al presidente de filippo…con urgenza

21/11/2012

presidente de filippo, mi rivolgo a lei da queste pagine poichè so che le arriva comunque la mia voce (e perchè non posso mica scrivere comunicati stampa ogni giorno, così lo consideri tale)…

perchè l’ufficio compatibilità ambientale del dipartimento ambiente della Regione Basilicata, con delle semplici determine dirigenziali, la n. 1520 e la n.1535 del 26 ottobre 2012, pubblicate sul BUR n. 41 del 16/11/2012, a firma di un riviato a giudizio per l’affare arpab, il dirigente dottor salvatore lambiase, nonostante pareri contrari e le opposizioni presentate già nella fase preliminare di screening da parte di numerosi comuni delle aree dei permessi di ricerca ENI Monte Foi e San Fele, ha di fatto contraddetto la sua “moratoria”?…

forse ci sono dirigenti che “contano” più di lei e delle sue indicazioni politiche, ribadite dal voto in aula dell’organo sovrano regionale?…

le chiedo una immediata cassazione di quelle determine ai sensi delle leggi ordinarie dello stato, delle leggi regionali e soprattutto della coerenza e l’allontanamento temporaneo e fino a giudizio del dottor lambiase da quell’ufficio, poichè sottoposto a giudizio per presunti reati commessi nell’esercizio dello stesso …

subito, grazie!!!

miko somma

21/11/2012

l’egitto ha annunciato il cessate il fuoco fra israele e hamas a partire dalle 21 locali, le 20 italiane…chissà, anche ai tempi di piombo fuso ci furono tregue…totale (purtroppo temo paziale) dei morti israele 5 – palesinesi 162 (e non si comprende come mai le fonti occodentali parlano di 120)…rapporto 1 a 32,4…

l’attentato a tel aviv (8 feriti) non stupisce e non appartiene alla cultura di hamas (che in casi simili usa kamikaze per aumentarne il valore simbolico), facendo chiedere se non ci sia qualche operazione parallela di servizi che sono anche più deviati di quelli italiani (ed è tutto dire)…non scommetto su questa tregua, anche se spero di essere smentito

miko somma

ed in quanto a ciò che ho detto all’indomani dell’attacco e sulle intenzioni di far reggere la tregua…

(ANSA) – GERUSALEMME, 21 NOV – Se non dovesse reggere l’accordo sul cessate il fuoco ci sarà “una più dura azione militare” contro i territori palestinesi. Così il premier israeliano Benyamin Netanyahu nel corso di una conferenza stampa. Riferendo di un colloquio con il presidente Barack Obama e confermando l’accordo sul cessate il fuoco, Netanyahu ha inoltre detto che Israele e Stati Uniti coopereranno nella lotta contro il traffico di armi attraverso il Sinai verso Gaza “che provengono per lo piu’ dall’Iran”.

Comunicato stampa di Comunità Lucana

questa nota stampa non è stato inviata al sito istituzionale di basilicatanet, visto quanto già da noi espresso circa l’opera di confusione che puntualmente viene messa in atto o per imperizia (e ci può stare visti i criteri) o per cosciente manipolazione bulgara (cosa molto più probabile) delle affermazioni dei comunicati, il cui senso non andrebbe distorto, ma semmai solo adeguato alle esigenze di spazio concessogli in ciò che dovrebbe essere una sorta di rassegna dei comunicati inviati

tale attività riprenderà solo a seguito delle scuse ufficiali del sito basilicatanet

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Un piano casa per i professionisti del metro cubo.

 

Nell’esprimere la nostra soddisfazione ed il nostro ringraziamento per l’approvazione all’unanimità nel Consiglio regionale u.s. di una mozione sulla crisi di Gaza, mozione da noi sollecitata anche a mezzo stampa, nonché sul nostro blog e sui social networks e speriamo e crediamo con sollecitudine raccolta dal consigliere Mollica, che con grande sensibilità l’ha proposta all’aula, non possiamo però tralasciare qualche considerazione di merito sul cosiddetto “piano casa”, a tarda serata approvato anch’esso con l’astensione del presidente della III commissione, Romaniello, commissione dove si è tenuto per circa un anno la discussione sullo stesso.

 

Discussioni che ci pare non abbiano prodotto sostanziali modifiche locali ad un testo di legge, quello della n. 106/2011, conversione in legge con modificazioni del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, sulla base di una potestà comunque attribuita dal comma 14 dell’art. 5 alle regioni di poter legiferare altrimenti ed entro i 120 giorni dalla conversione, sulle materie di cui al comma 9, a) riconoscimento di una volumetria aggiuntiva rispetto a quella preesistente come misura premiale, b) delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse; c) ammissibilità delle modifiche di destinazione d’uso, purchè destinazioni tra loro compatibili o complementari, d) modifiche della sagoma necessarie per l’armonizzazione architettonica con organismi edilizi esistenti, nei limiti dei commi 10, sostanzialmente contro l’edificato in abuso e l’inedificabilità aggiuntiva nei centri storici o nelle aree già inedificabili ai piani esistenti, e nella vacatio colmata dall’articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, materie sulle quali la regione Basilicata norma con evidente ritardo e con effetti o conseguenze che giudichiamo in larga misura inutili o controproducenti.

  

In sintesi, i motivi che ci spingono ora a criticare, come già criticammo la legge statale in questione, ed oggi la normativa regionale appena approvata sono in quell’aumento di volumetrie (non certo come in modo erroneo ancora comunicato, delle superfici) sino al 20% degli edifici esistenti (e dei quali si fa in qualche emendamento una sostanziale legittimazione all’aumento anche per edifici nella condizione di abuso condonato), aumento che, concesso anche a condomini porterebbe ad un far west edilizio, soprattutto in accoppiata alla possibilità di derogare in altra zona opere di urbanizzazione a verde od a valenza pubblica attraverso la monetizzazione degli oneri, nella previsione di città che in conseguenza di ciò potrebbero vedere le proprie regolamentazioni urbanistiche, quando esistenti, modificate sino ad uno stravolgimento delle stesse, stravolgimento spesse volte auspicato in nome di pressioni a cui la ricerca di consensi per avventure elettorali non sembra estraneo.

  

Oltretutto ci chiediamo come possa la Regione, che non è riuscita neppur a “costringere” i comuni che la compongono ad approvare i regolamenti urbanistici di cui alla L.R. 23/99, a delegare a cuor leggero i suddetti aumenti di volumetrie in deroga all’autorizzato, la riqualificazione incentivata di aree urbane, le procedure per il rilascio del permesso a costruire, il permesso di costruire in deroga, l’approvazione dei piani attuativi e la Scia (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), ciò che nella legge n. 106/2011, all’art.  5 comma 1 capoverso b si sovrappone alla DIA (Dichiarazione d’Inizio Attività), nonché i cambi di destinazione d’uso di alcune strutture, la delocalizzazione dalle aree urbane alle aree industriali di attività non più compatibili con il contesto urbano di riferimento e via discorrendo, a delegare simili materie a strutture locali manifestamente non in grado di comporre quadri di riferimento urbanistico in grado di coniugare rispetto dell’ambiente, vivibilità urbana, diritto al paesaggio, sostenibilità energetica secondo il quadro del diritto corrente, oltre che della ragione.

  

Già, ma infatti è la ragione che dovrebbe guidare le previsioni urbanistiche e così le normative, ma in questo caso, come del resto nella legge nazionale di riferimento, si guarda al solo aspetto economico, in qualche modo reiterando un concetto dell’edilizia costruttiva come motore economico, così cemento uguale PIL, piuttosto che in maniera più moderna considerare che ugual peso e maggior indicazione per il futuro possa assumere una edilizia che ci piacerebbe definire di ristrutturazione, decostruzione funzionale, efficientamento energetico, nella via maestra di quella bio-edilizia che nel nostro territorio avrebbe ragioni e risorse sufficienti a coniugare piani di forestazione produttiva, sviluppo delle energie rinnovabili off-grid (fuori rete), tutela ambientale e sanitaria, diritto al lavoro, sviluppo di professionalità.

  

Così si arriva ad una legge sotto pressione, di sola valenza economica, dalla scarsa programmazione, che crediamo sarà di fatto resa inutile proprio dalla crisi, nell’ovvia considerazione che chi, in una crisi diventata devastante per le economie private, investirà denari per aumentare le cubature del proprio appartamento? Francamente pensiamo che a beneficiarne saranno i soli professionisti del metro cubo mentre la regione dovrà prepararsi a scempi e nuove, inutili, colate di cemento.

  Miko Somma, segretario regionale do Comunità Lucana. 

Comune Pz, Carretta su scale mobili Basento21/11/2012 13:09

BAS   “In una città con un ambizioso progetto di crescita, come Potenza, che mette ai primi posti dei suoi programmi quello sul trasporto pubblico, incentivare l’uso dei mezzi pubblici, rimane uno tra i suoi obiettivi più importanti.” Così il capogruppo del Pd, Gianpaolo Carretta per il quale “il trasporto pubblico urbano integrato, fatto di autobus, scale mobili e metropolitana, avrà la sua “cabina di regia” nel Centro Direzionale della Mobilità, che gestirà tutto il sistema della mobilità, con attività di monitoraggio del traffico, dalla ZTL, alle aree di parcheggio, agli itinerari degli autobus e gestirà otto punti dell’Infomobilità, che forniranno informazioni ai passeggeri e valuteranno anche il loro grado di soddisfazione.

Ai tre impianti meccanizzati del capoluogo al momento in funzione, si andrà a breve ad aggiungere il quarto impianto di scale mobili che collegherà la Stazione ferroviaria di Potenza Centrale al Mobility Center di via Nazario Sauro.

Il progetto, – continua- consegnato entro la fine dell’anno in corso, prevede la riqualificazione del piazzale antistante la stazione centrale e il suo collegamento con la zona di Viale del Basento, da una parte, attraverso un sottopassaggio, e gli impianti meccanizzati di risalita, dall’altra, che daranno un miglior accesso fino alla zona centro, se si pensa che giunti al Centro Direzionale della Mobilità ci sarebbe di là la possibilità di continuare con la scala mobile di Viale Marconi fino al centro storico.  

Il sistema verticale di trasporto, che fa di Potenza una città all’avanguardia, non si fermerà certo qui, – conclude- ma proseguirà con altri due impianti, uno tra il Polo universitario e Via Cavour, dove sta sorgendo la nuova area commerciale/residenziale, l’altro tra la stazione Fal di Piazza Crispi e il centro storico, che darà nuova linfa vitale per il trasporto urbano, rendendo il sistema sempre più fruibile per i cittadini e farà di Potenza una città moderna allineata agli standard d’Europa”.

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premettendo che c’è da fare un discorso complesso sul sistema di mobilità di potenza, discorso che a breve affronteremo, nel tono trionfalistico di costui un elemento spicca su tutti…la non conoscenza delle cose concrete…se infatti il collegamento delle nuove scale porta dalla stazione al cosiddetto mobility center, lo sa il signor carretta che per arrivare, come invece afferma con “leggerezza”, che dal mobility center di via sauro all’ingresso delle scale mobili di viale marconi ci sono oltre 700 metri, per di più in una buona salita?…non mi pare un bell’esempio di intermodalità…ma può essere che carretta non cammini a piedi e non sappia bene cosa siano 700 metri, magari trascinandosi dietro qualche valigia (si presuppone che dalla stazione ferroviaria molti passeggeri “potrebbero” essere utenti di trenitalia che arrivano in città, no?)…sarebbe auspicabili che alcuni parlassero dopo aver connesso il cervello alla bocca e non solo per fare propaganda spiccia!!!

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Consiglio regionale, approvato il ddl sul “Piano casa”

20/11/2012 21:02

Tra gli obiettivi del provvedimento, che punta ad armonizzare la normativa regionale con l’art. 5 della legge n. 106/2011, la riqualificazione delle aree urbane

ACR  Approvato in serata a maggioranza (con la sola astensione del consigliere Romaniello di Sel) un disegno di legge della Giunta in materia di “Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell’economia ed alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente”, che modifica alcune leggi regionali (la lr n. 25/2009, la lr n. 23/1999, la lr n. 37/1996 e la lr n. 23/1979) per adeguare la normativa regionale alle disposizioni dell’art. 5 della legge n. 106/2011 (costruzioni private).

In base alle disposizioni di questo articolo le Regioni devono approvare proprie leggi per disciplinare la riqualificazione incentivata delle aree urbane, le procedure per il rilascio del permesso di costruire, il permesso di costruire in deroga, l’approvazione dei piani attuativi e la Scia edilizia, vale a dire la previsione della modifica dell’articolo 19 della legge 241/1990 sulla segnalazione certificata di inizio attività.

Tra gli obiettivi del piano Casa la possibilità di ampliamenti entro il limite massimo del 20% delle superfici esistenti, il cambio di destinazione d’uso di alcune strutture, la delocalizzazione dalle aree urbane alle aree industriali di attività non più compatibili con il contesto urbano di riferimento.

Nel dibattito sul provvedimento sono intervenuti i consiglieri Santochirico e Braia (Pd), Mollica (Mpa), Navazio (Ial), Singetta (Gruppo Misto) e Pagliuca (Pdl).

Il Consiglio ha infine approvato all’unanimità un ordine del giorno collegato al ddl, proposto dai consiglieri Santochirico, Braia, Straziuso, Mollica e Singetta, con il quale si impegna la Giunta regionale “ad individuare e stanziare risorse finanziarie adeguate da destinare ai Comuni per le spese connesse all’istruttoria (comprese esecuzione indagini ed elaborazioni di tematismi cartografici), alla gestione (anche attraverso Sistemi informativi territoriali) e all’adozione dei Regolamenti urbanistici”.

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commentiamo questo lancio direttamente con il prossimo comunicato stampa…

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le lingue della lucania

vi posto questo lungo, ma spero interessante saggio sulla radice delle lingue parlate nella nostra regione, articolo tratto dal sito del consiglio regionale e che credo importante mettere in maggior evidenza sulle pagine del nostro blog che, come avrete avuto modo di verificare, non tratta solo di politica, ambiente o palestina (purtroppo…vorremmo davvero che nell’instaurarsi di una pace vera non dovessimo occuparcene per vicende sanguinose), ma anche di argomenti culturali, di quella formazione di una conoscenza di base che, lungi dal voler trattare da educatori, piuttosto trattiamo da “segnalatori di senso”…buona lettura in attesa dei commenti del pomeriggio… 

Le lingue della Lucania

Non esiste il dialetto lucano ma i dialetti lucani. Esiste cioè un pendolarismo tra vari universi linguistici che hanno coabitato per secoli, e che esprimono ancora oggi ciascuno una mentalità, una letteratura e condizioni sociali riconducibili alla stessa terra madre. Il profilo linguistico della Basilicata è sensibilmente frammentato, date le differenti vicende storiche che l’hanno attraversata, ma non esistono dei veri e propri confini dialettali: siamo in presenza, semmai, di un grande “ipersistema linguistico”, nel quale l’isolamento geografico e di conseguenza culturale hanno generato l’arcaicità ed insieme la vitalità delle forme. La loro individualità e molteplicità è una ricchezza per la regione, che ha saputo coltivare e tenere unite attraverso i secoli lingue e tradizioni diverse. Per comprenderne meglio le particolarità, è opportuno fare un breve excursus socio-linguistico.

La storia dei popoli della Lucania iniziò tanto tempo fa, nell’VIII secolo a.C., quando i Greci sbarcarono nella parte meridionale della regione. Qui fondarono alcune città, divenute presto floridi centri della Magna Graecia: Metaponto, Siri (Nova Siri), Turi (nei pressi di Sibari, in Calabria), Heraclea (Policoro), Pandósia (Anglona). Perciò il patrimonio linguistico greco nella Basilicata meridionale è considerevole, e si manifesta soprattutto nel lessico e nella toponomastica dialettale dell‘area metapontina. Molte sono, infatti, le parole di origine greca, tra cui: ì lágënë (le lasagne), che derivano dal greco λάγανον; u krúëpë (il letame) < κόπρος; cítrënë (giallo, pallido) < κίτρινοs.

Nel 198 a.C. le città greche e i Lucani si sottomisero al dominio dei Romani, che fondarono colonie a Forentum (Forenza) e Venusia (Venosa), ma anche a Pesto (Paestum), Buxentum (Policastro Bussentino) nel 194 e Forum Popilii (Polla) nel 132, oggi nella provincia salernitana. Solo Grumentum, costruita in età graccana (133-121 a.C.) all’incrocio delle due importanti vie di comunicazione romane, la via Herculea e la via Popilia, ha influito in maniera costante sulla latinizzazione della regione, alimentata essenzialmente dalla via Appia che, a partire dal secondo secolo, attraversando la parte settentrionale della regione, costituì un importante veicolo di innovazioni linguistiche. Tra le parole risalenti al latino classico troviamo, ad esempio, il termine “cugino”, da consobrinus, che ad Oliveto ed Aliano è u kússëprínë; a vënárrë (avena selvatica, Tursi) < lat. avenaria; kráy (domani) < lat. cras; piskráy (dopodomani) < lat. post cras.

Verso la prima metà del 1200 si registra nell’Italia meridionale e in Sicilia una massiccia presenza di immigrati piemontesi provenienti dal Monferrato, e di liguri dall’entroterra savonese. Probabilmente si trattava di gruppi di eretici valdesi in fuga verso terre simili orograficamente alle proprie. Furono accolti da Federico II, che li sottrasse così ai tribunali dell’Inquisizione. Gli idiomi degli immigrati gradualmente si sono fusi con quello degli indigeni e hanno originato una nuova parlata, il gallo-italico. In Basilicata l’influsso settentrionale è notevole nella parte nord-occidentale della regione a Potenza, Picerno, Pignola e Tito; nella parte meridionale a Trecchina. Più tardi, con il dominio degli Angioini sull’intero Regno di Napoli (1266-1442), la lingua locale si arricchisce anche dell’influsso francese.

A varie riprese, infine, dal secolo XV in poi, gli Albanesi sbarcarono nella regione e popolarono i comuni di S.Paolo e S.Costantino Albanese nella valle del Sarmento, e Barile, Ginestra e Maschito nel Vulture. Pur divenendo locali e laboriosi sudditi italiani, queste genti rimasero e sono rimaste albanesi etnicamente e linguisticamente.

Tutte queste popolazioni straniere che, nel tempo, si sono stabilite sul suolo lucano, hanno lasciato le loro tracce nei dialetti parlati oggi nella regione. In Basilicata non esistono dei veri e propri centri urbani di irradiazioni linguistiche, per cui si può assumere, come si diceva sopra, un ipersistema lucano dai molti particolari, comuni all’intera zona o maggioritari. Le lingue della regione appartengono al gruppo dei dialetti centro-meridionali, dove coesistono due sistemi: parlata locale e lingua nazionale (al contrario, ad esempio, di regioni come la Toscana e l’Umbria, dove le parlate locali si avvicinano molto alla lingua nazionale, e dove il concetto tradizionale di “dialetto” non esiste). Se le forme dialettali appartengono tutte ad un ipersistema, le persone che usano tali forme si fanno capire in tutta la regione. In definitiva, esistono un sistema e una norma individuale che per lo più s’inseriscono nel sistema e nella norma collettiva lucana: un chiaromontese, ad esempio, nella vita quotidiana può farsi capire a Melfi – ma non a Bolzano – kwánnë íllë párlë komë l’a fáttë mámmë súyë (“quando parla come l‘ha fatto sua mamma”, cioè in dialetto). I linguaggi di questa vasta area idiomatica, dunque, pur concordando nell’impostazione generale, hanno qualcosa di proprio e di caratteristico, per cui si differenziano in qualche modo l’uno dall’altro. Su tale differenziazione influisce notevolmente e reciprocamente la regione o la località confinante, per i frequenti contatti che hanno i loro abitanti. In dipendenza dell’influsso regionale nei dialetti della Basilicata si hanno tre tipi: nella parte settentrionale il lucano-campano, a est il lucano-appulo e a sud il lucano-calabrese. Quest’ultimo tipo è a sistema vocalico arcaico o latino, mentre gli altri sono a sistema vocalico meridionale moderno.

L’innovazione linguistica del sistema napoletano che cominciava a nascere in Campania già nel I secolo dell’Impero romano si diffonde nel sud dell’Italia grazie alle grandi vie di comunicazione, la via Appia (Roma-Napoli-Taranto-Brindisi) e la via Popilia (Roma-Napoli-Reggio Calabria). Attraverso queste due vie, ma soprattutto attraverso l’Appia, i nuovi registri raggiungono le parti settentrionale, occidentale e orientale della Basilicata sovrapponendosi all’antico sistema vocalico latino, ma non arrivano a toccare la zona lucano-calabrese, rimasta in tal senso più conservativa e arcaica. Il fenomeno più importante introdotto dal napoletano è la metafonia (assimilazione vocalica, dove la vocale tonica di una parola subisce l’influsso della vocale postonica), per cui troviamo capillë per “capelli”, misë per “mesi”, ecc., ma anche il passaggio da -B > -V (bere > vévëre), da D > R con dittongazione (dente > riéndë) e da -nd a -nn (mondo > mónnë).

Nella parte orientale della Basilicata, nella provincia materana confinante con la Puglia e nel Vulture-Melfese, si verificano fenomeni tipicamente pugliesi (ma sempre di derivazione napoletana moderna) come i dittonghi per allungamento che si trovano soprattutto in quelle forme dialettali le cui vocali risalgono alle latine lunghe -i, -e, -o, -u: lat. gallina > a gaddéin, oppure lat. mulu > u móul. Anche sul campo del consonantismo si verifica l’assimilazione progressiva dei nessi latini doppi -ng che diventa -nn, e -ld > -ll: a lénnë < lat. lingua; kállë < lat. caldu. Due altri esempi dell’influsso pugliese sul lucano sono il verbo ágghië (da habeo) e il pronome interrogativo cé (da quid) che diventano nell’ipersistema linguistico della Basilicata ággë e kké.

Per quanto riguarda il versante lucano-calabrese (detto anche“area Lausberg” dal nome del linguista che l’ha esplorata ed esaminata per primo), esso occupa una fascia tra Tirreno e Jonio a cavallo del confine con la Calabria, e ha il suo cuore nel massiccio del Pollino. Fino al Medioevo si estendeva con molta probabilità anche alle zone centrali della Basilicata, intorno a Castelmezzano (Trivigno, Anzi, Pietrapertosa, Campomaggiore, Albano, Laurenzana, Corleto Perticara), perché questi comuni presentano tratti sia innovatori che arcaici, avendo un vocalismo di tipo rumeno, che è un giusto compromesso tra il sistema napoletano e quello sardo dell’area Lausberg. Oggi la zona lucano-calabrese comprende i comuni della provincia meridionale di Potenza, a sud del fiume Agri (Francavilla in Sinni, Chiaromonte, Lauria, Castelluccio, Viggianello, Rotonda, Castelsaraceno, Senise, San Severino Lucano) e alcune località dell’entroterra materano (Valsinni, San Giorgio Lucano). Quest’area, per lo più interna e montuosa, è ricca di arcaismi linguistici poiché non è stata raggiunta dalle innovazioni del sistema campano: presenta, infatti, un vocalismo molto arretrato, simile a quello sardo, nonché la conservazione delle desinenze latine -S nella seconda (cándësë, tu canti) e -T nella terza persona singolare (vátë, va). Questa arcaicità deriva sicuramente da molteplici fattori: in primis dall’isolamento geografico dell’area dovuto in parte alla conformazione orografica, in parte alla mancanza di vie di comunicazione facilmente percorribili. Fin dal II secolo a.C. la Lucania era infatti attraversata da una rete viaria romana, la via Popilia (o Capua-Rhegium), la cui funzione era di carattere militare e di collegamento con la Sicilia. Era una scomoda, lenta e pericolosa alternativa al collegamento via mare. La via Popilia, attraversato il corso del Sele, proseguiva verso sud nel Vallo di Diano attraverso Nares Lucanas (Sicignano degli Alburni), Acerronia (Auletta), Forum Popili (S.Pietro in Polla), come testimoniano le carte itinerarie romane. Da qui s’inoltrava nelle montagne della Lucania meridionale, ma non se ne conosce il percorso preciso. Probabilmente passava per Cosilianum (Sala Consilina) e toccava Lagonegro, poi Nerulum (Rotonda) e sboccava in Calabria attraverso il valico di Campotenese. Nel tratto lucano la strada non era in buone condizioni, semi-deserta e rifugio di ladri e briganti. Anche il re Federico II si recava molto raramente in queste terre e sempre con parecchi sudditi al seguito, data la pericolosità del tragitto. Spesso imperversava, poi, la malaria e le popolazioni locali si ritiravano sui monti, allontanandosi dalla strada di comunicazione. Si spiega, dunque, l’isolamento dell’area Lausberg e la difficoltà di accogliere innovazioni linguistiche. La frammentazione dialettale attuale del territorio attraversato anticamente dalla via Popilia è sicuramente indice di una bassa intensità degli scambi tra le popolazioni, specialmente nelle zone interne.

Nella Lucania sono anche presenti, quasi isole o oasi linguistiche, due tipi di dialetti, che non rientrano nell’area idiomatica meridionale interna: l‘albanese e il gallo-italico. L’albanese, è una lingua indoeuropea con due dialetti, i cui confini vengono convenzionalmente divisi dal fiume Shkumbini: il Ghego a nord del fiume, e il Tosco a sud. La lingua Arbërisht o anche arbëreshë è una variante dell’albanese meridionale Tosco, misto al greco antico. In Basilicata si parla a S.Paolo e a S.Costantino Albanese nella valle del Sarmento, nonché a Barile, Ginestra e Maschito nella zona del Vulture. Questo perché, si è detto, tra la fine del secolo XV e l’inizio del XVI colonie di albanesi si stabilirono in questi paesi dopo che, nonostante l’eroica resistenza dell’eroe Giorgio Castriota Scanderberg, la loro patria era stata occupata dai turchi. Nella regione, come nel resto dell’Italia meridionale, gli albanesi hanno portato costumi e linguaggio propri. A Barile, ad esempio, sono riscontrabili elementi albanesi per lo più nel lessico: dura (porta), che deriva dall’albanese derë; kátër (quattro) < alb. katër; préfti (prete) < alb. prïft; štátt (sette) < alb. shtatë; ddímbri (inverno) < alb. dimri.

La seconda isola è costituita dai dialetti gallo-italici, di tipo settentrionale, presenti nel quadrilatero Potenza-Picerno-Pignola-Tito e a Trecchina, vicino Maratea. Riflessi di questi dialetti, sempre in dipendenza del mutuo influsso esercitato dalle località contigue, si riscontrano a Bella, Ruoti, Avigliano, Cancellara, Tolve e Vaglio Basilicata e Trivigno per il quadrilatero, mentre per l’isola linguistica di Trecchina si riscontrano a Nemoli e Rivello nonché, in parte, a Lauria e a Maratea. Simili dialetti si trovano anche in alcune località della Calabria meridionale e soprattutto nella Sicilia orientale a Piazza Armerina (Caltanissetta), S. Fratello e Novara (Messina), Nicosia e Sperlinga (Enna), con tracce nelle località vicine ad esse. Questi idiomi, come indica l’epiteto ad essi attribuito, si rifanno a due ceppi linguistici differenti, il gallico e l’italico, che hanno in comune la madre latina. Per quanto riguarda il vocalismo un fenomeno rilevante è l’assenza della metafonia delle vocali toniche brevi -E ed -O davanti ad una -I oppure -U nel gruppo potentino: a Tito si sente bóyi, kótu, véndë, mbérnu. Un altro tratto gallo-italico è il troncamento della sillaba finale molto evidente nei participi passati: venù per “venuto”, partù per “partito”, per “pane”, frà per “fratello”. Sul campo del consonantismo, il fenomeno più caratteristico è il cambiamento di -L in -D e, nello stesso contesto, la ulteriore evoluzione in -R: lat. lingua > léngwa (Nord) déngwa (Tito) déngwë (Vaglio B.) ddénwa (Sperlinga, Sicilia) ma réngwa (Picerno); lat. lana > dana (Tito) ddána (Sperlinga) rána (Picerno); lat. lupu > lúyu (Nord) dúpu (Tito) ddóvu (Sperlinga) rúpu (Picerno); lat. lavare > lavár (Nord) dávë (Vaglio B.) ravà (Picerno). Un punto che accomuna le colonie gallo-italiche della Basilicata al nord dell’Italia è la sonorizzazione delle occlusive intervocaliche latine -P, -T e -C: lat. cooperculu > kuvércú (Nord) kuwírchi (Vaglio B.) kovércú (Sicilia); lat. frater > frárë (Picerno); lat. capra > chevre (fr.) > crava (Picerno); lat. nepos > neveu (fr.) > nëvórë (Picerno). I gallo-italici si possono classificare anche come dialetti italici-francesizzanti, proprio per questo legame molto stretto di derivazione e di somiglianze tra alcune parole lucane e il francese: a livello lessicale, registriamo ancora u krësé (l’uncinetto), che deriva da le crochet; a fënéstrë (finestra) < fr. fenêtre; u bbëffétt (la tavola da mensa) < fr. le buffet; arrukkwé (ululare) < fr. roucouler; a bbwátt (la scatola) < fr. la boîte.

A parte le differenze, ci sono alcuni tratti comuni grosso modo alle parlate dell’intera Basilicata. In gran parte della regione si producono gli esiti metafonetici e, per quanto riguarda il consonantismo, è piuttosto generalizzata la conservazione delle occlusive sorde (p, t, k) quando sono intervocaliche; quando si trovano dopo nasale, invece, diventano sonore, per cui sono usuali pronunce come tando per “tanto”, veramende per “veramente” o bango per “banco”. A livello morfologico, il passato prossimo si costruisce con l’ausiliare “avere” anche dove l’italiano usa “essere”: ágg muértë, che deriva dal latino habeo + mortuu, “sono morto”; ågg kadútë, ecc. Singolare è la costruzione del futuro, che in latino è di tipo sintetico (cantabo), mentre in Basilicata e nel meridione si sviluppa un futuro analitico del tipo habeo ad cantare: l’ágg a manná a ppïténdz (“lo devo mandare / manderò a Potenza”, dialetto di Tolve). La formazione del futuro analitico nasce da una necessità di espressione causata dalla diffusione del cristianesimo: l’esistenza umana è un’anticipazione permanente del futuro. Il cristianesimo riporta il futuro nel presente come “necessità dell’agire oggi per” meritarsi la vita eterna. Di qui l’esigenza di un nuovo tempo verbale, un futuro-presente che nasconde una sorta di obbligo o dovere morale. Per quanto riguarda la sintassi, una caratteristica riguarda l’anteposizione dell’aggettivo possessivo rispetto ai nomi che indicano relazioni di parentela: a Potenza, ad esempio, si registrano ta mamma, sa mamma, mi sire e sa ssire per “mia mamma”, “mamma sua”, “mio padre” e “suo padre”. Nelle frasi riflessive, diversamente dall’italiano che usa l’ausiliare essere, il dialetto lucano usa “avere”: t’ey víppëte nu bëkkírë dë vín (“hai bevuto un bicchiere di vino”, Chiaromonte). Nelle relative si usa il pronome ka: lu fyáskë ka bëvéimë (“il vino nel fiasco che beviamo”, Vaglio Basilicata). Infine il dativo etico. Secondo la grammatica latina questa costruzione esprime una partecipazione emotiva del parlante nelle domande (quid mihi celsus agit?, “Che combina Celso nei miei confronti?”, Cicerone), nelle esclamazioni ed esortazioni. In Basilicata è usato anche nelle frasi affermative come, ad esempio, a yíddë lu fa frídd (“a lui fa freddo”, Albano) e státë v attíénd (“state attenti”, Trivigno). (F. R.)

Fonti:·        Rainer Bigalke, “Basilicatese”, Lincom, München 1994·        Nicola De Blasi, “L’italiano in Basilicata”, Il Salice, Potenza 1994·        Franceco Saverio Lioi, “Il dialetto lucano”, in “Leukanikà: rivista lucana di cultura e varia umanità”, n. 4 (2001), pp. 49-53·        Paolo Martino, “L’area Lausberg: isolamento e arcaicità”, La Sapienza, Roma 1991·        Antonio Rosario Mennonna, “I dialetti gallitalici della Lucania”, Congedo, Galatina 1987·        Gerhard Rohlfs, “Studi linguistici sulla Lucania e sul Cilento”, Congedo, Galatina 1988·        Pina Vallo, “La Lucania e gli antichi: storia, antropologia, dialetto”, RCE, Napoli 2008

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