Comunicato stampa

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Sblocca che?…il petrolio!

Nell’attesa di conoscere un qualche testo definitivo del decreto sblocca-Italia che occorrerà sia portato alla firma del Presidente della Repubblica – crediamo che le slides a cui ci ha abituato questo governo 2.0 proprio non bastino a far apporre la firma del Capo dello Stato – e così nell’attesa che la “mano destra” del ministero dello sviluppo economico a guida della destrorsa Guidi si concerti e sappia cosa fa la “mano morta” del ministero dell’economia a guida Padoan e Fondo Monetario Internazionale, pur qualche considerazione, che non siano né le forme di quel bellicismo proto-brigantesco a basso profilo politico o quella quasi godottiana attesa di eventi che a dispetto di tutti arriveranno, toccherà farla.

E non intendendo dilungarmi ancora su argomenti, quelli dell’aumento surrettizio ed esponenziale dei volumi di estratto degli idrocarburi in regione, di cui ormai da anni avviso la politica e la società lucana tutta e che finora sono stati ignorati o messi in disparte per le più varie forme di bassa convenienza o di miopia politica, argomenti che purtroppo e puntualmente oggi sono presentati all’incasso, sarebbe utilmente meglio cominciare a tratteggiare le cose da farsi per impedire che ciò avvenga e che questa nostra regione non diventi quella damigiana petrolifera che paga i conti del Paese, divenendo ciò che tutti sanno divenire qualsiasi zona del mondo dove si estraggano e trattino idrocarburi, una degradata ed inquinata periferia del mondo.

Il decreto nel passo specifico dedicato agli idrocarburi (ma anche delle infrastrutture legate all’energia) introduce una vera e propria innovazione costituzionale, che a titolo V ancora vigente, confligge subito e irrimediabilmente con il dettato costituzionale nelle materie di concorrenza legislativa delegate finora e tuttora alle regioni all’art. 117, derivandone una illegittimità che se non ravvisata dal Presidente della Repubblica che ha comunque facoltà di respingere la decretazione, non impedirebbe comunque alla Regione Basilicata di promuovere subito presso la Corte Costituzionale un giudizio di incostituzionalità del dettato ai sensi dell’art. 134 della stessa carta Costituzionale.

Sarebbe opportuno così che tale iniziativa sia subito messa in campo attraverso il nostro ufficio legale, allo scopo di precostituire una barriera temporale ad una parte del decreto in grado di reggere almeno fino all’approvazione definitiva di quella riforma del titolo V della Costituzione che ignominiosamente e per un meschino calcolo di bottega molti senatori hanno approvato, compresi i lucani, forse senza che costoro abbiano valutato appieno pesi e misure che un simile capovolgimento di assi decisori avrebbe comportato localmente in materie a forte impatto ambientale-strategico, sanitario e di programmazione dei territori.

Sarebbe inoltre molto opportuno che il nostro Presidente della regione prima di tutto spieghi ai cittadini lucani cosa significhino quelle parole del premier circa la proficua interlocuzione con i presidenti delle regioni, chiarendo così la qualità della sua interlocuzione, sia in merito alla materia degli aumenti degli estratti, sia in merito allo sforamento del patto di stabilità che era chiaro a tutti, forse tranne che a lui, che sarebbe stato usato come ariete per un ricatto vero e proprio, poi dica chiaro e tondo alla società lucana, senza quel pilatismo di scuderia renziana che lascia spazio a molti, troppi dubbi nei cittadini, se ha e quale sia la sua strategia per resistere a questa manovra a tenaglia, quindi le azioni che egli intende intraprendere, partendo da un dialogo che pure deve essere alla base di qualsiasi opposizione concertata e condivisa con i lucani tutti. Ma dialogo appunto, non scimmiottamento di un capopopolo.

Personalmente ritengo ancora utile l’idea di un referendum consultivo sulle nuove estrazioni che pure da oltre un anno affermo poter costituire un “fatto politico” tale da mettere sul piatto della bilancia la volontà di una parte del popolo italiano, i lucani appunto, di non volere altre estrazioni sul loro territorio ed intraprese invadenti quel minimo diritto di sovranità sulla propria regione che pure tutto il paese ha conquistato, forse sprecandolo e facendone cattivo uso, ma che non può essere cancellato con colpi di spugna che fanno ritornare indietro le lancette della storia.

È però sempre più urgente un atto di condivisione pubblico che unisca i lucani in questa che o diviene una battaglia di dignità e di sopravvivenza che si basa sulla richiesta di ritiro integrale di quella parte di un decreto che pare invece di sbloccare il paese, sbloccare solo il petrolio, accompagnandolo con atti forti quali il ricorso in Corte Costituzionale o diverrà in breve il disastro di una terra troppo finalizzata al petrolio ed ad interessi compositi che gli girano intorno per trovare spazio per essere altro.

Così se è importante non cadere nella trappola del divide et impera, sia demarcando all’interno della nostra società linee nette di confine tra buoni e cattivi, linee che mai ed in alcun luogo hanno raggiunto risultati, aiutando semmai proprio le forze esterne, sia perdendosi in sterili dibattiti sull’occupazione e sullo sviluppo che pur sarebbe possibile mediare – sugli idrocarburi qualche riflessione pur dovremmo averla maturata – quanto immaginare sin da subito il percorso unitario che porti l’intera società lucana,  a respingere con forza quella destinazione coatta del territorio che qualche facilone, scrivendo il titolo e lasciando lo svolgimento ai soliti lobbysti all’opera da anni, oggi inopinatamente indica come futuro per una regione da cui si è tenuto lontano nei suoi viaggi. Ed il presidente Pittella o unisce i lucani nel no a questo progetto sciagurato o meglio farebbe a trarne le dovute e debite conseguenze.

Miko Somma

le idee di lucia annunziata su renzi e sulle sue capacità…

e mentre attendiamo l’arrivo di un sempre più improbabile testo definitivo del decreto sblocca italia (il vizio del governo in materia di “decreti salvifici” è proprio quello di mantenersi nel generico che confonde gli italiani e non consente di maturare una visione reale dei provvedimenti) e naturalmente mentre attendiamo anche, per la parte che ci è più vicina per sensibilità e per le ovvie ripercussioni ambientali, sanitarie, programmatorie e di “possesso del territorio” che ne sarebbero conseguenza, la parte del decreto che riguarda le estrazioni petrolifere in basilicata ed il loro aumento, vi propongo questo articolo di lucia annunziata apparso questa mattina su l’huffington post, giornale che non mi convince per molti versi, ma di cui il parere del suo direttore editoriale lo rende sempre degno almeno di nota…argomento la capacità di renzi di riuscire a governare, una capacità che la annunziata pare risolvere con un secco e netto no, no che ovviamente e per molteplici motivi, alcuni del tutto coincidenti proprio con la sua visione, altri di genere e motivazione assai diversi…ma vi lascio alla lettura, segnalandovi il link dell’articolo (http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/ma-renzi-e-adatto-a-governare_b_5746122.html?utm_hp_ref=italy)

Ma Renzi è adatto a governare?

È adatto Matteo Renzi al compito che si è preso? “Is he fit to govern?”. Mi sembra che si stia avvicinando il tempo di farsi anche su di lui la domanda che ha dannato tanti altri premier italiani, e non solo, in questa crisi che dura da ormai sei anni. 

Diamo per scontato la risposta da parte delle artiglierie dei Renzi-fan, diventati oggi così radicali e insultanti da far sembrare i grillini dei perfetti gentiluomini. Intorno all’inquilino di Palazzo Chigi si è formato infatti un dogma di “infallibilità”, una narrativa che passa da trionfo a trionfo , una vulgata del genere “durerà venti anni”, il mantra “a lui non c’è alternativa” ripetuto da amici e ancor più da nemici. In una sorta di sindrome di Fukuyama, autore de “la fine della storia”, presto smentito dalla storia stessa.

Un leader tuttavia dura tanto quanto è efficace la sua azione di governo. E al momento Matteo Renzi , a dispetto dei molti fuochi d’artificio che circondano la sua persona, è in un punto molto critico della sua forza politica. Non è questione né di immagine né di buone maniere, di cui non ci interessa assolutamente nulla. Si tratta di risultati – materia che rimane molto ostica per il giovane presidente.

Il più atteso dei suoi provvedimenti, lo Sblocca Italia, è intanto stato giudicato quasi unanimemente inferiore alle esigenze della drammatica situazione del paese. E se una parte di inadeguatezza era da mettere in conto, visto che Renzi è in sella da soli sei mesi, e non ha la colpa di una difficile situazione che dura da anni, non è invece giustificabile la inadeguatezza del metodo con cui il premier si sta confrontando con le reali condizioni del paese.  Fa testo di questa inadeguatezza il percorso di preparazione e le conclusioni del primo Cdm d’autunno – insieme sono purtroppo la fotografia di un governo segnato dalla approssimazione amministrativa. Abbiamo assistito a vicende incredibili, che per qualunque altro esecutivo avremmo stroncato sul nascere.

Surreale il percorso della riforma della scuola. Non c’è nulla di meno serio di un premier che su un argomento così delicato per le famiglie e le decine di migliaia di lavoratori del settore, non lavori insieme al suo ministro; un premier che pochi giorni prima di proporre questa riforma scenda in campo con pirotecniche affermazioni tipo “vi stupirò”, salvo poi ritirare l’intero progetto evidentemente non pronto, con la flebile scusa dell’ingorgo.  Surreale anche il percorso della riforma del lavoro, che ha subito lo stesso travaglio di quella della scuola, con un ministro, Poletti, che un giorno annuncia, un giorno nega quel che ha detto. E il riemergere di un tema, l’abolizione o meno dell’articolo 18, che ha a lungo diviso il paese, e che certo meritava di essere trattato , non fosse altro per capire cosa ne pensa il governo, e che è stato però seppellito sotto un aggettivo, in questo caso “superato”.

Ma se la voce lavoro è dispersa, la voce giustizia, la più delicata da vent’anni a questa parte, è finita dritta dritta di nuovo nelle secche dello scambio politico, irretita nelle fibrillazioni della maggioranza e delle preoccupazioni di Silvio Berlusconi. Stesso destino per le risorse fresche, i milioni promessi per il rilancio dell’economia, passati da 43 miliardi, oppure 30, altre cifre vaganti, a infine solo a 3,8.

Nel complesso, persino le azioni giuste, che riguardano soprattutto la semplificazione normativa, sbiadiscono in rapporto a tutta la retorica dei mesi passati – Renzi, ricordate, è lo stesso leader che solo sei mesi fa accusò il suo predecessore Enrico Letta di usare “il cacciavite” laddove, disse, per cambiare l’Italia ci voleva “una rivoluzione”. Altro che cacciavite – al suo primo incontro con il mondo reale della vita dei cittadini Renzi ha fatto soprattutto manutenzione.

La nomina della Mogherini a Lady Pesc sembra segnare invece l’azione internazionale del premier di ben altra caratura di quella mediocre nazionale. Quella nomina, va detto con chiarezza, è un indubbio successo, e la Mogherini non è né giovane – solo in Italia si è giovani a 40 anni – né inesperta. A lei vanno i nostri auguri perché dal suo lavoro dipendono oggi molte vicende, prima di tutte la potenziale guerra in Europa, ad alto impatto anche nazionale.

Ma, parlando appunto di guerra, come in Italia, così a Bruxelles non abbiamo sentito nessun discorso di contenuti accompagnare la nomina. Non sappiamo oggi più di ieri perché abbiamo chiesto il posto di Lady Pesc. Perché vogliamo creare un nuovo detente contro la Russia, perché temiamo una seconda guerra fredda, perché pensiamo che solo noi Italiani possiamo essere un ponte fra russi e Occidente, perché pensiamo che i russi possano aiutarci in Medioriente – o forse sono essenziali solo a noi italiani perché così abbiamo una leva in più in Occidente? Di quale di queste opzioni si tratta? Esattamente per cosa ci batteremo sul cosiddetto scacchiere mondiale? Siamo con Kissinger che chiede di ridefinire tutti gli strumenti di intervento, siamo per definire una nuova frontiera occidentale, siamo per un ribaltamento di alleanze in Medioriente, o per nuovi fronti militari? Siamo per i diritti umani o per la realpolitik? Siamo per bombardare Isis con Assad, e l’Iran, e vogliamo pagare per gli ostaggi, o liberarli impiegando le forze speciali? Insomma cosa pensa Renzi, premier del nuovo mondo? Per ora abbiamo soltanto sentito ripetere la frase “mediazione” a ogni angolo. Speriamo che basti.

Ma se non ha parlato di politica estera, Renzi ha però fatto un commento per festeggiare la nomina di Mogherini: “questa nomina indica che c’e’ una nuova generazione al potere”. E questa frase è in fondo il vero cuore della sua identità politica- il raggiungimento del potere. Un potere formale, materiale, riconoscibile in una serie di posizioni per sé e per tutti i suoi associati.

Non c’é nessun disprezzo in quel che dico. Il potere è l’anima della competizione pubblica da sempre. Non per tutti, non sempre, ma afferrarlo e esercitarlo è la ragione per cui si scende – o non si scende – in politica. O, almeno, in un certo tipo di politica. E nella piattaforma renziana, fin dall’inizio, il potere ha un ruolo centrale, sotto forma di rottamazione, annuncio di un ricambio generazionale fatto con maniere decise. Obiettivo del tutto legittimo, parte della dinamica dell’evoluzione, e base molto forte della popolarità che ancora gonfia la bandiera renziana.

Su questa piattaforma Renzi si è rivelato geniale, e degno erede di quella grande scuola della Dc che ha visto in Andreotti il suo maggior e più pragmatico rappresentante, quello del potere che logora solo chi non ce l’ha. Come un treno, ha saputo cogliere le debolezze del suo partito, del sistema burocratico romano, delle classi dirigenti italiane prima e quelle europee dopo. È riuscito a intimidire con insulti alcuni di loro, altri li ha invece piegati con la seduzione della sua energia, altri ancora facendo leva sull’opportunismo di chi ama i vincenti.

La sua è stata una visione del potere senza gabbie etiche, solo e puramente funzionale. Non ha mai avuto dubbi infatti sulla natura tattica delle alleanze, e così come non ha esitato a far fuori Enrico Letta, così ha risdoganato e rimesso al centro senza nessuna spiegazione l’arcinemico del suo stesso partito, Silvio Berlusconi; o ha distrutto e rivivificato carriere a seconda dei voti che aveva necessità di raccogliere su questo o quel provvedimento. Che la priorità assoluta dei primi sei mesi della sua attività di governo sia stata la riforma del Senato ha senso solo in questo percorso. Non è in sé sbagliato. Come si diceva è una idea che viene da una onorata e molto lunga tradizione – il potere si giustifica col potere perché solo il potere autorizza il cambiamento. Renzi in questo sfoggio di forza ha infatti affascinato e addomesticato quasi il 50 per cento del paese.

C’è un solo problema in questo schema, e che ora si presenta alla sua porta. Dopo la conquista, il potere occorre riempirlo di fatti, di idee, di proposte. E su questo Renzi arriva tardi e male. E non solo perché non ha i soldi. Anzi. Arriva tardi e male perché in questi mesi non ha saputo o voluto raccordarsi davvero con il paese, e la sua crisi. Il suo orizzonte è stato il più politicista di tutti i leader più recenti. Proprio perché concentrato sulla presa dei centri di potere. Ma non ha saputo mai spiegare a tutti noi perché si sta sempre peggio, cos’è che non funziona nelle nostre città e come mai l’Italia ha continuato a scivolare verso dati economici negativi. Non lo abbiamo visto parlare con nessun poveraccio, salvo i suoi giri veloci e le sue pacche sulle spalle. Ha visitato a mala pena qualche fabbrica, della lunga vicenda della Alcoa non ha preso mai nota, ha fatto i suoi gesti di potere disprezzando Squinzi e i sindacati, ma ha visto Landini che è ‘nuovo’ e cool ma non sembra avergli parlato a sufficienza da capire che lui e Landini vivono in luoghi diversi. Parla tanto di quote rose, ma non parla mai di aborto, di diritti, di bambini uccisi da madri a da padri in depressione. Non ha mai fatto una filippica sull’onestà collettiva, sulla evasione fiscale, in compenso abbiamo tante filippiche su gufi e invidiosi e specie altre. Non ha mai detto una parola sul disagio dei giovani, sul degrado che alcol droga e bassi affitti hanno scatenato questa estate sul nostro territorio nazionale, in compenso fa docce gelate, e prepara una mossa smart via l’altra, un permanente girotondo di discorsi, conferenze stampa, convegni – oggi sappiamo già della conferenza stampa di mercoledì e poi del convegno europeo di venerdì e poi della la visita all’Onu prima anticipata da quella – e dove altro? – alla Sylicon Valley.

Ma soprattutto sembra non aver mai albergato nella sua testa l’idea che un paese in gravissima crisi c’è bisogno di un qualche misura speciale. Forse di una idea di unità nazionale che non sia solo il suo patto con Berlusconi e Ncd a fini di raccattare i voti che gli servono. Roosvelt fece i lavori pubblici, Marshall finanziò la ripresa europea, Mussolini risanò le paludi. E lui ha qualche compito cui tutti noi possiamo concorrere, ha in mente una chiamata alla responsabilità di lavoratori e imprenditori, come in Germania ad esempio, o la ripresa viene automaticamente fuori dal suo inarrestabile presenzialismo? Si è mai chiesto Renzi perché i suoi 80 euro non hanno funzionato? Dove li ha messi la gente che li ha ricevuti? Sotto il materasso? Ha saldato i debiti pregressi? Nemmeno con quei dieci milioni di Italiani che ha concretamente e generosamente aiutato lo abbiamo mai visto parlare.

Il premier si fa sempre un punto di far sapere di fregarsene delle opinioni dei suoi critici. Ma le cambiali arrivano anche per lui. E nel caso di questi ultimi giorni la conseguenze del suo stile di lavoro si sono viste. Alla fine di questa girandola di gestione di potere, arrivato al dunque delle misure da decidere per il paese, i tanti suoi progetti sono poi stati filtrati, messi in ordine e limitati da uomini più saggi e più vecchi di lui. Le sue ambizioni meravigliose si sono scontrate con la fermezza del ministro del Tesoro nel tenere i piedi per terra nei conti, nella fermezza di Napolitano di non prestarsi a giochi di illusionismo politico, e con la figura imponente di Mario Draghi diventato ormai il real player politico anche per l’Italia, oltre che per l’Eurozona.

Alla fine, spenti i fuochi artificiali, il Renzi che esce da Palazzo Chigi e naviga nel mondo reale è nei fatti un premier tenuto continuamente a balia da altri. Un premier decisamente messo al suo posto di ragazzino. E non solo dalla copertina dell’Economist.

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