ottati fuori, dentro braia…

(ANSA) – POTENZA, 21 MAG – In una lunga lettera inviata al Presidente della Regione Basilicata, Marcello Pittella (Pd), l’assessore regionale della Basilicata all’agricoltura, Michele Ottati – che era in carica dal dicembre 2013 – ha ufficializzato le sue dimissioni. Il portavoce di Pittella, Nino Grasso, ha inoltre reso noto che il governatore lucano “nella giornata di domani procederà alla nomina del nuovo assessore” e che “lunedì vi sarà il passaggio delle consegne”.

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nuovo assessore il cui nome è conosciuto da tutti, come persona di “particolare competenza in campo agricolo”, luca braia, pupillo familistico (è della famiglia infatti) di maria antezza, parlamentare pd, renziano, già assessore nell’ultima giunta de filippo e prima capogruppo consiliare pd, rinviato a giudizio per l’affare rimborsopoli insieme a tutti gli altri, presidente della giunta compreso, già partecipante alle primarie per la segreteria regionale del pd…boh, nulla di personale contro luca, si intende, ma forse non era proprio il caso di procedere a simile nomina che suona a tutti gli effetti come il pagamento di una cambiale che pittella deve all’asset familiare degli antezza per la sua vittoria alle primarie di coalizione del centrosinistra nel 2013 e per la sconfitta “a tavolino da salotto” dello stesso (e dei renziani) alle primarie per la scelta del segretario regionale pd…

 

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le cazzate di un governo di comunione e liberazione ed opus dei…

eppure ho sempre pensato che ogni opera riformatrice dovesse partire dal superamento di un dato drammatico e conseguente al turbo capitalismo, dato che oggi l’ocse certifica con l’1% più ricco della popolazione italiana che detiene il 14,3% della ricchezza nazionale netta (somma degli asset finanziari e non finanziari, meno le passività) e con il 4.9% della stessa ricchezza nelle mani – si fa per dire – del 40% più povero…

ne vogliamo parlare che forse più che la ‪#‎buonascuola‬, ‪#‎lavoltabuona‬, ‪#‎sbloccaitalia‬ e tutte le cazzate propagandistiche di questo governo di comunione e liberazione ed opus dei, il punto di ripartenza del paese era ed è nella cancellazione delle sperequazioni economiche e quindi sociali?…

e neppure parliamo del sud o della nostra basilicata, che proprio nei pensieri del governo non c’è se non come spremuta di idrocarburi?…

miko somma

ed eccovi un piccolo sunto ansa del lavoro istat…così tanto per gradire ed avere più chiaro il quadro della situazione drammatica di un paese…

ansa – L’1% più ricco della popolazione italiana detiene il 14,3% della ricchezza nazionale netta (definita come la somma degli asset finanziari e non finanziari, meno le passività), praticamente il triplo rispetto al 40% più povero, che detiene solo il 4,9%. Lo riferisce un rapporto Ocse.
La crisi ha inoltre accentuato le differenze, dato che la perdita di reddito disponibile tra il 2007 e il 2011 è stata ben più elevata (-4%) per il 10% più povero della popolazione rispetto al 10% più ricco (-1%). La ricchezza nazionale netta, dice ancora l’organizzazione parigina, in Italia è distribuita in modo molto disomogeneo, con una concentrazione particolarmente marcata verso l’alto. Il 20% più ricco (primo quintile) detiene infatti il 61,6% della ricchezza, e il 20% appena al di sotto (secondo quintile) il 20,9%. Il restante 60% si deve accontentare del 17,4% della ricchezza nazionale, con appena lo 0,4% per il 20% più povero. Anche nella fascia più ricca, inoltre, la distribuzione è nettamente squilibrata a favore del vertice. Il 5% più ricco della popolazione detiene infatti il 32,1% della ricchezza nazionale netta, ovvero oltre la metà di quanto detenuto del primo quintile, e di questa quasi la metà è in mano all’1% più ricco.

In Italia, “la povertà è aumentata in modo marcato durante la crisi”, in particolare per giovani e giovanissimi. L’aumento del cosiddetto tasso di povertà ancorata (che fissa la soglia rispetto all’anno precedente) è stato di 3 punti tra il 2007 e il 2011, il quinto più elevato. La fascia con il maggior tasso di povertà sono gli under 18, con il 17%, 4 punti percentuali in più della media Ocse, seguita dalla fascia 18-25, con il 14,7%, 0,9 punti sopra la media.

Occupazione aumentata grazie a posti atipici  – Dagli anni Novanta ad oggi, la crescita dell’occupazione in Italia è stata in gran parte generata da un aumento dei posti di lavoro atipici. Secondo i dati di un rapporto Ocse sulle diseguaglianze, l’incremento del 26,4% del tasso di occupazione tra il 1995 e il 2007 è costituito per la maggior parte, 23,8, da posti “non standard” (lavoro autonomo, contratti a termine, part time) e solo in minima parte, il restante 2,6, da posti fissi full time. Negli anni della crisi, inoltre, il calo dell’occupazione è stato concentrato in gran parte sui posti fissi, mentre il lavoro atipico è stato stabile o in lieve aumento. Tra il 2007 e il 2013, il calo del 2,7% del tasso di occupazione è generato da un calo dei posti full time, sia a tempo indeterminato (-4,3) che determinato (-0,8), e del lavoro autonomo (-1,5), controbilanciato da un aumento del part time (+4). Per effetto di questa dinamica, la percentuale di posti di lavoro atipici sul totale è passata dal 23,6% del 1995 al 40,2% del 2013. L’incidenza del lavoro atipico è particolarmente alta per gli under 30, al 56,9% dell’occupazione totale, e scende progressivamente con l’età, al 39,7% nella fascia 30-49 anni e al 33,7% per la fascia 50-64.

26,6% famiglie lavoratori atipici in povertà  – Il tasso di povertà tra le famiglie italiane di lavoratori “non-standard” (autonomi, precari, part time) è al 26,6%, contro il 5,4% per quelle di lavoratori stabili, e il 38,6% per quelle di disoccupati. Il rapporto dell’Ocse rileva come la diffusione del lavoro precario le abbia amplificate. In particolare, mostrano i dati dell’organizzazione parigina, se si fissa a 100 il guadagno medio dei lavoratori con posto fisso, quello degli atipici si ferma a 57, con grosse disparità tra le varie categorie (72 per un lavoratore autonomo, 55 per un lavoratore con contratto a termine full time, 33 per un lavoratore con un contratto a termine part time). A questo si aggiunge la sempre maggiore difficoltà a passare da un’occupazione precaria a una fissa: sempre secondo i dati Ocse, tra le persone che nel 2008 avevano un lavoro a tempo determinato, cinque anni dopo solo il 26% era riuscito ad ottenere un posto a tempo indeterminato.

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