com. stampa del comitato no oil lucania

  La difesa dei beni comuni come difesa dell’identità di un popolo

Di fronte agli ormai numerosi attentati alla salute dei cittadini lucani ed all’integrità dei beni comuni, che prima ancora che essere mere risorse sfruttabili da un sistema economico-industriale vorace di materie prime da render subito merce, sono la disponibilità collettiva di beni naturali da gestire come patrimonio comune a disposizione prima di tutto delle necessità oggettive e reali della comunità, un paio di considerazioni ci sembrano doverose.

Sono da considerarsi come beni comuni tutte le risorse o disponibilità materiali ed immateriali che siano indispensabili alla vita biologica ed al soddisfacimento delle vocazioni economiche e culturali di una comunità composta di singoli esseri umani e di relazioni sociali tra di essi, in sintesi un bene comune è ciò che serve per vivere, acqua, aria, natura, risorse naturali e frutti del lavoro umano ad essi afferenti, necessariamente salubri per le ovvie considerazioni di ordine sanitario, indisponibili ad ogni utilizzo che non sia quello della stessa comunità, inalienabili nel loro corpo a qualunque titolo.

Sono da considerarsi come vocazioni economiche e culturali quel complesso di interazioni storiche e funzionali tra il territorio nella sua interezza di rapporti naturali e la popolazione ed i suoi bisogni ed aspirazioni in rapporto alle forme di sfruttamento non esaurente le risorse del primo e che connotano una presenza umana come storicamente legata alle risorse proprio di questo territorio, quindi una vocazione economica e culturale è una possibilità di sviluppo umano realmente sostenibile e così strettamente legato al territorio ed alla sua conservazione da non poterne prescindere affatto.

A questo punto, stabilito cosa siano i beni comuni e definite cosa siano le vocazioni di un territorio, parrebbe cosa non difficile individuare quali possano essere le vocazioni economiche e culturali di una regione come la Basilicata, conoscendone la reale entità geografico-sociale, la struttura geo-morfologica del territorio, la storia umana e la storia naturale, concetti che se non identificano del tutto cosa sia la nostra regione, di sicuro offrono conoscenze molto più approfondite che non siano i desueti atlanti della geografia politica ancora in uso dai nostri politicanti.

Ma anche stabilite priorità vocazionali di economia e territorio lucano – che individuate illo tempore in agricoltura di qualità, turismo sostenibile e salvaguardia della bio-diversità, ora paiono quasi del tutto messe da parte, a meno di non leggere le parate mediatiche di prodotti tipici come reale politica del territorio – rimane il problema della difficile convivenza tra idee programmatiche, lanciate nello stagno come sassolini per crear diletto allo sguardo dell’opinione pubblica e scelte reali, dettate queste dalle forti miopie legate più a sudditanze ideologiche, di scuderia o personali ai poteri forti – ad altri poteri indagare! – che a quella nota patologia politico-oftalmologica di cui le classi dirigenti regionali hanno spesso dato prova d’essere affette per ignoranza o incompetenza o incapacità ed in modo bipartizan.

Detto in altre parole, chi ci governa localmente, quel centro-sinistra lucano logoro come una giacca troppo usata, chi ci vorrebbe governare, un centro-destra incapace persino di inquadrare la realtà nel suo furor servile verso un padrun lontano, chi galleggia nel centro aspettando un carro su cui saltare, chi affonda a sinistra sperando di sovvertire Darwin e diventare presto anfibio, o non possiede affatto il senso della realtà, non comprendendo cosa stia accadendo realmente in Basilicata, o di certi affari e certe logiche ne è parte integrante, per senso di bottega o convenienze personali e di clan politico.Il vero problema che pare sfuggire a tutti è che, come le stanche discussioni sul federalismo fiscale, sulle royalties petrolifere, sui rifiuti, sulla gestione delle acque e tanto altro ancora hanno ampiamente dimostrato, mentre la volpe è già nel pollaio e fa razzia di galline, tanti galletti si azzuffano tra loro per primazie di accoppiamento che non arriveranno mai.

Pensare alla Basilicata come riserva di materie prime – il semplicismo politico con cui si concedono o si concederanno autorizzazioni alla groviera petrolifera a cui sembriamo destinati da un “interesse nazionale” sempre meno chiaro, con tanto di rispetto puramente formale delle leggi e dei regolamenti e mai quello sostanziale, previsto dalle stesse, di consultare le popolazioni – pensare alla Basilicata come produttrice netta di energia – l’indigeribilità “sostenibile” degli sbandierati Piani Energetici di cui nulla ancora si conosce è forse alla base di un ritardo che si avverte dallo scorso febbraio e che pare imputabile al gigantismo tossico di alcune centrali a bio-masse in cui forse si bruceranno anche rifiuti per quel famoso “rinnovabile ed assimilabile” – pensare alla Basilicata come pattumiera, sversatoio di insostenibile turismo di massa, come feudo silenzioso che tutto accetta, nulla pretende, eppur tutto nasconde, è parte di un’interpretazione economico-ideologica della realtà che nasce molto più in alto di via Anzio e dintorni, ma che di quella via e di quei dintorni ha bisogno per distendere quel sudario di adorazione della parola sviluppo che serve a nascondere il verbo distruggere, quel verbo che certe pratiche neo-liberiste tarde a scomparire ci hanno ormai insegnato correrle a fianco di pari passo.

Superati ormai i trionfalismi beceri della prima ora, quelli del futuro texano, quelli in buona e in cattiva fede, ora sono atteggiamenti pseudo-fatalistici da epigoni tristi di uno sviluppo che pare vocazione al martirio gioioso a trionfare in quei convegni ed occasioni, più mondane che politiche, in cui la politica si concede al mondo dei mortali, ma certo capita ancora di sentire bufale di un benessere che verrà e del lavoro prossimo venturo, ma è l’inizio di una campagna elettorale che durerà due anni, comunali, provinciali ed europee a primavera, poi regionali e ancora comunali la seguente.

Udite, udite – “il petrolio non genera ricchezza, ma vorrei più royalties e magari provo anche, forse, a  chiederle per lo sviluppo – questo dice il presidente peggiore che la regione abbia mai avuto e lo dice a Corleto in due convegni, aprendo il sipario di una “operetta” petrolifera, Tempa Rossa, altrettanto devastante e forse anche peggiore di quella con cui gli abitanti della Val d’Agri convivono ormai da un decennio senza aver avuto mai nulla in cambio, se non promesse mai mantenute o malattie di cui proprio non si vuol parlare, figurarsi indagare – dovremmo considerare indagine epidemiologica uno studio a tre anni da cui non si ricaverebbero molte evidenze di danni alla salute, evidenziandosi simili dati statistici solo in periodi più lunghi?

Alle promesse ci sono ormai abituati tutti in Basilicata, promesse che pur tenute insieme da blandizie tardo-feudali e dalle solite politiche dei clan, suscitano un risentimento popolare sempre più palpabile ed evidente, testimoniato forse anche dal consenso che ottiene uno che di promesse non potrebbe proprio farne, ma che di critiche al sistema ne fa invece tante, il sottoscritto portavoce del comitato no oil lucania, da una platea, quella del PD, che certo non poteva sentirlo come parte di sé, in occasione del convegno “petrolio e sviluppo” tenutosi a Corleto Perticara qualche giorno fa.Il sottoscritto, che di sconti non ne fa a nessuno e tanto meno ne farebbe al parterre che si mostra in quell’occasione – oltre al citato presidente, Bubbico, Margiotta, La corazza – sottolinea l’importanza di preservare i beni comuni dall’invadenza delle multinazionali del petrolio come difesa dell’identità del popolo lucano, minacciato da un sistema economico pervasivo, il liberismo economico più sfrenato, a cui non si oppone mai una politica del limite, un sistema che tende alla riduzione al concetto di merce di ogni risorsa della terra e del sottosuolo, così come dell’acqua, del territorio, della salute individuale e collettiva, della storia e della cultura.

Un popolo, quello lucano, debole come tanti altri di fronte alla forza economica di un simile sistema, un popolo destinato a ridursi all’invecchiamento ed all’emigrazione e poi a scomparire se non protetto da dinamiche a cui non è e non sarà mai pronto, poiché la predisposizione a certa “modernità” non nasce dalla volontà di alcuni, ma dalla storia di tutti, e la storia del popolo lucano in Lucania non è la storia dell’industria – e ne sappiamo molto sull’industria ed i suoi fallimenti in Basilicata! – non è la storia delle attività minerarie – e stiamo imparando a conoscere di cosa si tratti! – non è la storia della produzione massiva di energia – e forse dovremo imparare presto quanto produrla massicciamente costi all’uomo ed all’ambiente in una regione che vive di fragili equilibri! – un popolo, quello lucano, a cui è più che mai necessario appropriarsi, forse per la prima volta nella sua storia, della democrazia come cultura del diritto e non come dittatura del favore, piuttosto che metabolizzare quella malintesa cultura dell’impresa e delle sue regole come panacea d’ogni male, cultura ideologica che se ha fallito ovunque nell’impossibilità pratica di riuscire a coniugare l’etica individuale del profitto eretto a liturgia della selezione naturale alla realtà di una società che necessita di sempre più forti garanzie e tutele non si comprende come non potrebbe non fallire qui da noi.

In altre e meno altisonanti parole, ciò di cui questa regione ha davvero bisogno non è certo di quelle maggiori, sempre più invadenti attività estrattive, energetiche o territoriali che si profilano all’orizzonte come appetiti delle multinazionali verso una terra quasi vergine e spacciate ancora da certa politica come occasioni o come necessità, ma di essere preservata proprio da queste e dai meccanismi che finirebbero per stritolarla in virtù della bassa difesa che il proprio sistema sociale, culturale, politico ed economico potrebbe opporre, partendo da una difesa dei propri beni comuni come difesa dell’identità di un popolo, nell’imposizione – quella si, davvero auspicabile! – di “un tempo e di un modo lucano” per un modello altro di sviluppo, per provare a raggiungere, per viverci, quel mondo che vediamo sempre più possibile e sempre più necessario e che necessariamente deve partire dal rispetto della terra e di quanto può offrirci oggi per il soddisfacimento delle nostre esigenze senza compromettere domani le esigenze delle generazioni che verranno.   Miko Somma, portavoce del Comitato No Oil Lucania