fonti energetiche rinnovabili – settima parte

8.    biodiesel e bio-etanolo – trattiamo ora di due differenti, seppur simili per molti aspetti, biocarburanti, i bio-diesel ed il bio-etanolo, ottenuti rispettivamente dalla spremitura di piante da coltivazione oleoginose, quali soia, colza, girasole, e dalla fermentazione alcoolica di piante coltivate ricche di zuccheri, quali barbabietole, canna da zucchero, mais…tramite altri procedimenti è inoltre possibile ottenere da qualsiasi bio-massa il btl (bio-mass to liquid), un altro bio-diesel ottenuto da scarti di materiale organico…l’utilizzo, poi, di olii vegetali puri ( vegoils ) come carburanti è tuttora oggetto di dibattit, vista la loro possibilità di utilizzo solo in vecchi motori…la storia del bio-diesel e dell’etilene non inizia oggi, ma già nel 1853 con il primo processo si transesterificazione degli oli vegetali condotto da e. duffy e j. patrickin, molto prima dell’invenzione del motore che r. diesel mette in funzione 40 anni dopo, il 10 agosto 1893 in germania basandosi come combustibile sull’olio di arachidi (tuttavia non esterificato) e pronunciandosi da allora per motori basati sull’uso di bio-diesel…le scelte politiche dagli anni ’20  dello scorso secolo ai giorni nostri, come sappiamo, furono ben altre e si indirizzarono totalmente verso gli idrocarburi come fonte energetica primaria…il continuo aumento dei costi attuali dei combustibili fossili e l’incertezza strategica sulla continuità delle forniture, nonchè la necessità di limitare drasticamente le emissioni di gas-serra sono alla base del processo industriale che ha riportato in auge un carburante ecologico dimenticato per anni…

valutazioni ambientali e strategiche a parte, in ogni caso nessuno di questi bio-carburanti può prescindere da accorte valutazioni sull’e.r.o.e.i., il rapporto cioè tra energia prodotta ed energia impiegata per la stessa produzione, ma su questo argomento torneremo in seguito…

sono da notare alcuni aspetti legali connessi alla possibilità di utilizzo dei bio-carburanti…è infatti illegale in italia l’uso di oli vegetali (ma sembrano comunque eslusi dal divieto bio-etanolo e bio-diesel) senza corrispondere le relative accise sui carburanti sulla base del d.l. n. 504 del 26/10/1954 o testo unico in materia di accise statali…il problema di fondo consiste nell’obbligo del produttore e non dell’acquirente di versare le accise, comportando nei fatti l’impossibilità alla commercializzazione di un prodotto di cui il produttore non paghi regolarmente le accise e ciò a motivo di una tassazione basata sull’uso (carburanti) e non sulla composizione chimica del prodotto

i biocarburanti in genere si possono quindi suddividere in: 

  • bio-diesel, come già descritto ottenuto principalmente con un metodo chimico della transesterificazione metilica di piante oleoginose quali colza, soia, girasole…il bio-diesel si presenta come un liquido trasparente di color ambrato, con viscosità simile al comune gasolio…per la sua identificazione si ricorre alla sigla bd, partendo da bd 100 per il bio-diesel puro, mentre per le sue miscele si ricorre alla sigla più la percentuale di miscelazione con il bio-diesel stesso ( es. bd 40 significa una miscela di 40% di biodiesel puro e 60% di gasolio)…le specifiche standard per il bio-diesel sono fissate dalla norma iso 14214, la germania inoltre fa una specifica distinzione del bio-diesel: rme – esteri metilici dell’olio di colza;   pme – esteri metilici di soli oli vegetali; fme esteri metilici di grassi vegetali ed animali…tali importanti specifiche fissano inoltre dei criteri importanti per la produzione di bio-diesel, cioè completezza della reazione di combustione, rimozione del glicerolo, rimozione del catalizzatore, rimozione degli alcoli, assenza di acidi grassi liberi, caratteristiche queste verificate con gascromatografie, che danno al carburante standard di tossicità accettabili…tale carburante viene in seguito miscelato con gasolio in percentuali variabili a seconda dei motori (anche allo scopo di aumentarne la lubrificazione), anche se si auspica un suo utilizzo nella forma pura…il bio-diesel presenta alcune problematiche tecniche relative alla sua infiammabilità ed al suo punto di fusione più alto di quello del gasolio, che costringe ad un riscaldamento dei serbatoi di stoccaggio nei periodi freddi, ma è molto meno esplosivo di questo…inoltre il suo utilizzo riduce sensibilmente le emissioni di ossido di carbonio (co) del 50% e di biossido di carbonio o anidride carbonica (co2)  del 75% , riduce la presenza di idrocarburi aromatici quali il benzopirene fino al 70%, non emette diossido di zolfo (so2), riduce del 60% l’emissioni di polveri sottili (pm 10, tuttavia sembra inalterata l’emissione di particolati inferiori), ma aumenta le emissioni di ossidi di azoto, forse controllabili con una riprogettazione dei catalizzatori di scarico attuali…tra i biolipidi coltivati per produrre biodiesel troviamo: oli vegetali vergini quali olio di colza o soia, più comunemente usati, ma anche senape, olio di palma ed alcune varietà di alghe risultano promettenti, a seguire in subordine oli vegetali di scarto e grassi animali…le rese di produzione (in metri cubi per chilometro quadrato di coltivazione)  sono per la soia da 40 a 50, per la senape 120-130, colza 100-140, olio di palma 610, alghe 10.000-20000 (stime)
  •  bio-etanolo, come accennato il bio-etanolo ( o alcool etilico) è ottenuto dalla fermentazione di colture agricole ricche di zuccheri e carboidrati, quali barbabietola, canna da zucchero, mais, ma anche sorgo ed orzo, nonchè da frutta, patate, vinacce, etc…il bio-etanolo può essere utilizzato come componente diretto per benzine o per ottenere l’etbe (etil terbutil etere o etere etilbutilico), un derivato di tipo ottanico…il bio-etanolo può essere aggiunto alle normali benzine in miscele fino al 20-30% senza alcuna modifica dei motori attuali o usato puro in motori modificati (motori flex), come è nel caso del brasile, dove motivazioni di carattere strategico hanno portato al massiccio utilizzo proprio di questo tipo di carburante…analogamente al bio-diesel per l’identificazione del bio-etanolo si ricorre ad un sistema basato su una sigla, in questo caso be ed un numero che ne indica la percentuale di miscelazione rispetto al carburante tradizionale….i sottoprodotti della fermentazione in genere trovano un ulteriore utilizzo come mangimi o come ulteriori bio-masse…si stima che la produzione di bio-etanolo sia all’incirca il 30% rispetto ai quantitativi utilizzati di sostanza base, il che vale a dire che per ogni tonnellata di materiale da coltura si ricavano 300 kg di bio-etanolo…il bilancio energetico (e.r.o.i.) per il bioetanolo da mais nel rapporto energia ottenuta/energia di produzione è superiore ad 1, mentre un rapporto molto superiore, fino a 6-7, sembra indicato per il bio-etanolo da canna da zucchero (ma a tal proposito le fonti brasiliane non sembrano molto affidabili)…il bio-etanolo può essere inoltre utilizzato come combustibile per bio-camini…le resa del bioetanolo da canna da zucchero in brasile è di circa 6.000 litri per ettaro coltivato…altre metodologie di produzione del bio-etanolo prevedono la pre-produzione di glucosio attraverso la triturazione e bollitura di essenze arboree, particolarmente l’abete rosso, la sua fermentazione attraverso batteri anaerobici e successive distillazioni per aumentare fino al 90-95% il contenuto di alcool etilico, o l’idrolizzazione di cellulosa tramite funghi o batteri, la sua trasformazione in glucosio e la fermentazione attraverso altri batteri, ma si tratta di processi molto più costosi di quelli utilizzati per la produzione da canna da zucchero…riguardo alle emissioni, il bio-etanolo usato come carburante riduce di circa l’80% le emissioni in atmosfera di anidride carbonica, sostanzialmente riproducendo i dati delle emissioni da bio-diesel, riducendo inoltre l’emissione di sostanze cancerogene come il benzene ed il butadiene, ma innalzando i livelli di emissioni di formaldeide ed acetaldeide…il numero di ottani dell’etanolo è superiore a quello delle benzine normali, compensando così parte del minor potere calorifico o rendimento termodinamico che è inferiore di circa il 30% ai normali carburanti…considerazioni che stanno spingendo molti stati ad intravedere nell’utilizzo di bio-etanolo una fonte energeticamente valida in grado di ridurre la dipendenza dagli idrocarburi…il brasile infatti prevede di raddoppiare la produzione nazionale di bio-etanolo fino ad arrivare a 5 miliardi di litri sufficienti ad alimentare circa 5 milioni di autoveicoli, così come l’energy policy act negli stati sovvenziona gli agricoltori che producono colture da bioetanolo…ciò ovviamente pone dei problemi legati alle produzioni agricole tradizionali a cui si tende a sottrarre spazi di coltivazione, ma avremo modo di tornare subito su questo argomento in sede di considerazioni…per dare un’ordine di grandezza il parco autoveicoli italiano, consumando una media di mille litri/anno di bioetilene avrebbe bisogno di circa 6 milioni di ettari coltivati a canna da zucchero, quando la superficie coltivabile italiana non supera i 13 milioni di ettari totali…il progetto b.e.s.t. ( bioethanol for sustainable transport) supportato dall’u.e. coinvolge sei paesi con la partecipazione di brasile e cina, avendo come obiettivo l’introduzione di 10.500 automobili con motore flex (utilizzo di bio-etanolo al 100%) e di 160 autobus…le città interessate sono stoccolma, rotterdam, somerset, dublino, madrid, la spezia (quest’ultima con 3 stazioni di rifornimento e 100 auto, di cui 10 a carico del comune e 90 di piccole e medie imprese locali)…un progetto innovativo, definito “bioraffineria”, è basato sul frazionamento sequanziale a vapore di biomasse ligneo-cellulosiche con autoidrolisi ed ha il vantaggio di usare per la distillazione di bio-etanolo prodotti di minor valore, ottenendo aumenti di resa energetica del 30-34%…la direttiva europea sui bio-combustibili del 2003 pone l’obiettivo del 20% dei bio-combustibili per il settore dei trasporti entro il 2020

evitiamo in questa trattazione di descrivere le procedure di utilizzo di tipo domestico di varie sostanze oleose in questi anni oggetto di dibattiti

per valutare il rendimento energetico dei bio-carburanti si ricorre al già citato e.r.o.e.i., cioè ad un rapporto tra energia ricavata ed energia impiegata per la produzione, che per sua intrinseca natura non può essere inferiore a 1…ricordiamo che in questo rapporto non sono comprese le spese economiche, ma solo i rapporti tra le energie totali in un periodo di tempo fissato per il completamento dei cicli di impianto, cura e crescita delle coltivazioni, produzione di bio-carburante, trasporto, distribuzione ed utilizzo…per il bio-diesel tale rapporto pare fissabile a 3 (cifra molto inferiore all’e.r.o.e.i. dell’eolico, 20-30%, ma accettabile in quanto si tratta di coltivazioni) e leggermente superiore per l’olio di palma. mentre abbiamo visto che per il bio-etanolo tale rapporto oscilla tra un numero di poco superiore ad 1 (produzione da mais, cereali o barbabietola) a 6-7 (produzione da canna da zucchero)…non esistono dati certi o suffragabili da esperienze in scala per produzioni di bio-carburanti da altre coltivazioni o da micro-alghe

veniamo ora ad una serie di considerazioni di carattere ambientale che proprio l’utilizzo di queste fonti di energia rinnovabili sollevano…la grande quantità di terreni agricoli a cui un massiccio utilizzo dei bio-carburanti indirizzerebbero la destinazione stessa dei suoli, pone dei problemi in primo luogo economici ed alimentari…la redditività delle coltivazioni energetiche è ovviamente maggiore dell’equivalente agricolo in senso stretto, cioè alimentare, cosa che di fatto spingerebbe gli agricoltori a prediligere le prime a scapito delle seconde, creando così una minore produzione di derrate agricole con conseguenti aumenti dei costi dei prodotti per l’alimentazione umana (cosa che già oggi verifichiamo direttamente)… valgono inoltre tutte le considerazioni già fatte per le coltivazioni ad uso bio-massa, sia a livello di bio-diversità e rischio desertificazione, sia a livello globale socio-economico ed alimentare, soprattutto alla stregua di quanto già accade in molte economie agricole centro e sud-americane…un enorme asservimento dei migliori suoli agricoli alla produzione di colture per bio-carburanti (soprattutto per il mercato statunitense) a scapito di un armonico sviluppo delle colture agricole locali e delle economie rurali, ed a volte della stessa agricoltura di sussistenza…facile osservare come in stati dove esista una forte concentrazione della proprietà agraria (ed è il caso citato) l’indirizzo a vaste mono od oligo-colture energetiche, imporrebbe drastici tagli proprio a quelle colture che alimentano le popolazioni di quegli stessi stati, impossibilitate nei fatti ad accedere ad importazioni di tipo alimentare…ragioni che indirizzano verso l’estrema prudenza e verso l’adozione immediata di serie ed urgenti norme internazionali di garanzia e programmazione in un settore che vede intrecciarsi questioni energetiche e questioni alimentari a livello planetario

miko somma (continua)

fonti energetiche rinnovabili – sesta parte

7.     idrogeno – veniamo ora ad una delle fonti energetiche più controverse, l’idrogeno…l’idea di propagandare l’idrogeno come combustibile primario fu avviata dall’economista e presidente della foundation of economic trends di washington jeremy rifkin (economia dell’idrogeno, 2002 mondadori), anche se asserzioni in tal senso sono nettamente preesistenti…premettiamo che la possibiltà di utilizzo dell’idrogeno come fonte energetica rinnovabile ha sostenitori e detrattori e la discussione scientifica in merito non ha ancora definitivamente chiuso l’argomento in un senso o nell’altro

l’idrogeno (h2 nella sua forma molecolare) è certo l’elemento più abbondante nell’universo, ma data la sua leggerezza ed estrema volatilità estremamente raro nell’atmosfera terrestre e praticamente assente sulla terra nella sua forma primaria, quella di gas infiammabile, ottenibile però attraverso procedimenti artificiali che lo producono per separazione da alcuni elementi esistenti, a partire pima di tutto da un dispendio primario di energia per la sua stessa produzione…di certo, più che una fonte energetica in senso stretto, al pari dell’elettricità l’idrogeno rappresenta un vettore energetico, cioè un mezzo di accumulo di energia prodotta da altre fonti

allo stato attuale la quasi totalità dell’idrogeno prodotto in processi industriali proviene da fonti fossili come il carbone o il metano attraverso una tecnica conosciuta come reforming, tecnica che consente di immagazzinare l’energia contenuta nelle fonti fossili con una efficienza media del 75% ed una perdita energetica sotto forma di calore del 25%, quindi leggermente più alta dei processi termoelettrici basati sugli idrocarburi…tuttavia per ogni atomo di carbonio presente negli idrocarburi utilizzati nei processi di reforming si produce una molecola di anidride carbonica, il principale, ma non unico gas-serra, un quantitativo del tutto simile a quello prodotto utilizzando direttamente gli idrocarburi in una centrale termoelettrica…altre tecniche consentono di estrarlo sia dall’acqua (elettrolisi) che da batteri e microalghe (con diverse tecniche come la biofotolisi, la fotofermentazione anaerobica, che sfruttano entrambe la luce nel processo di sintesi energetica del bioidrogeno, e la fermentazione al buio), sempre comunque attraverso l’uso massiccio e per il momento ben poco conveniente di un’altra fonte energetica

di fatto la produzione industriale di idrogeno avviene per il 97% da idrocarburi (600 miliardi di m3 nel mondo prevalentemente da carbone attraverso la gassificazione a vapori d’acqua, come nel caso dell’ydrogen park enel di marghera) e per il restante 3% da elettrolisi dell’acqua, mentre tutte le altre tecniche, per quanto promettenti, rimangono tuttora allo stato di sperimentazione e studio…l’uso quasi totale di idrocarburi per la produzione industriale di idrogeno poco o nulla cambia quindi nel bilancio energetico totale che continua a rimanere incentrato sulle fonti fossili (argomento dei detrattori) e tuttavia l’idrogeno presenta il pregio fondamentale di un utilizzo dell’energia immagazzinata che non porta all’emissione di ulteriori inquinanti (argomento dei sostenitori)

considerando che l’idrogeno viene quasi esclusivamente ipotizzato come propellente per l’autotrazione, esistono per il suo utilizzo due differenti opzioni:

  • combustibile per motori a combustione interna, simili ai motori attuali, ma opportunamente modificati, che consentirebbero un quasi annullamento delle emissioni dei gas di scarico…infatti questi sarebbero composti da vapore acqueo e minime presenze di ossidi di azoto
  • celle a combustibile, cioè dispositivi di conversione dell’energia immagazzinata in pile a combustibile in energia elettrica per alimentare automobili a motore elettrico…in questo caso le emissioni sarebbero di solo vapore acqueo e quindi uguali a zero

a proposito di entrambi gli utilizzi va precisato che nel primo dei casi, pur non necessitando di massicce e costose riconversioni dei motori del parco veicoli totale, ma una loro modifica ed ammettendo poi un rendimento di questi simile ai motori a benzina, nel processo di produzione dell’idrogeno vi è una perdita tale di energia che fa si che, a parità di energia prodotta, occorra un consumo maggiore di idrocarburi, di conseguenza maggiori emissioni di gas-serra, migliorando certo sensibilmente la situazione dell’inquinamento nei centri urbani, ma peggiorandolo nella sua globalità, mentre nel secondo caso, oltre alla totale e costosa riconversione ai motori elettrici del parco veicoli, visti i buoni rendimenti delle celle a combustibile ed un loro prevedibile aumento di efficienza, il bilancio energetico si manterrebbe più o meno simile all’attuale, mantenendo però inalterata la problematica dell’inquinamento globale 

esiste una visione che prevede la produzione di idrogeno non da fonti fossili, ma dall’acqua (elettrolisi) attraverso l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili quali il fotovoltaico, l’eolico, etc., ma appare poco utile economicamente e funzionalmente un loro utilizzo per la produzione di idrogeno, piuttosto che la logica immissione di quanto prodotto da fonti rinnovabili direttamente nelle reti elettriche

va inoltre scongiurato che, a partire dal processo del reforming dal carbone, si utilizzi questa fonte ancora abbondante, ma terribilmente inquinante nonostante le varie tecnologie di abbattimento dei gas serra o addirittura di immagazzinamento di questi nel sottosuolo…va comunque ricordato che attualmente la produzione di idrogeno è inefficiente dal punto di vista termodinamico, richiedendo un’energia maggiore di quella che consente di risparmiare se usato come combustibile…l’unico modo di usare l’idrogeno come fonte di energia diretta è nella fusione nucleare, ancora sperimentale e dei cui effetti ben poco si conosce nella pratica, tecnica che ovviamente ci allontanerebbe dalla nostra idea di rinnovabilità delle fonti come strumento di un’altra energia…l’uso dell’idrogeno pone inoltre enormi problemi di stoccaggio e di trasporto, poichè ha una bassa densità energetica (rapporto massa-energia prodotta) ed ha caratteristiche di volatilità, infiammabilità, esplosività estremamente accentuate

pur ponendo quindi l’uso dell’idrogeno una serie di problemi tecnologici e politici (processi di accentramento produttivo nelle mani delle stesse multinazionali dell’energia e consumo in guisa di merce dell’energia, piuttosto che processi democratici di produzione ed utilizzo di un bene comune) per il momento irrisolti e necessitando ancora di miglioramenti tecnologici sostanziali, una visione laica della problematica porrebbe di fronte ad alcune scelte in base alle quali anche l’attuale livello tecnologico dell’idrogeno potrebbe risultare accettabile

  • pur non risolvendo affatto il problema dell’inquinamento globale e del surriscaldamento, ma semmai concentrandolo ulteriormente nei plessi di produzione energetica, un utilizzo massivo delle celle a combustibile soprattutto per i veicoli pubblici (il cui utilizzo andrebbe fortemente incentivato, contemporaneamente disincentivando il traffico privato), renderebbe l’aria delle nostre città finalmente respirabile, realizzando di fatto un primo passo verso quell’equilibrio tra uomo ed ambiente che ci sembra un punto irrinunciabile di un cammino virtuoso fatto non di utopie da contrabbandare, ma di tappe da raggiungere verso quelle stesse utopie
  • porre nei fatti un superamento tecnico e concettuale del motore a combustione interna, basato sugli idrocarburi e sulle loro logiche di produzione e consumo
  • affermare la logica del trasporto di persone e merci come logica pubblica da sottoporre a precise regolamentazioni e programmazioni energetiche, tecnologiche, ambientali, sociali e politiche

 miko somma (continua)

fonti energetiche rinnovabili – quinta parte

6.   energia da biomasse – le fonti di energia da biomasse sono costituite da sostanze non fossili, di origine animale e vegetale (queste ultime anche coltivabili), che possono essere usate come combustibile per la produzione di energia (biocombustibili) o come generanti gas  a sua volta combustibile (biogas)…tratteremo in seguito i biocarburanti…va subito chiarito che in questa trattazione viene categoricamente esclusa dal concetto di biomasse ogni operazione sul ciclo dei rifiuti urbani (termodistruzione), materiali che in nessun caso possono essere considerati come fonte di energia rinnovabile…la precisazione è doverosa, vista la equivocità di talune interpretazioni in merito

distinguiamo subito le principali categorie di biomasse in:

  • biomassa secca e legna ecologica
  • biocombustibili da coltivazione
  • biogas

le biomassa secche e la legna ecologica, utilizzate come combustibili per la produzione di calore da utilizzare in quanto tale in impianti di teleriscaldamento o di calore da applicare alla produzione di energia elettrica, sono ricavate da uno sfruttamento razionale delle superfici boscate esistenti o da piantumazioni artificiali con essenze arboree od arbustive a crescita rapida…le biomasse secche e la legna ecologica utilizzate per produrre calore o energia elettrica possono rivestire una grande importanza come fonti energetiche rinnovabili, ma solo se strettamente legate alle necessità energetiche del luogo d’origine, quindi in centrali di ridotte dimensioni, vista la possibile snaturalizzazione dei processi biologici legati a sfruttamenti e/o coltivazioni organizzate in scala industriale…la biomassa secca e la legna ecologica infatti devono avere come caratteristiche per essere riconosciute tali, la provenienza del materiale ligneo da abbattimento di piante già morte, da scarti di potature, forestali ed agricole, da sfruttamento razionale delle superfici boscate (matricina per piccole strisce di bosco o 1 pianta ogni 4, ad esclusione di alberi secolari, essenze protette, boschi storici, ecosistemi ed habitat protetti), una lavorazione ecologica (sega a mano, sega e cippatrice elettrica, etc.), l’assenza di costi aggiuntivi energetici significativi per il suo trasporto e determinate caratteristiche di retribuzione per ora lavorata…torneremo comunque in seguito sull’argomento sul rischio dei processi industriali

i biocombustibili per la produzione di energia elettrica sono derivati da coltivazioni pilotate di vegetali a rapida crescita da utilizzare come combustibili nel processo calore-energia, come ad esempio il miscanto (miscanthus giganthus), una graminacea ibridata alta fino a quattro metri dall’elevata resa (60 tonnellate di materia secca per ha. equivalenti a circa 60 barili di petrolio in termini di potere calorico, sperimentata anche in italia), semi di leguminacee (soia, senape, etc.) ed essenze cerealicole (mais e frumenti), anche modificate geneticamente (ogm)… come per le biomasse secche e la legna ecologica, anche in questo caso, nonostante l’apparente naturalità del processo di coltivazione, il rischio dei processi industriali è molto alto per l’ambiente e per l’uomo ed è legato sia alla possibile contaminazione di grandi superfici agricole da parte di quelle componenti transgeniche che il processo industriale sembra suggerire come le essenze più appetibili per una grande produzione, sia per la possibile destinazione di enormi superfici agricole ad utilizzi energetici e non più legati alle coltivazioni in senso stretto…anche su questo aspetto torneremo in seguito

il biogas è il prodotto della fermentazione anaerobica (anaereobiosi, cioè fermentazione in assenza di ossigeno), operato da microorganismi batterici su materiale organico, vegetali, rifiuti urbani, scarti agricoli e liquami da deiezioni animali o da fognature ed è attualmente utilizzato come combustibile per la produzione di calore o di energia elettrica, previo passaggio in fermentatori chiusi (digestori) da cui viene captato e filtrato…con il termine biogas si intende una miscela composta da vari gas (anidride carbonica, idrogeno molecolare e prevalentemente metano) che si forma spontaneamente negli accumuli di materiale organico ( es. le discariche di rifiuti urbani ne sono grandi produttrici, così come le vasche di contenimento delle deiezioni animali negli allevamenti)…esistono varie tipologie di impianti di produzione a seconda delle matrici organiche, liquide o solide…è da osservare che nella combustione del metano così ricavato, la quantità di anidride carbonica (co2) emessa è quasi pari a quella fissata direttamente dai vegetali o indirettamente dagli animali, quindi in un ciclo breve che riguarda il presente, al contrario di quella emessa dai combustibili fossili per i quali il processo di fissazione di co2, avvenuto in epoche lontane, porta al suo rilascio nell’atmosfersa con la combustione nell’epoca attuale, aumentandone la concentrazione…un ulteriore vantaggio del recupero e dell’utilizzo del biogas riguarda la captazione di metano, emesso si naturalmente con la decomposizione di vetegali ed animali, ma enormemente aumentato dallo sfuttamento umano sulle attività animali e vegetali…è da ricordare come l’immisione in atmosfera di una tonnellata di metano (ch4) , in 100 anni, equivale all’immissione di 21 tonnellate di anidride carbonica (co2)…l’ossidazione del metano che avviene con la combustione porta alla sua degradazione in anidride carbonica (meno pericolosa) ed acqua 

veniamo ora ad una serie di considerazioni finora solo accennate a riguardo dell’utilizzo delle biomasse animali e vegetali come fonte di energia rinnovabile…per le biomasse secche e per le biomasse da coltivazione i rischi insiti nei processi industriali a cui le logiche dei grandi impianti di produzione energetica inevitabilmente conducono, portano a grandi rischi di snaturalizzazione dei processi biologici primari, in termini sia di uno sfruttamento massiccio ed irreversibile del patrimonio forestale, ben oltre quindi la propria capacità auto-rigenerante e ben oltre il naturale processo di decomposizione degli scarti vegetali, sia di impianti di enormi foreste antropizzate o coltivazioni transgeniche poco naturali, su terreni agricoli, a pascolo od a riposo, e quindi destinazioni forzate delle originarie vocazioni di vaste porzioni di territorio…è da rimarcare come, non riuscendo o potendo trovare suoli bastanti alle necessità energetiche attuali dei paesi del primo mondo, i rischi di una possibile esportazione industriale di queste colture in paesi del terzo mondo, paesi dalle economie fragile ed assetate di entrate finanziarie (già realtà in molti casi, vedi centro e sud america con le coltivazioni per il biodiesel statunitense) e le conseguenti monocolture che ne deriverebbero,  impatterebbero direttamente sulla destinazione dei suoli destinati alla sussistenza alimentare delle popolazioni locali…infine il conto energetico globale verrebbe ad essere squilibrato dalle necessità energetiche di trasporto e di lavorazione industriale delle biomasse

la combustione di biomasse genera comunque grandi quantitativi di anidride carbonica, seppur già fissata dagli organismi, ed il loro utilizzo come fonti energetiche non può non tener conto di una necessità, conclamata nei fatti e normata dagli stati aderenti al protocollo di kyoto, di diminuire i gas-serra immessi in atmosfera, intervendo quindi con una costante diminuizione dei processi di carbonificazione…per i motivi sopra esposti è auspicabile quindi che tali impiantistiche a biomasse ed a biogas rimangano sussidiarie alle necessità strettamente locali di produzione energetica in una logica di piccoli impianti integrati volti alla auto-produzione ed all’autosufficienza di piccole comunità. 

fonti energetiche rinnovabili – quarta parte

5.   energia eolica – arriviamo ora ad una delle fonti energetiche rinnovabili più controverse, l’energia eolica…è dato comune che l’energia prodotta dai generatori eolici sia poco costosa (forse meno di ogni altra forma di energia), ma a causa di una normativa quadro poco chiara, se non addirittura assente, in questi anni abbiamo assisitito al proliferare di grandi impianti, assai invasivi dal punto di vista paesaggistico, che hanno scatenato molte polemiche nelle comunità…normalmente l’energia eolica dovrebbe essere pensata in forma di piccoli impianti installati per soddisfare le esigenze energetiche di singole comunità, quindi con un numero di pale o generatori strettamente tarato sulle esigenze energetiche delle stesse comunità…di fatto osserviamo spesso l’installazione di grandi impianti in luoghi alti e ventilati, spesso senza alcuna verifica delle loro capacità impattanti…ma andiamo con ordine, partendo da un dato storico che vede nell’energia eolica una delle prime forme di energia sfruttata  dall’uomo per la sua grande potenzialità meccanica…la capacità di opporre all’energia di spinta del vento un ostacolo fisso generante trazione diretta (la vela delle navi) o mobile grazie a meccanismi di trasferimento del moto (mulini a vento) è stata per secoli l’unica fonte di energia, eccetto quella animale, in grado di offrire un supporto energetico alle attività umane…con il diffondersi delle macchine a vapore, in grado di ofrrire rendimenti costanti l’energia eolica è praticamente sparita come fonte energetica, ritornando in auge solo negli anni settanta del secolo scorso come possibile alternativa energetica all’aumento del costo del petrolio.

prima di entrare nei dettagli, ricordiamo però il carattere di imprevedibilità del vento…per quanto esistano zone esposte a venti più o meno costanti, la quantità di energia prodotta dipenderà sempre dall’intensità degli stessi venti…la trasformazione del vento in energia elettrica avviene attraverso due gruppi distinti di macchine eoliche in funzione del modulo base adoperato e definito generatore eolico:

  • generatori eolici ad asse verticale
  • generatori eolici ad asse orizzontale

generatori eolici ad asse verticale (vawt – vertical axis wind turbines): è una macchina eolica la cui struttura è caratterizzata da una bassa quantità di parti mobili, cosa che le conferisce alta resistenza alla forza del vento e soprattutto la possibilità di sfruttare la direzione di questo senza ri-orientarsi di continuo…si tratta di macchine molto versatili, ma il cui impiego è minimo data la bassa efficienza di conversione energetica (meno del 30%)…l’unica installazione industriale di generatori eolici ad asse verticale era situata in california ad altamont pass, ma risulta attualmente smantellata…la bassa resa di questi generatori ne hanno nei fatti confinato l’uso alla sola ricerca…da più parti si asserisce comunque che le ore di utilizzo totali di questi generatori sarebbero maggiori di altre tipologie di macchine eoliche, rendendoli di fatto più competitivi…in italia è stato sviluppato un nuovo progetto di generatore ad asse orizzontale denominato kitegen (kite wind generator)…si tratta di un progetto che eliminerebbe molti dei problemi legati alla statica dei generatori, che per aumentare le rese devono di fatto aumentare le dimensioni totali dell’impianto…grazie a profili alari di potenza (power kites) solidali al perimetro della turbina, profili che di fatto ne divenengono le pale, si permette alla turbina di ruotare intorno ad una asse verticale, risolvendo molti dei problemi legati alla statica complessiva degli impianti…problemi essenzialmente dovuti alle enormi fondazioni che ogni macchina eolica sufficientemente potente come capacità generante impone perchè l’intera struttura possa resistere alla forza di spinta del vento…ricordiamo infatti che è solo in rapporto alla quantità di energia da produrre che dipende la quantità di spinta del vento da catturare e quindi sia la superficie mobile esposta a questo, sia la superficie totale dell’impianto, cioè l’altezza ed il diametro delle torri di sostegno.

generatori eolici ad asse orizzontale (hawt – horizontal axis wind turbines) – gli aereogeneratori attualmente in uso, quelli che normalmente osserviamo sulle creste delle montagne e dalla caratteristica forma di mulino a vento (che di fatto è una macchina eolica ad asse orizzontale) hanno l’asse di rotazione orizzontale e sono formati essenzialmente da una torre di sostegno in acciaio con altezze solitamente variabili dai 40 ai 100 metri, da un involucro cavo (gondola) al cui interno è alloggiata la turbina (generatore elettrico), azionata da un rotore costituito da pale, solitamente tre, della lunghezza di 20 o più metri ciascuna…una singola macchina simile, a seconda ovviamente delle sue stesse dimensioni e della presenza e quantità di vento totale, è in grado di generare elettricità da 600 kw a 3-4 mw…la velocità minima del vento che consente il funzionamento della macchina e la conseguente produzione di energia è di circa 3-5 m/sec, raggiungendo la potenza di esercizio dichiarata alla velocità di 12-14 m/sec…a velocità del vento superiori ai 20-25 m/sec la macchina viene bloccata da un sistema frenante che o blocca o inertizza il movimento delle pale per motivi di sicurezza…a simili o superiori velocità del vento infatti, le sollecitazioni statiche sulla struttura derivanti sia dalla forza totale della spinta del vento, sia quelle derivanti da un moto di rotazione esasperato delle pale che oltre a scaricarsi sulla struttura stessa, coinvolgerebbero le giunzioni tra gondola e pale con pericoli di distacco, sarebbero troppo forti per la tenuta dell’intero impianto…è utile a questo punto ricordare come, pur essendo relativamente facile e veloce il posizionamento di una macchina eolica, le fondazioni di sostegno per la torre e per gli ancoraggi di questa sono direttamente proporzionali ad una serie di parametri statici e dinamici quali l’altezza della torre e la spinta massima a cui questa potrebbe essere soggetta, parametri che sconsigliano le installazioni di torri eoliche di dimensioni maggiori delle attuali (ricordiamo che le più grandi installate on-shore, cioè in terra, hanno diametri di rotore di 70 metri, altezza delle torri di 130 metri, con un raggio della base di 20 metri, mentre per le installazioni off-shore, cioè in mare aperto, tali limiti strutturali non consentono dimensioni superiori ai 100 metri di diametro-rotore, 180-200 metri di altezza della torre, più ovviamente la parte sottomarina e le fondazioni, ma dell’oeolico off-shore parleremo tra breve più diffusamente)

le ragioni della spinta verso l’alto delle torri eoliche risiedono principalmente nella progressiva maggiore velocità e costanza del vento all’allontanarsi dal suolo e nella possibilità di predisporre con altezze maggiori delle torri rotori di maggiori dimensioni e quindi poter generare maggiori quantità di energia elettrica…è da notare comunque come nel nostro paese manchi una legge quadro o un testo unico che regoli le energie eoliche, tanto che alla borsa elettrica l’energia derivante da eolico, benchè meno costosa, quindi più conveniente, sia tuttora relativamente poco richiesta

in paesi come la danimarca la percentuale di energia elettrica prodotta con l’olico ha raggiunto il 23% del fabbisogno nazionale, mentre si attesta al 9% in spagna ed al 7% in germania…l’italia si situa al settimo posto tra le nazioni con le maggiori capacità installate

l’eolico off-shore merita di essere trattato separatamente…con il termine eolico off-shore si intendono impianti installati in mare aperto, in situazioni meteo-logistiche maggiormente influenzate dalle circolazioni dei venti, dipendenti per buona parte proprio dai gradienti di accumulazione termica delle acque profonde…la spagna ha avviato un accurato monitoraggio sull’intero territorio nazionale per stabilire quali fossero le aree maggiormente ventilate e con maggiore continuità della stessa allo scopo di individuare i siti maggiormente idonei all’installazione di centrali medio-grandi, estendendo tali monitoraggi mediante centraline fisse e mobili lungo le coste ed in mare aperto, scegliendo alla fine di individuare nell’off-shore la possibilità di impiantare centrali eoliche di potenza prossima o superiore al gw, ma solo dopo aver provveduto ad un decentramento energetico ed alla diffusione di microimpianti in singole abitazioni, condomini e piccole comunità…in norvegia invece sorgerà il più grande impianto eolico del mondo della potenza di 1,5 gw installato off-shore a havsui, mentre il governo del regno unito a deciso di impiantare off-shore 20 gw eolici, che aggiungendosi agli 8 gw già programmati, soddisferebbero l’intero fabbisogno nazionale delle utenze domestiche del paese

esattamente come per l’off-shore, trattiamo a parte il micro o mini eolico, cioè la metodologia che prevede piccoli impianti da installarsi presso utenze delocalizzate e volte al soddisfacimento di bisogni off-grid, cioè fuori rete…in una ipotesi di una rete di auto-sufficienza energetica di piccole comunità, la possibilità di utilizzo del microeolico in simbiosi ad altri impianti di generazione energetica da fonti rinnovabili diviene strategica, ravvisandosi facilmente il basso impatto ambientale e paesaggistico che deriverebbe dall’installazione di torri eoliche dalle altezze estremamanete contenute

altro argomento estremamente importante quando si tratta di tipologia di energie rinnovabili è la loro efficienza energetica…per ciò che attiene all’eolico, si può dire che l’efficienza massima di un impianto eolico si calcola con la legge di betz, la quale dimostra che l’energia massima di un generatore sia il 59% di quella cinetica posseduta dal vento che gli passa attraverso…occorre dire comunque che tale percentuale è difficile da raggiungere e rappresenta un picco potenziale, mentre efficienze energetiche tra il 40 ed il 50% sono considerate ottimali

gli impianti eolici consentono ovviamente, come altre impiantistiche, notevoli economie di scala che abbattono i costi per kw prodotto, ma l’aumento della lunghezze delle pale, quindi il diametro del rotore, e conseguentemente l’altezza delle torri pone oggettivi problemi costruttivi, come già accennato e problematiche di impatto ambientale che andrebbero meglio considerate…erroneamente infatti si tende a credere che l’impatto di un impianto eolico riguardi solo il paesaggio, ma non si tende quasi mai a sottolineare l’impatto ambientale sia della costruzione in senso stretto, costruzione che prima dell’innalzamento della torre necessità di profonde fondazioni sia per questa che per i suoi ancoraggi al suolo, sia dell’infrastrutturazione stradale che il trasporto di parti meccaniche di grandi dimensioni comporta (si tratta di trasporti eccezionali e solo raramente assemblabili in loco), oltre alle reti di elettrodotti che impianti di generazione elettrica comportano per loro intrinseca natura…tutto questo ovviamente in ambienti montani dagli equilibri idro-morfo-geologici e zoo-biologici quasi sempre molto precari…si sono spesso notate modificazioni del comportamento animale nelle zone interessate, sia a causa del magnetismo legato alla produzione di energia, sia alla quantità di rumore prodotta dal movimento delle pale, così come una naturale tendenza dell’avifauna selvatica e delle mandrie bovine ed ovi-caprine a tenersi lontane dai campi eolici

più in generale osserviamo che la mancanza di leggi di regolamentazione riunite in un testo unico favoriscono il sistema della contrattazione parcellizzata, cioè di una forma di trattativa diretta tra aziende energetiche e comuni (quasi sempre piccoli comuni di montagna in via di spopolamento e di invecchiamento demografico) sui quali la rilevanza economica che le royalties generate dalle concessioni eoliche avrebbero sui rispettivi bilanci e sistemi economici pesa troppo spesso in favore di generali, frettolose ed incondizionate approvazioni di concessioni, concessioni che al contrario dovrebbero trovare in una sede di programmazione territoriale più ampia e partecipata dalle stesse popolazioni una naturale regolamentazione valida per tutto il territorio.

miko somma (continua)

 

fonti energetiche rinnovabili – terza parte

4. energia solare fotovoltaical’energia solare fotovoltaica è il processo di trasformazione della radiazione luminosa direttamente in energia elettrica….diamo a scopo informativo un brevissimo cenno storico…nel 1839 alexandre edmond bécquerel scopre che alcune reazioni chimiche indotte dalla luce generano elettricità (effetto fotogalvanico negli elettroliti liquidi)…nel 1883 charles fritz fabbrica una cella solare di 30 cm quadrati a base di selenio che raggiunge una efficienza di conversione fotogalvanica dell’ 1-2%…nel 1905 albert einstein pubblica la teoria sull’effetto elettrico che gli varrà in seguito il premio nobel…ma torniamo al presente con la definizione importante di modulo fotovoltaico…un modulo fotovoltaico, costituito a sua volta di singole celle fotovoltaiche, è un dispositivo in grado di convertire l’energia della radiazione luminosa solare direttamente in energia elettrica, mediante una reazione elettrochimica chiamata effetto fotovoltaico operata da materiali semiconduttori, ed è impiegato come generatore di corrente elettrica in un impianto e/o campo fotovoltaico…più moduli fotovoltaici formano un pannello fotovoltaico (seppur l’aumento progressivo delle dimensioni dei moduli fotovoltaici supera questa stessa definizione)…attualmente i moduli fotovoltaici più comuni hanno dimensioni da 0,5 a 2,5 metri quadrati e costi ancora abbastanza elevati, nonostante la grande richiesta mondiale non soddisfatta però dalla capacità produttiva, cosa che impedisce una sostanziale discesa dei prezzi…il componente di base più comune del modulo fotovoltaico è il silicio, abbondantissimo in natura ed utilizzato massivamente (è alla base della produzione del comune vetro), organizzato su strutture varie di sostegno e canalizzazione del flusso energetico derivante dalla reazione elettrochimica tra silicio e radiazione solare… le tecnologie più comuni di realizzazione dei moduli fotovoltaici sono:

  • moduli monocristallini, in cui ogni cella componente del modulo è realizzata a partire da una struttura cristallina omogenea di molecole di silicio
  • moduli policristallini, in cui la struttura di deposizione delle molecole di silicio non è omogenea, ma organizzata in grani e strutture localmente ordinati,
  • moduli a silicio amorfo, in cui le molecole di silicio vengono deposte in modo amorfa, cioè disorganizzato strutturalmente, sulla superficie di sostegno (questa tecnologia impiega quantità esigue di silicio con spessori dell’ordine del micron)
  • moduli a telluro di cadmio, solfuro di cadmio, arseniuro di gallio (per scopi militari o spaziali), diseleniuro di indio rame o di indio rame gallio, poco usati perchè o eccessivamente costosi o tossici o scarsamente produttivi,
  • moduli ad eterogiunzione, cioè basati su giunzioni tra sostanze diverse con rispettive ottimizzazioni per specifiche sottobande della radiazione luminosa,
  • moduli a silicio microsferico, in cui si impiega silicio policristallino in sfere di 0,75 mm ingabbiate in un substrato di alluminio…

delle tecnologie sopra illustrate, solo l’amorfo ed il microsferico permettono l’importante caratteristica della flessione del modulo che consente l’utilizzo del modulo fotovoltaico stesso come elemento di costruzione diretta di tetti e strutture edilizie (avremo modo di tornare su questo argomento)…i moduli mono o policristallini rappresentano comunque la maggior parte del mercato attuale…entrambe le tecnologie sono costruttivamente simili e prevedono che ogni cella componente del modulo fotovoltaico sia cablata in superficie con una griglia di materiale conduttore che canalizza gli elettroni…ogni cella è collegata alle altre mediante ribbon (nastri), in modo da formare opportuni elementi elettrici in serie ed in parallelo…introduciamo ora l’importante concetto di rendimento…il rendimento (o efficienza di conversione) del modulo fotovoltaico si ottiene valutando il rapporto tra energia prodotta ed energia luminosa che investe la superficie del modulo stesso…i moduli fotovoltaici convertono direttamente la luce solare in energia elettrica con rendimenti che arrivano fino al 40% in laboratorio, ma che nella media si attestano intorno al 15%, pur essendo in continuo aumento, arrivando ormai anche al 25% negli ultimi prodotti immessi in commercio dal 2008 (per un confronto gli idrocarburi utilizzati per la produzione di energia elettrica in termocentrali arrivano al 35%, con punte massime del 50-55% solo nel caso di tecnologie che prevedano la cogenerazione ed il recupero termico)…le prestazioni ed il rendimento dei moduli sono suscettibili di variazioni che dipendono dal rendimento dei materiali utilizzati, dalla tolleranza di fabbricazione percentuale rispetto ai valori targati, dall’irraggiamento totale, dall’angolazione di questo, dalla temperatura di esercizio dei materiali (che paradossalmente tendono ad affaticarsi ad alte temperature), dalla composizione dello spettro della luce…per motivi solo costruttivi il rendimento dei moduli è in genere inferiore od uguale al rendimento della loro peggior cella…in genere i rendimenti per struttura sono : 16% nei moduli per eterogiunzione, 14% moduli in silicio monocristallino, 13% moduli in silicio policristallino, 10% moduli in silicio microsferico, 6% moduli in silicio amorfo…ne consegue che a parità di produzione di energia elettrica richiesta la superficie occupata da un campo fotovoltaico amorfo sarà certamente più che doppia rispetto ad un equivalente campo fotovoltaico mono o policristallino, ponendo quindi problematiche di impatto sugli spazi, ma potendo utilizzare la tecnologia del silicio amorfo per le sue qualità di torsione come elemento costruttivo per gli edifici (in seguito parleremo di bioarchitettura e nuovi materiali e tecniche costruttive) tale superficie del campo viene ad essere automaticamente ridotta a valori compatibili…i moduli non hanno parti mobili e necessitano di una bassa manutenzione, per lo più dedicata alla pulizia delle superfici…i moduli attuali hanno vita stimata di 30 anni, ma è plausibile stimare la loro vita funzionale a 20 anni per via della naturale obsolescenza della tecnologia costruttiva rispetto al tempo…il difetto principale di un modulo fotovoltaico è il costo attuale dei pannelli (costo che ovviamente tenderà alla netta diminuzione allo stabilirsi di una vera produzione di massa che stimolata da specifici contributi pubblici potrebbe contribuire allo scopo) e l’immagazzinamento dell’energia prodotta (cosa che può essere superata immettendo in una rete esterna l’eccesso di produzione e distribuendola altrove o mediante accumulatori di energia)…con le attuali tecnologie i moduli fotovoltaici sono sensibili anche alla radiazione infrarossa (quella invisibile) dei raggi solari, caratteristica che gli consente di produrre energia anche in condizioni di tempo coperto o pioggia, seppur in misura minore…la tecnologia fotovoltaica, finora utilizzata solo per produrre elettricità in zone isolate, difficilmente raggiungibili da una rete, o in piccoli impianti domestici off-grid (definiremo meglio in seguito il senso di questo termine), può essere ibridata dal termosolare in impianti misti di grande interesse…a brindisi, è in realizzazione il parco fotovoltaico più grande d’europa (potenza 11 mw) che dovrebbe entrare in funzione nel 2011, sul sito dell’ex petrolchimico…in italia la costruzione del fotovoltaico è regolamentata dal decreto attuativo n 131 del 5 agosto 2005, noto anche come conto energia…l’università di toronto ha sviluppato un materiale plastico che sfruttando le nanotecnolgie converte i raggi solari ed infrarossi, quindi anche con copertura nuvolosa, prevedendo così di aumentare di circa quattro-cinque volte i rendimenti attuali delle celle fotovoltaiche…

miko somma (continua)

fonti energetiche rinnovabili – seconda parte

 3.  energia solare termica – l’energia solare, cioè quella derivante dall’irradiamento luminoso e termico  si suddivide in due principali campi di applicazione, il solare termico ed il solare fotovoltaico…erroneamente si crede che il solare termico produca esclusivamente acqua calda per uso civile, tuttavia l’utilizzo del solare termico per la produzione diretta di elettricità è cosa ormai acquisita scientificamente e produttivamente…ci occupiamo in questo terzo punto dell’energia solare termica, quella forma di produzione energetica cioè che sfrutta la radiazione termica del sole per la produzione di acqua calda ed elettricità, attraverso diversi sistemi di scambio attuati principalmente in due tecnologie:

  • il pannello solare che sfrutta i raggi solari per scaldare liquidi contenuti in circuiti di circolazione interni al pannello stesso ed in grado di cedere massivamente calore, per tramite di uno scambiatore, all’acqua contenuta in serbatoi di accumulo…il circuito di circolazione del liquido può essere a circolazione naturale, utilizzando il moto convettivo del liquido stesso contenuto nei circuiti per consentire la circolazione all’interno del sistema pannello-scambiatore di calore, ed in questo caso il serbatoio di accumulo che contiene lo scambiatore di calore deve trovarsi più in alto del pannello, o a circolazione forzata, che utilizzano una pompa per la circolazione del liquido tra pannello e scambiatore di calore quando la temperatura del liquido all’interno del pannello è superiore a quella del serbatoio di accumulo, che quindi è situato più in basso del pannello…un sistema simile è molto più complesso e costoso del primo per le apparecchiature installate (pompe, sensori di temperature, valvole, etc.), ma consente di posizionare un serbatoio di accumulo anche di grandi dimensioni in una postazione più comoda e non più ad un’altezza superiore a quella del pannello stesso…un esempio può essere dato da un pannello posto sul tetto di una casa ed un serbatoio di accumulo posto in cortile, quindi con la possibilità di per quest’ultimo di avere maggiori dimensioni senza gravare sulla statica del tetto…entrambi questi sistemi di pannelli servono alla produzione sia di acqua calda per usi civili od usi industriali a bassa temperatura, sia di energia elettrica tramite surriscaldamento e vaporizzazione dell’acqua contro pale collegate a turbine.  
  • il pannello solare a concentrazione che sfrutta o delle serie di specchi parabolici a struttura lineare, orientati monodimensionalmente (quindi fissi e più economici) per concentrare i raggi solari su un tubo ricevitore nel quale scorre un fluido termovettore, cioè che trasporta calore, costituito di olii minerali in grado di sopportare alte temperature (400 gradi centigradi),  o una serie di specchi piani che concentrano i raggi all’estremità di una torre sulla quale è posta una caldaia riempita di sali (60% nitrato di sodio, NanO3, e 40% nitrato di potassio, KNO3, sali normalmente usati in agricoltura) che grazie al calore riflesso dagli specchi sulla caldaia fondono raggiungendo temperature di circa 600 gradi centigradi…i sali fusi producono vapore che viene utilizzato contro pale collegate tramite un alternatore ad una turbina per la generazione di energia elettrica (a questa temperatura da 5 litri di sali fusi si ricava 1 kw/h)…in secondo momento i sali vengono trasferiti in una seconda caldaia dove alla temperatura di 290 gradi centigradi continuano la generazione di vapore per l’uso durante la notte o nelle fasi di intensa copertura del cielo…il ciclo di produzione di vapore a 550 gradi consente le stesse performance di una centrale a coproduzione (turbina a gas e riutilizzo dei gas di scarico per la produzione di vapore)…un primo impianto simile è in funzione a priolo gargallo (siracusa) presso la termo-centrale enel e nel 2007 il governo italiano ha autorizzato il piano industriale per la costruzione di 10 centrali da 50 mwatt nel sud italia

appare quindi evidente che l’utilizzo dell’energia solare termica in zone geografiche di forte irradiazione solare (nel caso della basilicata, una buona parte del proprio territorio) sia volta alla produzione di acqua calda, sia a quella elettrica, possa divenire strategico in una logica di piccoli impianti di autosufficienza…dato che la radiazione solare media è di circa 1.000 w/m. quadro il rendimento termodinamico è altissimo…diamo una serie di dati al riguardo…da ogni metro quadrato si ricava in media in un anno l’equivalente energetico di un barile di petrolio (159 litri)…da 7 metri quadrati si ricaverebbe quindi una tonnellata equivalente di petrolio (tep)…proseguendo così, da 7.000.000 di metri quadrati (7 km quadrati) si ricaverebbe 1 Mtep, lo 0,5 % del fabbisogno energetico italiano, e da un quadrato di 40 km di lato l’intero fabbisogno energetico italiano…ciò è ovviamente improponibile per l’impatto sull’ambiente, ma nella logica di una complementarità con tutte le altre fonti rinnovabili, serve a comprendere quanto da questa fonte energetica sia possibile prelevare una fetta importante di quantitativo energetico, abbattendo contemporaneamente sia la dipendenza dagli idrocarburi, sia la produzione massiccia di gas serra immessi in atmosfera…a proposito il quadrato per l’autosufficienza energetica della basilicata è meno di 4 km per lato…citiamo a proposito dell’impianto in funzione in sicilia carlo rubbia, premio nobel per la fisica
  Come esperimento pilota i 20 megawatt raggiunti dalle tecnologie solari alla centrale di Priolo non sono da buttar via: bastano a una città di 20 mila abitanti, consentono di risparmiare 12.500 tonnellate equivalenti di petrolio l’anno ed evitano l’emissione di 40 mila tonnellate l’anno d’anidride carbonica. Il bello è che questo tipo di energia è conveniente: ai prezzi attuali, l’impianto si ripaga in 6 anni e ne dura 30. Oltretutto, una volta avviata la produzione di massa, i prezzi di costruzione tenderanno al dimezzamento

fonti energetiche rinnovabili – prima parte

La produzione di energia rinnovabile in italia nel 2006 è stata di 52,2 TWh di elettricità, pari al 15% del totale di energia elettrica richiesta, di cui il 12,5 % proveniente dall’idroelettrico, la restante parte da geotermico ed eolico…con tali valori l’italia risulta essere attualmente il quarto produttore in termini assoluti di elettricità da fonti rinnovabili nella u.e. a 22 membri…siamo comunque ancora lontani dai traguardi comunitari che individuano la soglia minima del 22% entro il 2010.
E’ oltremodo emblematico che nonostante tali soglie stabilite dalla u.e., negli ultimi anni la produzione rinnovabile italiana sia aumentata molto poco, mantenendosi quasi stabile nella sua percentuale, nonostante la relativa crescita della fonte eolica, e ciò sicuramente sia a causa di una saturazione del potenziale dell’idroelettrico, sia della conversione dei cosiddetti cip 6, cioè percentuali delle bollette degli italiani che andavano destinate alle fonti rinnovabili reali in contributi che sono andati soprattutto all’industria degli idrocarburi ed alla realizzazione di inceneritori…un vero scandalo, consumato soprattutto (ma non solo) nel periodo di governo delle destre in italia…ma torniamo alle fonti energetiche rinnovabili
dopo aver premesso che fino alla seconda guerra mondiale, la quasi totalità della produzione elettrica italiana derivava dall’idroelettrico e dalla geotermia, passiamo ad elencare le principali fonti di energia rinnovabile:

  1. energia idroelettrica
  2. energia geotermica
  3. energia solare termica
  4. energia solare fotovoltaica
  5. energia eolica
  6. energia da biomasse
  7. idrogeno
  8. biodiesel e bio-etanolo

1. energia idroelettrica – come tutti sapranno l’energia idroelettrica è ottenuta dal movimento di caduta, attraverso un dislivello, di acqua (quindi energia potenziale gravitazionale trasformata in energia cinetica) proveniente da invasi artificiali su eliche o pale, le quali collegate ad un alternatore e quindi ad una o più turbine generano direttamente energia elettrica…è una forma di energia costante, a patto di ben gestire i flussi di entrata ed uscita negli invasi (cosa che richiede una ottima integrazione delle politiche delle acque, in tempi di imprevedibilità dei livelli pluviometrici), trasportabile a lunghe distanze e di antica tradizione nel nostro paese…purtroppo molto poco rimane da fare nel campo dell’energia idroelettrica in italia, settore da cui proviene la stragrande maggioranza della produzione energetica da fonti rinnovabili (ben il 14%), per via degli oggettivi motivi ambientali che impongono uno stop alla costruzione di nuove dighe…le enormi modificazioni ambientali ed umane irreversibili che gli invasi determinano agli ecosistemi spesso delicati su cui insistono, suggeriscono l’abbandono di ogni progetto di grandi opere e quindi di grandi centrali, ma molto ancora si potrebbe fare per il miglioramento delle loro performances energetiche…una potenzialità residua, ma interessante per il nostro sistema di autosufficienza energetica delle comunità, rimane per i cosiddetti sistemi idroelettrici ad acqua fluente, cioè piccoli impianti a scorrimento di produzione elettrica sistemati lungo i corsi d’acqua più regolari, le cui ridotte dimensioni limiterebbero gli impatti ambientali troppo intensi sui piccoli sistemi fluviali…occorre infatti che tali impianti osservino diverse e rigorose regole per non creare ostacoli insormontabili alle migrazioni ittiche ed al libero passaggio dei sedimenti, condizioni essenziali per un corretto equilibrio dell’ecosistema fluviale e perifluviale…un ottimo esempio di integrazione dell’idroelettrico nell’ambiente è la piccola centrale idroelettrica che a tramutola (pz) raccoglie parte delle acque iniziali del torrente caolo, trasformandole in energia elettrica senza modificare il regime idrico di quello stesso torrente…all’interno del campo dell’energia idroelettrica andrebbero annoverate altre forme di energia rinnovabile, quali quella da maree e quella da moto ondoso, ma essendo la nostra regione prevalentemente interna e non possedendo le nostre coste caratteristiche di intense maree, riteniamo utile sorvolare questo ultimo argomento. 

2. energia geotermica – l’energia geotermica è generata da fonti geologiche di calore è viene considerata una fonte rinnovabile nonostante la rigenerazione dei pozzi geotermici richieda tempi lunghi…le temperature del pianeta aumentano via via che si scende nella sua profondità ad una media più o meno costante di 3 gradi centigradi per ogni 100 metri (30 gradi centigradi per 1 km, 300 gradi centigradi per 10 km), ma limitatamente allo strato di crosta terrestre, essendo il gradiente geotermico, cioè l’aumento di temperatura al discendere all’interno degli strati terrestri, molto minore…ovviamente in particolari condizioni, es. zone con fenomeni vulcanici e tettonici, le temperature possono essere più alte della media indicata ed essere sfruttate per la produzione di energia mediante la geotermia…essenzialmente il processo di produzione energetica geotermica consiste nel perforare il sottosuolo sino al raggiungimento di un serbatoio geotermico (falda acquifera calda) e convogliarne i vapori provenienti (sistema a vapore dominante) verso turbine adibite alla produzione di energia elettrica, con la possibilità di riutilizzare il vapore acqueo residuo per il riscaldamento delle abitazioni, per coltivazioni in serra ed attività di tipo termale, oppure utilizzare direttamente le acque calde del sottosuolo (sistema ad acqua dominante) per la produzione civile di calore, reimmettendo in seguito all’utilizzo le stesse in profondità, con il mantenimento quindi di un ciclo il più possibile chiuso..la produzione di vapore acqueo viene alimentata a volte con l’immissione nel sottosuolo di acqua fredda, per mantenere costante il flusso di vapore e permettere alle turbine di funzionare con maggiore regolarità…la geotermia è chiaramente una fonte energetica utilizzabile solo in contesti territoriali limitati (anche se l’islanda deriva da essa la quasi totalità del proprio fabbisogno elettrico)…in italia la geotermia è attiva dall’inizio del ‘900 con il primo stabilimento costruito al mondo a lardarello (ed ancora in funzione)…attualmente la produzione di energia geotermica in italia è infatti concentrata in toscana, pur esistendo numerosi altri siti le cui caratteristiche si presterebbero a piccoli e poco invasivi impianti (ben pochi penserebbero da noi ad impianti da 1400 mw come the geysers in california)…un problema tipico delle centrali geotermiche è la fuoriuscita dal sottosuolo di h2s (idrogeno solforato) i cui effetti, come nel caso delle raffinazioni di idrocarburi sono altamente tossici, pur essendo questi controllabili con sistemi moderni di abbattimento…i giacimenti toscani di lardarello e montieri producono in media 4 miliardi di kw di elettricità…sono in avanzate fase di studio e di realizzazione diverse tecniche promettenti che sfruttano il differenziale magneto-termico tra superficie e sottosuolo per ottenere il riscaldamento diretto di acque immesse in un pozzo e fuoriuscenti da un altro…non mancano nella nostra regione diverse piccole attività termali, es. latronico, marsico vetere, etc., il cui utilizzo potrebbe implementare la produzione di energia rinnovabile locale, nonchè interessanti prospettive legate alla tettonica del nostro territorio ed ai residui di vulcanismo che un corretto approccio esplorativo alla magneto-termia potrebbe rivelare come di un certo interesse, ma sempre all’interno della logica dei microimpianti di utilizzo strettamente locale…(continua)

miko somma

verso un modello altro di piano energetico regionale-5

5.   logica dei piccoli impianti tarati sulle necessità locali

Chiariti alcuni aspetti teorici fondamentali, prima di passare alla fase pratica, analizziamo l’ultimo punto in elenco, un ultimo punto che appare una logica conseguenza di quanto già esposto precedentemente, la logica dei piccoli impianti tarati sulle necessità locali.

Risulta evidente che ad un sistema tarato sulle necessità ed i bisogni della comunità, corrisponda un dimensionamento degli impianti produttivi e distributivi strettamente proporzionato a questi e, d’altro canto, non potrebbe essere altrimenti in un modello generale che cerchi di attuare, a cominciare dal particolare via via fino al generale stesso, una politica energetica di stretto equilibrio tra quanto si produce e quanto si consuma.

Ovviamente viste quelle particolari esigenze energetiche che non potrebbero essere completamente soddisfatte in una singola comunità per via di una serie di motivi, quali picchi energetici in aree a forte antropizzazione civile e/o produttiva, mancanza oggettiva di fonti utilizzabili, esigenze di salvaguardia ambientale specifiche, vincoli idrogeologici pregiudicanti persino l’installazione di piccoli impianti, etc., è evidente che, nel rispetto di quegli stessi criteri di equilibrio ambientale, le dimensioni degli impianti potrebbero essere soggette ad ampliamenti che, pur andando oltre le reali necessità energetiche locali, facciano comunque riferimento ad una precisa programmazione sovraterritoriale e di comparto che tenga conto di esigenze solidaristiche e di un conto energetico generale, seppur ristretto all’ambito regionale, in una cornice più ampia di accesso democratico al bene comune energia.

Ciò vale a dire che se il comune x ha necessità pari a 10 unità energetiche (uso il termine unità a semplice esempio e non come reale unità di misura), è solo da una accorta programmazione generale che comprenda le esigenze e le capacità produttive generali, che può derivare la decisione di tarare le dimensioni dell’impianto di produzione del comune x su un numero di unità energetiche maggiore, allo scopo di riequilibrare in un ambito territoriale più ampio, gli squilibri produttivi generali, fatti salvi tutti i principi ambientali di salvaguardia.

Le eccedenze produttive energetiche quindi andrebbero reimmesse in una rete breve, prevedendo per il comune fornitore benefici non direttamente economici e ciò allo scopo di impedire una “rimercificazione” del bene comune energia.

Dopo questi cinque capitoli di esplicazione dei principi teorici che stanno alla base di un piano energetico che prevede, per sua stessa natura, una rivoluzione copernicana nel settore energetico e nell’approccio alla dinamica di comprensione collettiva del tema energia, svilupperemo passo per passo tutte le fasi pratiche, a cominciare dai processi produttivi e di rete, dai costi del sistema e dal reperimento dei finanziamenti, dai benefici concreti per le popolazioni e dalla rafforzata cura per le esigenze di una tutela generale del bene ambiente che non può più prescindere, per oggettivi motivi di sostenibilità del sistema, da interventi coraggiosi ed immediati che a partire dal locale e dai bisogni del locale, si estendano presto e sistemicamente ad un più ampio ambito comprendente l’intera idea di società, di ambiente e di sviluppo attualmente dominante.

miko somma (continua)  

verso un modello altro di piano energetico regionale – 4

4.     individuazione delle fonti locali e tutela del territorio

Stabiliti una serie di presupposti di democrazia della produzione e della distribuzione, di accorciamento delle reti distributive, di auto-sufficienza energetica delle comunità e modelli di consumo consapevoli, passiamo all’individuazione delle fonti energetiche presenti sul territorio ed alla necessaria tutela ed attenzione che proprio in questo caso va riservata al territorio.

Premettiamo che allo stato delle tecnologie attuali di utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili è possibile rinvenire in loco e praticamente ovunque apporti significativi e sostanziali di energia volte al soddisfacimento quasi completo dei bisogni locali.

Studi e sperimentazioni in merito sono stati condotti in molti paesi ed in italia (vedi il comune di cles in trentino http://www.comune.cles.tn.it/UploadDocs/838_PA_Cles.pdf).

Grazie ad un attento studio delle potenzialità energetiche offerte dal territorio si può arrivare gradualmente ad una produzione di energia da fonti rinnovabili in grado di soddisfare ogni esigenza della comunità, ed in alcuni casi la produzione eccede i bisogni sino al punto di poterla esportare nelle reti dei gestori esistenti ricavandone ulteriori benefici economici da reinvestire nella comunità stessa, sotto forma di miglioramenti delle rete energetica locale o di interventi sociali.

Appare chiaro che il rinvenimento di fonti energetiche non può essere affidato al caso od alla superficialità, nè tanto meno all’improvvisazione. I piani di individuazione delle fonti e le commissioni incaricate (vedi al punto 3.) non solo dovrebbero tenere di conto la produzione di energia per la comunità in termini di valori assoluti (quindi in accordo ai bisogni), ma allo stesso tempo valutare l’impatto, secondo una serie di parametri ormai acquisiti scientificamente che l’utilizzo di quelle stesse fonti porterebbe all’equilibrio dell’ecosistema locale ed a quello generale, in una equazione equilibrata tra costi e benefici sia economici, che ambientali…ciò vale a dire che anche individuata una fonte di energia rinnovabile atta allo scopo produttivo, è solo da una valutazione globale che tenga conto delle necessità energetiche della comunità, delle possibilità energetiche da sviluppare, degli impatti ambientali, economici, vocazionali, che si può passare ad una fase pratica, cioè a quella fase che dall’individuazione di una fonte possibile porti al suo utilizzo pratico.

Accorti studi delle dinamiche orografiche, eoliche, geologiche, di soleggiamento, etc. di uno specifico territorio necessitano ovviamente di studi accorti, condotti da specialisti del settore, ma in questa fase di studio, è la cittadinanza stessa che può e deve essere investita di un ruolo fondamentale, primario nel percorso di democratizzazione dell’energia, ossia quello dell’analisi preventiva e contestuale delle consuetudini naturali di quello stesso territorio…in altri termini, se una commissione tecnica decidesse che un ruscello sia adatto all’impianto di una o più microturbine idroelettrica, ma in sede “popolare” fosse poi dimostrabile che quel ruscello rimane asciutto per sei mesi all’anno, che senso avrebbe un impianto su quel ruscello, se non come aggiuntivo ad altre fonti e solo per un certo periodo dell’anno? Appare quindi chiaro che la stesse commisioni tecniche dovrebbero essere impostate e prevedere momenti consultivi con le popolazioni, organizzate in comitati stabili locali per l’energia supportati da elementi tecnici scelti direttamente dalle comunità.

E’ infatti dalle popolazioni, interessate e coinvolte democraticamente nell’intero processo che conduce verso l’auto-sufficienza energetica, che dovrebbe derivarsi una buona parte dell’attività di individuazione delle fonti, sulla base di quelle precedenti vocazioni economiche e naturali del territorio che esse conoscono molto meglio di quanto qualsiasi commissione potrebbe indagare, ed ovviamente sulla base delle vocazioni future di quegli stessi territori, che sono solo le comunità locali a poter stabilire, all’interno di un quadro generale che tenga conto di ognuna di queste richieste, inserendole in un piano armonico di sviluppo sostenibile ed antropico delle attività umane.

Le tecnologie attuali, che necessitano certo di ulteriori sviluppi, finora contrastati da una serie di fattori per così dire politici ed economici (mi riferisco agli orientamenti di ricerca pubblica nel settore che possono e sono stati troppe volte influenzati e frenati da attività lobbystiche delle multinazionali attraverso i loro addentellati politici trans-partitici, ora invocando i soliti problemi di costi eccessivi, che ora appaiono del tutto superati, visti i costi attuali degli idrocarburi, ora invocando strategie mai del tutto chiarite di interessi nazionali), consentono l’individuazione di parametri di sufficienza energetica tali da poter stabilire quali e quante fonti energetiche rinnovabili un territorio può fornire senza che ne vengano alterati gli equilibri naturali.

Nel caso di una zona a prevalente attività agricolo-zootecnica, ad esempio, le possibili fonti energetiche aggiuntive al solare fotovoltaico e termico ed all’eolico, sono naturalmente rappresentate dalla fermentazione delle deiezioni animali, che dopo aver rilasciato elementi gassosi a base carbonica, rimangono poi utilizzabili come concimi naturali, e dalle bio-masse derivanti dalle eccedenze o dagli scarti foraggeri-orticoli. Ma appare chiaro che non potendosi concentrare per motivi di impatto ambientale, paesaggistico ed economico, quantità massive di liquami o di scarti/eccedenze in un unico sito di stoccaggio e sfruttamento, sarà solo il concetto di autosufficienza della singola unità agricola, o di gruppi di unità agricole, attraverso i meccanismi già descritti, a rinnovare il ciclo produzione/consumo sulla singola particella di territorio, con l’installazione di impianti misti, solari, fotovoltaici, biomasse, micro-eolico (cioè pale di ridotte dimensioni), reimmettendo in rete tutto il superfluo in favore della comunità ed attuando un “replicamento cellulare” del sistema che cominciamo a delineare.

Ma in questa sede stiamo analizzando la fase teorica o meglio concettuale di un nuovo modo di vedere l’energia e le problematiche connesse, e di tutte le tecnologie e le metodologie paratiche avremo modo di parlare oltre.

Ciò che qui occorre ribadire è la possibilità di rinvenire svariate fonti rinnovabili e naturali, da integrarsi in sistemi misti, praticamente ovunque…la loro conseguente immissione nel circuito di produzione energetica dipende esclusivamente da uno studio accurato del territorio, che non prescinda mai dalle esigenze di tutela dello stesso e delle attività umane già naturalmente inserite in esso e rientranti in una categoria di basso o scarso impatto ambientale che dovrebbe diventare regola assoluta nelle relazioni tra uomo e territorio.

miko somma (continua)  

verso un modello altro di piano energetico regionale – 3

3.    autosufficienza energetica e modelli di consumo consapevole

Chiariti due concetti essenziali per la comprensione di un passaggio fondamentale, quello della trasformazione del concetto di energia dalla categoria “merce” alla categoria “bene comune”, proseguiamo verso i concetti di autosufficienza energetica e di consumo consapevole, premettendo che l’uno non può sopravvivere senza l’altro.

L’autosufficienza energetica è una condizione di entropia, di equilibrio, tra la conservazione ottimale di un territorio e dei  rapporti naturali che vi insistono, e dai quali l’uomo e le sue attività non prescindono, e quanto lo sviluppo delle sue fonti energetiche rinnovabili riesce a fornire in termini di energia assoluta per il soddisfacimento dei bisogni civili ed economici della popolazione residente, tenendo conto di quanto sviluppato ai punti 1. e 2. precedentemente illustrati.

Un modello di consumo consapevole è una pratica organizzativa ed operativa, preceduta da studi specifici sul territorio e le sue potenzialità energetiche, volta ad assicurare l’ulteriore equilibrio tra quanto ragionevolmente producibile in termini energetici, senza alterare i ritmi e le capacità di autorigenerazione naturali, e quanto ragionevolmente consumabile sempre in termini energetici, affinchè siano fatti salvi la conservazione del territorio e le vocazioni socio-economiche locali.

Ciò vale a dire che se un territorio è in grado, in termini assoluti e previ attenti studi, di produrre un certo quantitativo di energia da fonti rinnovabili, è sul quel quantitativo che si deve programmare il consumo energetico di quella comunità (fatti salvi alcuni principi di salvaguardia sociale già espressi al punto 2.). Vale ulteriormente a dire che spetta ad ogni comunità assicurarsi quei quantitativi di energia sufficienti ad i propri partecipati modelli di sviluppo e di consumo, nella logica della auto-produzione locale.

Su un piano immediatamente pratico è compito dell’ente sovraterritoriale mettere a disposizione dei singoli comuni, o insiemi territorialmente ed infrastrutturalmente omogenei di comuni, gruppi scientifici di studio che individuino in cooperazione con gli stessi enti locali, quali siano le risorse energetiche da mettere a sistema sulla scorta di un modello di gestione e consumo delle stesse risorse che non può non essere tarato, fatti salvi ovviamente i bisogni essenziali altrimenti non soddisfacibili, sulla possibilità che un territorio offre a forme di sviluppo che proprio a quel territorio, alla sua conservazione ed alle sue possibilità energetiche debbono fare assoluto riferimento…passiamo ad un esempio per così dire in negativo…come si può pensare ad un rapporto di entropia tra uomo e territorio nel comune x, se il sindaco del comune x non tiene conto delle vocazioni possibili del territorio, individuando modelli di sviluppo non sostenibili, come uno stabilimento di stampaggio di materie plastiche in una zona vocata all’agricoltura?…logica vorrebbe che se in quel territorio uno sviluppo industriale debba esserci, questo debba tener conto della vocazione primaria del territorio stesso e quindi allo stabilimento di stampaggio andrebbe preferito uno di trasformazione e/o conservazione di prodotti agricoli, o meglio ancora una serie di piccole attività artigianali consorziate che operino proprio su quei prodotti agricoli…ecco un caso di modello di sviluppo, e quindi di consumo consapevole, tarabile in senso quasi assoluto sulle vocazioni del territorio e sulle possibilità energetiche dello stesso, partendo dalle quali è possibile sviluppare piccoli impianti di produzione energetica, sufficienti ai bisogni reali ed il cui controllo sia direttamente nella mani dei consumatori, nella logica di una responsabiltà collettiva del bene comune.

Ovviamente simili dinamiche non riguardano solo l’economia, ma investono direttamente la vita quotidiana, a maggior ragione quando l’economia stessa, nei suoi processi produttivi, si integri quasi completamente nella vita quotidiana degli abitanti di una piccola comunità…continuando per esempi, un paese la cui economia ruoti principalmente sulla produzione, trasformazione, conservazione dei fagioli, vive la condizione di dover impostare tutti o quasi i suoi ritmi di vita proprio sulle scansioni temporali di queste fasi, individuando in esse gli eventuali picchi di consumo energetico ed il fabbisogno energetico totale a cui ottemperare direttamente sul luogo.

Ecco come si integrano perfettamente l’auto-sufficienza energetica delle comunità e quei modelli di consumo consapevole che non possono prescindere da modelli di sviluppo consapevoli, da favorire attraverso l’individuazione collettiva di ipotesi e percorsi sostenibili, democratici e condivisi, e non attraverso l’imposizione dall’alto di modelli che troppo spesso rispondono a logiche altre rispetto alle esigenze ed alle aspettative realistiche delle comunità.

miko somma (continua)    

verso un modello altro di piano energetico regionale – 2

2.  accorciamento delle reti di distribuzione

Accorciare le reti di distribuzione significa in primo luogo eliminare o limitare all’indispensabile i grandi elettrodotti o più in generale tutte le strutture di distribuzione che non afferiscono alla capacità di produzione energetica sviluppata in loco.

L’accorciamento delle reti distributive che dalla rete principale connettono le reti diffuse delle comunità ha il duplice scopo sia di diminuire sensibilmente la grande dispersione di energia trasportata lungo le stesse linee principali, dispersione inevitabile che si tramuta in un sensibile spreco energetico ed in un pericoloso inquinamento elettromagnetico, sia di rendere di fatto le singole comunità quasi del tutto indipendenti da fenomeni interrutivi generali ed anomalie energetiche, quali black-out ed abbassamenti di tensione, derivanti da accadimenti esterni alla comunità stessa (tutti ricordano quanto successe qualche anno fa in tutto il paese in conseguenza di un incidente di rete che per via dell’interconnessione massiva si riverberò anche in zone lontanissime e tutto sommato abbastanza autosufficienti in termini di produzione).

Appare ovvio che l’accorciamento delle grandi reti di distribuzione debba riguardare solo il trasporto massivo ed unidirezionale di energia, non certo il trasporto di quelle quantità rese minime, ma tuttavia sempre necessarie per assicurare la fornitura sia di quanto la comunità non riesce a produrre per scarsità oggettiva di fonti energetiche locali, sia degli eventuali picchi energetici derivanti dalla presenza di nuclei industriali ed attività sociali ad alto assorbimento che inflenzano notevolmente il consumo locale e la conseguente sovradimensione che gli impianti dovrebbero assumere per soddisfare tali esigenze produttive e sociali.

Per ciò che attiene il ritorno di energia in rete del superfluo energetico (i bassi consumi notturni o dei lunghi periodi di ferie e di esodo) e della produzione energetica locale eccedente i consumi stessi, tornerò in seguito in termini di bi-direzionalità dello scambio energetico.

Ovviamente gli elettrodotti, o le altre strutture distributive, alleggeriti della quantità di energia che oggi trasportano per via di quanto detto al punto 1. e che afferisce alla strutturazione verticale della produzione/distribuzione di energia, si troveranno nella condizione di dover necessariamente diventare più piccoli e quindi meno invasivi, meno strategici, meno costosi in termini di manutenzione, meno impattanti sia visivamente che fisicamente, in termini di costo ambientale della costruzione degli stessi, e di inquinamento elettromagnetico, meno vincolanti la struttura distributiva totale, in sostanza meno importanti per l’economia ed il vivere civile di quanto non siano adesso, costituendo di fatto l’ossatura necessaria o meglio il sistema arterioso intorno al quale e con il quale è organizzata la nostra società.

Ed è evidente che costituendo il sistema attuale di produzione/distribuzione organizzato in senso ortogonale verticale il sistema vitale attraverso cui passa l’alimentazione energetica dello stesso concetto di civiltà che oggi conosciamo, lo spostamento in senso orizzontale non può che non condurre verso una radicale e generale perdità di strategicità del mezzo fisico (l’elettrodotto o quant’altro) attraverso cui si arriva al fine pratico (il controllo non-democratico) dei consumi, in quanto affare per quelle strutture economico-politiche, da tutti conosciute come multinazionali, spesso travestite da enti di dubbio carattere pubblico, ma di sicura finalità privata (in italia vedi enel, eni, italgas, etc.).

L’accorciamento delle reti di distribuzione e la loro limitazione al ciclo locale favorisce inoltre la presa d’atto di una responsabilità politica sia delle popolazioni che delle amministrazioni alla gestione materiale del bene comune energia ed all’attuazione di scelte responsabili e mature di cui saranno le stesse amministrazioni a dover rispondere di fronte alla propria comunità, con un ritorno in termini di auto-gestione collettiva e di democrazia diretta di grande valenza politica e sociale per un futuro in cui non “possono” trovare più spazio quelle logiche di sfruttamento delle risorse, dei territori e degli esseri umani che li popolano, che appaiono sempre più ideologici di un certo sistema di organizzazione economica e politica le cui conseguenze sono ormai visibili a chiunque nelle forme dello stato di degrado dell’ambiente e della condizione umana attuale.  

miko somma (continua)  

verso un modello altro di piano energetico regionale

Nell’ottica di fornire delle valide indicazioni su come impostare una rete regionale di autosufficienza energetica da fonti rinnovabili, partiamo da una serie di presupposti che svilupperemo punto per punto:

  1. ortogonalità orizzontale e democraticità della produzione/distribuzione
  2. accorciamento delle reti distributive
  3. autosufficienza energetica e modelli di utilizzo consapevole
  4. individuazione delle fonti locali e tutela del territorio
  5. logica dei piccoli impianti tarati sulle necessità locali

1.  ortogonalità orizzontale e democraticità della produzione/distribuzione:

attualmente il sistema energetico lucano è dipendente solo dalla interconnessione al sistema energetico nazionale.

Ciò significa che non è possibile stabilire un nesso tra bisogno energetico, produzione locale e previsione di taratura della seconda sulle dimensioni previste e prevedibili della prima, cosa a prima vista evidente per il semplice fatto che non esiste alcuna possibilità di una produzione locale che rientri in una rete distributiva locale.

Ciò attiene al concetto di ortogonalità verticale che il sistema di produzione e distribuzione energetica attuale stabilisce nei suoi rapporti tra produzione e distribuzione stesse. In altri termini, la gestione delle reti energetiche e delle strutture di produzione è attualmente nelle mani di soggetti terzi rispetto al territorio, configurando un solo rapporto di utenza passiva rispetto all’utilizzo dell’energia…l’esempio pratico è nell’allacciamento che ognuno di noi ha ad una rete esterna, ad un fornitore di energia che gode di una sorta di extraterritorialità ed extrafisicità nel rapporto stabilito con un contratto di tipo commerciale…io consumo dell’energia in termini di kw/h in senso assoluto e non mi è dato modo di comprendere quale sia la fonte utilizzata per la sua produzione, i criteri che sono alla base della formazione del prezzo, la sua provenienza geografica, la gestione della risorsa e quindi la possibilità di un suo controllo.

Cioè viene a stabilirsi nel rapporto di utenza un semplice rapporto commerciale che non prevede alcuna partecipazione del cittadino, ma solo il pagamento di un servizio secondo condizioni non discutibili. L’utente quindi nel sistema attuale rappresenta il semplice acquirente di una materia commerciale e non il punto terminale di un utilizzo consapevole di un bene comune, quale è l’energia

A questo punto entra in gioco il rovesciamento dell’ortogonalità e la democratizzazione della produzione/consumo. Passando da un’asse ortogonale ad un asse orizzontale nel meccanismo di produzione/distribuzione ne consegue che l’utenza divenga partecipazione ad entrambi i momenti per rendere finalmente democratico e consapevole il rapporto con l’energia e per trasformare questa da merce, consumabile sulla base della capacità economica dei singoli, in bene comune, cioè in un uso responsabilmente affidato alla cura della comunità che ne stabilisce i criteri di accesso.

Un asse ortogonale orizzontale stabilisce per sua natura una capillarità di accessi all’energia basati sul concetto di partecipazione locale alla produzione ed alla distribuzione, tali da mettere gli utenti nel ruolo di produttori ed utilizzatori al tempo stesso della risorsa energetica, eliminando dal rapporto tra produzione e distribuzione ogni altro intermediario che non sia referente al territorio stesso, alla fonte utilizzata per la produzione energetica, ad una sua gestione prettamente locale e ad un suo controllo finalmente reso democratico.

L’enunciato è per sua stessa natura teorico, pur avendo ovviamente da subito un risvolto pratico. Stabilire la logica che sta alla base del complesso di rapporti che gira intorno al tema dell’energia è fondamentale ai fini della comprensione di un modello basato su un concetto di sostenibilità…se io produco da me ciò di cui ho bisogno sulla base di un’attenta programmazione alle esigenze pratiche delle disponibilità energetiche, non avrò più bisogno di un soggetto altro nella gestione della risorsa energetica e da una logica di produzione/consumo passivo (merce) passerò ad una logica di auto-gestione/consumo responsabile (bene comune)

miko somma (continua)