comunicato stampa

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Gli spazi della politica che occorre liberare

Una delle conseguenze della rottura del novecento e del suo travaso in un millennio totemizzato come globale e dominato da logiche barbariche di finanza transnazionale e crisi dei debiti sovrani, è stata la perdita di giustapposizione tra spazi politici e partiti di massa, giustapposizione che per oltre un secolo ha definito il dibattito interno ai partiti come “il luogo” in cui esercitare la coincidenza della politica nel dibattito stesso ed i partiti come contenitori non statici di quella coincidenza.

Ed è stato proprio il “secolo breve” (ed i suoi drammi), che non ha prodotto quegli anticorpi culturali atti ad impedire che la deriva antropologica dell’individuo contrapposto al collettivo, l’io economico contro il noi sociale, eretta a “motivo ideologico” di una destra che mutava oggetto sociale dalla triade dio-patria-famiglia al più feroce liberalismo economico camuffato da occasione di libertà per tutti, a dare mandato ad una surrettizia controrivoluzione verso culture di sinistra incapaci di reggere il peso delle trasformazioni sociali e politiche e all’affermarsi di un pensiero unico che individuava il mercato come il regolatore ultimo delle dinamiche dei conflitti sociali e politici.

Il partito novecentesco di massa si svuota di contenuto popolare, non necessitando di rappresentare più soggetti sociali “affidati” ora al mercato e alle sue logiche auto-prodotte di rappresentanza degli interessi sociali (interessi dei consumatori), rinunciando il partito stesso a rappresentare linea di difesa e nuova proposta dei diritti dei cittadini, fino a divenire nella trasformazione mero strumento di governo e gestione del consenso in forma di macchina elettorale, non più quindi identificato o identificabile con una soggettività sociale di riferimento.

In poche parole alla perdita di rappresentatività sociale corrisponde la perdita di coincidenza tra spazio politico ed organizzazione partitica, così determinandosi identità politico-sociali non più rappresentate da organizzazioni partitiche, identità che si allontanano sempre più dalla partecipazione, divenendo in tempi rapidi o l’inconoscibile platea dell’astensione tipica d’altronde del modello americano o il magma rabbioso di un visceralismo senza altri sbocchi che affidarsi all’urlatore o al pifferaio di turno.

A sinistra tutto ciò si conclama nel decorso del tempo e nell’incancrenirsi della deriva, nell’impossibilità per il PD di rappresentare alcunché di socialmente rilevante che non il neo-peronismo renziano che di fatto l’ha trasformato definitivamente in un soggetto politico che agisce ormai da sponda destra di una sinistra distaccata dal sociale, una macchina elettorale che vive di slogan e frasi fatte. Ma si conclama nel tempo anche l’irrilevanza numerica forme di sinistra identitaria (o “bambina”), così determinandosi uno spazio politico a sinistra non corrispondente ad alcun partito, un vuoto di rappresentanza politica.

Di qui l’opportunità di andare oggi a determinare un interfaccia che riconnetta quella sinistra culturale, sociale, diffusa e affatto scomparsa nel nostro paese, quella che oggi si astiene per mancanza di punti di riferimento, o quella che si tura il naso votando PD, ma che vorrebbe tornare a respirare, o ancora quella che preferisce l’irrilevanza sostanziale di SEL o del cinque stelle, disperata per cambiamenti di questo paese che non maturano mai o per ribrezzo verso pratiche e personale politico da paese delle banane, opportunità cioè di far coincidere un innegabile spazio politico a sinistra con nuovi soggetti politici a sinistra.

La mia uscita dal PD significa la necessità imprescindibile di costruire qui e nel paese il soggetto di un cambiamento radicale di paradigma sociale, economico ed infine politico divenuto necessario non solo per riacquisire il senso di come oggi possa essere declinata e cosa significhi la parola “sinistra” nella modernità, ma per provare a costruire reali alternative ad una democrazia bloccata, ricostruendo nella trasversalità plurale di una sinistra diffusa numeri e ragioni di una sinistra radicata nel sociale che non è scomparsa, ma che necessita di trovare nuove sponde politiche in cui rimanifestarsi.

Sinistra che significa equità di partecipazione fiscale, modelli di sviluppo antropico a risorse, territorio, sociale, cultura e storia di un paese e di un continente che devono riprendere ad essere l’Europa dei trattati di Roma e non più lo spazio di libera circolazione della speculazione finanziaria, solidarietà per relazioni di tenuta sociale e di salvezza per un paese in denatalità, cultura e formazione scolastica non funzionali agli interessi del mercato, ma che creino cittadini in grado di partecipare e non solo subire i cambiamenti, politica come esercizio delle relazioni tra corpi sociali nei conflitti e non la vessazione di maggioranze costruite ad uso e consumo di interessi terzi, ma anche quella onestà intellettuale da cui sola origina l’onestà materiale che vive ormai nel disagio dei cittadini verso politica e amministrazione.

E, mi sia consentito, qui da noi, come sopravvivere al petrolio ed al modello esarcale che soffoca una terra di feudalesimo, rilanciando l’offensiva per costruire una regione possibile e non pavoneggiandosi in inutili parate contro le ricerche di idrocarburi in mare, quando poco o nulla, anche recentemente, s’è fatto per quelle in terra, rinunciando alla dignità di un altrove scontato ricorso alla corte costituzionale.

Per costruire quella Basilicata possibile in un’Italia possibile, aderisco a Possibile, il movimento politico nato dalla fuoriuscita di Civati dal PD, che aspira ad essere quell’interfaccia tra le sensibilità differenti della sinistra diffusa italiana per provare a ridar senso alla parola sinistra, ma soprattutto alle pratiche con cui essa si declina nella società per superare modelli economico-sociali fondati sull’esclusione dei tanti e sulla rapina dei pochi, e sono già da oggi al lavoro per la costruzione di circoli nella mia città, Potenza, ed in tutta la regione. Perché ci sono spazi della politica che occorre liberare, qui ed ora.

Miko Somma