comunicato stampa comunità lucana-movimento no oil

comunita-lucana-jpeg.jpg

Siamo dunque al regime del grande fratello?

  

Nell’ultimo comunicato stampa diffuso, “trappole da bracconieri”, il sottoscritto aveva denunciato nella prossimità sospetta tra la conferenza stampa di presentazione della COPAM, conferenza petrolio ed ambiente di prossima tenuta a Matera e Viggiano dal 3 al 5 marzo p.v. con l’organizzazione delle regione Basilicata, e la convocazione di un bizzarro forum tra associazioni ed ente regionale, un più che svelato tentativo di captatio voluntatis a creare un clima più favorevole alla riuscita dell’evento.

 

 

Del forum fornisce notizie in un lancio il sito istituzionale basilicatanet già alle ore 18.30 dello stesso venerdì 25/02, a forum ancora in corso, e lo fa in modo non conforme alla realtà nonostante fosse presente non l’ultimo dei suoi cronisti, ma Giovanni Rivelli, responsabile del sito che evidentemente era in qualche altro forum se afferma che c’è stato sostanziale assenso alla tenuta della COPAM.

  

Il sottoscritto prende la parola, dopo le introduzioni del presidente De Filippo (che va via prima di una mia replica preannunciata allo stesso), e dopo gli interventi dell’assessore Mancusi e del dirigente del dipartimento ambiente, Viggiano, con la chiarezza di sempre nel mentre saluta con riserve l’indizione del tavolo di cui però non sono note (e non lo saranno poi neppure in seguito) le funzioni, condanna senza riserve quella che giudica una conferenza senza contraddittorio dove non sono presenti voci critiche e che inevitabilmente finirà per magnificare il sistema petrolio in questa regione.

  

Il sottoscritto dichiara anche che se dialogo deve esserci deve partire dal sostanziale riconoscimento da parte della Regione dei molti errori commessi finora sulla “pubblicità” alle estrazioni, dal chiarire in modo non equivoco quali possano essere i compiti reali di un forum simile – ben oltre la pizza tra noi a cui accenna con bonarietà ferina l’assessore Mancusi – dall’aprire al confronto i dati sulle patologie tumorali, dalla indicazione di un sostanziale stop al proliferare di trivelle e pareri favorevoli da parte di uffici della regione alla trasformazione delle istanze di ricerca in permessi, ricordando infine che un piano dei rifiuti alternativo all’attuale gestione era stato spedito a consiglieri regionali e componenti della giunta e che si attendeva su questo inoltre la convocazione in audizione presso le commissioni ambiente ed attività produttive.

  

Gli interventi che sono seguiti, compresi quelli di WWF e Legambiente, non hanno affatto citato alcun parere positivo sulla COPAM, registrandosi semmai differenze di posizione su alcune tematiche più legate alla prossimità di alcune sigle all’istituzione – addirittura in ultimo un responsabile di Libera si è lasciato andare ad imbarazzanti esternazioni filosofiche – insomma quel “sostanziale accordo” di cui scrive nel lancio basilicatanet sulla conferenza COPAM corrisponde al silenzio quasi assoluto.

  

Ora se il silenzio diviene sostanziale accordo o c’è distrazione del cronista o c’è pura disinformazione che diviene in questo caso conferma di quanto dal sottoscritto denunciato come il tutt’appostista, per certi versi maldestro, tentativo di far passare mediaticamente il sistema petrolio in questa regione con un’alzatina soddisfatta di spalle verso i gravi allarmi che alcune associazioni denunciano da tempo e che non potendosi affrontare con temi, si preferisce affrontare con blandizie ed in certi casi minacce.

  

Blandizie che si svelano nella chiamata ad un senso di responsabilità che par inteso come supina e dormiente acquiescenza nei confronti di chi a quasi un anno dall’assunzione della delega ancora si schernisce del poco tempo avuto a disposizione, minacce che si mostrano nell’obbligo alla “fiducia” che paiono esser diventati un profilo psichico di poteri politici alla corda delle proprie contraddizioni.

   

Che il cronista valuti se il suo atteggiamento sia stato consono o meno alla deontologia professionale – non ci importa granché – nel delineare assensi “sostanziali” alla conferenza che solo lui ha voluto vedere, ma che la si smetta di confondere ad arte per “allarmismi” schizofrenici quelli che sono veri e propri allarmi dettati da una realtà che non si vuole o può ammettere, perché se ciò accade il regime, nei mille aspetti in cui esso si mostra, a cominciare dalla distorsione della realtà, è dietro l’angolo.

  

E seppur a volte il sottoscritto stesso è in contrasto con talune posizioni a cui si chiede un maggiore raccordo operativo sistematicamente eluso, la domanda che si pone, conferenza o meno, è “siamo dunque al regime del grande fratello?”.

 Miko Somma, coordinatore regionale di Comunità Lucana – Movimento No Oil

disinformatjia

Riunito forum ambientalista: via a un confronto permanente

 

25/02/2011 18:26

Obiettivo: lavorare insieme pur nella distinzione dei ruoli per costruire uno sviluppo sostenibile. Apprezzamenti per l’indizione della Conferenza Petrolio e Ambiente

 

AGRIl presidente della Regione Basilicata Vito De Filippo, con l’assessore all’Ambiente Agatino Mancusi, il direttore generale dello stesso dipartimento Donato Viggiano e il capo di Gabinetto della Presidenza della Giunta, Raffaele Rinaldi, ha incontrato oggi il forum ambientalista a cui hanno preso parte una ventina di sigle espressione delle principali organizzazioni di tutela dell’ambiente e di diverse realtà locali.
Scopo dell’incontro avviare un tavolo di confronto al quale far approdare le principali questioni destinate a incidere in materia ambientale per l’individuazioni di scelte condivise “pur – è stato osservato da più parti – nella distinzione dei ruoli”.
Sia gli esponenti regionali che quelli del mondo ambientalista hanno messo in guardia rispetto ad approssimazioni e catastrofismi, o a notizia gridate attraverso i mezzi di comunicazione, che, nel demonizzare ogni opzione possibile, rischiano di far perdere di credibilità anche all’azione di tutela dell’ambiente che, si è osservato, sia le associazioni che gli esponenti dell’Ente portano avanti nell’interesse dei cittadini e del territorio.
Sostanziali apprezzamenti sono venuti sulla scelta della Regione di dare vita alla Conferenza Petrolio e Ambiente per diffondere al massimo le informazioni sulle attività estratte in Basilicata e una filosofia simile caratterizza l’attività della Regione in altri settori, dalla gestione dei rifiuti, ai procedimenti di valutazione di impatto ambientale, alle reti di monitoraggio.
Il tavolo ha ravvisato la necessità di individuare strumenti operativi di lavoro e consentire di portare avanti in modo stabile ed efficace il lavoro e far in modo ce incida effettivamente sulle scelte da compiere.

—————————————————————————————————————-

poi ditemi se non avevo ragione a denunciare la cosa nell’ultimo comunicato “trappole di bracconieri”…risposta a questa vera e propria disinformazione nel comunicato che seguirà

Pubblicato in Blog

27/02/2011

comincia l’offensiva di primavera di comunità lucana-movimento no oil…attendiamo persone serie e motivate tra noi per urlare un grande no a queste gestioni dissenate di un grande patrimonio naturale, paesaggistico, umano, che si trasformi in un progetto per una regione che “deve” vivere…non abbiamo nulla da offrire che non siano idee e passione civile

miko somma

comunita-lucana-jpeg.jpg

a tramutola

Alcuni genitori  degli alunni della scuola primaria e  di quella secondaria di I grado,   hanno  chiesto  a questo gruppo, di avere notizie circa la sicurezza strutturale degli immobili scolastici del paese.

Venerdi  25 febbraio 2011 abbiamo  presentato richiesta al Comune, per poter prendere visione ed estrarre copia dei certificati di agibilità e dei collaudi della scuola primaria e della scuola secondaria di I grado di Tramutola.

Aspettiamo!!

marica la salvia coordinatrice cittadina di comunità lucana – movimento no oil

Pubblicato in Blog

contributi per riflessioni senza veli

pubblico con l’autorizzazione dell’autrice questa riflessione sulla scuola pubblica di primo grado di maddalena rotundo, insegnante..ricordo a chiunque voglia pubblicare propri interventi di spedirli all’indirizzo di posta elettronica raggiungibile dal banner del blog…saranno vagliati e pubblicati dal sottoscritto se l’argomento è consono alle tematiche trattate sul blog

Della scuola primaria. Un appello alla politica, alla società civile e alla classe docente.

A due anni dall’introduzione della riforma Gelmini, come procede l’opera di screditamento della scuola pubblica? Bene! Grazie alle migliorie apportate, la scuola ha raggiunto il massimo punto di involuzione dalla legge Casati in poi. L’aspetto più esecrabile delle scelte adottate risiede nel considerare legittimo che l’organizzazione scolastica non sussegua ad una visione scientifica della didattica,  ma possa subire l’adeguamento coatto  ad un regime di ristrettezze economiche sopraggiunto, e che anzi le possa essere addebitata, con interpretazione arbitraria di dati, la responsabilità di sprechi e di una gestione irrazionale delle risorse umane. Lasciando intatto l’impianto  degli obiettivi da  perseguire, appartenenti alla precedente formulazione teorica, il ministro ha  potuto affermare  che, tagliando i fondi, si può allo stesso modo -e meglio -perseguire la compiuta realizzazione delle personalità dei discenti.

 

Nei  fatti, agli appelli sull’importanza della scuola rivolti ai governi, in documenti  come  il libro bianco  Cresson, gli  art. 149 e 150 di Maastricht, la Costituzione Europea, le Raccomandazioni del 2006 e la Strategia di Lisbona, la scuola italiana  risponde tagliando i viveri e facendo mostra di adeguamento formale a certi parametri, innalzando per esempio  il valore del  rapporto insegnanti/alunni, senza migliorare  la qualità della vita scolastica; che anzi peggiora proprio in seguito all’aumento degli alunni per classe.

 

Nel contempo  si  conferma la velleità che l’istituzione raggiunga gli standard europei, senza i quali i nostri titoli di studio non avranno validità nei paesi dell’Unione.

 

Il risultato  finale dell’opera  è così tendente al pessimo che anche le recenti note e leggi sui disturbi specifici e sull’ADHD, nella cornice di un quadro simile, rischiano di rimanere lettera morta. Si introducono precisi luoghi prescrittivi nel momento in cui  , crescendo il numero degli alunni, aumentano le possibilità di trovare più casi di  bambini con quelle difficoltà nella stessa classe , che vanno a sommarsi alla percentuale sempre più alta di stranieri. E’  una situazione contraddittoria, che vanifica la serietà  di leggi che presumono che l’insegnante debba intervenire in maniera individualizzata, in una classe dai 25 ai 28 alunni.

 

E’ oltremodo  incredibile che  non ci si avveda  che i rilevamenti delle prove INVALSI, o i sondaggi forniti da istituti di ricerca, in mancanza di una seria politica  sulla scuola , non monitorano il grado di efficacia dell’istituzione scolastica, ma  fotografano il mero dato socio-economico che discrimina il nord e il sud, la periferia e il centro, e il ceto sociale,  che a quelle performance è  collegato; e a maggior ragione si attendono negativi se le possibilità di intervento a favore di un miglioramento delle prestazioni calano drasticamente, a seguito dell’aumento del numero degli alunni per classe.

 

Alla  base delle determinazioni adottate c’è  più di una considerazione assunta acriticamente.

 

La prima riguarda  l’ incriminato rapporto 1:10 ( un insegnante ogni dieci alunni ) che la legge alza di un punto; esso è un’astrazione ottenuta sulla base di una media aritmetica che comprende gli insegnanti di sostegno, di inglese e gli insegnanti di religione.  Il suo ritocco verso l’alto ha  prodotto l’aumento del numero di alunni per classe fino a 28 , senza che questa decisione abbia potuto trovare un argine da parte degli addetti ai lavori, e nonostante il parere negativo di organizzazioni di genitori. Se questo rapporto fosse reale come propagandato, quale ragione impedirebbe a una riforma di portare le classi di scuola primaria al numero di undici alunni con un insegnante? Quando poi i sindacati trasformano la questione dei 28 alunni per classe in un problema di sicurezza- al quale lo stato facilmente ha potuto  rimediare stanziando soldi per l’edilizia e per allargare le porte- il discorso sulla scuola può  esaurirsi nella questione dei metri quadrati per alunno e della messa in sicurezza degli edifici .

 

Il secondo  assunto è che in Italia non esista più lo svantaggio culturale, e che, sopravvenendo da una situazione  ambientale più stimolante rispetto al passato,  l’alunno sia in grado di sistemare organicamente il suo sapere già nella scuola primaria  senza l’intervento dell’insegnante.

 

In verità l’educazione scolastica non gode più di grande considerazione da parte dell’opinione pubblica e di riflesso non ne gode da parte di chi sulla base di quegli umori costruisce i suoi consensi elettorali.

 

Riuscire a far passare per riforma pedagogica quella che è tecnicamente una controriforma, con tutte le caratteristiche tipiche di azzeramento, ripristino delle condizioni passate e di insensibilità alle esperienze, bollate come scelte sbagliate di precedenti governi, è indice dell’approccio superficiale e della disattenzione generale al  tema.

 

Ora bisognerebbe dire che il ritorno del maestro unico, contestualmente all’ innalzarsi del   rapporto numerico, non diminuisce l’efficacia educativa in senso assoluto, ma riduce drasticamente le probabilità di intervento, ne annienta la sistematicità ,  rendendo inefficace qualsiasi azione a favore di chi manifesta difficoltà. “Ma i maestri di prima come facevano?”: questa è la domanda che si pone il nuovo pedagogo quando paragona  in modo scorretto  la vecchia scuola – dove  lo svantaggiato passava dai banchi al  bracciantato agricolo- alla nuova- dove egli deve pervenire, per dettato  costituzionale, ad una soddisfacente alfabetizzazione culturale dai livelli  sempre più alti, e le cui  prestazioni vengono rilevate e sbattute in prima pagina a riprova dei bassi livelli della scuola italiana.

 

Tuttavia, volendo andare a ritroso, oltre la  congiuntura negativa che ha indotto  a relegare in secondo ordine la spesa scolastica rispetto ad altra spesa pubblica, notiamo che un problema di rappresentatività delle istanze della scuola in seno alle istituzioni c’è da anni.

 

A che cosa sia dovuto è presto detto: la scuola è un sistema gerarchico, attraverso il quale le pretese  ministeriali, divenute legge, anche senza dibattiti democratici e grazie a maggioranze ottenute con leggi elettorali di seconda scelta, ridiscendono  in scioltezza la china dei sottoposti privi di facoltà di veto. E siccome oltre al danno c’è la beffa, questa stessa scuola  è  denominata “dell’autonomia”, volenteroso prodotto della legge Bassanini, che declama che le scuole pervengono all’ “autonomia organizzativa didattica e di ricerca e di sviluppo”.  Invece esse  sono rimaste allocate  all’interno di un sistema verticistico, dove  le decisioni nel dettaglio delle problematiche amministrative  sono imposte dal ministero, e da esse non può che scaturire l’impossibilità di decidere autonomamente. Chi deve stimolare l’applicazione di una qualche  teoria scientifica che motivi l’assetto organizzativo della scuola così che essa  possa mettere in pratica gli obiettivi  europei ? Chi la deve adeguare al territorio ? Attualmente vengono calate dall’alto direttive; ma chi è capace di rappresentare dal basso le esigenze della scuola italiana? Gli uffici scolastici regionali sono presìdi di burocrati; i dirigenti scolastici relegati al ruolo di esecutori  di disposizioni; il sindacati per anni appiattiti sulle questioni occupazionali; istituti di ricerca dove non si  sa  che cosa si ricerchi. E gli insegnanti? La perdita di prestigio sociale della categoria è andata di pari passo con la perdita di potere decisionale. Il loro parere non vincolante   soccombe davanti alla larga discrezionalità di dirigenti e dei burocrati. In questo senso l’impreparazione dei docenti, spesso attribuita alla  volontà o alla qualità dei singoli ma che è invece logica  conseguenza  di un sistema che non ha saputo adeguarsi  alle esigenze culturali  della società moderna, diventa un problema secondario, e forse, a questo punto, un dato da salvaguardare.

 

 La perdita di potere decisionale è una perdita di potere politico, e di consapevolezza di categoria.  A  gettarvi  ulteriore  discredito   sta per arrivare  la normativa  sul merito,  che  con un colpo di mano il ministro Gelmini ha  introdotto nel “Milleproroghe”, approvato ricorrendo alla fiducia. Ancora una volta una visione unilaterale si impone, sposta l’attenzione dai veri  problemi che sono quelli strutturali e addossa  la responsabilità di  disfunzioni e problemi alla categoria dei lavoratori,  per punirla e demotivarla. La scuola avrebbe bisogno di ben altro: prima di tutto di  una  riforma  degli organismi democratici, che   comporterebbe l’affermazione di  una vera  autonomia.  Quando gli  operatori non possono decidere della struttura organizzativa nei suoi aspetti significativi essi non prendono mai consapevolezza dell’importanza del  proprio ruolo e delle conseguenze dei propri  gesti.   

Una scuola  in cui le decisioni sulla  qualità degli interventi a favore dell’integrazione, delle opportunità, dell’apprendimento vengono prese da  entità che operano al di fuori del contesto scolastico e senza nessuna relazione con esso, non è autonoma . Purtroppo per giungere a queste consapevolezze ci vorrebbero soggetti politici  culturalmente più dotati.  Soprattutto occorrerebbe che   l’opinione pubblica e l’elettorato si ravvedano  rispetto alle funzioni della scuola nel nostro paese. 

Maddalena Rotundo  

Pubblicato in Blog