QUATTRO CHIACCHIERE SULL’ACQUA!

Scartabellando sul sito istituzionale della Regione Basilicata, capita di imbattersi in articoli come il seguente:

ACQUA, MOLISE E CAMPANIA COME PUGLIA E BASILICATA

De Filippo risponde a un’interrogazione di Navazio

13/07/2010 13.51.31
[Basilicata]

(AGR) – “La storia dell’ente irrigazione è una storia complicata che merita un’ampia e approfondita discussione in Consiglio regionale e mette in evidenza una diversità di vedute fra le regioni Basilicata e Puglia e il Governo”.
Lo ha detto il presidente della Regione, Vito De Filippo, rispondendo a un’interrogazione del consigliere Ernesto Navazio.
“L’accordo di programma del 1999 riguardante la gestione della risorsa idrica e siglato dalla Regioni Puglia e Basilicata e dal Governo resta ancora oggi un accordo storico per le innovazioni che introduceva nelle relazioni fra i territori su questa delicata materia. Non è un caso che oggi le regioni Molise e Campania stanno avviando lo stesso percorso. Quell’accordo si giocava non su una partita esclusivamente remunerativa considerato che l’acqua è patrimonio di tutta l’umanità, ma sulla necessità di introdurre forme di compensazione economica per tutelare meglio l’ambiente e la stessa risorsa idrica. Da quella felice intuizione nacque Acqua spa partecipata dalle due regioni con la possibilità del ministero dell’Agricoltura di entrare nell’assetto societario. Eravamo e siamo ancora oggi convinti che questa struttura possa determinare forme innovative nella gestione dell’acqua al posto dell’ente irrigazione che in questi anni si è fortemente indebitata e non si è più dimostrata all’altezza di assolvere alle sue funzioni. Il governo, invece, ha affrontato il problema diversamente ampliando il commissariamento con un commissario e tre sub commissari. L’unica novità, in questi ultimissimi anni, è stato il fatto che l’ente irrigazione ha obbligato i consorzi di bonifica a pagare l’acqua. Ma questo non è sufficiente ancora oggi a coprire i costi di gestione dell’ente che ammontano a 14,5 meuro l’anno. Noi, sul debito dell’ente irrigazione, non vogliamo mettere un solo centesimo. Eppure c’è qualche novità. Il ministro Galan ha risposto alle nostre ripetute sollecitazioni e nelle prossime settimane ci incontreremo meglio per capire in modo più approfondito le intenzioni del Governo su questa materia. Dopo questo incontro sarà opportuno che il Consiglio regionale si fermi a discutere su questo tema per decidere tutti insieme il futuro di Acqua spa”.

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Sarebbe stato interessante sapere qualcosa di più sull’interrogazione del Consigliere Navazio… ma l’ufficio preposto alla pubblicazione delle notizie sul sito ha voluto “sorvolare” sull’argomento. Dobbiamo fare uno sforzo non da poco per capire che, probabilmente, l’interrogazione aveva come argomento principale l’Ente Irrigazione! E che la storia dell’Ente Irrigazione sia storia complicata, non avevamo bisogno che il Presidente De Filippo ce lo ricordasse. Ma la cosa che ci lascia piuttosto perplessi – a parte una disquisizione abbastanza discutibile sulla presunta “storicità” dell’accordo di programma quadro tra le regioni Puglia e Basilicata e il Governo nazionale – è l’affermazione del Governatore della nostra Regione che voglio riportare integralmente: “Quell’accordo si giocava non su una partita esclusivamente remunerativa considerato che l’acqua è patrimonio di tutta l’umanità, ma sulla necessità di introdurre forme di compensazione economica per tutelare meglio l’ambiente e la stessa risorsa idrica. Da quella felice intuizione nacque Acqua spa partecipata dalle due regioni con la possibilità del ministero dell’Agricoltura di entrare nell’assetto societario. “. Ora, che l’acqua sia un patrimonio di tutta l’umanità è fuori di dubbio. Il dubbio che ci assale, invece, sta nel fatto che questo concetto viene fuori ogni qual volta vi siano minacce (esplicite o velate) di “privatizzazione” del bene acqua (o, meglio, della gestione del servizio idrico). Mentre non si fa menzione alcuna del fatto che la Società Acqua S.p.A., proprio per il fatto di avere una forma giuridica completamente privatistica, non lascia sperare nulla di buono. Presidente: ma di quale “felice intuizione” si va parlando? Ci voglia perdonare se la citazione che andiamo a fare potrà sembrarle irriverente; ma come Pier Paolo Pasolini scriveva “Io so”, a proposito di tutto ciò che è mistero di questa repubblica di cui siamo parte, anche noi di Comunità Lucana – Movimento no oil vogliamo “urlare”: NOI SAPPIAMO! Sappiamo che Acqua S.p.A. è il “grimaldello” col quale, in un futuro non molto lontano, si perverrà alla PRIVATIZZAZIONE di ciò che va sotto il nome di Servizio Idrico Integrato.

NOI SAPPIAMO! Non abbiamo però, come il poeta e intellettuale di Casarsa, LE PROVE. Forse qualche labile indizio, ma prove, purtroppo, no! Ma sarà un caso che la quota parte in Acqua S.p.A. della Regione Puglia sia il 40 %? Strano! Proprio la percentuale minima di capitale privato indicata in un decreto nazionale. E’ un indizio, ovviamente! Mica una prova?!?

E’ per questa ragione che Comunità Lucana – Movimento no oil, vede una eventuale discussione “collegiale” del futuro di Acqua S.p.A. come qualcosa di preoccupante. 

Meditiamo gente, meditiamo!

Antonio Bevilacqua – responsabile politiche sulle acque di Comunità Lucana – movimento no oil

Pubblicato in Blog

comunicato stampa di comunità lucana – movimento no oil

Chi osserva cosa?

 

Chi, come il sottoscritto ed il movimento che rappresenta, ha lottato per serie attività di monitoraggio su estrazioni e trattamento del greggio in Val d’Agri potrebbe sentirsi appagato dall’altisonante notizia della nascita dell’osservatorio ambientale, che è bene ricordare prevede in nuce accorte valutazione di possibili danni ambientali-sanitari causati dalle stesse estrazioni. Il sottoscritto non lo è affatto!

Se infatti l’altisonante e strombazzata notizia della nascita, per ora sulla carta, dell’osservatorio arriva con ben 12 anni di ritardo rispetto agli accordi del ’98 che pure lo prevedevano a tutela di popolazioni ed ambiente da estrazioni e trattamento di idrocarburi che ovunque si fatica a definire innocue – pare lo siano da noi! – c’è allora da chiedersi a cosa ed a chi attribuire non solo il ridicolo ritardo con cui arriva l’istituzione dell’osservatorio stesso, ma soprattutto a chi attribuire la mancata registrazione del “punto zero”, elemento centrale su cui basarsi nella lettura delle variazioni di emissioni inquinanti, punto che, oltre alla considerazione che in una zona agricola dovrebbe essere appunto zero, dopo tanti anni rende illeggibile la situazione attuale, mancando un affidabile dato di partenza ex-ante.

Così, anche ammettendo che l’osservatorio parta oggi, ogni valutazione partirà da questo momento e per il passato, almeno se vogliamo fissare la data del ’98 come punto iniziale di attività che risalgono più indietro nel tempo, una sostanziale sanatoria di valutazione sui danni ambientali e sanitari sarà il boccone amaro da digerire in una storia che vede non solo il mancato rispetto di una buona parte dei 12 punti dell’accordo con l’ENI, ma anche i ritardi ed i ritagli della perimetrazione e dell’istituzione – 17 anni – del Parco Nazionale, la cui presenza anche solo formale avrebbe impedito di realizzar pozzi all’interno dei suoi confini, come la Legge 394/91 recita. Giova ricordare che la prima perimetrazione del Parco risale proprio al ’91, l’epoca della legge, ed il decreto presidenziale di istituzione al 2008, in mezzo 17 anni di ricorsi serviti a realizzare il fatto compiuto delle estrazioni – ciò nonostante i pozzi nel territorio del Parco sono 14, altrettanti a pochi metri da quei confini così faticosi a delinearsi.

Al ritardo nell’istituzione dell’osservatorio possiamo allora aggiungere altri ritardi molto funzionali alla “petrolizzazione” di una valle che ben altre vocazioni avrebbe potuto sviluppare che non divenire una damigiana petrolifera, magari ricordando che vi sono concentrati oltre il 70% delle estrazioni italiane (l’83% se si considera il solo dato della terraferma). Non sarà l’Arabia Saudita, la Val d’Agri, ma pur trattasi di un ghiotto boccone che giustifica, nelle consuete trame italiane, ritardi e depistaggi.

La conclusione facilmente intuibile è che questo osservatorio non serve a capire cosa sia accaduto in Val d’Agri nel passato, se si siano cioè estratti e trattati idrocarburi in dispregio ad ambiente, salute e vocazioni del territorio. Vi è interesse a che ciò non avvenga e molte colpe per questo buco nero.

    

Colpa dell’ENI (ai tempi di Mattei Ente di Stato con strategica mission su quelle forniture di energia di cui il paese aveva bisogno per la ricostruzione e la crescita degli anni ‘50-60, oggi una spa al 30% di quota pubblica e votata al profitto come ogni spa) e della fretta nello sviluppo del giacimento? Colpa della politica regionale, presa da calcoli degli impatti clientelar-elettorali di royalties a cui si vorrebbe ridotto il problema petrolio, colpa della politica nazionale e dei suoi grandi calcoli strategici che non tengono in conto che si estrae e tratta petrolio in mezzo alla gente? O non piuttosto coacervi di colpe ed interessi intrecciati tra questi e molti altri attori, nell’inconsapevolezza ingenua di popolazioni che ancora aspettava uno sviluppo che se mai arriverà qualche prezzo pur lo farà pagare, senza contare ovviamente quelli del passato, sui quali non esiste il “punto zero”?

L’istituzione dell’osservatorio serve probabilmente più a far da pietra tombale a questi anni di far-west in cui incidenti e stranezze varie sono stati al meglio sottaciuti o blanditi quando non negati del tutto – nel frattempo il piano industriale del giacimento si è assestato e consolidato per la gioia di ENI e soci che è bene si ricordi nell’ultimo biennio hanno estratto in zona idrocarburi per un valore superiore ai 3 miliardi di euro – ma serve pure alla politica nazionale che se il federalismo lo fa su tutto o vorrebbe farlo, non lo fa però sugli idrocarburi estratti, saldamente in mano allo Stato che ne incassa le accise, ed ha interesse a che tutto fili liscio, magari tacitando i malumori proprio con l’osservatorio, ma serve anche a quella bassa politica locale che gestirà appalti e comodi impieghi per “amici” nel carrozzone  nella consueta attesa di un rientro allargato di consenso.

Se allora nel passato tutto diventa tabula rasa nell’imperscrutabilità di dati autocertificati ENI, controlli ARPAB dal sapore di beffe alla ragione comune in salsa di tutt’apposto, registri tumori i cui primi dati scientificamente utili risalgono solo al 2006 (come da telefonata che un consigliere regionale fece al CROB di Rionero di fronte al sottoscritto), dove mai saranno i danni ambientali, sanitari, vocazionali su cui creano allarmismi gli ambientalisti ? Non osservabili, quindi non certificabili, di fatto inesistenti.

Nella moltitudine di tavoli ed osservatori, ci augureremmo che alla domanda “chi osserva cosa?”, la risposta sia persone competenti ed oneste che trattino dati reali, accessibili, non filtrati, persone che all’occorrenza denuncino con forza. Ma d’abitudine in questa terra, di speranze  se ne vedon poche.

 Miko Somma, coordinatore regionale di Comunità Lucana – Movimento No Oil