QUESTO POZZO NON S’HA DA FARE!

Copio e incollo dal sito della OLA il seguente comunicato:

No alla messa in produzione del pozzo Cerro Falcone 2 nel Parco Appennino Lucano  

30 agosto 2010

 

La OLA (Organizzazione Lucana Ambientalista) ha appreso dal BUR Basilicata n.35 del 16 agosto 2010 che il Dipartimento Ambiente, Territorio, Politiche della Sostenibilità, Ufficio Foreste e Tutela del Territorio, con Determina dirigenziale n.866 del 20 luglio 2010 ha autorizzato i lavori di allestimento definitivo e messa in produzione dell’area Pozzo Cerro Falcone 2 (CF2), ubicato nel Comune di Calvello (Pz) di cui è titolare Eni spa. Nel constatare che gli uffici regionali autorizzano i suddetti lavori con un Regio Decreto Legge del 1923 – il n.3267 (Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani) – vecchio di 87 anni, e che l’autorizzazione regionale sarebbe stata rilasciata in assenza del parere obbligatorio previsto dalla normativa vigente da parte dell’Ente Parco e/o del Ministero dell’Ambiente, la nostra Organizzazione ricorda, invece, l’esposto relativo al pozzo Eni Cerro Falcone 2 ricadente nel SIC Serra di Calvello, ZPS Appennino Lucano Monte Volturino, nonché Zona 1 del Parco nazionale Appennino Lucano, in cui si denunciava agli uffici competenti del Ministero dell’Ambiente, Tutela del Territorio e del Mare la persistenza del relativo pozzo in spregio alle normative nazionali e comunitarie in materia di “habitat”. La OLA ricorda come il pozzo autorizzato di recente si trovi a poco più di cento metri dalla sorgente acqua dell’Abete, oggetto di due sequestri per inquinamento petrolifero da parte dell’autorità giudiziaria.

A tal proposito con nota datata al 24 febbraio 2009 e a firma dell’ex Direttore generale del Ministero dell’Ambiente Div. VII, dott. Aldo Cosentino, inviata agli uffici competenti della Regione Basilicata e al Commissario straordinario dell’Ente Parco nazionale Appennino Lucano, ing. Domenico Totaro, e p.c. alla nostra Organizzazione, il dott. Cosentino scriveva: “..si ricorda che l’attività di ricerca e di estrazione di petrolio nel territorio della Val d’Agri è già stata a suo tempo oggetto di interesse da parte della Commissione Europea, con Reclamo n.2000/5037, per inosservanza della Direttiva 92/43/CEE “Habitat”, art. 6 in materia di Valutazione d’Incidenza. L’archiviazione del caso fu determinata dalla decisione di spostare le attività di trivellazione all’esterno del SIC Serra di Calvello”. Inoltre, gli uffici centrali del Ministero dell’Ambiente chiedevano alla Regione Basilicata l’esatta ubicazione del pozzo e, se ubicato all’interno dell’area protetta, di conoscere se era stato espletato lo Studio di Incidenza come parte integrante alla Valutazione di Impatto Ambientale.

Considerato il “richiamo” ministeriale, i due sequesti ad opera del Corpo Forestale dello Stato previo provvedimento della Magistratura della sorgente Acqua dell’Abete di cui si è chiesto di conoscere dalla Regione Basilicata la natura, l’entità e la tipologia delle sostanze inquinanti relative all’area sequestrata nel 2008 e nel mese di agosto 2010, la OLA ha chiesto al Ministero dell’Ambiente l’emanazione di un provvedimento cautelativo che sospenda con urgenza l’efficacia dell’autorizzazione regionale. E’ stupefacente che gli uffici regionali autorizzino un pozzo che dovrebbe essere chiuso definitivamente, onde evitare ulteriori problemi ambientali, ed in particolar modo agli equilibri delle falde acquifere superficiali e sotterranee che potrebbero essere state compromesse dal cosiddetto processo denominato “hydraulic facturing”, detto anche “fracking”. Un processo che innesca la frattura idraulica del foro di trivellazione trattato con fanghi e fluidi perforanti che con molta probabilità è stata la causa dell’affioramento in superficie dei fluidi che hanno contaminato l’area e le sorgenti sotto sequestro.

 

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Noi non possiamo far altro che concordare con gli amici della OLA!

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