il conflitto siriano ed il rischio dell’unicità del mezzo nell’eterogeneità dei fini…

quasi del tutto scontato è che, dopo gli attentati sanguinosi di parigi, l’intera opinione pubblica internazionale sia del tutto catalizzata da quanto sta accadendo in siria ed iraq, la casa madre della tempesta di terrore che sta investendo l’occidente, sia nei termini drammaticamente materiali con cui si palesano gli attacchi, sia nei termini tipicamente psicologici che rimangono come scorie nell’immaginario collettivo, in quella che a mio avviso è oggi assurta al rango di vera e propria “paranoia collettiva” dell’attacco, almeno a giudicare dalla grandissima quantità di falsi allarmi che ormai ovunque si registrano…

ma prima di ogni considerazione, facciamo un po’ di chiarezza sul nome reale di questa organizzazione del terrore, dal momento che se tutti avrete ovviamente sentito sui media i diversi nomi diversi con cui il giornalismo finora l’ha definita, principalmente isis (islamic state of iraq and al-sham, tradotto dall’arabostato islamico dell’iraq e del al-sham, ovvero la grande siria) o più semplicemente is (islamic state tradotto dall’arabo al-Dawla al-Islāmiyya, appunto stato islamico), recentemente e su diretto suggerimento delle autorità occidentali, che in nessun modo vogliono legittimare alla cultura occidentale il nome di stato islamico, si è aggiunto daesh, nome quest’ultimo che viene direttamente dalla siria, dove molti nemici di isis chiamano questo gruppo di fanatici tagliagole con l’acronimo arabo dāʿish o più volgarmente daesh (داعش‎), che se nel primo caso significa appunto al-Dawla al-Islāmiyya fī ʿIrāq wa l-Shām (“stato islamico dell’iraq e del levante”, o “della grande siria”), quindi un utilizzo del termine acronimo senza una traduzione, cosa questa che pare voglia sottolineare la lontananza culturale dall’occidente, nel secondo è letto con significati spregiativi, un motivo questo per cui il gruppo considera il termine denigratorio e punisce chi lo usa…in un articolo sul Sole 24 Ore, si sottolinea come Daesh, in arabo ricordi una parola il cui significato, “portatore di discordia”, è evidentemente presagio funesto per gli uomini del califfato, che infatti hanno vietato l’utilizzo dell’acronimo nei territori da loro controllati, come riferisce l’associated press in una corrispondenza in cui si riferisce che a Mosul i miliziani avrebbero minacciato il taglio della lingua a chiunque l’avesse pronunciato in riferimento proprio allo stato islamico…

(a questo proposito consultare On the Origin of the ‘Name’ DAESH – The Islamic State in Iraq and ash-Shām 19 agosto 2014, pietervanostaeyen.wordpress.com. o Terrorist Designations of Groups Operating in Syria, United States Department of State, 14 maggio 2014)…

ma il problema, come ovvio, non è certo il nome e l’origine del nome attribuito a questi fanatici, seppure questo non sia un argomento poi del tutto secondario, vista anche la simbologia che lo stesso assume quando dopo il 29/06/2014 viene proclamato lo stato islamico in forma di califfato dall’autoproclamatosi califfo Abū Bakr al-Baghdādī nei vasti territori di iraq e siria caduti sotto il controllo del gruppo, quanto comprendere se la risposta dell’occidente sia in grado di spazzare via, come pure molto facilisticamente si promette, l’is ed i suo uomini, ma soprattutto se quella solo ed eminentemente militare sia l’unica strada percorribile o se non serva piuttosto una visione più ampia che sembra mancare finora alla “coalizione” che bombarda già da tempo sia in iraq che in siria…

ed in questa opera di comprensione un po’ di storia ci aiuta a capire meglio la genesi di questo movimento la cui eradicazione se appare relativamente semplice nei territori di cui si tratta a fronte del dispiego di mezzi (chiarendo ovviamente che senza militari in campo le guerre non si vincono), non altrettanto risolutiva appare rispetto al suo grande potenziale di mobilitazione di foreign fighters presso il loro serbatoio principale, le nostre periferie urbane, soprattutto europee, ma anche americane, australiane e chissà ancora in quali paesi…genesi che forse spiega proprio il fascino che l’isis esercita su tanti figli del disagio culturale ed economico (ma non sempre, come alcuni casi di combattenti provenienti da famiglie agiate sta a dimostrare con evidenza), fascino che potrebbe ragionevolmente aumentare anche in caso di una sconfitta disastrosa, visto il carattere di martirio che la stessa morte assume per i suoi militanti, un argomento spinoso questo e che non sembra del tutto compreso dai governanti europei che oggi spingono per un attacco ancor più massiccio nelle “terre del terrore” di iraq e siria…

e la storia recente ci dice che le origini del gruppo risalgono alla presenza di “al-Qāʿida in Iraq dal 2004 al 2006, frazione delle rete internazionale di bin laden poi rinominata “stato islamico dell’iraq”, fondata e guidata da abu mus’ab al-zarqawi per combattere l’occupazione americana dell’iraq dopo la caduta del regime di saddam hussein e la sua esecuzione e lo stesso governo iracheno sciita sostenuto dagli USA…e ricordo a questo proposito che la principale divisione tra i mussulmani è proprio tra sciiti e sunniti, divisione che risale ai tempi della successione di maometto e che riguardava sia la guida dei fedeli che l’interpretazione della dottrina e che oggi numericamente vede il gruppo sunnita come il più numeroso nella maggior parte dei paesi arabi, ma meno rappresentato politicamente anche rispetto alla sua percentuale proprio dove gli sciiti, considerati una percentuale tra il 10 e il 15% dei musulmani, sono maggioranza e ciò in pochi paesi, tra cui proprio iran, iraq, libano…

…e, punto importante che fuoriesce dal campo di confronto militare iracheno, dal 2012 lo stato islamico dell’iraq era intervenuto anche nella guerra civile che si era scatenata in siria tra una miriade di formazioni ed il governo di Baššār al-Asad…ed ancora nel 2014 l’ISIS, con la presa di mossul ha esteso enormemente il suo controllo del territorio iracheno, proclamando, anche in seguito alla conquista di raqqa in siria, la nascita del “califfato”…ma ritorniamo all’iraq, il punto in cui la resistenza all’esercito americano diviene un “motivo culturale ed ideologico” che finirà per attirare nelle fila dell’esercito dello stato islamico migliaia e migliaia di miliziani provenienti ormai non solo dal pur variegato mondo islamico che va dal marocco all’afghanistan, dalla turchia all’india, dal pakistan all’arabia saudita ed ai paesi del golfo, ma sempre più massicciamente dai paesi europei…

è proprio qui infatti che nel 2003 paul bremer, all’epoca governatore più o meno civile dell’iraq occupato dagli usa e dagli alleati, decreta lo scioglimento dell’esercito iracheno, cosa questa che non solo mette sulla strada centinaia di migliaia di militari, così esclusi da incarichi e pensioni, nonché da quell’indubbia posizione sociale assicurata dalla militanza nell’esercito iracheno di saddam Hussein, ma fornisce a molti di loro un valido motivo per ritornare a combattere, organizzandosi in gruppi per contrastare la violenta occupazione americana e rovesciare il nuovo governo sciita…gruppi che giocoforza finirono per unirsi ad organizzazioni di resistenza più marcatamente religiose e jihadiste che nel frattempo giuravano fedeltà ad osama bin laden, abbracciandone l’organizzazione che si era dotata di proprie strutture di comando, così definendosi “mujāhidīn del consiglio della shura” e radicalizzandosi ulteriormente e rapidamente nella crudeltà che il conflitto aveva assunto, soprattutto in termini di attacchi terroristici sempre più sanguinosi nelle città irachene e soprattutto a baghdad, fino ad unirsi nel 2006  ad altre fazioni ribelli, fondando  così Dawlat al-ʿIrāq al-Islāmiyya (stato islamico dell’iraq, o isi, ampliatosi in seguito all’interno della siria e di quel conflitto, fino ad assumere il contorno di un vero e proprio stato che controlla una ampia porzione dei territori di siria ed iraq…

la rapida serie di vittorie conseguite sul campo sia in iraq che in siria ovviamente funge da amplificatore mediatico per il fascino che il califfato, elemento materiale che si fa stato e territorio, mentre la rete di obama bin laden rimaneva un elemento quasi invisibile e poco percepibile nella realtà quotidiana, comincia ad esercitare come unico elemento in grado non solo di resistere agli americani, ma di condurre offensive devastanti e non contenibili, elementi finalmente vincenti dopo una storia che aveva raccontato solo terribili sconfitte ed umiliazioni, per una sorta di epica che poco per volta comincia a formarsi nelle menti di tanti giovani europei e mediorientali…

fuoriuscendo così dalla storia e non avendo intenzione di fare trattati storici, appare evidente come proprio quell’epica che cresceva nelle periferie occidentali dove risiedevano individui senza ormai altra identità possibile che la radicalità più oltranzista e che ora necessitava di nutrirsi di vittorie dopo troppe sconfitte per gli arabi, cosa questa che nessuno sociologicamente ha probabilmente mai misurato, sia diventata la realtà di una affiliazione di fatto all’isis che si è sostanziata o in un diretto coinvolgimento di questi individui nel conflitto siriano ed iracheno, con tutte le problematiche del rientro e della dormienza in cellule, o in una peraltro poco leggibile affiliazione di fatto che credo sia difficile da pesare come l’esultanza degli sciocchi da facebook o come un “sarò pronto quando serve”…

ed è chiaro che se nel primo caso un controllo investigativo è ancora possibile, per quanto complesso dovendo avere mappature certe ed inequivoche di chi è partito e che ruolo abbia avuto in siria o in iraq nella guerra (i foreign fighters, per intenderci), nel secondo caso abbiamo di fronte una non calcolabile platea di fan che non sappiamo fino a che punto siano coinvolti praticamente e quanti di loro possano essere semplici fiancheggiatori senza ruoli attivi o con ruoli minimali o magari essere già pronti all’azione e dotati di armamenti e volontà omicidiarie e naturalmente suicidarie…

il punto allora diverrebbe, una volta distrutta l’organizzazione del califfato in terra siriana ed irachena, cosa che – ripeto – non la si fa con i soli bombardamenti, ma necessita di truppe di terra affidabile e preparate (i kurdi lo fanno già e con successo, nonostante i pochi armamenti a disposizione) che “ripuliscano” questi territori e necessita soprattutto dello stomaco dell’opinione pubblica occidentale di assistere ad un inevitabile massacro di civili (qualcuno crede ancora che i bombardamenti siano intelligenti?), come ci si comporta con i foreign fighters sfuggiti e magari ritornati nel frattempo in patria?…come ci si comporta con coloro che fino ad ora non sono partiti, ma che potrebbero essere pronti?…come ci si comporta con un’altra platea, anche qui poco misurabile, di islamici non ancora islamisti che potrebbero vedere in una recrudescenza delle attività di guerra la conferma della “crociata” che da anni ed anni è parte integrante della retorica prima quaedista, ora del califfato?…

e come ci si organizza in un’area del mondo che prima di tutte andrebbe riorganizzata superando le logiche post-belliche (la seconda guerra mondiale, per capirci) che hanno tracciato confini con il righello del divide et impera e quindi come ci si comporta con l’auspicabile stato kurdo, come con la turchia, come con l’iran, come con la siria sbocconcellata che ne verrà fuori?…ed ancora come ci si comporta con tutti coloro che in qualche modo negli anni passati e soprattutto in siria hanno di fatto o finanziato o favorito l’is in funzione anti-assad?…come ci si comporta con i ricchi paesi del golfo a maggioranza sunnita che finora hanno sostenuto in qualche modo le formazioni più oltranziste?…

problemi molto complessi, come lo sono tutti quelli geopolitici e facili da osservare ed anche comprendere non appena si abbandona quel naturale senso di dolore e di comunità colpita di noi occidentali e che pure andrebbe presto superato per valutare appieno le conseguenze di un intervento massivo senza aver già pensato ad una totale e complessa risistemazione dell’area che questa volta non può prescindere da una soluzione secondo i voleri dei popoli e quindi dovrà prevedere sia la creazione di uno stato kurdo, laico come i kurdi hanno tradizione d’essere (cosa che quindi coinvolge iraq e siria, dove di fatto uno stato esiste già, ma anche iran e soprattutto l’infida turchia), sia una risoluzione a lungo termine del conflitto tra palestinesi ed israeliani (quindi con la creazione di uno stato palestinese con piena legittimità e riconoscimento internazionale), ed ancora l’iraq e la siria stessi che nella realtà non esistono più e di cui non avrebbe senso prolungare l’esistenza in mano a qualche presidente amico dell’occidente (il modello Afghanistan, per comprenderci, o lo stesso iraq post Saddam) o dei russi (che infatti mirano al mantenimento in esistenza di assad e di ciò che rimane dell’organizzazione del partito baath)…

il conflitto e le alleanze-non alleanze sul campo siriano ed iracheno testimoniano che se la guerra è scoppiata per i soliti interessi geopolitici sul petrolio, sul gas e su cosa, dove, da dove e per dove lo si trasporterà, si è però “condita” di quella speciale deriva antropologica che l’islamismo radicale ha assunto nella interpretazione parcellizzata, che è propria dell’islam e della sua organizzazione non centralizzata in un “papato islamico”, ed assurda ad ogni evidenza di un testo scritto 1400 anni fa, partendo dalle memorie del segretario di maometto che le racconta per tramandarle in forma finalmente scritta e che pure recitavano e recitano ben altro, come ogni testo sacro che in genere non predica odio e violenza, ma semmai fa un uso massiccio di metafore che al tempo potevano anche apparire normali alla luce del mondo arabico (della penisola arabica) del 600 dopo cristo…

troppo forte il rischio che un intervento massiccio e senza un pensiero lungo sull’area possa invece scatenare reazioni avverse nel mondo arabo…occorrerebbe allora una conferenza internazionale con tutti gli attori nazionali, politici e di popolo presenti

troppo forte il rischio che un tale intervento possa divenire materiale di propaganda ed auto-propaganda che stimoli all’azione le migliaia di esclusi sociali, economici e culturali che le nostre periferie, non solo fisiche, che è il nostro sistema economico a creare…occorrerebbe un cambiamento radicale del nostro essere per costruire l’opportunità per chiunque di non sentirsi escluso

troppo forte il rischio che un simile intervento possa scavare un solco reale tra le culture che ad oggi rimane per fortuna materiale di propaganda di qualche stolto nostrano (leggi salvini o sallusti o belpietro o i pochi/tanti non abbienti mentali di cui il nostro paese ed altri abbondano), ma di cui andrebbe valutato ogni aspetto…

troppo forte il rischio infine che un simile intervento sia la giustificazione formale per una stretta sui diritti democratici che è già nell’aria, che è sempre stato nell’aria e che naturalmente si nutre dell’amplificazione della paura per giustificare e giustificarsi…

e tra i rischi ed i conseguenti dubbi (o forse è più vero il contrario), sia chiaro che, senza see senza ma, io personalmente, da persona pacifica e pacifista, sono per la più rapida distruzione dell’is e per l’eliminazione in terra di siria ed iraq dei suoi militanti, autoctoni o stranieri che siano…troppo in avanti sulla strada della follia omicida sono arrivati costoro per tentare di recuperarli ad un consesso civile…

ciò che chiedo è che per una volta l’occidente, gli americani che non ne hanno mai azzeccata una, i francesi che giocano sempre sporco, i russi che stanno ritornando più imperiali dello zarismo, gli inglesi che non hanno dimenticato i guai causati proprio dai loro righelli, i tedeschi che ritornano in armi, gli italiani che sono tentati, magari non in siria, ma in quella prossima siria che è ormai la libia, e via discorrendo, non facciano della “loro soluzione” una malattia ancor peggiore del male che pure vogliono curare…

ovvero stiamo attenti al guaio dell’unicità del mezzo nell’eterogeneità dei fini…

miko somma

n.b. quando poi qualcuno mi spiegherà come mai nel 2009 Abu Bakr al-Baghdadi venne rilasciato da un campo di detenzione americano in seguito al parere di una commissione che ne raccomandava il “rilascio incondizionato, magari mi farà una cortesia…

 

p.s. mi scuserete il mio solito stile di scrivere di getto e senza ricontrollare…ma sono fatto così 😉

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la sicurezza…

  27/11/2015

Il ministro orlando dice che per scovare i terroristi occorre mettere sotto controllo chat e playstation…dubbi sull’utilità e realizzabilità della cosa, dubbi sulla liceità, ancora più dubbi sulla contrazione del diritto alla privata comunicazione per “la sicurezza”…beh, nei dubbi che attanagliano qualcuno avvisi un certo assessore al comune di potenza di stare più attento…può essere che la prossima volta in chat si spogli davanti qualche cyber007

😛 😛 😛 😛 😛 😛

miko somma

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il ministro delle stupidaggini…

27/11/2015

All’ennesima stupidaggine di poletti potrei rispondere che prima che si iniziasse a riformare scuola ed università qualche anno fa, il livello medio di preparazione degli studenti italiani era tra i più alti d’europa…
poi qualcuno ha iniziato a parlare di adeguare l’apprendimento al mercato del lavoro…
forse il compito della scuola è formare cittadini che poi divengono lavoratori, non lavoratori senza concetto di cittadinanza, no?

miko somma

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liberismo uguale rapina…

26/11/2015

Ciò che mi ha sempre mosso politicamente non è solo un generico senso egalitario buono a declinarsi senza troppo impegno in un salotto o da spendere sull’altare di un “armiamoci e partite” (per bon ton evito altre definizioni forse più adatte) e che nel corso degli anni è stato causa della recisione di ogni cordone ombelicale tra base e rappresentanza, ma quel senso comune, che si trasforma in buon senso, di credere fermamente che se tutti hanno come vivere dignitosamente, l’intera società ne guadagni molto più di quanto deve investire per perequare differenze incivili ed indegne di un sistema democratico…‪#‎liberismougualerapina

miko somma

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