciale che, ben oltre intenti di riscrittura della legge regionale 40/95 sui benefici delle royalties nei comuni delle aree estrattive, nei fatti potrebbe delineare molto più democraticamente di qualsiasi tentazione monocratica ed imperiale i nuovi atteggiamenti che la nostra regione deve maturare al più presto per poter opporre la resistenza dinamica che occorre per impedire, oltre la demagogia ed il populismo, il disastro di qualche spicciolo di royalties in più per ammansire l’asino.    

Ma queste sono le opinabili speculazioni di più o meno avvedute Cassandre quali il sottoscritto, meno opinabile invece è il sentimento di lesione della dignità territoriale, sociale ed economica che comincia a farsi strada nell’animo dei lucani risvegliati ad una realtà, il petrolio, che non era, non è e non sarà mai come era stata e probabilmente sarà ancora raccontata da qualche solito affabulatore.

Miko Somma

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Gli idrocarburi non sono solo royalties con cui pagare una “rivoluzione democratica”.

Apprendiamo da un lancio ansa della delusione del presidente Pitella nei confronti del governo Renzi, di cui pure pare essere convinto sostenitore, a riguardo dei “fondi garantiti alla Basilicata dall’aumento delle estrazioni (senza nuovi pozzi)”, che a suo dire sarebbero nell’ordine di una “miserevole previsione di crescita”, e così spontaneamente sorge una retorica domanda: “ma perché si aspettava forse altro?” da elargizioni che riguarderebbero maggiori estrazioni, ma che nulla aggiungono in temi economici a quanto invece viene già estratto, di fatto la carotina per invitarci all’assenso verso un aumento ben oltre la quota di estrazioni di 102.000 (più circa 20.000 ex memorandum) più 54.000 già stabilite per i giacimenti della val d’agri e di tempa rossa rispettivamente.

E così potremmo anche immaginare un serio risentimento del presidente nel suo prossimo incontro con la ministra allo sviluppo economico Federica Guidi (di area “vasta” pdl), rispetto ad una faccenda che, dalla pubblicazione dell’intervista del ministro al Mattino sulle riserve di greggio meridionali da sfruttare al più presto e senza vincoli imposti dalla legislazione che trova matrice nel Titolo V della Costituzione (e segnatamente stiamo parlando di quelle lucane, visti i troppi limiti esistenti su quelle siciliane, essendo la Sicilia regione autonoma con ampie facoltà di deroga legislativa in materia di assetto e destinazione dei territori), sta sollevando qualche preoccupazione ai lucani?

E per una volta sia a quelli più attenti a questioni ambientali troppo intimamente connesse proprio alle estrazioni e trattamento di greggio, sia a quelli più consapevoli delle questioni strategiche rispetto a un futuro che, prospettandosi vincolato al petrolio non lascia molte alternative di sviluppo altro, sia infine a chi intravede finalmente l’ombra di una colonizzazione de facto che, partendo dalla macro-regione in cui il nostro “problema petrolio” verrebbe diluito, porrebbe come potere forte sul territorio non più l’istituzione, ma proprio quelle compagnie che da anni ed anni agiscono sui differenti governi che si sono susseguiti con unico intento, appropriarsi delle abbondanti riserve di idrocarburi conservate nel sottosuolo lucano con azioni sinergiche e lobbyste.

Ed il presidente Pittella, che sprovveduto non dovrebbe essere, sa bene che quelle azioni sinergiche e lobbyste partono da lontano e recentemente si sono materializzate sia nel governo dell’ex cavaliere, che nel 2009 vara una legge che mentre regala lo zuccherino del bonus idrocarburi, pone la questione strategica sulle infrastrutture energetiche di fatto militarizzando i siti di produzione e trasformazione, sia nel governo pseudo-tecnico di Mario Monti e dell’ineffabile Corrado Passera con varie decretazioni ed il varo di quella Strategia Energetica Nazionale ormai fuori tempo massimo per le competenze di un esecutivo che doveva limitarsi all’ordinario, sia oggi con i “rivoluzionari cambiaverso renziani”, di cui il presidente pur è fervente sostenitore, che pensano che il principale problema del paese siano più le competenze delle regioni che la chiarezza di obiettivi di un esecutivo nato da un “colpo di palazzo”.

Allora ci aspetteremmo che il presidente Pittella richieda al Governo di mettere bene in chiaro le carte sul tavolo e disvelare le sue intenzioni nelle sedi più opportune che non quelle di un giornale, ove pare si parli più agli “amici” che ai cittadini, sedi che non possono prescindere il Consiglio Regionale che va informato e che, riunendosi per una discussione proprio sul titolo V, potrebbe a tal punto chiedere con una mozione specifica una chiarezza che forse il presidente Pittella non è forse in grado di chiedere per i suoi vincoli politici, e sperabilmente riconvocarsi al più presto con un consiglio straordinario sulla materia degli idrocarburi che renda più edotta una consiliatura giovane sulla situazione attuale e su quanto si prospetterebbe a riforma del titolo V avvenuta e ad traslazione definitiva verso lo stato delle competenze concorrenti in materia di energia.

Gli idrocarburi non sono solo royalties con cui pagare il conto di una supposta rivoluzione democratica che, se c’è, comincia dalla difesa dell’integrità materiale della regione e della cura dei suoi interessi.

Miko Somma.

Comunicato stampa

 

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Il piccolo imperatore del regno delle due provincie.

 

Stupito dell’assoluta intempestività nell’argomentare i suoi propositi, ma affatto sorpreso dallo stesso argomentare, apprendo della volontà del presidente Pittella di non considerare peregrina l’ipotesi di un accorpamento in macro-regioni “caldeggiata da Caldoro” – mi si voglia scusare la cacofonia – che ridurrebbe, nelle more della già disastrosa riforma del titolo V (che all’improvviso pare esser diventato fonte di ogni male d’Italia), la nostra regione a mera provincia.

 

Prima infatti di “aprire” ogni considerazione a sistemi territoriali supposti più efficienti nella gestione dei grandi processi di infrastrutturazione ed utilizzo dei fondi europei, al presidente Pittella non dovrebbe sfuggire la demografia che recita chiaramente che sugli oltre 18 milioni di abitanti della macro-regione sud, il peso della Basilicata è quel suo misero 3% che tale rimarrebbe anche nella rappresentanza di istanze specifiche del nostro territorio in un parlamentino del sud. Un rapporto che ci costringerebbe a prendere ancor più atto che nonostante il nostro contributo alla bolletta energetica del paese, saremo la provincia di una provincia, quella del Sud di una visione neo-tardosettecentesca che pare emergere da quelle tre macro-regioni disegnate sull’impronta del regno delle Due Sicilie, dello Stato della Chiesa e di un aggregato cisalpino che tanto caro fu a Napoleone.

 

Ma non è certo solo sulla demografia che dovrebbe reggersi l’intellettiva, prima che intellettuale, presa di posizione contraria a questi progetti che ci saremmo aspettati da un presidente pure eletto dal voto dei suoi cittadini e non certo nominato a tecnico del suicidio assistito d’una regione, ed in primis per la semplice considerazione che il programma con cui è stato eletto neppure teneva in conto simili eppure annunciati argomenti, preferendo inneggiare a rivoluzioni-becchime per poveri di spirito e revanchisti, e neppure lasciando intuire quel piglio proto-monarchico ed assolutista con cui ha iniziato il mandato.

 

Ed immediatamente dopo quella sua auto-considerazione d’essere diventato il piccolo imperatore che governa sudditi, ci sono delle questioni molto pratiche sulle questioni del titolo V e delle macro-regioni che dovrebbero sconsigliare al presidente firme ed improvvide dichiarazioni in tal senso, a partire dalla situazione idrocarburi, punto sul quale si gioca quasi per intero la questione della riforma, e su cui non annoierò con ulteriori considerazioni, avendole già doviziosamente espresse in più occasioni, ma che anche sui rifiuti e sulla loro gestione raggiungono punte elevate di preoccupazione, dovendosi così in rapporto al mutare dei nuovi confini amministrativi della riforma considerare limiti alla movimentazione degli stessi (ex dlgs 152/2006) che li blocca entro i confini regionali.

 

In soldoni ciò significherebbe che all’avanzare di una delle cicliche crisi dei rifiuti campani, spostarli in territori regionali non riguarderebbe più la sola Campania, ma l’interezza della nuova macro-regione e – guarda caso – il nostro territorio è poco antropizzato da risultare problematico in termini di massa critica dell’opinione pubblica rispetto a simili eventualità. E potrei continuare sulla gestione delle acque che diluirebbe la potestà lucana sul 35% delle risorse idriche del sud in un contesto più ampio e più distante dalle problematiche dei luoghi di produzione, ed altro ancora, sino a prefigurarsi nel processo di ri-centralizzazione già in nuce nella riforma del titolo V, un ulteriore processo di centralizzazione secondaria (macro-regionale) che spegnerebbe del tutto ogni forma di autodeterminazione locale. Un processo troppo rischioso per la nostra piccola regione che rischia così di essere fagocitata sia da Roma che da Napoli.     

 

Presidente Pittella, ci dica allora se sta giocando a quel vecchio gioco sulla cui scacchiera, prima ancora che sulla legge elettorale, si incontrano Renzi e l’ex cavaliere per interposte filiere di interessi ed equilibri incrociati o se fa accademia di intenzioni vuoto a perdere (un po’ come l’ormai trimestrale nostro governo regionale), perché anche sol considerare fattiva quella proposta precipita la regione in prospettive fosche in cui non è in gioco l’ethnos di un popolo, quanto la sua thanatos legata a ciò che lo stesso territorio ospita (idrocarburi, acqua e vuoto antropico), che innegabilmente fanno gola a tanti.

 

E con sincerità mi sia consentito suggerire che mentre aumentano dubbi ed incertezze su chi sia il suo vero datore di lavoro istituzionale, se la Regione Basilicata, piccola, controversa, povera, cialtrona persino nella sua corruzione e nei suoi rapporti clientelari, ed i suoi cittadini, che pur l’hanno sostenuta nella sua corsa alla presidenza ottenuta con la suggestione e delle bizzarre primarie, prima che con il voto amministrativo, o qualche idea di Europa ed Italia che non è assolutamente nel dibattito dei suoi stessi concittadini, ma nella testa di arroganti “disegnatori di confini, scenari e istruzioni per l’uso”, che decidono a tavolino le destinazioni di interi territori ed i sistemi economici e sociali che le conterranno.

 

Faccia il presidente, dunque, non il piccolo imperatore del regno delle due province, e prima ancora di esprimere giudizi e volontà urbi et orbi, consulti ed ascolti invece il Consiglio Regionale nel merito di proposte, idee e percorsi per delineare un atteggiamento condiviso verso queste tendenze omicide per il regionalismo e la nostra terra, niente affatto risolutive dei problemi di un paese.

 

Miko Somma

 

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Sembra strano che…

Le urla scomposte di Marsico Nuovo verso il presidente Pittella e la sua giunta, verso i vertici ENI e verso Arpab, verso lo stesso sindaco “quaglista” del centro valligiano, pur nella palese evidenza di una sovra-determinazione che da tempo viene esercitata su “petrolio & dintorni” da un certo movimentismo grillino saldatosi a frange di utilitarismo ambientalista, mette in chiara evidenza, come da anni avverto, più che malumore o delusione del tutto giustificabile, quel profondo risentimento verso la politica tutta che ha gestito i processi legati alle estrazioni che non ascolta più ragioni – anzi proprio non vuole più ascoltare chiacchiere.

Un risentimento che cova da tempo e che oggi rischia di essere da un verso il ventre ammollito preda di populismi in cerca di consensi facili di una Regione che proprio ancora non riesce a fare i conti con una corretta, stringente e previdente programmazione del territorio, preferendo contar gli spiccioli per mantenere l’asfittica macchina clientelare/burocratica che la opprime e girare invece il capo rispetto ai problemi reali, dall’altro l’autostrada sulla quale correrà la trasformazione del rapporto tra compagnie e regione in merito all’argomento energia in esclusiva e pericolosa triangolazione tra Stato, compagnie e comuni, dove appare del tutto evidente la sproporzione di poteri, come sembra prevedere la strategia di modifica sul titolo V della costituzione.

E così se sembra davvero strano che il presidente Pittella non percepisca, dall’alto del suo “rapporto diretto” con l’elettorato che oggi pare diventato cartina di Tornasole della politica che si misura in spot, la tromba di allarme che a Marsico è suonata e rischia di suonare ancora ed altrove e su ben altre partite, preferendo glissare quasi offeso e rivolgere la sua attenzione altrove, ancor più strana appare la sua valutazione su quel processo di riforma dello stesso titolo V che quasi par certo di riuscire a ritagliare a misura degli interessi della regione in base al suo personale “charme”, più che sulla base di una valutazione condivisa tra forze politiche e cittadini lucani in merito all’atteggiamento da doversi tenere se – ma appare in tutta evidenza inutile il dubitativo – la riforma dovesse passare e la regione essere privata delle sue residue potestà in materia di estrazioni.

Per essere ancor più chiari, il timore che la giunta si arrotoli in un tentativo di trattativa con il Governo sulla base di una strategia inconosciuta, nel mentre perde del tutto il controllo della situazione interna di una regione dove è la rabbia a prendere ormai il posto del ragionamento, che pure non è avulso alla “società civile”, e dove i processi di gestione della crisi necessitano di risposte immediate e non più di tavoli inconcludenti con supposte forze sociali dove si tenta magari di recuperare qualche verginità politica persa nell’inseguimento del potere, ma nulla di concreto si mette in campo ad ormai tre mesi dall’insediamento della giunta.

Non suoni critica fine a se stessa, quanto stimolo al fare e fare bene, ritrovando – inutile il reiterativo – il valore di un progetto per la regione che molti cominciano a sospettare non fosse contenuto in alcuna rivoluzione promessa, essendo piuttosto mera suggestione, progetto che se allora non esiste, deve in tutta velocità ritornare ad essere oggetto di discussione, prima che i fatti stessi la rendano inutile.

Ciò vale a dire nello specifico che se non esiste strategia verso aspetti di questa riforma che rischiano di collassare la regione in una damigiana petrolifera, questa strategia deve essere discussa subito sia in rapporto agli obiettivi, sia in rapporto alle alternative con le quali dovrà confrontarsi ogni opposizione a questi progetti biecamente neo-centralistici, e cioè se l’obiettivo sia solo limitare i danni, contrattando benefit senza potere contrattuale a riforma approvata, o impostare sin da subito la conflittualità che a Marsico è sembrata evidente e chiara nella sua manifestazione e di cui sarebbe folle non tener conto.

Provi a cambiare verso alla protesta e farla diventare essa stessa la base per una nuova proposta.

Miko Somma 

Comunicato stampa

Sfiaccolamenti e conformismi

Accade che si legga di incontri tra Fondazione Mattei e Arpab “per avviare unaproficua collaborazione scientifica tra le due Istituzioni attraverso la realizzazione di studi, ricerche e approfondimenti su tematiche ambientali di rilevante interesse per le comunità lucane” che in sostanza si tradurrebbe in “produzione di materiale scientifico (brochure, opuscoli, pubblicazioni) e nella sua divulgazione alla popolazione, ai privati, agli addetti ai lavori ed al mondo scientifico- istituzionale”, quindi a mio personale avviso, in una sorta di divulgazione pre-scientifica alla Piero Angela da diffondere presso la popolazione, con magna soddisfazione di qualche grafico che riceverà qualche migliaio di euro per la impaginazione ed il concept e la sostanziale inutilità formale e sostanziale di una operazione del tutto inutile e già vista troppe volte.

Ma accade anche che lo stesso giorno si debba leggere di un comunicato UNMIG a proposito dello “sfiaccolamento” (oggi si dice così, apprendiamo, ma persino il dizionario incorporato nel pc lo segna come errore), che il giorno 13 gennaio c.a. ha destato allarme e le solite domande a proposito della sicurezza dell’impianto del centro Olii di Viggiano e che, dopo qualche scusa velocemente farfugliata da Eni su problemi elettrici (peraltro spesso chiamati in causa proprio in occasione dei tanti e ripetuti “sfiaccolamenti”) che avrebbero causato l’attivazione della procedura di allarme, procedura che– udite, udite – oggi viene testimoniato dall’ufficio del ministero dello sviluppo economico per gli idrocarburi, essere colpa di un “errore umano” e non più di misterici guasti alla rete elettrica.

Tutto bene, dunque, se non fosse che non si comprende come possa un’ispezione di un ente che non ha potestà alcuna, neppure tecnica (occupandosi semmai di seguire iter procedurali di attribuzione di titolarità dei permessi e delle concessioni in tema di idrocarburi), di ispezione sulla sicurezza di un sito industriale ad alta pericolosità, assicurare dopo 15 giorni che quanto già comunicato da Eni in merito a problemi elettrici, non è vero, ma che di errore umano si è trattato (il solito errore umano che salva la tecnica e condanna la fallibilità degli uomini).

Due sono allora gli ordini di ragionamento che si impongono. O la visita Unmig, non avendo carattere tecnico di accertamento per la mancata potestà dell’ufficio in materia di sicurezza degli impianti industriali, siano essi o meno rientranti nelle procedure “Seveso”, (potestà che riguarderebbe ben altre commissioni ministeriali, semmai la Commissione Nazionale Grandi Rischi presso la Protezione Civile Nazionale (dpcm del 23 dicembre 2011 integrato dal  dpcm del 18 febbraio 2013) ha carattere di non ufficialità e come tale il suo comunicato è inopportuno, non autorizzato da alcuna autorità ministeriale e persino sconveniente nella prassi delle relazioni ufficiali, o tale comunicato riveste carattere “politico” e come tale è ravvisabile in questa attività una mancata terzietà dell’ufficio stesso, il cui parere non è richiesto, che connoterebbe l’attività di boarding, sostanzialmente ospitalità, degli interessi specifici di un’azienda privata, Eni, in una relazione specifica tra un ente pubblico territoriale, Regione Basilicata, e la stessa azienda che è si titolare di una concessione ministeriale sul territorio dell’ente stesso, ma  nello specifico dello “sfiaccolamento”, siamo nell’ambito di materie di potestà concorrente tra Stato e Regione, quale appunto la difesa ambientale, che per nulla attengono alla mission dell’Unmig stesso.

Questa visita non ha quindi alcun valore legale, né tantomeno tecnico, e male fanno alcuni organi di informazione, nello specifico il servizio tg3 regionale dell’edizione pomeridiana del 28 cm., a rilanciare, tali comunicati come elementi tranquillizzanti e conformistici (senza peraltro citare pareri differenti che pure, contenuti già nella serata del giorno precedente sulle pagine del blog curato dal sottoscritto, è parso vedere stigmatizzati nel testo del servizio) di una situazione che non è affatto tranquilla, perché reiterandosi eventi il cui carattere non può essere ridotto a mere casualità tecniche od umane, causando questi eventi allarme e apprensione nella popolazione, sia che si tratti di anomalie tecniche reiterate e per le quali non si siano messi in atto provvedimenti specifici o si tratti di “anomalie umane” che connoterebbero incauti affidamenti di funzioni tecniche, si troverà riscontro di tale attività anche nel codice penale.

Miko Somma, Partito Democratico

Comunicato stampa

Il rito immediato ed il lavacro della nudità di fronte alla legge

Citando testualmente quanto riportato in un lancio di Basilicatanet, in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario a Potenza il presidente Pittella dichiara ”C’è una ferita aperta nella societa’ italiana ed in quella lucana, ed è una ferita che ha molti motivi, a partire dalla crisi della politica per arrivare a quella della società a causa della crisi economica, senza dimenticare i comportamenti della pubblica amministrazione, di cui ci dobbiamo prendere tutta la responsabilità permettendo alla magistratura di svolgere il suo compito…Si tratta di un cortocircuito e l’assenza al voto lo testimonia: a noi tocca il compito di accorciare il divario tra la politica e i cittadini, senza lesinare coraggio e buone pratiche, anche con la concertazione che a volte manca in Basilicata”.

Parole impegnative che testimoniano sensibilità verso un tema rilevante che ormai, qui come altrove, non può più essere eluso o “distratto” per evitare che quella “forbice” tra politica e cittadinanza, di cui proprio l’assenza al voto è testimonianza, si divarichi sempre di più.

Giustamente il presidente Pittella cita la crisi della politica come intrecciatasi strettamente sia a quella economica – ma dimentica che questa è stata in parte favorita proprio da alcuni atteggiamenti “leggeri” della politica di fronte a quei movimenti finanziari da cui è partita poi quella che da finanziaria è presto divenuta crisi produttiva e di sistema produttivo – sia a quella sociale, che è certo crisi dell’uomo in una società cambiata troppo in fretta, e che quindi riguarda anche i pubblici amministratori ed un’etica dell’amministrare, ma che è anche crisi derivante proprio da alcuni atteggiamenti generali della politica italiana che, dopo tangentopoli ed il guado morale postosi tra questa ed un popolo sfiduciato, è quel guado che non ha mai avuto il coraggio di attraversare, limitandosi al meglio a gattopardismi che di fatto rinnovavano pratiche di gestione politica nell’essenza sempre simili a se stesse.

La politica cioè, senza troppi giri di parole, ha fatto troppo spesso piccolo o grande cabotaggio tra quel malaffare quasi socio-antropologico che definirei un “famelismo amorale acuto”, incapace di valori che tenessero a bada viscere ed appetiti consentiti dal ruolo sociale rivestito o per mantenimento bieco del consenso attraverso la distribuzione di ruoli di “gestione”, fenomeno questo che si riscontra nei tanti e spesso invisibili o poco visibili sotto-governi di cui anche la nostra regione abbonda.

Ma la politica è stata anche subalterna nei confronti di quei “datori di economia” che sin troppo a lungo sono stati considerati sacerdoti della teologia del “mercato che regola se stesso”, sino ad essere stata, la politica identificata nel ruolo di socio servitore proprio di quei datori, le cui attività qualcuno vorrebbe oggi addirittura regolare, dimenticando i guasti di quei servaggi negli anni e le macerie la cui rimozione è oggi a carico di una società stremata.

In condizioni simili, tra inchieste decimanti della magistratura e la sfiducia palese di pezzi ormai enormi della popolazione, è sin troppo chiaro come la politica arranchi nei contenuti e necessiti, ora più che mai, non solo di sforzi immani di pulizia e di rinnovamento che diano aria a nuove e coraggiose idee per la risoluzione dei problemi, ma anche di gesti che, oltre le parole, diano quel valore ecumenico di ricongiungimento che riconnetta un popolo disilluso alla sua classe dirigente, così, presidente Pittella, proprio lei che è indagato, come altri, per un’odiosa storia di abusi che non fa onore alla politica tutta, sia primus inter pares e cominci lei con il buon esempio di buone pratiche che finora sono mancate, e così, in merito proprio ai fatti di rimborsopoli chieda, come l’ex assessore Martorano, il rito immediato.

E chieda il tiro immediato per mostrarsi “nudo” di fronte alla legge ai suoi concittadini e rendere così pubblico lavacro delle sue ragioni – e son certo ne avrà – dimostrando o l’infondatezza delle accuse, e la sua immagine risulterà nitidamente quella per cui lei ha chiesto ed ottenuto fiducia dai cittadini che l’hanno votata o in caso avverso, un presidente che non si sottrae al giudizio sulle sue azioni.

Miko Somma, Partito Democratico