comunicato stampa del comitato

Che chiarezza sia fatta!

 

Non gioiamo degli ordini di arresto disposti dal pm Woodcok per i vertici della Total Italia, per il deputato Salvatore Margiotta,e per tanti altri coinvolti in un giro di tangenti per appalti relativi allo sfruttamento del giacimento petrolifero Tempa Rossa, e non gioiamo perché, lungi da ogni ipotesi giustizialista o innocentista che ad uso e consumo del momento e delle convenienze viene declamata, siamo consapevoli che per la legge italiana fino al terzo grado di giudizio costoro sono da considerarsi ancora innocenti. Questo ci pare doveroso sottolineare per quanto riguarda l’aspetto giudiziale, su cui non compete ad alcuno la formulazione di giudizi di merito, eccezion fatta per gli organi giudiziari stessi e nella cui correttezza nell’applicazione della Legge abbiamo massima fiducia, in un momento storico nel quale rischiano di essere compromessi quei fondamentali principi di indipendenza dei poteri che sono cardine dell’equilibrio istituzionale della nostra Costituzione, quale patto civile tra i cittadini a garanzia della stessa democrazia.

Ma se commentare l’aspetto giudiziario di una vicenda che ha risvegliato l’opinione pubblica lucana da un lungo torpore sull’argomento petrolio è cosa da cui ci teniamo lontani, ben altro è il commento “politico” o se preferiamo “etico” che ci compete proprio in quanto cittadini.

Noi lo abbiamo detto da tempo! – sarebbe la prima considerazione che chiunque farebbe al nostro posto, al posto di un comitato che sin dal primo giorno ha individuato nella questione petrolio il nodo politico centrale nella vita democratica, prima che economica, della regione, ma preferiamo non auto-incensarci di meriti per le nostre analisi e le nostre denunce, quanto andare al nocciolo della faccenda puntualizzando sin da subito che sull’affare petrolio in Basilicata una pesante cappa fatta calare da alcuni “poteri forti” si sta finalmente sollevando, mostrando tutte quelle patologie democratiche, politiche, economiche che nel verminaio degli interessi multiformi legati all’estrazione del greggio lucano si sono sviluppate in forma epidemica ad una intera classe dirigente, sia essa politica, culturale od economica, classe dirigente che ha sempre usato come arma di consenso il dopaggio suadente di un popolo con promesse di sviluppo e posti di lavoro, senza mai curarsi delle conseguenze che simili comportamenti avrebbero causato nell’opinione pubblica lucana quando le promesse si sarebbero rivelate ciò che di fatto erano, chimere o se preferiamo prese in giro che hanno scatenato sentimenti di malcontento popolare dagli imprevedibili effetti che non mancheranno di farsi sentire.

 

Non riteniamo necessario ripetere tutte le denunce sin qui fatte, dal colonialismo di fatto operato delle multinazionali alla corruzione che da esse nasce e ad esse si rivolge in forme variegate, ma che sempre pongono la problematica dei poteri locali e di alcune “voracità” ad essi connesse come il punto di gravità attorno a cui ruota un affare, quello degli idrocarburi, che lungi dall’aver dato strumenti di uscita dal sottosviluppo storico di cui soffre la regione, sta devastando una terra  nel profondo delle sue vocazioni originarie, nella tutela dell’ambiente, finanche nella certezza del diritto alla salute, ed ha riproposto un meccanismo di sfruttamento della democrazia a fini privati che è il vero male storico di cui questa società deve cominciare da subito a liberarsi, se alle parole “popolo lucano” corrispondono anche quei sentimenti lungamente offesi di una comunità finalmente pronta a riscattarsi da malattie che non sono sempre altro da sé e ad assumersi le proprie responsabilità di fronte alla storia ed al futuro.

 

Riteniamo piuttosto di dover chiedere a questa classe politica forse collusa, certo manifestamente impreparata, di farsi da parte per quel minimo senso di responsabilità che pur dovrebbe esserle rimasto ed alla comunità dei lucani di abbandonare tutti gli interessi particolari a cui finora il sistema si è legato in un “opportunismo biologico” mortale per gli interessi collettivi e di guardarsi allo specchio come cittadini, provando per una volta a chiedersi come sarebbe questa regione se finalmente il diritto non fosse più confuso con il favore, poiché è proprio da ciò che nasce quel peso che la nostra regione si porta dietro come un fardello insostenibile.

 

Alla luce di quanto accade, chiediamo ai lucani di diventare protagonisti di una nuova stagione di riscatto democratico per questa terra che amiamo, e nel chiedere questo, chiediamo infine che si pongano in essere gli strumenti culturali collettivi che consentano alla giustizia di fare il suo corso e di non essere affossata nelle sabbie mobili di quei poteri che hanno reso questa regione una terra dei misteri.

 Vogliamo giustizia e chiarezza per ricostruire  la democrazia! 

Miko Somma, Portavoce del Comitato No Oil Lucania

la corazza

dopo un periodo di silenzio, ecco tornare alla ribalta del varietà politico lucano, un superbo esempio di attor comico…copincollo dal sito:

LACORAZZA (PD): “UN MANIFESTO ED UN’AGENDA PER IL SUD”
 
15/12/2008 15.22.12
[Basilicata]
L’appello all’autocritica rivolto alla classe dirigente meridionale dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e la sua considerazione su una ”clamorosa caduta di attenzione, di interesse, di volontà politica nel riproporre il problema Mezzogiorno” hanno spinto il segretario regionale del Pd di Basilicata, Piero Lacorazza, a prendere carta e penna e scrivere ai segretari regionali del sud. Lacorazza parte dalla giornata di seminario dello scorso 21 ottobre a Potenza, alla presenza di Pierluigi Bersani e Sergio D’Antoni, dalla quale è scaturito un documento in cui si sostiene che un nuovo Mezzogiorno è possibile se trova in una dimensione euromediterranea un inquadramento strategico di incalcolabile portata non solo per le regioni meridionali, bensì per l’intero sistema-Paese. Da questo punto di vista appare, per molti aspetti, paradossalmente autolesionistico un certo spirito antimeridionalista che, sull’onda di un pur innegabile acutizzarsi dei cronici fenomeni di devastazione civile, continua ad essere alimentato da taluni ambienti della classe dirigente di questo Paese. La verità è che il Mezzogiorno non ha ancora regolato i suoi conti storici con il Paese. La dotazione di infrastrutture è ancora troppo al di sotto dei livelli medi del resto dell’Italia. Aumentare il volume degli investimenti pubblici “ordinari” nel Sud è un’esigenza di equità oltre che di lungimiranza. La necessità di “ordinarietà” dei trasferimenti dello Stato è il punto dal qual partire per dare forza al valore che unitarietà e vocazione dei territori possono assumere nel nuovo ciclo di programmazione comunitaria. E’ un momento di passaggio fondamentale per far svoltare il Mezzogiorno in questa direzione, a metà strada tra spirito di Lisbona e governo dei territori, in una logica di forte cooperazione tra diversi livelli di governo. E’ dentro questo contesto che più e meglio dobbiamo affrontare i temi e le questioni poste dal federalismo fiscale.
“Per leggere correttamente le potenzialità del Mezzogiorno – scrive Lacorazza – è necessario abbandonare un approccio di tipo deterministico. I vincoli, ma anche le opportunità, sono soggetti a modificazioni, anche improvvise, nel corso del tempo. L’azione politica, gli interventi pubblici, le trasformazioni delle condizioni di contesto influiscono sui contenuti e sull’intensità di queste modificazioni.
Per dare corpo a questa idea, per sostanziarla e declinarla in azioni, e infine per offrire al pensiero democratico per il Mezzogiorno una reale opportunità di divenire progetto, è necessario che le classi dirigenti meridionali del Pd diano concretezza alle parole di Napolitano e provino a far sintesi tra esse per la costruzione di un partito che nel Sud si strutturi e si articoli proprio intorno ad un pensiero e ad un progetto. Per offrire alle comunità meridionali, ormai sempre più penalizzate, una nuova fiducia in una rinnovata classe politica.
Nell’idea di Lacorazza non c’è un “Partito del Sud” ma la proposta di valutare “la costituzione di un coordinamento che, oltre alle rappresentanze politiche ed istituzionali, coinvolga fondazioni, centri studi e personalità del mondo economico, sociale ed accademico. C’è bisogno di un Manifesto per il Sud attraverso il quale aggregare interessi, motivare e coordinare le tante rappresentanze istituzionali di cui disponiamo. Un manifesto ed un’agenda per il Sud utile anche per affrontare le prossime scadenze elettorali. Un manifesto ed un’agenda per il Sud dai quali partire anche per valorizzare la nostra vocazione maggioritaria ed aiutare il corso di una nuova alleanza di centrosinistra”.

bene, proviamo a rispondere ( ma magari sarebbe meglio farlo sui giornali in uno specifico comunicato)…

  1. nel sud italia abbiamo livelli infrastrutturali sicuramente al di sotto della media europea o nazionale, ma vero è che se calcoliamo tutte le cattedrali nel deserto di cui è punteggiato il territorio, mi chiedo quale sia l’esigenza prioritaria, completare le infrastrutture mai finite, magari abbatterle dove se ne ravvisi l’inutilità o addirittutra la dannosità per ambiente ed economia, o realizzarne di nuove che comunque rischieranno di far la stessa fine delle prime ed in più continueranno a rosicchiare territorio altrimenti utilizzabile?…il sud ha prioritariamente bisogno di democrazia per poter governare processi di infrastrutturazione ancora da delineare rispetto alle potenzialità, ed ovviamente di buongoverno…ecco le infrastrutture morali su cui bisognerebbe investire, a cominciare proprio dalle classi dirigenti, ma pare che l’investimento latiti
  2. parlare di ordinarietà dei trasferimenti dello stato verso le regioni ed i comuni e di federalismo fiscale è una contraddizione in termini che riflette uno stato di confusione circa i ruoli che proprio le strutture del federalismo andrebbero a delineare per realtà economico-sociali di certo ancora impreparate a reggere il peso dell’auto-governo, pur essendo nei fatti questa l’unica strada percorribile, ma non ancora percorsa per via di quella “questionuccia morale” che affligge il rapporto tra gestione della cosa pubblica ed interessi di casta delle classi dirigenti…detto in altri termini, quale auto-governo può essere praticato da chi avendo fino ad ora gestito con fare padronale le regioni del sud, ora pretende di avere la stazza etica per superare la questione senza neppure fare una auto-critica che cominci dai metodi e finisca ai nomi?
  3. i vincoli non possono divenire possibilità a meno di non ammettere che si vuol fare tabula rasa di ambiente, cultura, economia e geografia economica, vocazioni e quant’altro delinea un quadro meridionale che pur essendo ciò che nei fatti è, rimane pur sempre una specificità che più che essere sacrificata sull’altare della globalizzazione in cambio di uno dubbio sviluppo che ai più pare ormai una chimera propagandistica, va tutelata ed incoraggiata nelle sue forme autonome che nascono da stretti connubi tra vocazioni originarie e “mercati corti”…e per essere più chiari, inutile tentare di esternalizzare produzioni e culture quando a soli venti chilometri neppure riescono ad arrivare, inutile spacciare modelli di partecipazione alle scelte nell’onda del governo condiviso dei territori quando l’autocrazia decisionale rimane ferma negli stessi luoghi di potere e rifiuta ogni forma di dialogo, preferendo semmai un monologo a cui è consentito assentire e basta!
  4. il rinnovamento della classe politica non è una rapida doccia che possa togliere di dosso le lordure accumulate in troppi anni di potere con le caratteristiche di cui sopra, ma richiede processi di “discesa” al dialogo e “ritorni” al sociale che nei fatti paiono imprese impossibili se si considera la mancanza di fiducia palese che le popolazioni manifestano verso soggetti che non possono pretendere di essere ancora i referenti di qualsiasi processo politico che possa definirsi democratico e partecipato dal basso…e questo alla luce del 50% di astensionismo alle amministrative in abruzzo ci pare anora èiù evidente
  5. manifesti e coordinamenti sono una foglia di fico per coprire un ritorno a formule del centrosinistra ormai del tutto desuete e che nel migliore dei casi rivelano carenza di progetto politico…non si comprende infatti come stante una disgregazione dei processi unitari del partito maggiore di un ipotetico centro-sinistra. stante l’eccesso di fluidità programmatica del partito di tonino, stante la residualità delle sinistre ex-arcobaleno, si possa parlare ancora di centro-sinistra

caro la corazza, il problema della politica in questa regione sta negli uomini, assai compromessi ed in sostanza incapaci, e nei metodi, vecchi di qualche decina di anni ed alla cui evoluzione non basta la genericità dei suoi appelli…guardatevi intorno, togliendovi le spesse lenti del potere vassallo di cui avete abbondantemente desinato, e scoprirete che la società lucana non è un trattato antropologico che basta sfogliare per comprendere o un quiz modello “quale delle tre”…la società lucana è un mosaico in pezzi sparsi di bisogni individuali e sociali lasciati o all’abbandono più totale o alla curatela asfissiante della cattiva politica, un mosaico  a cui occorre una speranza per ricostituirsi in un processo collettivo che necessariamente deve essere politico, economico, etico e sociale…una speranza che non nasce dai manifesti o dai congressi, ma dalla pratica costante della democrazia come strumento di condivisione delle scelte e degli obiettivi comuni…gli uomini e le classi dirigenti della cui assenza solo ora vi dolete ne sono una logica conseguenza purtroppo divenuta causa ed effetto al tempo stesso di un disagio generale che non basta esorcizzare con formulette da scuola media o blandire con placebo inutili, bisogna curarlo!!!     

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