Com. stampa Comunità Lucana-Movimento No Oil verso il partito della Comunità Lucana

questo comunicato non è stato inviato al sito istituzionale di basilicatanet, visto quanto già da noi espresso circa l’opera di confusione che puntualmente viene messa in atto o per imperizia (e ci può stare visti i criteri) o per cosciente manipolazione bulgara (cosa molto più probabile) delle affermazioni dei comunicati, il cui senso non andrebbe distorto, ma semmai solo adeguato alle esigenze di spazio concessogli in ciò che dovrebbe essere una sorta di rassegna dei comunicati inviati

tale attività riprenderà solo a seguito delle scuse ufficiali del sito basilicatanet

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Tra i martelli dei favori e l’incudine della rassegnazione…è arrivato il tempo di cambiar registro.

  

Non avendo alcuna intenzione di alimentare dibattiti che nascono dall’estemporaneità traslata dalla TV e vissuta nella strumentalità del gioco delle posizioni nella politica regionale e nazionale che tende ad alimentare differenze nella realtà non esistenti affatto sul tema petrolio (noi continuiamo a leggervi una l come unica differenza), vorremmo stare ai fatti.

  

I fatti dicono che l’accordo del 98 con ENI e l’intesa con lo Stato sono state del tutto od in buona parte disattese e nonostante ciò si è arrivati nel volgere di una consiliatura e mezzo alla firma di un accordo con Total per Tempa Rossa, alla firma di un accordo con Geogastock per lo stoccaggio di gas in Val Basento, alla firma di un memorandum di intesa per ulteriori aumenti produttivi, il tutto nelle more dei continui assensi a riguardo di tutti gli altri permessi od istanze per idrocarburi che interessano buona parte della regione e che, se il corpo è guidato dalla testa, significano che esiste una volontà politica di fondo a perseguire la strada dell’asservimento al comparto energia del territorio regionale, anche oltre le zone interessate ad oggi dalle estrazioni.

  

O, in caso il corpo fosse un’entità altra rispetto alla testa, che esiste una grave schizofrenia di fondo in una politica regionale che lascia decidere nel merito ai funzionari, senza ragionare sull’opportunità o meno di tirare il freno a mano di fronte a simili fenomeni che è oggettivamente difficile negare come un processo di petrolizzazione tout court della regione.

  

Se infatti consideriamo Val d’Agri e la Val Camastra come ormai “perse”, la Val Basento come il punto di cesura tra i disastri del passato e quelli del presente, nella più irrimediabile compromissione che comporta aggiungere ai primi anche i secondi nella prospettiva che questa martoriata area diventi un regolatore di portata di un grande gasdotto, la Val Sauro incamminata al suo destino, già il barlume di un ragionamento o di un sano realismo avrebbe fatto mettere in discussione l’interezza dei processi di funzionalizzazione del territorio al comparto energetico.

  

La sua opportunità quindi, anche e soprattutto in considerazione di quelle che si sono definite come “scoperture”, che sia i sistemi di controllo ambientale che sanitario, sia la più generale criticità legata all’attività di misura dell’estratto (e quindi di misura delle royalties) non controllata dalla Regione ed affidata al senso di fiducia in un “pezzo” dello Stato facilmente intuibile come “infiltrato” da interessi ad estrarre, rendono palese persino al cittadino che “pesa” visceralmente la questione sulla percentuale di queste e non su considerazioni di più ampia natura e portata, la programmazione cioè del territorio.

  

In altri termini, in questi anni abbiamo assistito al dissolversi del valore di programmazione dei territori, al meglio foraggiati da programmi “bizzarri” di spesa, in uno sconvolgimento delle scelte di fondo che pure attenevano a originarie e per molti verso ovvie vocazioni degli stessi, ed all’accettazione di status quo che si imponevano nei fatti e che solo ingenuità od ipocrisia hanno pensato poter convivere con le filiere dop, i parchi o il turismo, mentre nella realtà esse soccombono di fronte al settore estrattivo che, per sua intrinseca natura è invadente non solo l’ambiente fisico, ma il portato economico, sociale e culturale, condizionando pesantemente le attività imprenditoriali e le relative aspettative occupazionali, nella banalità che sostenere dop e turismo diventi addirittura uno spreco di risorse in quelle zone.

  

Eppure nonostante sia chiaro che le succitate zone non diverranno o ritorneranno mai più eccellenze ambientali, agricole o paesaggistiche da fare valere nel borsino dell’attrattività delle stesse, non solo non si è posto rimedio alle criticità emerse – pardon, scoperture – con l’ovvietà di una riforma “seria” di ARPAB che non si è certo esaurita nella nomina di un nuovo direttore, nell’ammissione specifica degli errori, nella rimozione di “qualsiasi” causa ostativa alla funzione ed al funzionamento di una agenzia di enorme valore di garanzia (come legge recita) e nella messa in discussione del ruolo di “supplenza” di alcuni funzionari di dipartimento regionale, ma nel perdurare di queste si è comunque andati avanti, si è firmato un memorandum che spiace pensare tutta la politica trasversalmente consideri buona cosa, e si continua a non opporsi alla prosecuzione degli iter amministrativi degli altri permessi che pongono il pregiudizio di quale possa mai essere il futuro di questa regione se non si dice mai di no.

  

In questo quadro appare quasi comico che i massimi organi istituzionali si spellino la lingua nel tentare di far coincidere demagogicamente promesse di non concessione di ulteriori assensi alle richieste di rilascio di pareri se non si rispetteranno le condizioni del memorandum o che cerchino di minimizzare i tanti punti oscuri dell’intera faccenda petrolio con utilizzi di ipocrite locuzioni tranquillizzanti, ricordo di una politica antica che presupponeva i cittadini lucani ignoranti da ammansire tra i martelli dei favori e l’incudine della rassegnazione. Un luogo comune evidentemente ancora in voga in certe stanze.

  

Ed appare ancora più comico pensare che in futuro ciò che ha caratterizzato il passato non ripresenti tal quale ogni sua caratteristica, visti i numeri in gioco e la possibilità dei settori strategici di influire sul senso stesso di quelle scelte nazionali che, in Val di Susa, come in Basilicata, pongono la questione e le conseguenze di un certo sviluppo di un “altrove immateriale” ben al di sopra del diritto alla tutela del territorio che pure costituzionalmente è diritto garantito, oltre che prospettiva di uno sviluppo altro.

  

Più semplicemente un solo centesimo di aumento o diminuzione del prezzo del barile, potrebbe avere effetti devastanti in un quadro locale dove si pensi al petrolio e alle sue ricadute come fonte finanziaria di gestione ordinaria, nell’impossibilità di potere influire localmente sulle variabili come prezzo e volumi  d’estrazione e se ci sono comprensibili le preoccupazioni sul tenore dell’economica di una regione che rischia il collasso ad ogni starnuto della FIAT ­­- profilassi 18 milioni di euro donati per il centro ricerche? – la risposta non può essere né solo aumenti delle royalties, come vagheggiato da alcuni immemori di una legislazione nazionale che le ha stabilite, né baratti tra assenso acritico all’estrazione e “miracoli” occupazionali delle valli dell’energia o amenità simili.

  

Ciò che serve è una seria discussione sulla programmazione dei territori che dagli anni ‘80 si attende, nell’apposizione di limiti legislativi regionali inequivoci all’estensione dei permessi per idrocarburi che a partire proprio da un processo di programmazione realistica nascerebbero naturalmente, un processo che, se pur deve per necessità di cose tornare a privilegiare le scelte agricole di qualità e le sue filiere agro-industrialì, espellendo ogni ipotesi di produzione no-food ed agri-energetica se non residuali alle prime, pur necessita di una sua parte industriale, ma riportando in discussione quale il modello adatto alle peculiarità intrinseche al territorio sia preferibile in quanto passibile di ciclicità e compenetrazione  al territorio ed alla popolazione, non certo alla sola presenza di materie esauribili che causerebbero la diaspora delle stesse intraprese ad estrazione terminata o a benefit ridotti.

  

Dal momento che non crediamo affatto che tali ragionamenti non siano presenti nelle classi dirigenti lucane che, seppure non brillino di particolare acume, qualche considerazione in merito pur si saranno poste, dobbiamo desumere che la mono-cultura economica legata alle estrazioni che si afferma come modello economico della Basilicata hub energetico, sia una scelta motivata da qualche inconfessabile aspirazione personale che lega il proprio futuro politico al nullaosta alle stesse, dalle necessità di tener lubrificate le macchine del consenso locale per bisogne politiche a tutti i livelli attraverso i programmi operativi che sulle royalties si baseranno, dalle esigenze di tenere in piedi una macchina burocratica a supporto ed un regime consociativo a stampella, il tutto ben dosato in un mix venefico nell’attesa delle prossime elezioni.

  

Ma è arrivato il tempo di cambiar registro.

 

 

Miko Somma, coordinatore regionale di Comunità Lucana-Movimento No Oil

 

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per personale stima ed amicizia con il moderatore, si segnalo l’evento…

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03/03/2012

occorre comprendere che in val susa non c’è una protesta nimby, ma una chiara critica ad un sistema economico che pone a corollario di se stesso la distruzione di alcuni territori per uno sviluppo antropofago di un “altrove” immateriale…che riflettano gli uomini del “fare”…l’epoca della frontiera è finita da un pezzo ed ogni pezzo di territorio va difeso con fermezza!!!

miko somma