il petrolio in basilicata, il pozzo di monte grosso: gli articoli di oggi sul corriere della sera

IN VAL D’AGRI SI ESTRAE L’80% DELLA PRODUZIONE ITALIANA. NEI 47 POZZI 500 MILIONI DI BARILI

Quel petrolio che non porta ricchezza. La Basilicata e l’«oro nero»: aumenta l’inquinamento, ma non i benefici.

Pochi i lucani assunti nel comparto

VAL D’AGRI (Potenza) — Texas o Lucania Saudita, ormai i luoghi comuni si sprecano, per la Basilicata che galleggia sul più grande giacimento di petrolio dell’Europa continentale e sul gas. Qui, nel parco nazionale della Val d’Agri, dove non c’è la sabbia del deserto ma il verde degli orti e dei boschi, tutto è di primissima qualità: olio, vino, carne, fagioli, miele, nocciole. E anche il petrolio, che si estrae da quindici anni, è di ottima qualità. I 47 pozzi del giacimento della Val d’Agri custodiscono, dicono le stime ufficiali, circa 465 milioni di barili (finora ne sono stati estratti quasi 11 milioni), che al valore corrente di
90-100 dollari al barile formano un tesoro da quasi 50 miliardi di dollari. Ma la Basilicata, che produce l’ottanta per cento del petrolio estratto in Italia, non si fermerà a quello della Val d’Agri, estratto dall’Eni. Dal 2011 comincerà a sfruttare —con Total, Esso e Shell — i giacimenti di Tempa Rossa, poco più a nord: altri 480 milioni di barili, altri 50 miliardi di dollari. Ed è
pronta a far trivellare anche Monte Grosso, proprio a due passi da Potenza, dove c’è altro petrolio per 100 milioni di barili.
E poi farà scavare nel Mare Jonio, nelle acque di Metaponto e di Scanzano, dove dai templi greci si vedranno spuntare
piattaforme petrolifere come nel Mare del Nord. Nessuno, ancora fino a qualche anno fa, e nonostante i giacimenti della Val d’Agri, avrebbe scommesso che nel sottosuolo lucano e nei fondali jonici fosse nascosta tutta questa ricchezza. Dopo l’intuizione di Enrico Mattei, che tra gli anni 50 e 60 venne qui a cercare petrolio e trovò «soltanto» gas, l’idea che la Basilicata potesse davvero essere un enorme serbatoio di petrolio era per lo più giudicata un volo della fantasia. Invece i sondaggi e le trivelle si sono spinti fino nelle viscere della terra, a tre-quattromila metri di profondità, e hanno trovato il
mare nero che cercavano. Come non essere contenti? Sembrava l’annuncio dell’inizio di una nuova era, per la Basilicata e
per il Mezzogiorno d’Italia, per la questione meridionale e per il federalismo fiscale, per il lavoro ai giovani e per la fine dell’emigrazione. E infatti, all’inizio, tutti erano contenti. Dicevano: «Pagheremo meno la benzina, come in Valle d’Aosta, dove costa la metà senza che si produca una goccia di petrolio. E pagheremo meno anche le bollette della luce e del gas». Dicevano: «Con le royalties del petrolio avremo strade e ferrovie, che qui sono ancora quelle di un secolo fa». Dicevano: «Finalmente non saremo più costretti a emigrare, avremo il lavoro a casa nostra». Dicevano: «Si metterà in moto un meccanismo virtuoso, da cui tutti trarremo vantaggi. Il petrolio è la nostra grande occasione». Dicevano tutte queste cose, i lucani. Che oggi non dicono più. La delusione ha frantumato i sogni, lo scetticismo ha svuotato la speranza. E il petrolio, da
grande risorsa per la grande occasione, sta diventando sempre di più una maledizione. E infatti. Il lavoro manca come prima. Le opere infrastrutturali nessuno le ha ancora viste. Mancano i fondi per i prestiti agevolati agli imprenditori, anche stranieri, che volessero investire in Basilicata. Il costo della benzina non ha subìto sconti. Il risparmio sulla bolletta del gas è solo apparente. La gente, soprattutto i più giovani, continua a emigrare: negli ultimi quindici anni a Grumento Nova, 2.500 abitanti, la popolazione è diminuita di un quarto, mentre da tutta la regione — che ha poco più di 570 mila abitanti — si
continua a emigrare al ritmo di quattromila persone all’anno. E l’aria, l’acqua e persino il rinomato miele della Val d’Agri
sono sempre più a rischio perché sempre più «ricchi» di idrocarburi. Il petrolio puzza, e in tutta l’area del Centro olii di Viggiano l’odore è forte e si sente: è normale, sono gli idrocarburi policiclici aromatici e l’idrogeno solforato dovuti alla produzione e al trasporto del petrolio (che però adesso avviene attraverso un oleodotto di oltre cento chilometri che porta il greggio alle raffinerie di Taranto). Ciò che non è normale è che in Italia i limiti di emissione di idrogeno solforato siano diecimila volte superiori a quelli degli Stati Uniti e che il monitoraggio di queste sostanze in Val d’Agri avvenga solo due o tre volte l’anno. Ciò che non è normale è il valore altissimo delle «fragranze pericolose per l’uomo» (benzeni e alcoli) trovate nel miele prodotto dalle api della Val d’Agri, come sostiene una ricerca dell’università della Basilicata pubblicata dall’International Journal of Food Science and Technology. Ciò che non è normale è che all’Arpab, l’Agenzia regionale di protezione ambientale, non crede più nessuno, tanto che c’è chi ha deciso di fare da solo. Come il Comune di Corleto
Perticara, che l’anno scorso ha ceduto a Total per 99 anni, e per 1,4 milioni di euro, il diritto di superficie su un’area di 555 mila metri quadrati in cui realizzare il Centro olii, ma che si è dotato (finora unico comune fra i 30 interessati all’estrazione di petrolio) di un proprio sistema di monitoraggio ambientale.

L’accordo tra Eni e Basilicata prevede ben 11 progetti «compensativi», del valore di 180 milioni di euro, per la sostenibilità ambientale, la formazione e lo sviluppo culturale. E il vicedirettore generale dell’Eni, Claudio De Scalzi, vanta i seguenti risultati: «Royalties per 500 milioni di euro già versati, con un potenziale di 2 miliardi per i prossimi anni se si riuscirà ad arrivare a uno sviluppo completo dei campi della Vald’Agri. Centotrenta tecnici lucani assunti e altre 30 assunzioni in corso.
Trecento ditte lucane dell’indotto in rapporto con l’Eni, di queste 60 lavorano in modo continuativo con la società». Ma a guardare bene i numeri si fa presto a capire che si tratta di «piccoli numeri». A cominciare dalle royalties, il 7% (il 4% se il petrolio è estratto in mare), tra le più basse del mondo. Quando già nel 1958 Enrico Mattei considerava «un insulto» il 15% che le Sette Sorelle versavano ai Paesi produttori e parlava di «reminiscenze imperialistiche e colonialistiche della politica energetica». Tanto è vero che oggi — in Venezuela, Bolivia, Ecuador — i contratti vengono rinegoziati per portare le royalties oltre il 50%. Più «vantaggioso», almeno in apparenza, l’accordo stipulato nel 2006 dalla Regione Basilicata con Total, Esso e Shell per i giacimenti di Tempa Rossa, che, tra le altre cose, dovrebbe consentire alla Regione di dotarsi di un sistema di monitoraggio ambientale da 33 milioni di euro (a riprova che finora su questo fronte non s’è fatto nulla) e di fornire gratuitamente tutto il gas naturale estratto (con un minimo garantito di 750 milioni di metri cubi) alla Società
energetica lucana, interamente a capitale regionale. L’effetto immediato sarà una bolletta del gas meno cara, almeno di un buon 10%. Ma non per tutti lucani. Ne beneficeranno solo i pochi allacciati alla rete del metano. Già, perché il gas c’è, ma dove va se non ci sono le condotte?

Carlo Vulpio
22 settembre 2008

INTERROGATIVI SUL GIACIMENTO DI MONTE ROSSO
Il numero dei barili? Un mistero. Sulla questione indaga anche il pm Woodcock. Gli interessi di coop rosse e finanziarie straniere

POTENZA — Il «giallo dell’oro nero» non è un gioco di parole. In Basilicata è, al tempo stesso, una serie di domande scomode ancora senza risposta e un’inchiesta giudiziaria complessa, a cui sta lavorando il pm di Potenza, Henry John Woodcock. Prima domanda: quanto petrolio è stato estratto in Basilicata dal 1995 a oggi? Nessuno lo sa con precisione. Nemmeno il presidente della giunta regionale, Vito De Filippo, che infatti lo ha chiesto all’Unmig (l’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e la geotermia, presso il ministero dello Sviluppo economico) il 20 settembre 2007. Ma nella risposta dell’Unmig, fra tabelle e spiegazioni varie, non c’è il dato richiesto. Come mai? Semplice: quel dato non è mai stato verificato dall’Unmig. Nessuna omissione, perché l’Unmig «ha facoltà», non il dovere, di verificare le quantità prodotte. Ma un enorme conflitto d’interessi, quello sì. Infatti, a comunicare all’Unmig le quantità di petrolio estratto è «il responsabile unico di ogni concessione». In altri termini, il controllore è lo stesso soggetto che dovrebbe essere controllato: l’unico a misurare il petrolio estratto è proprio colui che paga le royalties. Infatti i 30 comuni lucani a cui va il 15% di quel 7% che costituisce la royalty sul valore del greggio ricevono direttamente dall’Eni l’estratto conto, in cui si dice: questa è la quantità
che abbiamo prodotto e questo è quanto spetta a voi. Punto. Ma se un comune o la Regione volessero controllare? L’unica
cosa che possono fare è rivolgersi all’Unmig, che però «ha facoltà» di controllare e in ogni caso difficilmente potrebbe farlo per il passato. Seconda domanda: quanto petrolio estratto in Lucania è finito in Turchia? E perché vendere petrolio alla Turchia proprio mentre il prezzo del greggio saliva alle stelle? Terza domanda: è vero o no che in questi anni centinaia di migliaia di tonnellate di stream gas (metano, etano, propano, butano), cioè quel gas che viene fuori assieme al petrolio, e definito «cedibile» dalla stessa Eni, è stato lasciato bruciare in torcia e quindi si è volatilizzato? Anche a queste domande, sembra che nessuno sappia rispondere. Nemmeno il governo e il Parlamento, a cui si sono rivolti con due interrogazioni i parlamentari Felice Belisario (Idv) e Cosimo Latronico (Pdl), che hanno sottolineato come in tutte queste vicende «è mancata l’adeguata trasparenza a garanzia dei cittadini».

Eppure le compagnie petrolifere, per il 2008, attraverso la cosiddetta Legge-obiettivo, hanno ottenuto come incentivo 850 milioni di euro di fondi pubblici. Ma c’è anche una quarta domanda: che cosa c’entrano le Coop rosse, le Isole Vergini, le Bermuda e l’Australia con i permessi di estrazione del petrolio in Basilicata? Secondo una ricostruzione del settimanale lucano Il Resto, suffragata da una ricca documentazione, tutto comincia nel 2005, quando la società Gas della Concordia Spa (poi Coopgas), di Concordia sul Secchia (Modena), cede per 11,2 milioni di euro alla sua controllata Intergas Più permessi di estrazione e di ricerca. Passano otto giorni e la Mediterranean Oil and Gas Company, società con sede a Perth, in Australia, acquista, per diecimila euro, cioè per un prezzo diecimila volte inferiore a quello della compravendita Gas
Concordia-Intergas, l’Intergas Più. Strano. Ma non è l’unica stranezza. Il pagamento avviene con la sottoscrizione di
azioni e obbligazioni convertibili da parte di tre società: la Mizuho International, con sede a Londra, la Shepherd Investments International, con sede nelle Isole Vergini Britanniche, e la Stark Investment, con sede nelle Bermuda.
L’obiettivo di Med Oil è il giacimento di Monte Grosso (100 milioni di barili stimati) e viene centrato il 5 novembre 2007, quando la giunta regionale delibera di concedere i permessi di ricerca. Nella stessa giornata, Med Oil e Gas Concordia Spa scambiano diecimila azioni. Ma già tre settimane prima, il 19 ottobre, erano state scambiate ben 2.373.000 azioni, per un valore di 369 milioni di sterline, pari a 500 milioni di euro. Segno che a Monte Grosso c’era ben poco da «ricercare». Ma solo da scavare. Là sotto, il petrolio stava aspettando chi sapeva che c’era.

C. Vul. 22 settembre 2008

Pubblicato in Blog

com. stampa del comitato no oil lucania

  La difesa dei beni comuni come difesa dell’identità di un popolo

Di fronte agli ormai numerosi attentati alla salute dei cittadini lucani ed all’integrità dei beni comuni, che prima ancora che essere mere risorse sfruttabili da un sistema economico-industriale vorace di materie prime da render subito merce, sono la disponibilità collettiva di beni naturali da gestire come patrimonio comune a disposizione prima di tutto delle necessità oggettive e reali della comunità, un paio di considerazioni ci sembrano doverose.

Sono da considerarsi come beni comuni tutte le risorse o disponibilità materiali ed immateriali che siano indispensabili alla vita biologica ed al soddisfacimento delle vocazioni economiche e culturali di una comunità composta di singoli esseri umani e di relazioni sociali tra di essi, in sintesi un bene comune è ciò che serve per vivere, acqua, aria, natura, risorse naturali e frutti del lavoro umano ad essi afferenti, necessariamente salubri per le ovvie considerazioni di ordine sanitario, indisponibili ad ogni utilizzo che non sia quello della stessa comunità, inalienabili nel loro corpo a qualunque titolo.

Sono da considerarsi come vocazioni economiche e culturali quel complesso di interazioni storiche e funzionali tra il territorio nella sua interezza di rapporti naturali e la popolazione ed i suoi bisogni ed aspirazioni in rapporto alle forme di sfruttamento non esaurente le risorse del primo e che connotano una presenza umana come storicamente legata alle risorse proprio di questo territorio, quindi una vocazione economica e culturale è una possibilità di sviluppo umano realmente sostenibile e così strettamente legato al territorio ed alla sua conservazione da non poterne prescindere affatto.

A questo punto, stabilito cosa siano i beni comuni e definite cosa siano le vocazioni di un territorio, parrebbe cosa non difficile individuare quali possano essere le vocazioni economiche e culturali di una regione come la Basilicata, conoscendone la reale entità geografico-sociale, la struttura geo-morfologica del territorio, la storia umana e la storia naturale, concetti che se non identificano del tutto cosa sia la nostra regione, di sicuro offrono conoscenze molto più approfondite che non siano i desueti atlanti della geografia politica ancora in uso dai nostri politicanti.

Ma anche stabilite priorità vocazionali di economia e territorio lucano – che individuate illo tempore in agricoltura di qualità, turismo sostenibile e salvaguardia della bio-diversità, ora paiono quasi del tutto messe da parte, a meno di non leggere le parate mediatiche di prodotti tipici come reale politica del territorio – rimane il problema della difficile convivenza tra idee programmatiche, lanciate nello stagno come sassolini per crear diletto allo sguardo dell’opinione pubblica e scelte reali, dettate queste dalle forti miopie legate più a sudditanze ideologiche, di scuderia o personali ai poteri forti – ad altri poteri indagare! – che a quella nota patologia politico-oftalmologica di cui le classi dirigenti regionali hanno spesso dato prova d’essere affette per ignoranza o incompetenza o incapacità ed in modo bipartizan.

Detto in altre parole, chi ci governa localmente, quel centro-sinistra lucano logoro come una giacca troppo usata, chi ci vorrebbe governare, un centro-destra incapace persino di inquadrare la realtà nel suo furor servile verso un padrun lontano, chi galleggia nel centro aspettando un carro su cui saltare, chi affonda a sinistra sperando di sovvertire Darwin e diventare presto anfibio, o non possiede affatto il senso della realtà, non comprendendo cosa stia accadendo realmente in Basilicata, o di certi affari e certe logiche ne è parte integrante, per senso di bottega o convenienze personali e di clan politico.Il vero problema che pare sfuggire a tutti è che, come le stanche discussioni sul federalismo fiscale, sulle royalties petrolifere, sui rifiuti, sulla gestione delle acque e tanto altro ancora hanno ampiamente dimostrato, mentre la volpe è già nel pollaio e fa razzia di galline, tanti galletti si azzuffano tra loro per primazie di accoppiamento che non arriveranno mai.

Pensare alla Basilicata come riserva di materie prime – il semplicismo politico con cui si concedono o si concederanno autorizzazioni alla groviera petrolifera a cui sembriamo destinati da un “interesse nazionale” sempre meno chiaro, con tanto di rispetto puramente formale delle leggi e dei regolamenti e mai quello sostanziale, previsto dalle stesse, di consultare le popolazioni – pensare alla Basilicata come produttrice netta di energia – l’indigeribilità “sostenibile” degli sbandierati Piani Energetici di cui nulla ancora si conosce è forse alla base di un ritardo che si avverte dallo scorso febbraio e che pare imputabile al gigantismo tossico di alcune centrali a bio-masse in cui forse si bruceranno anche rifiuti per quel famoso “rinnovabile ed assimilabile” – pensare alla Basilicata come pattumiera, sversatoio di insostenibile turismo di massa, come feudo silenzioso che tutto accetta, nulla pretende, eppur tutto nasconde, è parte di un’interpretazione economico-ideologica della realtà che nasce molto più in alto di via Anzio e dintorni, ma che di quella via e di quei dintorni ha bisogno per distendere quel sudario di adorazione della parola sviluppo che serve a nascondere il verbo distruggere, quel verbo che certe pratiche neo-liberiste tarde a scomparire ci hanno ormai insegnato correrle a fianco di pari passo.

Superati ormai i trionfalismi beceri della prima ora, quelli del futuro texano, quelli in buona e in cattiva fede, ora sono atteggiamenti pseudo-fatalistici da epigoni tristi di uno sviluppo che pare vocazione al martirio gioioso a trionfare in quei convegni ed occasioni, più mondane che politiche, in cui la politica si concede al mondo dei mortali, ma certo capita ancora di sentire bufale di un benessere che verrà e del lavoro prossimo venturo, ma è l’inizio di una campagna elettorale che durerà due anni, comunali, provinciali ed europee a primavera, poi regionali e ancora comunali la seguente.

Udite, udite – “il petrolio non genera ricchezza, ma vorrei più royalties e magari provo anche, forse, a  chiederle per lo sviluppo – questo dice il presidente peggiore che la regione abbia mai avuto e lo dice a Corleto in due convegni, aprendo il sipario di una “operetta” petrolifera, Tempa Rossa, altrettanto devastante e forse anche peggiore di quella con cui gli abitanti della Val d’Agri convivono ormai da un decennio senza aver avuto mai nulla in cambio, se non promesse mai mantenute o malattie di cui proprio non si vuol parlare, figurarsi indagare – dovremmo considerare indagine epidemiologica uno studio a tre anni da cui non si ricaverebbero molte evidenze di danni alla salute, evidenziandosi simili dati statistici solo in periodi più lunghi?

Alle promesse ci sono ormai abituati tutti in Basilicata, promesse che pur tenute insieme da blandizie tardo-feudali e dalle solite politiche dei clan, suscitano un risentimento popolare sempre più palpabile ed evidente, testimoniato forse anche dal consenso che ottiene uno che di promesse non potrebbe proprio farne, ma che di critiche al sistema ne fa invece tante, il sottoscritto portavoce del comitato no oil lucania, da una platea, quella del PD, che certo non poteva sentirlo come parte di sé, in occasione del convegno “petrolio e sviluppo” tenutosi a Corleto Perticara qualche giorno fa.Il sottoscritto, che di sconti non ne fa a nessuno e tanto meno ne farebbe al parterre che si mostra in quell’occasione – oltre al citato presidente, Bubbico, Margiotta, La corazza – sottolinea l’importanza di preservare i beni comuni dall’invadenza delle multinazionali del petrolio come difesa dell’identità del popolo lucano, minacciato da un sistema economico pervasivo, il liberismo economico più sfrenato, a cui non si oppone mai una politica del limite, un sistema che tende alla riduzione al concetto di merce di ogni risorsa della terra e del sottosuolo, così come dell’acqua, del territorio, della salute individuale e collettiva, della storia e della cultura.

Un popolo, quello lucano, debole come tanti altri di fronte alla forza economica di un simile sistema, un popolo destinato a ridursi all’invecchiamento ed all’emigrazione e poi a scomparire se non protetto da dinamiche a cui non è e non sarà mai pronto, poiché la predisposizione a certa “modernità” non nasce dalla volontà di alcuni, ma dalla storia di tutti, e la storia del popolo lucano in Lucania non è la storia dell’industria – e ne sappiamo molto sull’industria ed i suoi fallimenti in Basilicata! – non è la storia delle attività minerarie – e stiamo imparando a conoscere di cosa si tratti! – non è la storia della produzione massiva di energia – e forse dovremo imparare presto quanto produrla massicciamente costi all’uomo ed all’ambiente in una regione che vive di fragili equilibri! – un popolo, quello lucano, a cui è più che mai necessario appropriarsi, forse per la prima volta nella sua storia, della democrazia come cultura del diritto e non come dittatura del favore, piuttosto che metabolizzare quella malintesa cultura dell’impresa e delle sue regole come panacea d’ogni male, cultura ideologica che se ha fallito ovunque nell’impossibilità pratica di riuscire a coniugare l’etica individuale del profitto eretto a liturgia della selezione naturale alla realtà di una società che necessita di sempre più forti garanzie e tutele non si comprende come non potrebbe non fallire qui da noi.

In altre e meno altisonanti parole, ciò di cui questa regione ha davvero bisogno non è certo di quelle maggiori, sempre più invadenti attività estrattive, energetiche o territoriali che si profilano all’orizzonte come appetiti delle multinazionali verso una terra quasi vergine e spacciate ancora da certa politica come occasioni o come necessità, ma di essere preservata proprio da queste e dai meccanismi che finirebbero per stritolarla in virtù della bassa difesa che il proprio sistema sociale, culturale, politico ed economico potrebbe opporre, partendo da una difesa dei propri beni comuni come difesa dell’identità di un popolo, nell’imposizione – quella si, davvero auspicabile! – di “un tempo e di un modo lucano” per un modello altro di sviluppo, per provare a raggiungere, per viverci, quel mondo che vediamo sempre più possibile e sempre più necessario e che necessariamente deve partire dal rispetto della terra e di quanto può offrirci oggi per il soddisfacimento delle nostre esigenze senza compromettere domani le esigenze delle generazioni che verranno.   Miko Somma, portavoce del Comitato No Oil Lucania   

un abbraccio a beppe

questo comitato manda un abbraccio affettuoso ad uno dei componenti più attivi della cellula di potenza, beppe gioia, che da qualche tempo combatte una dura battaglia in cui vorremmo non si sentisse mai solo…ti siamo e ti saremo sempre vicini, beppe, nella speranza di riuscire a darti ancora più tenacia e forza e pazienza di quanta tu non possieda già – ed avresti da insegnarne a tutti noi!!!…ti aspettiamo presto tra noi a sollecitarci con la tua intelligenza e la tua onestà…ciao, fratello, a nome mio e di tutto il comitato no oil lucania!!!

che nessuno si senta mai solo!!!…miko   

Pubblicato in Blog

considerazioni spicce sul federalismo petrolifero

come da triste copione per attori ciechi, sordi e muti, neppure la bufala avvelenata di un federalismo fiscale che lascia le tasse lì dove il reddito viene prodotto – l’ennesima boiata di un governo alla sud-americana per accontentare la lega in obbligo di risposte al proprio elettorato-  riesce a scalfire la flemma di un de filippo sempre più in difficoltà sulla questione petrolio, ma contemporaneamente sempre più chiuso nella testarda difesa di un sistema che non sta più in piedi…quella immagine sconsolante da bimbo deluso che ieri il pd3 regionale ci ha riproposto per ben due volte durante il servizio sulla conferenza dei presidenti delle regioni, racchiude il segno di una incapacità ormai manifesta al governo di una situazione su cui non è più possibile mentire…sul petrolio ci hanno fregato, continuano a fregarci, continueranno a fregarci in maniera assolutamente bipartizan

ricapitoliamo, le entrate fiscali derivanti dalla trasformazione del petrolio lucano non toccano alla lucania, come d’altronde era ovvio dalla bozza di legge, ma semmai vanno alla regione puglia dove ha sede la raffineria competente…questo è solo uno dei bocconi avvelenati di calderoli e della sua riforma, e d’altronde da un simile satiro sempre in bilico tra razzismo borgheziano e fascismo identitario camuffato da benpensantismo non poteva certo mutare in una tornata elettorale quella fobia piccolo borghese che ancora pretende il benessere del nord costruito solo dagli abitanti del nord e non da milioni di meridionali che sono andati materialmente a realizzarlo in fabbriche e cantieri…ma tant’è!!!…il governo del berlusca mette insieme sempre il peggio e le sue malattie genetiche le mostra sempre dopo i primi “cento giorni”!!!

la tassazione di un utile postula che un utile sia prodotto, quindi che un bene o servizio si trasformi attraverso la cessione onerosa a terzi  in una somma di denaro che, depurata dalle spese sostenute per la produzione del bene o del servizio stesso, quindi ridotta al solo “guadagno” o utile netto, rappresenta la base imponibile della tassazione, cioè il paniere in cui prelevare la somma da destinarsi all’erario…chiedo scusa dell’eccesso di semplificazione, ma credo sia necessario

nel caso del petrolio lucano la cosa si spiega con il fatto che l’estratto, che pure subisce sostanziali modifiche nel centro oli di viggiano, non è soggetto ad alcuna transazione economica sul territorio regionale, venendo instradato attraverso l’oleodotto verso la raffineria di taranto dove, trasformato in prodotti finiti o semilavorati, diviene infine merce…da sottolineare che la tassazione operando solo sulla transazione economica relativa ad una cessione del bene a terzi e mai sulle fasi di lavorazione interna, cioè sulle trasformazioni che una materia subisce all’interno di un circuito aziendale, diviene operativa solo nel momento in cui vi sia una vendita del prodotto…la basilicata non vende petrolio all’eni, che semmai agisce in un regime di concessione in cui le royalties sono una compensazione ambientale e non un prezzo (ma dopotutto anche se l’eni pagasse un prezzo, la tassazione sull’ammontare di questo graverebbe sul cedente, cioè la nostra regione, creando la paradossale situazione in cui le royalties sarebbero tassate e questi proventi ritornerebbero alla regione)…altra situazione sarebbe se una società di perforazione che estrae in regime di concessione cedesse a titolo oneroso e sul territorio regionale (quindi nel centro oli di viggiano) ad altra società la materia prima petrolio, cosa che evidentemente non accade…quindi le estrazioni petrolifere in basilicata non generano alcun utile tassabile, alla faccia di tanti “esperti” che pure nei mesi scorsi si erano affannati a spiegare dalle pagine dei giornali locali tutti i benefici che dal federalismo sarebbero derivati alla regione basilicata e che oggi dovrebbero spiegare per dovere di verità o quanto fossero schierati con l’attuale compagine governativa, magnificandone acriticamente o per dovere di bandiera uno dei punti programmatici più importanti o quante imprecisioni hanno pronunciato per stupidaggine propria o per supposta dabbenaggine dei lettori…ma questa sarebbe altra storia

a noi interessa solo puntualizzare una cosa assai semplice…se il centrosinistra lucano annega nell’incompetenza digestiva del potere (o in quella tout court dell’incapacità) o prospera nella collusione con il sistema coloniale ai danni della regione e dei suoi abitanti, il centrodestra, che pure pretenderebbe di costruire una alternanza politica sotto forma di soluzione di continuità, pur dovrebbe spiegare ai lucani come mai i loro “capetti” nazionali ed i sistemi economici di riferimento o di relazione si affannano a fregare sempre di più questa regione, sollevando il dubbio che proprio costoro, i rappresentanti locali, non rappresentino altro che capibastone di una bieca continuità, addirittura peggiorativa, di un esistente politico indegno del vivere civile ed a cui questa regione, questo paese avrebbero diritto.

ragioniamo gente, ragioniamo…miko. 

Pubblicato in Blog

diffidare

da basilicatanet:

POTENZA, LEGAMBIENTE: TROPPI ALBERI SACRIFICATI
“Anche in questi ultimi mesi estivi sono stati aperti diversi cantieri in città e ferve l’attività per attuare il programma di riqualificazione urbana e per tante, tantissime iniziative, pubbliche e private”. Lo afferma, in un comunicato stampa, Legambiente Basilicata. “A causa di questi lavori riceviamo molte segnalazioni da parte dei cittadini, rattristati, ed a volte infuriati, perché quasi ogni cantiere interviene sugli alberi esistenti con conseguenze spesso traumatiche, l’ultima odierna per il taglio dei pini in Via Tirreno. Ad Agosto sono stati tagliati gli imponenti Pioppi a Rione Mancusi che “infastidivano” l’omonima impresa impegnata a realizzare box auto. Tutti tagli autorizzati? Tutti alberi pericolosi per la pubblica incolumità? In questi ultimi anni, a causa degli innumerevoli cantieri abbiamo assistito ad un fortissimo depauperamento del numero di alberi presenti in città. È stato così per i lavori in Via Angilla Vecchia e Malvaccaro, per Poggio Tre Galli, per il cantiere che ha allargato Via Anzio nei pressi dell’Istituto Alberghiero, per lo snodo complesso del Gallitello, per lo svincolo dell’Ospedale San Carlo, per il 118, per la “nave” del serpentone e via così in tanti altri casi….”

ma questa gente tanto preoccupata per il deprecabile depauperamento del patrimonio arboreo di potenza, figlio di una politica dissennata del mattone soprattutto, che ne dice del massiccio taglio di alberi nelle foreste della maddalena per la realizzazione dell’oleodotto eni verso il centro oli di viggiano o del taglio ancora senza autorizzazioni che la total fa a corleto per la costruzione del relativo mostro di raffinazione?…o magari di tutti i disboscamenti fin qui comodamente ignorati in nome delle estrazioni?…diffidare di chi usa la doppia verità!!!

Pubblicato in Blog

trivellazioni off-shore nel golfo di taranto?…chiederemo un incontro al ministro

La società Consul Service srl – Roma, in Via Alberico II n. 31 -ai sensi della normativa vigente ha presentato al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, al Ministero per i Beni e le Attività culturali,nonché alla Capitaneria di Porto di Taranto, una richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale ai sensi dell’art. 23 del D. Lgs 152/06, cosi come modificato dal D.Lgs 4/08, per l’istanza di permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi denominata “d 148 D.R.- CS” e localizzata nel settore nord-occidentale del Golfo di Taranto adiacente la Costa Ionica lucana

Di tale progetto di trivellazione in mare si sapeva da molto e ne abbiamo spesso parlato nelle nostre riunioni, sempre auspicando che un limite etico al riguardo si ponesse agli stessi proponenti…evidentemente costoro hanno l’etica innestata nel portafogli e, nonostante l’evidenza della pericolosità delle estrazioni off-shore documentata dall’evidente inquinamento marino  delle zone dove insistono piattaforme, di limiti etici neppure a parlarne quando in gioco ci sono miliardi di euro

Il comitato no oil lucania richiederà a breve un incontro ai ministri interessati ed al ministro dell’ambiente Prestigiacomo in particolare per illustrare i motivi della propria contrarietà ad un simile progetto scellerato che ridurrebbe a zero persino quel turismo di massa che anche il segretario del pd lucano Lacorazza (ma si scriverà così?) auspica nel nome di uno strano concetto di sviluppo…ci faremo sentire, certi che da una simile campionessa della tutela ambientale, figlia di una fazione politica che scambia l’ambiente con il tinello di casa, non ci sarà molto da aspettarsi, ma coscienti che si tratta di un passo democraticamente corretto…noi crediamo alla democrazia…peccato però che ci crediamo solo noi!!!

Pubblicato in Blog

video-lettura critica

Di seguito i link ad una serie di video sull’argomento petrolio e geo-politica…buona video-lettura critica!!!…i commenti a dopo

 

PETROLIO, FUMO E SPECCHI  

http://video.google.com/videoplay?docid=-6193990491414579448&ei=Q9rPSMXBC5KO2wLykszDAg&q=petrolio&vt=lf

Si tratta della prima parte, le altre le troverete sul sito

 

IL PICCO DEL PETROLIO  

http://video.google.com/videoplay?docid=-4551311497422474774&ei=Q9rPSMXBC5KO2wLykszDAg&q=petrolio&vt=lf

 

LA GUERRA DEL PETROLIO http://video.google.com/videoplay?docid=4686963986432293996&ei=Q9rPSMXBC5KO2wLykszDAg&q=petrolio&vt=lf 

IN NOME DEL PETROLIO-LA VERITA’ SCOMODA

http://video.google.com/videoplay?docid=-2827407827989362316&ei=Q9rPSMXBC5KO2wLykszDAg&q=petrolio

 

RACCOLTA TELEGIORNALI SULL’INCIDENTE DI TRECATE

http://video.google.com/videoplay?docid=-4895622287080470126&ei=MNzPSOmdE5uW2AKsw6TSAg&q=petrolio&vt=lf

 

PETROLIO ED EURO

http://video.google.com/videoplay?docid=-656456028163375279&ei=1NzPSNPuF47A2wLejpXIAg&q=petrolio&vt=lf

 

G 8 1000 CENTRALI NUCLEARI CONTRO IL CARO PETROLIO

http://video.google.com/videoplay?docid=-8270422876843947141&ei=z93PSJTZDYf42wKnj-nKAg&q=petrolio&vt=lf

 

ANALISI DEL PETROLIO

http://video.google.com/videoplay?docid=8311371581749190635&ei=z93PSJTZDYf42wKnj-nKAg&q=petrolio&vt=lf

 

11 SETTEMBRE 2001: IL PETROLIO

http://video.google.com/videoplay?docid=-4765308492678574925&ei=kN7PSOX3DpKO2wLykszDAg&q=petrolio&vt=lf

 

LA FINE DEL PETROLIO

http://video.google.com/videoplay?docid=3093390030321403568&ei=kN7PSOX3DpKO2wLykszDAg&q=petrolio&vt=lf

 

VENEZUELA, PDVSA, PETROLIO E CHAVEZ

http://video.google.com/videoplay?docid=5949678309651785254&ei=dt_PSIvJC5Kw2QKysZzBAg&q=petrolio&vt=lf

Pubblicato in Blog

alcuni argomenti dei nostri detrattori

pubblico con immenso piacere una mail giuntami da un intellettuale fine e di cui vi invito a commentare la elegante prosa nonché gli ancor più eleganti pensieri…all’autore di tanto accorato risentimento i miei migliori auguri di pronto ristabilimento intellettivo…in ogni caso, il sottoscritto presenterà esposto alla magistratura per le velate minacce personali di cui è fatto oggetto da codesto signore, proprietario della casella mail sotto indicata…inutile dire che simili non-argomenti invitano questo comitato a proseguire con maggior forza e determinazione sulla strada intrapresa…miko. 

—– Original Message —–

From: pistina.pastina pistina.pastina@libero.it

Sent: Monday, September 08, 2008 9:49 PM

Subject: senza speranza

Miko Somma, capo del comitato non oil della Basilicata,

chi ti scrive viene dalla Lucania, anche se ha fatto tanta strada da allora.

Leggo i tuoi componimenti e mi domando di cosa avresti bisogno per provare a ragionare come un normale essere umano, ma la mia ricerca è vana.

Con te è perduta ogni speranza, vana qualunque parola.

Prosegui pure a rivoltarti nella tua merda e nel tuo stesso vomito; fa si che le lordure e le brutture che hai dentro di te appaiano anche dal tuo aspetto esteriore.

Non c’è speranza alcuna che tu possa trovare nel buio della tua materia cerebrale decomposta la luce seppur fievole, dell’umano intelletto.

La nostra consolazione è che tutti i non-esseri come te, non lascieranno traccia alcuna nella storia del nostro mondo, nemmeno il cattivo ricordo.

E in ogni caso, nel frattempo che diventi un banchetto per i vermi, pigliatela pure in quel fetentissimo buco di culo, ricchione di merda.

                                                              Lucania Felix

Pubblicato in Blog

“con chi abbiamo a che fare”: la total

in un servizio odierno del tg regionale, a proposito delle migliaia di domande inviate dai disoccupati lucani alla total per soli settanta posti , viene riportata una frase delle a stessa total che avrebbe definito “provincia petrolifera” la basilicata… che dire… almeno la multinazionale d’oltralpe sembra parlare chiaro nel considerare la nostra regione quasi come se facesse parte dell’ impero coloniale francese, un pò come il ciad o la polinesia nel ‘800, stessa chiarezza non hanno i nostri politici e gli organi d’informazione quando fanno servizi giornalistici in cui osannano le multinazionali… comunque sempre per la serie “con chi abbiamo a che fare ” ricordiamo che la total è sotto accusa per crimini contro l’umanità e di seguito riportiamo un articolo a riguardo del Corriere della Sera del 3 ottobre 2007

  

Total, inchiesta per

crimini contro umanità

L’accusa: «Manodopera forzata in un gasdotto birmano». Il ruolo di Kouchner

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI — Complicità in crimini contro l’umanità: l’accusa di cui dovrebbe rispondere la Total per i servizi resi alla giunta militare birmana compromette l’immagine del gruppo petrolifero e mette nell’imbarazzo la Francia, chiamata a dar prova di coerenza dopo aver affermato a gran voce, per bocca del presidente Sarkozy, la necessità di sanzioni economiche e l’obbligo morale di tagliare presenze e congelare investimenti (non solo francesi) in Birmania.

L’imbarazzo coinvolge il ministro degli Esteri, Bernard Kouchner, che ieri, durante il dibattito all’Assemblea nazionale, ha dovuto assicurare che la Total «non sarà esonerata» da eventuali sanzioni contro il regime. Il gruppo petrolifero è stato messo sotto inchiesta dalla magistratura del Belgio, Paese che dispone di una legislazione pertinente (si pensi all’istruttoria per il genocidio in Ruanda) in relazione a crimini di questo genere, anche nel caso in cui le vittime non siano cittadini belgi. La causa è stata promossa da quattro rifugiati birmani e si riferisce ai lavori di costruzione, negli anni Novanta, del gigantesco gasdotto di Yadana, nel sud del Paese, che oggi alimenta le centrali elettriche della Thailandia con una produzione di 17 milioni di metri cubi al giorno. La costruzione del gasdotto birmano è stata spesso al centro di indagini internazionali che denunciavano il ricorso a lavori forzati sotto il controllo dell’esercito. Da parte sua, la Total ha sempre negato di aver favorito queste pratiche, per ammettendo, nel 2001, di aver indennizzato operai birmani, circa 400, nel periodo di apertura dei cantieri.

Per sgomberare il campo dai sospetti, nel 2003 la Total affidò una missione al socialista Bernard Kouchner, allora libero da incarichi di governo. Chi meglio del «french doctor» noto per il suo impegno umanitario e per la difesa dei diritti dell’uomo poteva accertare la verità? Kouchner venne contattato da Jean Veil, figlio di Simone Veil e avvocato della Total. L’attuale ministro degli Esteri si recò in Birmania con la moglie, Christine Ockrent, nota giornalista, che realizzò per Elle un’intervista con la leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi, la quale dichiarava: «E’ necessario rifiutare ogni forma di aiuto che possa avvantaggiare la giunta militare». Al termine della missione, retribuita 25 mila euro, il sito della Total pubblicò il rapporto di Kouchner che tracciava un’immagine positiva del gruppo petrolifero, escludendo che la Total potesse essersi prestata «ad attività contrarie ai diritti dell’uomo». «Non è più l’epoca di embarghi e sanzioni, la cui efficacia è limitata e provoca sofferenze fra i più poveri», scriveva nel rapporto il french doctor, il quale ha sempre respinto l’accusa di benevolenza retribuita nei confronti della Total, ricordando al contrario i benefici apportati alla popolazione locale sul piano sanitario.

Le polemiche sulla missione di Kouchner vennero archiviate, come la situazione politica e civile della Birmania. Intanto continuarono gli affari e i commerci. Non solo della Total, ma delle innumerevoli società americane, europee, cinesi e asiatiche. La questione si è riproposta in questi giorni, quando la strategia delle sanzioni economiche (non solo per la Birmania, ma anche nei confronti dell’Iran) è stata riproposta con forza proprio dalla Francia. «Facciamo appello alle società private, per esempio alla Total, a dar prova di grande prudenza per quanto riguarda gli investimenti in Birmania e chiedo che non ce ne siano di nuovi», ha detto Nicolas Sarkozy dopo aver ricevuto il leader dell’opposizione in esilio a Parigi, Sein Win.
Da parte sua, la Total non ha commentato l’iniziativa della magistratura belga. Il gruppo, ai tempi della tangentopoli francese o dei traffici sul petrolio di Saddam, ha dovuto affrontare accuse non meno gravi della schiavitù nei villaggi della Birmania. Sarkozy promette un cambio di atteggiamenti e mentalità anche in politica estera. Vedremo.

Massimo Nava
03 ottobre 2007

Pubblicato in Blog

c.s. – una lotta per la sopravvivenza della Lucania

                – Comunicato stampa del comitato no oil Lucania- 

Il sistema del controllo politico-sociale lucano non nasce ieri, derivando piuttosto da un passato non recente, i sessanta anni a cavallo tra la repubblica partenopea di Mario Pagano, i moti carbonari del 1821 e la spedizione garibaldina. E’ in quegli anni che nuovi protagonismi sociali si affacciano sulla scena meridionale, il protagonismo di quelle classi liberali che in virtù di una propria maggiore rilevanza economica e sociale, assunta nel corso di decenni in cui il mondo era in rapida trasformazione, mancavano di adeguata rappresentanza politica nella società borbonica, una società cristallizzata nel mantenere un ordine sociale ferreamente basato sugli elementi della nobiltà.proprietà terriera, del clero-controllo delle coscienze, del sovrano-garante dell’ordine costituito di cui la restaurazione del congresso di Vienna dopo il bonapartismo era stato il manifesto ideale di una immutabilità storica della società.Ma avvocati, notai, medici, farmacisti, scrittori, imprenditori, classi su cui reggeva il peso economico di un sistema sclerotico di privilegi anti-storici, ed alla cui rilevanza sociale non corrispondeva un “peso” che assicurasse un’identità che da sociale necessitava di trasformarsi in politica, guardavano ormai da anni al processo savoiardo di unità d’Italia come garante di un cambiamento negato dalla società dei re napoletani, cambiamento al contrario sentito come promesso da un processo unitario che una volta compiutosi, lungi dal poter escludere proprio quelle classi sociali intorno alle quali si era organizzato il retroterra ideale del consenso al progetto unitario non poteva e non voleva in alcun modo prescindere dalla partecipazione diretta di quelle classi alla gestione del territorio e dei rapporti socio-economici.Ovvio che se nei decenni precedenti le resistenze ideologiche e reali dei ceti dominanti, veicolate dalle repressioni esemplari di moti e tentativi insurrezionali e da assidue pratiche di repressione quotidiana di ogni eventuale dissenso, repressioni condotte con la carota ed il bastone di fede, lavoro e galera, avevano spinto alla segretezza carbonara tutti coloro che sentivano con differenti spiriti e sensibilità la necessità di cambiamenti radicali, fu proprio su quella segretezza carbonara che ebbe un facile gioco l’innesto delle logge massoniche, ideale terreno di incontro tra quei settori della società borbonica più accorti alla propria sopravvivenza sociale dopo la prevedibile, inevitabile sconfitta del vecchio regime e quella nuova società “piemontese” che, avendo bisogno sia di territori vergini che di risorse materiali ed umane per un progetto di avvicinamento all’Europa di cui Cavour e la sua politica era il garante nei salotti buoni del continente, necessitava ora di un controllo ferreo dello status quo. Quando si parla di “notabilato liberale” si descrive un “fatto politico” accaduto allora in tutto il sud come nella nostra regione, un sovvertimento di un ordine sociale preesistente che, spinto e guidato da una differente visione del mondo e dell’economia, stabilì nuovi rapporti di forza nella società.Tale sistema di controllo, perfettamente ramificato anche nelle realtà territoriali più marginali attraverso le immancabili figure della “gente perbene”, viene con il tempo a costruirsi come più ampio coacervo di poteri capace di eleggere i suoi rappresentanti politici diretti, di veicolare quindi un ampio consenso nella società in cambio del mantenimento dei rapporti di forza ed influenza esistenti e di clientele di cui i finanziamenti sulle opere pubbliche erano spesso il pagamento per i servigi resi. Parliamo di un sistema politico in cui il voto, stabilito sul censo, quindi sulla capacità economica, era di fatto organizzato sull’esclusione dall’esercizio della democrazia delle masse contadine ed urbane, un sistema di rappresentanza diretta che non prevedeva alcuna o quasi partecipazione popolare, ma che negli anni seguenti riesce a costruire un consenso che, accompagnato dall’influenza socio-economica e culturale, e spesso dal potere di ricatto di quella stessa influenza, i notabili potevano contare in una società di analfabeti, trasla indenne sia attraverso la progressiva estensione del diritto politico fino al suffragio universale (disinnescato in buona parte dall’incoraggiamento all’emigrazione), sia nel periodo fascista, sia nel fobico dopoguerra democristiano, arrivando nella sua composizione quasi indenne ai giorni nostri, mutando certo abitudini e costumanze, ma non certo il vizio di fare sempre “cosa nostra”, chiudere cioè ogni decisione in un recinto salottiero esclusivo, ma a cui potere sedere dimostrando di essere parte di un rapporto di forza, qualunque esso sia.L’analisi storica accennata non è un accademismo di diporto, ma serve a comprendere come in questi anni la potenza economica di alcune multinazionali sia penetrata nella nostra regione, impadronendosi delle risorse, ed a volte di ampie porzioni di territorio, mostrando una forte capacità sovradeterminante  di influire sulle scelte generali nella più perfetta delle logiche coloniali, logiche che, come l’esperienza diversa eppure così uguale delle colonizzazioni britanniche insegna, non prevede la sconfitta totale di ogni avversario, ma più spesso ricerca l’alleanza con i poteri locali precostituiti, a cui viene assicurato sia il mantenimento dei propri privilegi, sia una quota parte dell’affare (in questo caso la gestione delle risorse petrolifere), in cambio di un clima di consenso fatto di blandizie, promesse, silenzi e deviazioni.In altre parole l’affare petrolio in Lucania (ma il sistema funziona allo stesso modo sia per l’energia in generale, che per acqua, rifiuti, turismo e gestione di territorio e finanziamenti statali e comunitari) si ammanta sin da subito di un fosco sudario di distorsione sistematica della realtà, distorsione fatta di cifre che non corrispondono mai, di sodalità del sistema dell’informazione, di rassicurazioni generiche da parte di inutili organi di controllo, di mancanza di volontà politica di avviare indagini ed ispezioni per dare risposte a dubbi e domande, una distorsione utile a deviare l’interesse dell’opinione pubblica dal cuore dei problemi che riguardano le estrazioni petrolifere, costi ambientali, per la salute umana, per le vocazioni produttive originarie, e che lascia il posto ad una generale disinformatzjia sul problema.Tale disinformazione sistematica serve ovviamente alle multinazionali, ma serve anche al trasversale principio di conservazione del potere delle classi politiche trasversali ai partiti stessi, imprenditoriali, edili in primo luogo, professionali, dell’informazione, classi il cui interesse sembra risieda nell’affare del petrolio lucano più di quanto non debba risiedere nel proprio lavoro.

Fa parte di questa disinformazione, oltre ai balletti di cifre contraddittorie, alle rassicurazioni che non rassicurano nessuno, alle solite promesse di sviluppo e lavoro – che se dopo dieci anni non è arrivato, e quando arriverà? –  al dispiegamento di mezzi di blandizie e di false rappresentazioni di un interesse pubblico che pare latitante, agli sprechi a pioggia di risorse finanziarie, l’auto-assolvimento collettivo di una presunta ineluttabilità alle estrazioni, una necessità a cui non potersi sottrarre o un dovere morale al sacrificio in nome della comunità generale fatto passare per la categoria dell’interesse nazionale, anche lì dove di interesse nazionale non esiste nulla (tenendo conto che l’Eni è una s.p.a. a gestione privatistica, e seppur il governo ne possegga la golden share, l’eventuale cessione a fini di riequilibrio di bilancio dello stato è tuttavia possibile, a trivellare la Lucania sono anche multinazionali estere).

E quando parliamo di conservazione della politica, è la politica a tutti i livelli, dai segretari cittadini di partiti ai sindaci, dagli assessori regionali ai consiglieri comunali, nell’interdipendenza tipica tra tutti i livelli territoriali ad essere parte in causa in quanto sistema (fatto salvo il generale principio dell’onestà, sempre da verificare e senza il quale è la democrazia stessa a perire nel sospetto). E quando parliamo di imprenditori, parliamo della lobby degli imprenditori edili e del movimento terra (sarà casuale che un comparto importante dell’economia lucana siano le costruzioni e che i fondi del POR Val d’agri vadano spesi prevalentemente in opere edili?), degli imprenditori dei rifiuti (i fanghi di estrazioni vanno pur smaltiti ed ecco che sorgono o sorgeranno impianti genericamente destinati anche ad altri rifiuti speciali tossici, ma di cui non vi è produzione in questa regione) e di imprenditori della fornitura di macchinari, logistica e materiali vari, delle associazioni di categoria (utile ricordare il peso di categoria degli edili nei direttivi e nei consigli) e quando parliamo di professionisti, parliamo di alcuni ingegneri immancabili ed alcuni umili geometri, di alcuni vanagloriosi architetti ed alcuni tecnici tranquillizzanti e di direttori di enti di controllo e di tutto un bestiario professionale che ruota intorno ai lavori di infrastruttura di cui le estrazioni hanno bisogno e che sono il motivo per cui non esiste un solo imprenditore del settore che non veda il petrolio come una manna piovuta dal cielo.In realtà estrarre petrolio in Basilicata è conveniente per le compagnie che pagano il 7% di royalties (d.l. 625/96) e non hanno alcun obbligo di tutela che non si stabiliscano da soli, per i politici nazionali di centro-destra-sinistra che capitalizzano i ringraziamenti dei petrolieri, destinando infine la regione al ruolo di produttore di energia non rinnovabile, idrocarburi e forse la centrale nucleare nel metapontino, in aggiunta al sito unico di stoccaggio ed al “regalo” colombiano della Trisaia di Rotondella, di energia rinnovabile, seppure campi eolici sterminati o l’incenerizione di biomasse provenienti dai Balcani siano ancora da considerarsi fonti rinnovabili – magari lo sono i rifiuti mascherati da bio-masse che a quegli impianti “ecologici” verrebbero avviati – ma è conveniente anche per i politici locali, che se non sono degli emeriti ingenui incompetenti, allora prendono mazzette per non vedere il disastro di una regione in balia di 41 istanze e permessi di ricerca petrolifera), per imprenditori e professionisti a caccia di una fetta di PIL, per alcuni giornalisti che accettano inviti di una multinazionale a visitare impianti petroliferi in giro per l’Europa, infine è conveniente per alcuni lucani che beotamente continuano a credere alle fiabe dello sviluppo senza aver visitato la Val d’Agri e parlato con uno solo dei suoi abitanti.In questa regione occorre resistere, resistere per sopravvivere, resistere per costruire la democrazia che non abbiamo, resistere per ritrovare la dignità sottrattaci come le risorse, resistere perché insieme alle richieste che portiamo con la nostra petizione popolare, e che mirano a costruire tutele reali per la salute umana, per una economia sana, per una programmazione del territorio rispondente alle proprie vocazioni originarie, per una politica di rispetto della Terra e della nostra terra, vi sia presa d’atto che è questo sistema economico, sociale, politico a trasformarci in consumatori e non in cittadini, è questa globalizzazione dello sfruttamento e della marginalità a trasformarci in ruote dentate di un ingranaggio senza fine, è questo mostro della speculazione eretta a sistema che, lungi dall’essere vera società di mercato, in cui ciascuno è parte attiva, è solo un mercato della società, in cui pochi oligopoli svendono esistenze, speranze, salute, diritti, passato, presente, futuro di intere comunità in cambio di una fetta di profitto che odora sempre più di una dittatura opprimente del denaro come pensiero unico. Il comitato no oil Lucania, nell’affermare la propria appartenenza a questa comunità messa in pericolo, nel ribadire di voler essere un onesto patrimonio di idee da condividere con questa stessa comunità, chiede ai lucani, a tutti i lucani, di riappropriarsi con la gioia della democrazia della propria terra, delle sue risorse, delle sue storie, della sua natura, della sua dignità mortificata dalle condanne alla mitezza che suonano come i fischi del pecoraio, di trovare la forza di tappare le proprie orecchie al canto delle sirene, di reagire con fermezza e provare tutti insieme a costruire, qui ed adesso, nella nostra regione, con noi, un altro mondo possibile, un altro mondo necessario. 

Miko Somma

petrolio e democrazia

In Basilicata succede come in alte parti del  mondo ? Dove è forte l’interesse delle multinazionali del petrolio si sospende la democrazia ?  Quello che  accade tra il Comitato No Oil e l’amminisrtrazione di Corleto Perticara sembra dimostrare proprio che sia così. Questi i fatti:  nel nostro cammino tra i comuni lucani non potevamo certo  tralasciare il paese nel cui territorio è in via di allestimento la seconda raffineria ( basta con l’ipocrita e quasi tranquilizzante definizione di Centro Oli) piazzata sul suolo lucano dopo quella di Viggiano, vale a dire proprio  Corleto ,  programmiamo di installare il nostro banchetto nella serata di sabato 6 settembre, come da prassi ,il  giorno 3 settenbre 2008,  inviamo  un fax  al comune di Corleto  con  la regolare richiesta  di installare la nostra postazione nella piazza pleibiscito o comunque nel centro storico appunto sabato 6 settembre dalle ore 18 alle 24. Nella mattinata di oggi veniamo contattati telefonicamente da un solerte funzionario del comune di Corleto, che sicuramente a nome del sindaco , a cui lo ricordiamo compete di pronunciarsi in merito alle autorizzazioni riguardanti i banchetti, ci  informa che sicuramente la nostra richiesta verrà respinta con la motivazione che  ( udite, udite) la presenza del nostro banchetto in quelle ore avrebbe potuto mettere a repentaglio l’ordine pubblico in quanto si sovrapporrebbe con una festa del Partirto Democratico in cui è previsto un dibattito proprio sul tema del Petrolio in Basilicata, alla presenza (ma guarda un pò) del megapresidente Vito De Filippo.  Si potrebbe  chiedere alle migliaia di cittadini e cittadine che questa estate hanno incontrato i nostri  banchetti sulle piazze lucane, se in quel momento hanno visto a repentaglio l’ordine pubblico, tenendo conto che di petrolio si parla ormai quotidianamente in tutti i comuni e in tutte le salse in ogni dibattito più o meno politico che riguarda la nostra regione e con cui decine  di volte ci siamo incrociati. Non ci sembra che ci sia mai scappato il morto. Torneremo sul “caso” Corleto anche con interventi sulla stampa, ma soprattutto il Comitato sarà sempre più presente fisicamente a Corleto sulla questione della tutela della democrazia, della salute, del territorio e dell’economia. In questo momento ciò che accade in questo sia pur piccolo comune è importante per l’ intera regione.

Pubblicato in Blog