altro reportage sulla basilicata dalla stampa nazionale: il riformista

 di seguito, tratto da basilicatanet,  un altro reportage di un quotidiano nazionale, questa volta il dalemiano Riformista, sulla basilicata, l’articolo è ovviamente di parte portando acqua, nella guerra tra bande intera al pd, appunto alla corrente dalemiana ed alla fine cerca di essere assolutorio nei confronti della “casta” regionale (non a caso è pubblicato da basilicatanet)  non cogliendo il rapporto di sudditanza coloniale nei confronti del potere economico delle multinazionali,  ma descrive comunque in maniera realistica la situazione di crisi drammatica  della nosta regione e contiene comunque alcuni spunti interessanti :
 

OGGI REPORTAGE DEL RIFORMISTA SULL’AMARA LUCANIA

Il Riformista oggi in edicola contiene un reportage del giornalista-scrittore Andrea Di Consoli, che di seguito si riporta
21/12/2008 10.47.26
[Basilicata]
Estrarre il petrolio in Basilicata fu decisione del Governo nazionale. A essere precisi, del “primo Governo Prodi”. Alla Regione Basilicata fu lasciato il 7% di royalty, e un mucchio di problemi. Giustamente ci furono proteste sul territorio, in specie nella splendida Val d’Agri, dove alle trivelle di perforazione dell’Eni si sarebbe preferita l’istituzione di un bel Parco Nazionale. Ormai sono più di dieci anni che in Basilicata si estrae petrolio. Da allora sono successe molte cose: apertura di nuovi pozzi, costruzione del Centro Olii di Viggiano, istituzione del nuovo Centro Olii di Corleto Perticara, inchieste giudiziarie su presunte tangenti, aumenti dei fenomeni carcinosi, e una caterva di sogni da sceicchi franati rovinosamente.
Nei primi anni del 2000 qualcuno perse la testa: il petrolio sembrava la soluzione di tutti i problemi storici della Lucania. Nel 2008, invece, la terra di Rocco Scotellaro si ritrova con un territorio martoriato e miasmatico, e con un introito annuo nelle casse regionali di appena 70 milioni di euro (di cui il 15% va ai comuni dove si estrae). Una miseria, in pratica.
Ogni giorno in Lucania vengono estratti circa 65.000 barili di petrolio (un barile corrisponde a 159 litri di petrolio grezzo), ma ogni volta i governatori lucani sono costretti a dure trattative con l’Eni e con la Total Fina per avere piccoli margini di utile. In pratica, “briciole”.
Da dieci anni, però, nel romanzo “balzachiano” lucano domina anche un altro personaggio, dal nome esotico, e dal portamento byroniano: Henry John Woodcock, sostituto procuratore del tribunale di Potenza, grande accusatore della classe dirigente lucana. In Lucania, tutti i politici in carica, non appena fanno un passo falso, si sentono minacciare: “Ti denuncio a Woodcock”. Ora però in Basilicata sono tutti felici, perché il Grande Inquisitore è stato trasferito a Napoli, e quindi tempo qualche mese e la dirigenza lucana potrà continuare a gestire miseria, ma almeno non sarà più incarcerata quotidianamente.
Terra di scrittori, la Lucania: Sinisgalli, Pierro, Scotellaro, Parrella, Festa Campanile, Riviello, Nigro, Lupo; ma anche di pseudo-imprenditori, sempre in movimento tra aree industriali e uffici regionali e fondi europei. Senza di loro non si vincono le elezioni, perché i nuovi posti di lavoro “usa e getta” che si creano tra la Va Basento e le aree industriali di Tito e di Ferrandina sono pur sempre necessari quando si va alla conta dei voti. E’ triste, ma purtroppo è così.
Terra di contrappunti, quindi, la Lucania: alla bellezza dei calanchi si contrappone la discesa a Rionero in Vulture della Coca-Cola Hellenic Bottling Company, che ha acquisito il 100% del gruppo Traficante; alle bellezze di Matera e di Maratea si contrappone una fitta rete di misteri, tra cui, in ordine cronologico: il caso Ligas-Pittella (1981), quello dei “fidanzatini di Policoro” (1988), la morte di Vincenzo De Mare (1993), il caso Elisa Claps (1993), il caso Di Lascio-Flora (1994), la morte dei coniugi Gianfredi (1998) e l’omicidio Lanera di Melfi (2003).
Tra un premio al vino Aglianico e il premio Campiello a Mariolina Venezia per Mille anni che sto qui (Einaudi), tra una serata in pompa magna del vetusto “Premio Basilicata” e un “volo dell’angelo” sulle stupende Dolomiti lucane, c’è stato il grande sommovimento popolare di Scanzano Jonico (2003), nonché la bufera di “Toghe lucane”, la crisi dei salottifici di Matera, la crisi della Fiat di Melfi e la recrudescenza del fenomeno migratorio, specialmente giovanile. Una regione, la Basilicata, con circa 600.000 abitanti, ma con milioni di problemi.
Una regione di granitico centro-sinistra, quasi plebiscitario, ma un po’ in crisi, soprattutto da quando a Matera è diventato sindaco Nicola Buccico, ruspante finiano, anch’egli però torchiato dalla Magistratura, ovvero da quel Luigi De Magistris sul quale l’Italia si è divisa tra tifosi e detrattori.
L’appena trentenne segretario del Pd lucano, Piero Lacorazza, nonostante la giovane età, è invecchiato di cento anni a furia di districarsi tra “questione morale”, crisi di giunta, isterie giudiziarie e lotte tra correnti e gruppi di potere. Insomma, un guazzabuglio, uno “gliommere”, per dirla con Gadda, di difficile risoluzione. E tutto questo mentre ogni lucano cerca un lavoro, un contratto Lsu, un posticino, un favore, e mentre gli imprenditori “con l’acqua alla gola” stanno alle calcagna degli amministratori per avere aiuti e protezioni. Non parliamo poi dell’annoso problema dello spopolamento dei paesi (in Basilicata i paesi sono 131), e dell’invecchiamento crescente della popolazione.
A tormentare i sonni di Piero Lacorazza, poi, c’è anche la proterva Italia dei valori di Di Pietro, che non solo ha determinato la provvisoria caduta della giunta capeggiata da Vito De Filippo (in attesa di rimpasto), e le ire del vice Vincenzo Folino, ma ha anche imposto nel dibattito politico un oscuro Savonarola lucano “graziato” da Di Pietro, ovvero il baffuto senatore Felice Belisario.
In questo scenario, il petrolio si è riversato sui guazzabugli lucani come un’onda gigantesca su fragili castelli di sabbia.
Le ultime vicende giudiziarie, giunte in concomitanza con le bufere napoletane e abruzzesi, hanno colpito in pieno volto (a diverso titolo) autorevoli esponenti del Pd lucano come Vito De Filippo, Carmine Nigro (Presidente della Provincia di Matera) e Salvatore Margiotta. Al di là del merito giudiziario, colpisce il coinvolgimento del deputato Pd Salvatore Margiotta (che si è dimesso da ogni incarico partitico), tra gli uomini più ricchi della Basilicata (è un ingegnere di successo), il quale ci dichiara, ferito nella voce: “Se avessi preso tangenti per fare pressioni sulla Total Fina affinché l’appalto di Corleto Perticara andasse alla cordata di Francesco Ferrara, allora Woodcock farebbe bene ad arrestarmi. Ma io non ho presi tangenti. E quindi come la mettiamo?” Vito De Filippo, giovane Presidente della Regione, si dichiara sereno: “Ho fatto trattative durissime con la Total Fina, e questo è il risultato. Le inchieste di Woodcock sono ogni volta clamorose a livello mediatico, e poi esili dal punto di vista giudiziario. Comunque sono sereno, nonostante lo stillicidio. Siamo sempre usciti assolti da queste quotidiane accuse”. Più arrabbiato invece Filippo Bubbico, ex Presidente della Regione, attuale senatore Pd, dalemiano pragmatico, anche lui torchiato da De Magistris sul caso Marinagri, che dice e non dice: “Sull’onda emotiva dico che sono arrabbiato nero. Abbiamo lavorato per anni affinché la Basilicata avesse a livello nazionale una buona reputazione. A suo tempo abbiamo spaccato in quattro il capello con l’Eni. Deve tornare in campo la buona politica. Non la nuova cattiva politica, ma la buona politica e basta”. Il problema è che nel mentre sono tutti indagati, da De Magistris o da Woodcock, la “buona politica” la sta propagandando l’Italia dei valori. E, purtroppo, quando al posto della politica nell’agenda ci sono decine di vicende giudiziarie, è normale che prevalgano le condanne sommarie, la demagogia, il linciaggio dell’intera classe dirigente.
Lo spettro che aleggia sul centro-sinistra lucano è “l’azzeramento”. Ma è bene che Roma mantenga i nervi saldi, perché i problemi, ecco, quelli non si azzerano facilmente, né le grandi esperienze amministrative accumulate nell’ultimo decennio. Essere indagato non significa essere corrotto, ma più probabilmente essere compromesso con una realtà che ti obbliga obtorto collo a “sporcarti le mani” (in senso etico e problematico, s’intende). Cosa accadrebbe, con un eventuale “azzeramento”? Non ci sarebbero più pressioni, richieste, lobby, telefonate, clientele, richieste disperate? Dov’è questo paradiso? Dov’è? Chi non lo vorrebbe?
La Basilicata, come l’intero Sud, è una trincea, e fare “politica nuova” senza una nuova società è pressoché impossibile. A meno che non si voglia essere minoranza, o una nicchia di “anime belle”. I voti che arrivano a Roma dalla Basilicata odorano di petrolio, di disoccupazione, di fallimenti, di fabbriche in via di smantellamento, di padri di famiglie accalcati speranzosi davanti alle porte degli Assessorati regionali. Ma anche di tante imprese hi-tech, di turismo sostenibile, di efficienza burocratica. I voti si odorano, e si conquistano uno per uno. La Basilicata non è il paradiso; e facile è sbraitare che i politici lucani sono tutti corrotti (è uno sport gratuito). La verità è molto più semplice: i politici lucani (nonostante pacchianerie e anche qualche illecito, chi lo nasconde?) volano senz’ali perché l’unico obiettivo possibile è garantire un po’ di serenità a basso raggio in una terra infelice, povera, problematica, finanche desertica. Se poi qualcuno garantisce il paradiso (da Roma o da Potenza), che si faccia avanti, ma senza chiacchiere, possibilmente.Andrea Di Consoli
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da ferrandina

dalla riunione di ieri a ferrandina, città simbolo di un modello di distruzione socio-ambientale che rigettiamo senza compromessi, è emersa chiaramente la necessità di concretizzare i nostri atti quotidiani di salvaguardia delle comunità in un più ampio percorso di sintesi politica che abbia finalmente un respiro regionale

la necessità di porre al centro dell’agenda politica un’idea di regione altra, una regione possibile, una regione che divenga simbolo pratico di un nuovo modello di gestione del territorio che oltrepassi le regole capziose della dipendenza dai massimi sistemi economici delle multinazionali per arrivare alla interdipendenza tra attività umane, ambiente e democrazia che solo la partecipazione dal basso di una comunità ai processi decisionali è in grado di assicurare, ci ha spinti ad rendere più celere ed operativa quella comunanza di visioni che ci tiene insieme nel dire no alla colonizzazione, no alla devastazione del territorio, no alla società dei poteri forti, no alla corruzione ed alla cattiva politica, per affermare i nostri si ad un altro progetto di regione, la regione-bene comune dei cittadini lucani che vogliamo da oggi mettere in testa alle nostre rivendicazioni

è così dal territorio, dalla nostra regione che vogliamo tutelata nella sua integrità naturale che è salvaguardia del complesso di processi biologici che assicurano salubrità e continuazione della vita, e dai suoi abitanti, la comunità lucana, che vogliamo finalmente popolo nella identificazione tra la sua aspirazione democratica, le sue necessità di accesso al benessere sociale, culturale, sanitario ed economico e la coincidenza di questi con le vocazioni originarie della terra che ci accoglie in un processo di equilibrio tra risorse, attività umane e conservazione per le future generazioni, che si concretizza un nuovo spirito collettivo di rinascita che diviene strumento politico solo ed essenzialmente per traguardare al fine stesso della democrazia, versi quei valori che portano nomi non desueti quali uguaglianza, pace, solidarietà, giustizia sociale e che se non sono, come non sono, astratti concetti da salotto, è su di una terra, la nostra regione, e con un popolo, il nostro popolo, che divengono finalmente atti concreti

noi abbiamo cominciato!!!   

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