comunicato stampa di comunità lucana – movimento no oil

Serve un progetto per questa terra

 

L’estate politica non è tempo di progetti, magari di sintesi o di polemiche più o meno costruttive, volte a delineare scenari ipotetici o verosimili, sassi cioè negli stagni delle dinamiche politiche.

 

 

Se l’estate ha regalato in prima nazionale tragicommedia e farsa di uno schieramento in dissoluzione incapace di delineare scenari per un paese in declino di cultura civica prima ancora che politica, certo non poteva nella nostra regione che rappresentarci la satira di una politica nostrana incapace di tener fede agli impegni assunti, priva di idee, ma sempre abbronzata e in prima linea nel gran varietà estivo.

 

Se così all’inno di Mameli intonato dai cantanti istituzionali sui luoghi del nostro 1860 si fosse sostituito l’inno del “tutt’apposto”, nessuno avrebbe magari battuto ciglio, vista la capacità del sistema politico di cantare il nulla, pur essendo la regione proprio la stessa dello scorso 29 marzo.

 

Si obietterà che i pochi mesi trascorsi sono pochi per costruire il futuro ampiamente inflazionato di cui si sente troppo spesso parlare o per delineare soluzioni a vecchie problematiche, ma se il buongiorno si vede dal mattino non serve il meteorologo ad annunciare una giornata pessima, le cui nuvole non si sono disperse nello stucchevole rondeau di dichiarazioni sullo sconto-benzina alimentato dall’aumento del 3% delle royalties sulle estrazioni di idrocarburi, non certo si sono allontanate dai nostri cieli per la boutade (leggi buffonata) di quattro ragazzotte su una riviera altrui ad inneggiare al sistema Basilicata in risposta al ministro ex-creativo che ci accusa di sprecar risorse pubbliche, non certo disperse nella preoccupazione che la polarizzazione inevitabile del prossimo confronto elettorale tra il niente e il nulla di una politica nazionale intestina porti ad ulteriori non risposte ai problemi lucani.

 

E che la giornata si annunci davvero pessima non è Gaetano Brindisi, ma l’incapacità della politica di dar risposte ai tentativi del sistema produttivo di limitare i diritti in cambio di generiche rassicurazioni di continuità del lavoro che non trasmigra in Serbia solo se si china il capo, o di dare risposte ad alcune multinazionali dell’energia teste di ponte per il nucleare, o di dare risposte all’arroganza del sistema idrocarburi che intende trasformare tutta la regione in un gran campo petrolifero o ad alcune cricche interessate all’incenerimento dei rifiuti o ad acqua, vento, sole, boschi, in un precipitare dell’economia lucana e delle condizioni dei lucani che non potrà non favorire un ricatto divenuto ormai realtà.

 

 

Un ricatto che si basa sull’ovvietà che se alla sopravvivenza non c’è limite etico, sociale od economico da contrapporre che non stia proprio nella sua continuità e che una volta stabilito un confine, un limite, in mancanza di reazioni adeguate al suo superamento, si possa poi spostarlo a proprio piacimento, consapevoli che una reazione ancora una volta non avverrà, ed accade in Val d’Agri, dove è stabilito che ciò che ovunque causa danni a salute ed ambiente, da noi non faccia nulla, così che si possano realizzare pozzi anche di fianco ad un ospedale. O che accade in Val Basento, dove è stabilito che la chimica pesante non ha mai causato danni che non siano quella dannata bonifica che pur priorità dello Stato mai si è fatta, così che si possa continuare, ridotto il vincolo, finanziando pubblicamente altra chimica, discariche, stoccaggi sotterranei di metano o grandi servitù energetiche, o che accade sul Vulture, dove stabilito che a bere una certa acqua si rimanga giovani, non resta che tirane fuori più possibile, si dissecchino o meno le sorgenti, e si potrebbe continuare a lungo con tutti i confini che un  sistema produttivo onnivoro sposta ogni giorno sempre un po’ oltre.

 

Facile così pensare che un ceto dirigente che si esprime in classe politica, amministrativa, sindacale ed imprenditoriale o ha una visione distorta o assente di cose ed idee o è semplicemente connivente con una visione rapace della Basilicata da depredare di risorse, cervelli e braccia e da premiare con perline colorate e tozzi di pane, ritagliandosi al meglio il proprio ruolo nel sacco vandalico nel controllo ferreo di opinioni e consenso.

 

In questa terra due sono allora le possibilità, o vige la legge dell’esarcato o dei rais oppure, mancando del tutto idee e progetti per contrastare il declino, siamo davvero messi male e navighiamo a vista.

 

Serve allora un progetto per questa terra, una ragion d’essere che si ritrovi nella capacità di pensare a modelli altri di sviluppo in grado di coniugare senza ipocrisie o malintesi (leggi green economy) ciò che il territorio lucano può offrire senza che ne venga derubati, l’inconsueto di un paesaggio da scoprire in una incontaminatezza ancora ampia, una cultura della lentezza che non è ritardo, ma diverso modo di camminare, un senso della natura che non è vuoto da riempire, ma consapevolezza della sua rarità e della sua unicità erette a valore proprio di questo territorio.

 

Un progetto che sappia dare risposte di sistema all’agricoltura con un mercato ortofrutticolo lucano, la filiera protetta per il consumo interno, tutele economiche le per colture tradizionali e sanzioni per l’uso scorretto di pesticidi e concimi, di incoraggiamento alla creazione di strutture consortili o cooperative tra giovani disoccupati a cui affidare i terreni lasciati incolti e via discorrendo fino a soddisfazione della domanda interna e solo dopo alla conquista dei mercati esterni con quel brand di incontaminatezza da applicare non solo alle eccellenze, ma a tutta la produzione che ne accetti un disciplinare, un brand di territorio che non rimanga slogan per il sacerdozio ambientalista, ma causale di una vera differenza.

 

Un progetto che sappia riconvertire ove possibile il sistema industriale da claudicante messaggero di “novità” giuslavoriste a reale produttore di quella rivoluzione del fare che comincia dalla localizzazione degli impianti in rapporto alle potenzialità del territorio, accorciando distanze tra produzione e vendita, mirando all’integrità di equilibrati rapporti capitale-lavoro da ritrovare nelle forme dell’organizzazione piccolo-medio produttiva consorziata (agro-industria diffusa, filiere artigianali) o dalla apertura di flussi di finanza pubblica ad attività che non richiedano insopportabili ed irrealizzabili pesi infrastrutturali sul territorio (nano e bio-tecnologie, produzione di componentistica per energie rinnovabili e bio-edilizia).

 

Un progetto che miri al turismo in cerca di prospettive culturali-paesaggistiche differenti dalla piattezza omologata dell’offerta basata sul sistema villaggio vacanze che di fatto rende ogni luogo uguale agli altri e un progetto che miri alla democrazia diffusa, quindi ad un sistema di valori che ribalti lo scambio diritto-favore con cui s’è ammorbata la cultura sociale dei lucani sino a farne “mansueto” (citazione da un deputato lucano) popolo di individualisti a caccia di rapporti privilegiati con il politico di turno, quasi che l’interesse generale diventi optional e non di serie nella scocca del politico.

 

E’ tempo così che la si smetta di pensare al territorio come merce per un mercato mordi e fuggi, ad un contenitore per costosi divertimentifici o false prospettive industriali dai dubbi ritorni per gli investimenti pubblici, ad occasione low cost da imbellettare con improbabili sagre eno-gastronomiche per il turista da strappare alla concorrenza, ad una regione dove si ammaestra l’opinione pubblica con servizi di regime sugli organi di informazione, e si comici a programmare a dispetto di socialmente insostenibili leggi di mercato e malintese ideologie economiche che riducono gli uomini a consumatori ed attezzi di lavoro e non più a cittadini e lavoratori.

 

Produrre una differenza nella patologia da omologazione che affligge tutto l’occidente è la scommessa di una piccola regione del Sud Italia che non avendo numeri per concorrere con più corpose economie è proprio su quella piccolezza dei suoi numeri da riportare ad un ciclo economico locale non richiuso su se stesso che deve puntare con decisione, consapevole però che dove prospera omologazione ed indifferenza al destino ed al bene comune, prospera anche quell’industria del petrolio, quell’industria legale ed illegale dei rifiuti, quel mercimonio dell’acqua, quella subalternità storicizzata dei lucani, quel sistema del diritto reso favore, quel clientelismo che lungi dal delineare altro che periferia, crea quella latente o palese sfiducia nelle istituzioni e nelle sue attività, che inficia a monte quei monitoraggi che si usano a mo’ di bendaggi rassicuranti per l’opinione pubblica e che ormai non convincono più nessuno.

 

Figurarsi poi se ci convincono certe classi dirigenti sorde, mute e cieche persino di fronte all’evidenza che il berlusconismo sia ormai diventato cifra stilistica della politica italiana tutta e che alla necessità di una nuova “liberazione” non debba mai più corrispondere in questa regione il fardello di certi carichi insostenibili alla ragione prima ancora che alla democrazia.

  

Miko Somma, coordinatore regionale di Comunità Lucana –  Movimento No Oil