Comunicato stampa

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Tra la sacra piazza, il califfo, i pescivendoli, c’è una petizione che contiene la regione.

Le pulsioni auto-generatesi nella piazza anti-art. 38 di questi giorni sono il sintomo di un malessere di fatto ormai generale sulla questione idrocarburi che non può passare inascoltato da parte degli organi di governo regionale, qualsiasi siano le parole d’ordine, qualsiasi le estemporaneità o le incongruenze politiche che la stessa piazza mostra come ogni piazza che sia popolare, condivisa e coesa intorno ad un tema che non sarà una conferenza stampa ancien règime, riverniciata a casereccio cambiaverso, a sopire, perché sono le ragioni stesse della protesta a superare i dati tecnici e generali sulla situazione petrolio, dati di cui il sottoscritto, con una interrogazione fatta presentare in consiglio regionale, ha finalmente reso auto-edotta una giunta e un presidente che finora parlavano a vanvera.

Ed i dati dicono che, ben oltre le rilevanze economiche che paiono rendere i proventi degli idrocarburi così necessari all’economia regionale (mentre forse più vero sarebbe che è il costo economico di anni di clientele di filiera e sprechi cialtroni ad avere necessità di quei proventi) ridurre a monetarizzazione i dati innegabili di un articolo che “apre” le porte alle trivelle con miglioramenti si ottenuti, ma mutevoli e liquidi nelle previsioni di finanza nazionale e sul principio reso asettico di un “trivello, però vi pago” che farebbe da pretium doloris (e che non tiene conto che a volte esiste anche chi non ha prezzo), è atto democraticamente pericoloso e ben poco lungimirante.

Un atto di pervicacia che se da un lato appare non volere tener di conto che assumere la presidenza di una giunta regionale obbliga anche a non confonderla con un califfato, dall’altro pur dovrebbe aprire la riflessione su quale possa essere il futuro di una regione di cui l’intero territorio sarà condizionato da strategicità, quindi vincolo di destinazione, varianti urbanistiche coatte, quindi sostanziale impossibilità alla programmazione a medio-lungo termine degli enti locali, decretazioni e circolari ministeriali che di fatto assumono da noi carattere di strumento di legge, assoluto condizionamento del nostro territorio a politiche di mercato e finanziarie degli operatori che condizionerebbero non solo il territorio stesso, ma persino le sue finanze, dal momento che l’economia regionale ne sarebbe del tutto condizionata.

E se questa non è una forma di neo-colonizzazione funzionale di un territorio marginale di che format democratico stiamo allora parlando, di che assetto di relazione tra politica locale e popolazione, di che relazione di leale collaborazione tra stato ed autonomie locali? E quale classe dirigente servirà mai per gestire un territorio che di fatto necessiterà più di plenipotenziari delle multinazionali che di politici ed amministratori?

Ovviamente le parole di Pittella e Speranza scavano solchi profondi tra la rappresentazione pur ideale  di una politica al servizio della gente e la realtà che da quell’articolo 38 pende più che minacciosa sulla questione petrolio in questa regione, solchi profondi tra le relazioni personali che non esito a definire di servitù sciocca in un caso e puro conservazionismo di posizione nell’altro e la condizione, sperabile ed auspicabile per chi crede ancora nella politica come strumento di regolazione della vita della comunità, che tanto a Roma, tanto a via Verrastro vi si stia per difendere gli interessi veri della regione e dei suoi abitanti, non per altre ragioni rimescolate ad arte nella solita solfa tutt’appostista che credevamo ormai alle nostre spalle.

E se la storia è quella già vista, altrettanto già vista sarà quel solito scegliersi l’interlocutore con cui far scaramuccia, la piazza pura e le sue pulsioni più facilmente smontabili, scelte con cura tra i significanti adatti allo scopo di stigmatizzare la protesta come il visceralismo anti-moderno che necessita sempre dei suoi “pescivendoli”, magari attendendo un naturale sopirsi delle proteste nel continuo ricorrere alla mobilitazione.

Ma esiste anche altro nella protesta, esiste chi intende la piazza come uno strumento di coesione tra sensibilità differenti che necessitano di raccordarsi intorno a progetti comuni, e non come fine ultimo da devolversi in slogan e fumogeni da stadio per le velleità di improbabili masanielli, esiste chi intende la protesta come il primo segno del risveglio collettivo di una regione che non ne può più di oligarchi, di filiere, di vendite a saldi, di bugie e mezze verità, di paludi, di inefficienze e sprechi, di quell’universo in cui la faccenda idrocarburi è nata e vissuta fino ad ora.

Esiste chi crede che la politica debba ascoltare la piazza e le sue rivendicazioni organizzate anche in forma di una petizione che chiede semplicemente ed a ragion veduta al presidente Pittella di compiere  il suo dovere, rappresentare i cittadini, mediante tre semplici atti, opporsi all’art. 38 nella ragion veduta della lesività nei confronti di prerogative legislative regionali a oggi vigenti costituzionalmente, di fatto riscrivendo la costituzione con leggi ordinarie, bocciare ogni istanza giacente presso la Regione per impedire il suo traslarsi nella disciplina del Titolo Unico al 31/03/2015 e per impedirle tout court, indire al più presto, previa adozione di idoneo strumento legislativo regionale, referendum consultivo su ogni ipotesi di aumenti di estrazioni.

Presidente Pittella, Capogruppo Speranza, la piazza, quella che si denigra quando si vuole negarne la ragione causale, ma quella che si sceglie come interlocutore privilegiato perché la si suppone stadio e poca conoscenza delle cose per meglio disarticolarne le motivazioni, quella piazza, fatta di giovani che però studiano e si informano, di operai che lavorano duro nelle più difficili condizioni o che vorrebbero soltanto lavorare, di pensionati a pochi euro e di famiglie intere, di padri e figli, quella piazza firma a migliaia la petizione che avremo il piacere di consegnarvi per ribadirvi che la regione è dei cittadini e non di un Presidente del Consiglio e dei suoi amici delle multinazionali.

Miko Somma