Comunicato stampa di Comunità Lucana – Movimento No Oil

Intenti protocollati

 

 

Abbiamo appreso della firma di un protocollo d’intesa tra i comuni di Potenza, Pignola, Abriola, Laurenzana ed il Commissariato del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano a riguardo della riattivazione a fini turistico-naturalistici della vecchia tratta ferroviaria delle Calabro-Lucane.

 

 

Era questa parte del nostro programma dei trasporti, programma che avremmo speso alla Regione Basilicata se ne avessimo avuto possibilità e di cui non rivendichiamo paternità, trattandosi di idee che crediamo debbano essere tanto condivise, da non aver altro che libertà di apporto al loro miglioramento. Ma a nostro avviso la riduzione di quella tratta ferroviaria ai soli fini turistici rischia di vanificarne l’importanza strategica a riguardo di una mobilità penalizzata per molte zone interne.

 

 

Se parlando di portata turistica della tratta nello stesso servizio del TG3 regionale si parlava di ipotetici finanziamenti da richiedere in sede ministeriale – senza neppure sapere a quale  – ed alla luce delle partite che l’attuale governo ha destinato a nuove tratte ferroviarie – non un euro! – qual’è allora il senso di questo protocollo? Anche perché se a firmarlo sono un commissario straordinario che in quanto tale non dovrebbe avere che poteri transitori su di un ente che rimane ancora sulla carta, ed alcuni comuni che non possono vantare competenze oltre i limiti del proprio territorio e non anche più corpose competenze di ambito provinciale e regionale, ci pare che tutto zoppichi.

Che l’Ente Parco sia interessato alla tratta ferroviaria è cosa scontata, ma ci chiediamo allora se il Parco non decolla a cominciare dalla sua normale gestione in un consiglio di amministrazione – e lunga diverrebbe la descrizione dei mancati passi in proposito del passato governo De Filippo – in base a quali poteri delibera impegni in tal senso? Ed ancor di più perché lo fanno dei comuni?  

Forse per giudicare quegli “intenti protocollati” basterebbe la categoria della parata mediatica, ma forse qualcosa non quadra affatto ed allora c’è dell’altro.

Esaminata come possibile la possibilità di un ripristino della tratta, la si vuol dunque lasciare allo stato di progetto turistico e non piuttosto inserirla in una più ampia programmazione che la inserisca a pieno titolo nelle infrastrutturazioni strategiche regionali? E’ forse un piede nell’uscio della futura spesa regionale, una sorta di atto di indirizzo politico della spesa?

Sta di fatto che all’idea di ferrovia si contrappone quella di autostrada, a quella della vecchia tratta ferroviaria abbandonata, quella della irreale strada Saurina, almeno stando alla logica ed a quanto dal sottoscritto udito durante un convegno organizzato dal partito socialista presso la sala del consiglio provinciale di Potenza qualche mese fa, tra grandi sognatori che pensano di far cambiare idea ad un governo che ha deciso altro – ponte sullo Stretto – piccoli sognatori chi pensano che basti un tunnel autostradale declassato per non incorrere nei divieti del ministero dell’ambiente che di fatto impediscono l’opera, realisti che con qualche competenza dicono che persino in sede U.E. proprio non ci si pensa ed il sottoscritto, neppure invitato, che dichiara di propendere per una linea ferroviaria regionale a tagliare dolcemente una terra delicata, connettendo territori dall’isolamento scandaloso.

Potrebbe così essere che la firma a questo protocollo sia una sorta di risposta a quel convegno, quando ad un prossimo inizio di giunta regionale si tenta di orientare decisioni, quindi spese, quindi quasi sempre clientele ed interessi di bottega. Non sappiamo e ci limitiamo a segnalare la cosa.

Ma ben oltre i calcoli che qualcuno potrebbe voler fare, la questione del ripristino di quella tratta ferroviaria è oggi di vitale importanza per la nostra regione, soprattutto in previsione di un relativo facile prolungamento della stesa sia verso la Val D’agri, che verso la Val Sauro attraverso poco costosi ed ambientalmente sostenibili tunnel ferroviari che forse metterebbero una fine alla querelle su una strada irrealizzabile, la Saurina, ed aprirebbero la via ad una nuova mobilità in regione.

Da un lato quindi l’irrealizzabilità di fatto a causa dei veti ministeriali, il gran costo e il devastante impatto ambientale e legale di una strada –sappiamo come funziona – dall’altra la sostanziale fattibilità, il costo molto minore ed il basso impatto di una ferrovia che porterebbe con sé quel lascito di 180 milioni di euro a disposizione della Regione, denari destinati alla Saurina che se lì non vanno, da qualche parte dovranno andare. Tolta la possibilità che i firmatari fossero saggi sostenitori di un altro trasporto, ecco forse spiegato il protocollo– più che l’opera, il finanziamento!  

Forse le nostre sono illazioni, speculazioni intellettuali, ma spesso abbiamo avuto ragioni da vendere.

Resta che quei denari, se oculatamente spesi, consentirebbero di finanziare circa 60 km del percorso ferroviario, e che addizionati dei 60 milioni di euro che annualmente la regione percepisce dalle royalties del petrolio della Val d’Agri, e che forse molto meglio che in P.O. si potrebbe spendere, in un quinquennio si porterebbero a circa 500 milioni di euro le somme a disposizione di un progetto vitale per la connessione pendolare tra Val d’Agri, Val Camastra e Val Sauro con il capoluogo.

Non scherziamo quindi con il progetto di rimettere in moto i treni tra Potenza e Laurenzana.

Miko Somma, coordinatore regionale di Comunità Lucana – Movimento No Oil

morire di tessera scaduta

Il documento e le cure negate a una piccola nigeriana perché il padre non aveva più il lavoro. Il caso all’Uboldo di Cernusco: la Procura apre un’inchiesta. E in duecento sfilano nelle vie di Carugate per protesta

Rifiutata dall’ospedale perché le era scaduta la tessera sanitaria, una bambina nigeriana di 13 mesi muore poche ore dopo. Il padre, in regola con il permesso di soggiorno, aveva appena perso il lavoro e non poteva rinnovare il documento che forse avrebbe strappato la piccola alla morte. «Uccisa dalla burocrazia», dicono gli amici della coppia, che ieri pomeriggio in 200 hanno sfilato per le vie di Carugate, hinterland di Milano, dove la famiglia vive. «I medici avrebbero potuto salvarla se non si fosse perso tutto quel tempo e se le cure fossero state adeguate. Se fosse stata italiana questo non sarebbe successo», grida ora Tommy Odiase, 40 anni, in Italia dal 1997. Chiede giustizia mentre stringe la mano della moglie Linda, di nove anni più giovane.

La notte del 3 marzo la piccola Rachel sta male, è preda di violenti attacchi di vomito. I genitori, spaventati, chiamano il 118. Arriva un’ambulanza che li trasporta al pronto soccorso dell’Uboldo di Cernusco sul Naviglio. Il medico di turno, in sei minuti, visita la paziente e la dimette prescrivendole tre farmaci. «Non l’ha nemmeno svestita», racconta la mamma. Sul referto medico si leggono poche parole: «Buone condizioni generali». Sono riportati anche gli orari di ingresso, 00.39, e di uscita, 00.45. Il quartetto, con loro c’è anche la figlia più grande, di due anni e mezzo, gira in cerca della farmacia di turno. Ma le medicine sono inutili e alle 2 di notte l’uomo torna al pronto soccorso. Vuole che qualcuno si occupi della figlia, che sta sempre più male. «Il personale ci risponde che “la bambina ha la tessera sanitaria scaduta, non possiamo visitarla ancora o ricoverarla”», denuncia il 40enne. «Un fatto di una gravità assoluta — sottolinea l’avvocato della famiglia, Marco Martinelli — . Dobbiamo capire se esistono delle direttive precise per casi come questo».

In mano Tommy Odiase ha un permesso di soggiorno da residente da rinnovare ogni sei mesi ma che scade in caso di disoccupazione. Il nigeriano, per ottenere il rinnovo della tessera sanitaria propria e delle figlie, doveva presentare una serie di documenti che ne attestassero la posizione, fra i quali la busta paga dell’ultimo mese. Licenziato solo sei settimane prima, la pratica si è trasformata in un incubo.

Davanti al rifiuto dei medici, l’ex operaio diventa una furia. Urla, vuole attenzione. Qualcuno dall’ospedale chiama i carabinieri per farlo allontanare. Forse dall’altra parte della cornetta ricordano che pochi giorni prima all’ospedale di Melzo, stessa Asl, era morto un bimbo albanese di un anno e mezzo rimandato a casa dal pronto soccorso. L’intervento dell’Arma risolve momentaneamente la situazione: Rachel viene ricoverata in pediatria. Sono le 3 di notte, «ma fino alle otto del mattino nessuno la visita e non le viene somministrata alcuna flebo, nonostante nostra figlia avesse fortissimi attacchi di dissenteria e non riuscisse più a bere nulla», raccontano i genitori. Nel tono della voce rabbia e dolore si mischiano. La sera del giorno dopo la situazione è critica, tanto che oltre alla flebo accanto al letto spunta un monitor per tenere sotto costante controllo il battito cardiaco. Alle cinque e mezza il cuore della bambina si ferma, dopo 30 minuti di manovre di rianimazione viene constatato il decesso.

I carabinieri acquisiscono le cartelle cliniche, gli Odiase presentano una denuncia per omicidio colposo a carico dei medici e dell’ospedale, la Procura di Milano apre un’inchiesta con la stessa accusa contro ignoti. Ora si attendono i risultati dell’autopsia, pronti per il 12 maggio.

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a proposito di emergency

“Che ne raccontino almeno di più credibili un chirurgo che opera e salva centinaia di persone, e che poi complotta per far saltare in aria un governatore, mi sembra una trama piuttosto fantasiosa”.”La verità è che noi siamo scomodi perché sbattiamo in faccia a tutti le immagini della guerra, i bambini feriti, mutilati, morti. Noi smitizziamo le varie missioni di pace, il mantenimento della pace, eccetera. Questa è la più grande operazione della Nato degli ultimi anni, e non c’è un solo giornalista per documentare ciò che succede”. “Noi curiamo i feriti, non ci interessa se sono talebani, terroristi o no. Se fossimo davvero una organizzazione vicina ai terroristi, non avremmo così tanti italiani dalla nostra parte”.

GINO STRADA

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