una vittoria storica

copincollo dal sito notriv-comitato per le energie rinnovabili e contro le trivellazioni gas petrolifere in sicilia il seguente comunicato seguito dalla sentenza del tar regionale di sicilia sezione staccata di catania nel formato originale…una sentenza storica che apre la strada al diritto delle popolazioni contro lo strapotere delle multinazionali…un esempio da seguire anche da noi…e subito!!!…a cominciare dalla diffusione affidata a tutti noi della sentenza in ogni comune lucano

un grazie ai fratelli siciliani per aver avuto tenacia, un grazie al sindaco di vittoria (rg) che ha dimostrato di avere a cuore le sorti della sua comunità e del suo territorio 

“Sentenza storica di merito che blocca le trivellazioni petrolifere”

Di Comitato NOTRIV (del 25/11/2008 @ 16:43:49, in Comunicati Stampa, linkato 139 volte)

Il Comitato per le energie rinnovabili e contro le trivellazioni gas/petrolifere in Sicilia esprime grande soddisfazione per la sentenza del TAR di Catania che dà piena ragione al Comune di Vittoria per quanto riguarda la questione delle perforazioni per idrocarburi di Sciannacaporale dove insistono le sorgenti d’ acqua che servono appunto la città di Vittoria. Si tratta di una SENTENZA DI MERITO che di fatto annulla le autorizzazioni che la Regione Sicilia, a suo tempo, concesse alla società. La concessione riguarda 747 km. quadrati nei territori di molti comuni tra cui Avola, Noto, Rosolini, Modica, Vittoria, Ragusa, ecc. Nella sentenza l’ ARPA e la Panther debbono pagare tutte le spese di lite della Consulenza Tecnica d’ Ufficio (C.T.U.) e viene riconosciuto il rischio per le risorse idriche. Viene decretato anche che la V.I.A. ( Valutazione d’ Impatto Ambientale ) deve essere propedeutica a qualsiasi iniziativa e si deve acquisire il parere vincolante del Comune dove insiste l’intervento (nel caso in specie Vittoria), dell’ ASL e del Genio Civile, pertanto deve essere rifatto da parte della società tutto l’ iter precedente. Riteniamo questa SENTENZA, STORICA (è un precedente importante): per la prima volta si riconosce che il FUTURO ed il modello di sviluppo debbono essere decisi dalle comunità e non imposti dall’ alto e pertanto sono salvaguardate le risorse pubbliche del territorio rispetto ad interessi privati. In sostanza: – i beni comuni come l’ acqua, il paesaggio, l’ ambiente debbono essere tutelati; – non si può insistere ancora nelle risorse energetiche derivate da combustibili fossili, ma bisogna puntare alle energie rinnovabili, sicure, pulite ed al risparmio energetico; – vi è bisogno di un’ economia durevole, sostenibile, in armonia con la natura. Comitato per le energie rinnovabili e contro le trivellazioni gas/petrolifere in Sicilia ( sinteticamente COMITATO NO TRIV).

http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Catania/Sezione%201/2008/200800938/Provvedimenti/200802241_01.XML

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un comunicato stampa

pubblico di seguito una bozza di lettera aperta o contributo stampa, vista la sua lunghezza, che prima di inviare entro questo pomeriggio, vorrei qualcuno commentasse

Che la Lucania non paghi la crisi del Partito Democratico! – lettera aperta al Presidente De Filippo 

Presidente De Filippo, chi le scrive non lo fa solo a nome del Comitato No Oil Lucania o di Comunità Lucana, sempre altamente critici nei confronti dell’operare suo e della sua giunta, ma lo fa anche come privato cittadino lucano, consapevole di esprimere così anche una posizione personale che attiene al libero svolgimento di quel diritto di critica autonoma su cui si fonda l’essenza stessa di un fare politico che, ben prima di attenere a partiti o movimenti, è l’esplicazione di una imprescindibile natura “politica” dell’essere umano, natura tutelata dalle fonti stesse del diritto, la politica cioè come fare sociale che trasforma l’individuo in abitante della polis, la città, quindi in un cittadino.

 

Questa crisi – lei ha perfettamente ragione – è una crisi politica, ma aggiungerei, delineando orizzonti più vasti, che essa viene da lontano, trovando le radici in quel venire i nodi al pettine di un processo impossibile, nel breve periodo nel quale è stato delineato, di riunificazione in un’unica istanza politica di culture ancora troppo lontane tra loro, nonostante un generale appiattimento moderato che è parso contraddistinguere alcune fasi ultime di quelle culture post-comunista e post-democristiana che oggi troviamo bizzarramente mescolate nell’indistinto calderone del Partito Democratico.

 

Riunificazione che sempre più pare essere stata determinata da necessità di gestione della politica e del potere, sulla base di un pensiero unico che sembrava delineare uno spostamento del compito di questi dal governo alla governance, dal progetto, che pur nella nostra cultura attiene alla stessa idea di Politica – e giammai confonderla con la politica! – alla gestione tout court di processi e fasi altrove referenti e di cui la politica stessa diveniva semplice garante, il mercato globale e le supposte regole con cui esso stesso auto-correggeva i naturali eccessi e squilibri propri della cultura del profitto.

 

Si è volutamente confuso quindi il naturale adeguamento ai bisogni ed alle richieste di una società in cambiamento e che richiedeva alla politica una maggiore semplicità con una semplificazione che già allora pareva un’operazione matematica di riduzione, riunificando in una istanza di potere ciò che per sua natura non è riunificabile, la coscienza di appartenere aderendo ad una partito politico ad idee ed a visioni del mondo che seppur offuscate ancora in e da essi erano rappresentati.

 

Il Partito Democratico è nato già morto ed a dirlo non è il solo tonfo elettorale, che pure qualcuno si è subito affannato a diluire demagogicamente nello scotto pagato al coraggio della semplificazione del sistema politico italiano, dimenticando che tale tonfo era un effetto di una crisi già in atto, presente in nuce nella genetica stessa di una operazione politica nata come sommatoria di ceti dirigenti.

Come spiegare altrimenti che, perdurando una legge elettorale liberticida, che da più parti si invocava di modificare e che il Partito Democratico, per mezzo di un centro-sinistra che ancora ne conteneva i prodromi avrebbe dovuto denunciare e non denunciò,  sarebbero stati proprio quei ceti dirigenti ad essere favoriti?

Le liste bloccate e definite dalle segreterie erano dei fatti e da quei fatti nascevano altri fatti.

 

Aver consegnato questo paese alle destre, sia stato effetto dello stinto governo di centro-sinistra dai pochi numeri parlamentari e dall’incapacità di assumere identità altre che non fossero ragionerismi a forma di ghigliottine finanziarie suggeriti dai diktat dei poteri forti, con le caramelle dei decreti Bersani a render la pillola meno amara, conditi da veti incrociati, scandali e malaffare della peggior vecchia scuola, o di quella tristezza veltroniana coniugata a certo rampantismo garantito dalle liste, è stato un errore che non finiremo di pagare neppure ad esperienza berlusconiana finita, tali sono i danni da imbarbarimento dell’intero sistema democratico veicolato da costui e nei fatti favorito proprio da una operazione di ingegneria politica inutile e dannosa.Tentare di giustificare la vittoria del centro-destra  con un più volte ventilato ed assai generico “spostamento a destra” dell’opinione pubblica italiana o è una deviazione dalla realtà che forse ha più a che fare con l’analisi sul lettino che con quella politica, o è una menzogna per nascondere la realtà di uno schiacciamento all’interno di una sola formazione politica di più culture altrimenti differenti, schiacciamento atto più a favorire la cristallizzazione di ceti dirigenti e di carriere che una reale alternativa al governo delle destre.

 

Ovvio che simili processi di accentramento abbiano come effetto il sorgere di malumori e tatticismi di chi a torto od a ragione pur avendo aderito al Partito Democratico, si ritrova ad essere minoranza e se ciò vale a livello nazionale, vale allo stesso modo nella nostra regione, e nulla di strano ci sarebbe in una crisi politica che coinvolgendo un partito coinvolga anche un governo regionale, se non che lei afferma anche che si tratta di una crisi politica e non di governo, omettendo di considerare che se questa crisi nasce in virtù di alcune contraddizioni ormai palesatesi anche sulla stampa nazionale, è proprio al modello di governo e di gestione che si riferisce, identificandosi questo in massima parte con un partito-istituzione del tutto simile alla vecchia DC, le cui logiche evidentemente sono in buona parte passate silentemente in un progetto esecutivo di gestione del territorio e delle sue  risorse.

 

Detto in altre parole, la crisi del PD in questa regione è crisi di governo e di modello gestionale, crisi il cui primo effetto è la scomparsa di ogni parvenza democratica rappresentabile in un consiglio che sparisce dall’aula consiliare per riapparire solo al ritorno del presidente, quasi che ad ogni caduta di governo il parlamento svanisca nel nulla, rinunciando di fatto alla delega consegnatagli dalla volontà popolare.

 

Non è questa la democrazia, presidente! Se la sua maggioranza non regge più, è forse arrivato il momento di rivolgersi alle urne, ma fino a quando questo non sia declamato chiaramente, il consiglio regionale ha il dovere e l’obbligo di svolgere il suo compito, esattamente come la giunta dimissionaria continua a svolgere le sue funzioni per gli affari correnti. E se questo consiglio non svolge più il suo compito istituzionale, la crisi è addirittura istituzionale.

 

Troppe le urgenze che questa regione si trova ad affrontare nel dilemma di una maggioranza che si ricompatta senza un programma e senza un tempo che dia legittimità a questo programma.

 

Presidente, l’ipotesi di eterogenei appoggi esterni alla sua maggioranza le garantirà forse qualche mese di sopravvivenza, ma alla fine il nodo gordiano apparirà evidente. C’è un groviglio di poteri e di connivenze ad essi che passato indenne attraverso questa crisi, riapparirà con forza a reclamare la sua fetta di una torta che pare un avanzo di cucina, la Basilicata dopo qualche decennio di strapotere delle multinazionali e del malgoverno.

 

Troppi sono i nodi irrisolti da sempre e troppi quelli che lei stesso ed i suoi predecessori hanno stretto in un budello ormai cieco, risorse sottratte e pagate con elemosine, inquinamento che nessuno vuole accertare, svalutazione delle vocazioni economiche originarie in nome di uno sviluppo industriale che pare una chimera,  inefficienza della burocrazia, fallimento delle politiche verso l’imprenditoria in una mancanza di programmazione superiore che pare predisporre ad un inutile utilizzo dei fondi a pioggia e troppo lungo sarebbe elencare tutti i sintomi di un malessere gestionale che è diventato fallimento, nell’evidenza di una sfiducia popolare nella politica come mediatrice dei conflitti.

 

Forse il pastore lucano di morettiana memoria non esiste più, forse non esiste neppure più la Lucania dolente di De Martino, ma neppure esiste quell’eternauta globalizzato dei pascoli podolici che pure è stato un leit-motiv di una certa retorica liberista senza rispetto alcuno per l’intelligenza collettiva e che per qualche anno le classi dirigenti figlie di quella continuità storica traslata infine nel suo PD hanno voluto far passare come un modello che oggi la realtà oggettiva ci restituisce come un brutto spot.

 

E se forse l’operaio post-fordista dello sviluppo industriale secondario a cui accenna oggi non esiste più in questa regione, stante il refluire di realtà produttive mai realmente afferenti ai tessuti locali, ma sempre generosamente elargite di sostanziosi contributi pubblici, verso out-sourcing di comodo che era facile prevedere in rapporto alle logiche mordi e fuggi del sistema globale e di cui tuttavia non si è tenuto mai debito conto, la colpa sarà pur di qualcuno che disegnava strabiche strategie economiche senza calcolare infrastrutturazioni mancanti che pareva dovessero calare in regione per grazia divina e generosità dei grandi gruppi e delle multinazionali. Ma se non esiste più quell’operaio, travolto dalla crisi prima ancora che iniziasse, non esiste neppure più il flessibile professionista del manifatturiero avanzato, dai salotti alla corsetteria, e forse non esiste e non è mai esistita alcuna di quelle proiezioni globalizzate di cui avete nutrito la popolazione lucana, drogandola di tanta formazione-elemosina e di business plans, di una modernità impossibile nei fatti e di quello scavalcamento della realtà oggettiva nella metafisica del desiderio che oggi ci fa scoprire poveri senza essere mai stati ricchi.

 

Qui non è mai esistito davvero nulla di ciò che ci è stato raccontato essere il modello lucano, se non i deliri di potere nella proiezione di un’infinità temporale di una classe politica del tutto autoreferenziale e mai sottopostasi ad alcune esame che non fossero i triti e ritriti rituali elettorali del diritto scambiato con il favore e con cui si è sostenuto da decenni un sistema mai realmente democratico.

 

C’è qualcosa che non ha funzionato nel passaggio dal paternalismo colombiano alla condivisione dei poteri di una nuova classe dirigente figlia proprio di quel modello autocratico, esattamente come nel paese qualcosa non ha funzionato in quel passaggio tra prima e seconda repubblica che pur avrebbe dovuto sancire la maturità politica di uno stato che dopo la caduta del Muro riacquistava la sovranità dopo decenni di condizionamento americano in funzione anti-sovietica prima, anti-comunista poi.

 

Ma non voglio allontanarmi dalla crisi politica, di governo e di sistema – nella mia modesta opinione – che pare essere stata scoperta nei palazzi della Giunta solo dopo un articolo su di un giornale, forse dimenticando tutti i malumori canalizzati dal sorgere di comitati ed associazioni fortemente critici non solo con lei, i suoi predecessori e con i vostri metodi, ma con un intero sistema che ancora si ostina a chiudere gli occhi sulla necessità di un cambio radicale di direzione che riporti al centro dell’agenda politica, così come di governo e programmazione, quel cittadino-soggetto di diritti che in sé riassume il concetto di un mondo di cui occorre prendersi cura, e non più quel cittadino-consumatore che funge da elemento di chiusura di un circolo vizioso che mercificando tutto, rinchiude fondamentali diritti alla vita e ad un ambiente sano, minacciati da questo sistema economico antropofago, più in una sfera di customer-satisfaction che nel diritto in quanto tale e nella ragione come movente delle azioni umane.

 

Presidente De Filippo, che lei rammendi la sua traballante giunta con scampoli di collateralismo a fini assessoriali, di postazioni e convenzioni, nell’intricato gioco delle parti è cosa che non salverà questa regione dalla velocità esponenziale di quei devastanti processi disgregativi che da economici a breve potrebbero divenire sociali, con tutto quel carico di conseguenze che la geografia criminale e l’azione di colonizzazione delle multinazionali dell’energia, dell’acqua e dei rifiuti finirebbero per depositare in questa regione che, se è stata impreparata a gestire certa modernità, è impreparata a gestire anche tutto il resto.

 

Come Comunità Lucana, come Comitato No Oil Lucania, come cittadini lucani, appellandoci alla sua responsabilità, la preghiamo pertanto di voler procedere alla rapida formazione di una giunta tecnica che si avvalga della collaborazione di personalità e di competenze al di sopra delle parti, scelte con i criteri di non mera appartenenza a partiti o gruppi che sostenevano la sua precedente maggioranza, ma secondo quegli oggettivi criteri di rispondenza alle responsabilità occorrenti a gestire la regione ed il difficile momento economico, politico e sociale che questa sta attraversando, fino ad un rapido ricorso anticipato alle urne che unico può legittimare o meno quei processi di accorpamento nel PD di alleanze nate diversamente ed evidentemente per motivi strettamente interni ad esso ed ai suoi equilibri non più rispondenti alla tenuta di un sistema di governo regionale la cui attuale crisi inficia la volontà popolare espressa nel consiglio, nei fatti impossibilitato al suo funzionamento nelle logiche della dialettica politica.

Che la Lucania non paghi la crisi del PD! 

Miko Somma.