Comunicato stampa di Comunità Lucana – Movimento No Oil

Chiediamo ancora una volta chiarezza!

  

Delle due l’una, mentono i lucani all’Istat o mentono i politici lucani ai lucani? Stando ad un’indagine Istat, riportata da Marisa Ingrosso della Gazzetta, la Basilicata sia per patologie croniche è la regione più “ammalata” d’Italia, prima per incidenza di diabete, ulcera gastrica e duodenale, artrosi ed artrite, seconda per disturbi nervosi ed ipertensione, con il più alto numero di persone affette da due malattie croniche o più, oltre alla curva di più alta incidenza di patologie tumorali in tutta Italia ed al maggior numero di decessi per 100.000 abitanti.

 

Dati terribili e che la dottoressa Burgio, ricercatore del Servizio Sanità e Assistenza dell’Istat dichiara trattarsi – “di dati autoriferiti dalla persona, ma il confronto con l’Italia, col dato nazionale, è valido…se il dato relativo ai lucani fosse distorto, allora lo sarebbero anche gli altri…la rilevazione è stata condotta su un campione di persone significativo”.

 

Prima risposta, i lucani allora non avrebbero motivo di mentire al questionario.

 

Ma stiamo ai dati. Se possiamo capire come e perché i lucani siano i primi per malattie croniche del cuore – indice di 5, media nazionale di 3,6, meridionale e della vicina Puglia di 3,4 – e primi per diabete – indice di 7,2, media italiana di 4,8, sud 5,5 (Puglia 6,4) – attraverso l’altro primato che deteniamo, l’obesità (34% uomini, 42% donne tra 35 e i 74 anni, contro rispettivamente il 17% – 21% in Italia) in un’evidenza epidemiologica correlata allo stile alimentare, ciò che non si riesce a spiegare sono le malattie croniche respiratorie che ci vedono ancora primi con indici per bronchiti croniche ed asma bronchiale a 9, contro il dato nazionale di 6,2  e meridionale di 6,7 (Puglia 6,5), visto che stavolta lo stile di vita non è causa prevalente del dato, essendo la regione nona per percentuale di tabagisti.

 

E poi le patologie tumorali con dati impressionanti ricavati direttamente dai decessi, in aumento vertiginoso, e sui quali siamo ancora al primo posto percentuale sia in termini assoluti, che in termini di aumento della curva di incidenza, ed anche a fronte dell’aumento della vecchiaia, se si scopre che tra i bambini la mortalità è la più alta d’Italia, con indice 3,84 contro il dato-paese del 3,04.

 

Qualcosa allora non funziona, se solo nello scorso marzo una conferenza stampa a poteri unificati convocata dal presidente della giunta regionale assicurava che non c’erano problemi di alcun genere, che le patologie tumorali erano le più basse d’Italia, che i monitoraggi erano regolarmente eseguiti con risultati dentro i parametri di massima – tutto bene insomma! – ed oggi invece quei dati ci dicono altro, con la conclusione che l’unica possibile risposta è che quei politici e quei funzionari mentivano, se solo dieci anni fa simili rilevazioni ci vedevano nettamente al di sotto delle medie nazionali ed oggi, complice qualcosa accaduto in questi anni, ci vedono primeggiare. Ed è tempo di dire la verità.

 

Se nello stesso articolo si citano i dati riportati quotidianamente sul sito ARPAB come fonte per i rilevamenti sulla qualità dell’aria e di conseguenza della stranezza della relazione intercorrente proprio tra questi e l’incidenza di malattie croniche o tumorali, due sono ancora le possibilità, o i dati sui monitoraggi sono sbagliati o non si cerca ciò che si dovrebbe cercare, quando di fronte a malattie innegabili è sulle sostanze specifiche che causano queste patologie che si deve indagare, con una letteratura medica ormai molto vasta sull’argomento, e non su altro. Detto in altri termini se le centraline che rilevano polveri sottili, ozono e biossidi non danno segnali rilevanti di superamento delle soglie di attenzione (tranne verificare quanti giorni l’anno funzionino), allora sono altre le sostanze che bisogna indagare, esattamente quelle che da tempo indichiamo come le vere responsabili, sostanze emesse da alcuni impianti industriali ed attività produttive, H2s e benzene per le zone petrolifere, policloruri e fibra d’amianto per la val Basento, diossine e più in generale sostanze industriali tossiche.

 

Tutto questo pone altre domande riassumibili in quel “chi controlla chi?” a cui crediamo sia arrivato il tempo di dare risposte serie e credibili non solo sulla qualità e quantità dei monitoraggi, ma sulla loro evidente gestione a monte da parte di un sistema politico che ha voluto dare una destinazione alla nostra regione, quella di damigiana petrolifera, contenitore e forno per rifiuti di ogni genere, di cui la popolazione non è stata informata, nel silenzio tuttovabbenista che è diventato la cifra imposta dell’informazione pubblica, e che è arrivato il tempo di sollevare con indagini terze (chi si fida dei controllori?) e punizioni esemplari, accertati i fatti, non solo dei comparti industriali origine di inquinamenti e per i sistemi criminali eventualmente coinvolti, ma anche per quei sistemi politici locali che hanno permesso, per ignoranza o collusione diretta ed indiretta, che una regione che avrebbe dovuto essere la più sana d’Italia, vista la diretta correlazione ambiente-salute umana, si ritrovi ad essere ora la più ammalata del Paese.

  Miko Somma, coordinatore regionale di Comunità Lucana – Movimento No Oil 

tra una digestione e l’altra

riporto un articolo apparso nei giorni tra la digestione natalizia e la preparazione dell’appetito di capodanno, periodo in cui notoriamente a qualcuno potrebbe essere sfuggito qualcosa…i nomi in neretto dovrebbero far riflettere su alcune conseguenze…

Indagate due giunte regionali Inchiesta della Corte dei conti, coinvolti gli esecutivi guidati da Bubbico e De Filippo 30/12/2009

di FABIO AMENDOLARA 

In quelle casse negli ultimi cinque anni sono entrati più di 12 milioni di euro. Tutti con la formula della fornitura interna. I magistrati contabili la chiamano «in house providing», perché affonda le radici nell’ordinamento anglosassone. E’ un affidamento diretto di un servizio pubblico al di fuori del sistema della gara d’appalto. Si può applicare solo quando l’ente si avvale di una società esterna che abbia caratteristiche tali da poterla qualificare come una sua derivazione. Così ha fatto la Regione Basilicata con la società Metapontum Agrobios, 97,5 per cento di proprietà della Regione e 2,5 per cento dell’Alsia. Ha dimenticato, però, di controllare se quei servizi li avrebbe potuti erogare anche l’Arpab, l’agenzia regionale per l’ambiente. Per i magistrati contabili si tratta di una «condotta omissiva grave» che ha provocato «sofferenze erariali» per 12 milioni e 300 mila euro.


L’inchiesta è stata condotta dai militari del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza che, dopo aver acquisito le delibere di giunta, hanno accertato che «nel corso del quinquennio 2004/2009 sono stati erogati alla Metapontum Agrobios 12 milioni e 300 mila euro per servizi che potevano essere di competenza dell’Arpab, realizzando risparmio della spesa pubblica per quell’importo».


Quelle erogazioni, forse, hanno salvato l’Agrobios dal collasso. Perché la società negli ultimi anni «si è trovata a operare dovendo far fronte a crescenti difficoltà», quali quelle nate «dal disimpegno dell’Eni e del successivo socio privato Bioren» e quelle, più recenti, dovute a una interpretazione «eccessivamente cauta» del decreto Bersani, che ha causato il blocco dei flussi finanziari e, di conseguenza, il disavanzo economico. Altro elemento negativo «è stata la sfiducia o la diffidenza nei confronti delle attività di modificazione genetica nel campo dell’agricoltura e probabilmente la non piena consapevolezza, da parte dei potenziali destinatari delle ricerche, in definitiva il mercato, delle enormi prospettive aperte dalle innovazioni nel settore e da una non piena comprensione del fatto che l’agro-tecnologia non riguarda solo l’agricoltura ma le applicazioni industriali». E’ l’analisi cruda che fa la quinta commissione consiliare permanente della Regione Basilicata dopo un’indagine conoscitiva sul disavanzo economico del centro di ricerca. Il problema c’era. Posti di lavoro a rischio. Ricercatori da piazzare da qualche altra parte. Le pressioni dei dirigenti.


Forse è questo che ha spinto la Regione Basilicata ad aiutare Agrobios. Ora però la Guardia di finanza ha segnalato 25 persone – amministratori pubblici e funzionari – alla procura regionale della Corte dei conti: Carmine Nigro, Filippo Bubbico, Erminio Restaino, Gennaro Straziuso, Donato Paolo Salvatore, Carlo Chiurazzi, Cataldo Collazzo, Viviana Cappiello, Gaetano Fierro, Andrea Freschi, Vincenzo Sigillito, Francesco Mollica, Giovanni Rondinone, Vito De Filippo, Vincenzo Folino, Antonio Autilio, Roberto Falotico, Vincenzo Santochirico, Antonio Potenza, Innocenzo Lo guercio, Giovanni Carelli, Rocco Colangelo, Nicola Vignola, Francesco Ricciardi, Luigi Gianfranceschi.


Se ne erano già accorti i componenti della quinta commissione. In un comunicato stampa di qualche mese fa ammonivano: «Occorrerà fare attenzione che non si verifichino sovrapposizioni di competenze e incarichi con quelli affidati agli enti dipendenti e strumentali della Regione, in primo luogo dell’Arpab. L’operazione di ricapitalizzazione operata dalla Regione potrà risultare utile alla luce delle condizioni tutto sommato positive della società Metapontum Agrobios, che attraverso un oculato piano industriale potrà fare buon uso del finanziamento ottenuto e raggiungere gli obiettivi prefissati». Alle stesse conclusioni è giunta la Guardia di finanza.

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