la follia tecno-feudale del liberismo…parte II…

certo la qualità e quantità di sacrificio e risparmio delle famiglie immediatamente dopo la guerra e nel primo periodo di ricostruzione erano evidentemente maggiori di quanto oggi non si riesca forse neppure ad immaginare, ma il semplice dato di avere un lavoro stabile, pur nella ristrettezza di salari tenuti artificiosamente bassi, traslava con sicura immediatezza in categorie sociali il cui tratto distintivo era una relativa serenità economica ed una buona aspettativa di miglioramento sociale per i propri figli, quando non anche direttamente per se stessi…

condizioni queste non frutto del caso o della magnanimità delle parti datoriali, ma certo di un connubio di spinte e controspinte, a volte violente e contraddittorie, tra queste e le parti sindacali in quel fenomeno di lotta sociale che ha in qualche modo contraddistinto il quadro delle relazioni sociali dalla rivoluzione industriale in poi…

ma l’elemento che determina la nascita di classi medie sempre più numerose che detengono quantità di ricchezza e reddito crescenti è l’adottarsi di politiche neo-keynesiane negli stati uniti da parte  dell’amministrazione kennedy all’inizio degli anni ’60 (comunemente conosciuta come “la nuova frontiera“, pur se questa locuzione si riferisce ai famosi 12 punti con cui kennedy tratteggia il ruolo americano nel mondo), il cui riferimento teorico affonda nella new economics di keynes che trova uno spazio politico di azione, contrariamente all’opinione diffusa, non con il new deal rooseveltiano, ma solo nel secondo dopoguerra…

in effetti le idee keynesiane cominciano a divenire materia di interesse politico solo alla fine della seconda guerra mondiale, e finirono per essere accettate ed applicate in forma di politiche economiche concrete solo negli anni ’60, quando la loro affermazione si accompagnò ad una diminuita opposizione culturale all’intervento pubblico in economia da parte della classe politica più tradizionale e degli stessi uomini di affari, appunto con l’affermarsi alla presidenza degli stati uniti del giovane j.f. kennedy, in un periodo tra l’altro caratterizzato da una leadership economica e politica che dopo la guerra ed in conseguenza di questa e delle sue distruzioni e delle divisioni in blocchi di influenza strategica, era passata definitivamente dalla vecchia europa agli stati uniti… 

ciò non tolse che a partire già dall’immediato dopoguerra, gli ostacoli all’accettazione delle idee keynesiane furono molteplici e derivanti da più fattori concatenati, ovvero:

  • una tradizionale mentalità ciclica che influenzava ancora le tesi economiche e politiche prevalenti (i cicli facevano parte dell’ordine naturale delle cose ed erano perciò ineliminabili), anche sulla scorta delle teorie di malthus che sembravano confermarle;
  • una idea diffusa che se il reddito complessivo continuava a crescere, ciò era sufficiente ad acquietare l’opinione pubblica rispetto a più radicali cambiamenti politici;
  • l’ipotesi della disoccupazione strutturale, ovvero l’idea che la disoccupazione fosse dovuta solo alle caratteristiche specifiche del mercato del lavoro;
  • il principio rigorosamente seguito della finanza ortodossa, per cui il bilancio pubblico dovesse essere sempre rigorosamente in pareggio 

così la conquista del primato ideologico della teoria neokeynesiana che diviene la corrente di pensiero dominante avvenne solo nei primi anni ’60 negli stati uniti con l’amministrazione kennedy, che  propose ed attuò programmi di politica economica innovativi, ispirato appunto dall’impostazione teorica della cosiddetta “new economics”, che come il nome suggeriva era un nuovo approccio alla macroeconomia, pur trattandosi però di un compromesso tra la teoria generale di keynes e la teoria economica neoclassica, conosciuta come “sintesi neoclassica di keynes”, una sintesi sia teorica, sia normativa, ovvero di politica economica… 

secondo la sintesi neoclassica, la teoria di keynes è erronea, ma dal punto di vista operativo suggerisce provvedimenti in grado di raggiungere più rapidamente la piena occupazione, attraverso la politica fiscale o fiscalismo keynesiano che comincia a divenire realtà, quando nella sua prima fase le tesi di keynes vengono interpretate con politiche fiscali governative che generano ampie fluttuazioni del reddito, mentre le sole politiche monetariste non appaiono efficaci nella generazione di piena occupazione e così di reddito

si comprende solo negli anni ’60 che avendo a disposizione due strumenti (politica monetaria e politica fiscale), risulta riduttivo puntare ad un solo obiettivo (il pieno impiego), ma diventa ragionevole perseguire obiettivi più ambiziosi quali la piena occupazione (obiettivo statico) e la crescita economica (obiettivo dinamico), ed in particolare se il primo obiettivo è raggiungibile con combinazioni di politica monetaria e fiscale, per ottenere il secondo occorre favorire un uso più intenso della politica monetaria, volto a stimolare una maggiore accumulazione di capitale (vedremo in seguito come il prevalere delle politiche monetariste finisca per stimolare la sola crescita economica senza generare piena occupazione)…

è il caso di osservare che, in un periodo dominato dalla guerra fredda, ed in cui la supremazia tecnologica degli stati uniti era stata messa in dubbio dai successi spaziali sovietici, i consiglieri economici neokeynesiani di kennedy suggerirono una strategia di recupero della superiorità tecnologica americana, a partire dalla corsa allo spazio, che non casualmente appare determinante nei 12 punti con cui il presidente kennedy tratteggia la “nuova frontiera”, progresso tecnologico che valida le indicazioni neoclassiche sui fattori determinanti il tasso di crescita del sistema economico, ovvero maggiori dotazioni di fattori produttivi (lavoro e capitale) e ritmo del progresso tecnologico 

ma la politica economica, seppure stimolante la crescita attraverso capitale e progresso, deve assume anche caratteristiche e obiettivi di stabilizzazione del sistema, ovvero minimizzare  le fluttuazioni  cicliche intorno al reddito potenziale o di piena occupazione e così nell’affrontare shock di breve periodo gli strumenti di politica fiscale e monetaria non devono avere lo stesso ruolo perché se la politica monetaria ha effetti asimmetrici, e risulta più utile ed efficace nel reprimere boom inflazionistici, la politica fiscale è più idonea ad affrontare situazioni di temporanea depressione

rispetto alla teoria di keynes la new economics si contraddistingueva per l’enfasi posta sulla tassazione, e non sulla sola spesa pubblica, come strumento di bilancio, ovvero se lo scopo delle autorità era quello di stabilizzare il reddito, i cambiamenti di regime fiscale, soprattutto a carattere temporaneo, modificano la convenienza o l’attitudine a consumare, e diventano così un importante strumento di stimolo sulle persone

gli insegnamenti fiscali keynesiani furono messi in pratica dalla amministrazioni kennedy e johnson nei primi anni ’60 con robusti tagli fiscali che permisero di contrastare la diminuzione spontanea della domanda a seguito del periodo dell’immediato dopoguerra che avrebbe generato effetti negativi su reddito e occupazione, cosa questa che permise un allargamento percentuale della classe media come supporto alla stabilità economica e politica, ovvero ad una mutazione della composizione classica della piramide sociale, che comincia ad assumere sempre meno l’aspetto di una figura geometrica che da una larga base progredisce verso un vertice ristretto per divenire una sorta di romboide ingrossato al centro, quindi ad una classe media che deve estendere i propri confini per favorire il principale fondamentale di una economia di mercato, i consumi…

vi sono serie storiche di diagrammi che indicano chiaramente come condizione reciproca ed interlacciata di crescita economica, un aumento delle capacità di spesa delle classi medie, quindi un aumento della disponibilità di reddito ed un progredire del welfare pubblico, ed un miglioramento tecnico in grado di assicurare disponibilità di beni e servizi a condizioni sempre più accessibili, quindi parliamo della società dei consumi di massa…

miko somma

(continua…)

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il 14 l’europa parte per marte…

ansa – L’Europa scalda i motori per il viaggio su Marte. Si avvicina la partenza della prima fase della missione ExoMars, prevista per il 14 marzo da Baikonur, mentre la seconda parte della missione dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) e dell’agenzia spaziale russa Roscosmos porterà nel 2018 un veicolo che si sposterà sul pianeta rosso a caccia di vita. E’ una missione senza precedenti, dal costo complessivo di 1,3 miliardi, nella quale l’Italia riveste un ruolo di primo piano.

installazione dedicata alla missione e realizzata a Piazza del Popolo dai protagonisti italiani di ExoMars: Agenzia Spaziale Italiana (Asi) in collaborazione con Thales Alenia Space Italia, Finmeccanica e Telespazio. In una struttura nera, su un lato della piazza, spicca il modello del lander Schiaparelli, che dovrà dimostrare la capacità europea di posarsi sul suolo di Marte. Qui la mattina del 14 marzo si potrà assistere alla trasmissione in diretta del lancio della prima fase della missione ExoMars.

“Stiamo lavorando a un sogno”, ha rilevato il presidente dell’Asi Roberto Battiston, ma un sogno “dalle ricadute importantissime”. La prima fase di ExoMars prevede il lancio di un veicolo che per sette anni sarà nell’orbita di Marte per raccogliere dati scientifici e consentire le comunicazioni con il piccolo veicolo dimostrativo che in ottobre toccherà il suolo marziano e, dal 2018, con il rover che perforerà il suolo del pianeta cercando tracce di vita, passata o forse sopravvissuta alle radiazioni e all’impossibile ambiente marziano.

La missione ExoMars è una sfida importantissima per tutta l’Europa, “che combina competenze scientifiche e capacità tecnologiche”, ha detto Carla Signorini, del centro scientifico e tecnologico dell’Esa, l’Estec. E’ un’occasione fondamentale anche per l’industria italiana, che vi partecipa con Finmeccanica e Thales Alenia Space Italia. E’ “orgoglioso” di questa missione il direttore generale e amministratore delegato della Finmeccanica, Mauro Moretti, e per l’amministratore delagato della Thales Alenia Space, Donato Amoroso, “è un appuntamento storico”, frutto di “un grande sistema che ha portato a sviluppare conoscenze e competenze”.

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la follia tecno-feudale del liberismo…parte I

appare evidente da grafici e comparazioni storiche (ancorchè non esistano specifici studi in tal senso) come uno dei tratti maggiormente evidenti delle grandi trasformazioni sociali innescate dal neo-liberismo economico sia stato un progressivo assottigliamento di capacità economica delle classi medie e nei fatti una rilevante diminuzione del potere di acquisto/sociale delle stesse, dopo diversi decenni nei quali invece tale potere è considerevolmente aumentato, di fatto “assottigliando” la composizione della classe media…

occorre naturalmente intendersi su cosa sia la classe media: l’espressione “classe media” ed il suo sinonimo “ceto medio” indicano gruppi sociali che, non appartenendo né alla borghesia né al proletariato, intesi come dicotomici, si collocano tra i due, occupando una dimensione rilevante della stratificazione sociale, espressione quest’ultima che fa riferimento più ad una classificazione delle diseguaglianze sociali che ad una classe sociale in quanto tale, tanto è vero che gli strati individuati non sono attori sociali collettivi nel senso in cui lo sono state comunemente le classi sociali come individuate a partire dal XIX secolo…

e se quindi l’espressione “classe media” fa riferimento ad un modello dicotomico che la lascia individuare come non appartenente ai due estremi di struttura di classe (che non appartiene invece al concetto di stratificazione sociale), parlare di classe media indica invece un modello di stratificazione sociale che accorpa una pluralità di strati sociali, connaturando ogni strato, ad eccezione quindi dei due estremi, come “medi”…

così il concetto stesso di classe media è contraddittorio e legato sia ad interpretazioni dicotomiche degli estremi che provano con la loro esistenza l’esistenza di una “classe media”, sia ovviamente a quale sia il limite di ricchezza e reddito che determina  il confine tra le dicotomie e così l’intervallo in cui possiamo situare le classi medie…

ed anche negli schemi funzionalistici è possibile individuare due classi estreme in cui reddito, prestigio e potere sono o molto più elevati o molto più bassi di quelli di altre classi intese così come “medie”, pur non potendosi però individuare funzioni proprie di queste classi medie…

si parla infatti di “classi medie”, al plurale, perchè l’espressione “classe media” è diventata troppo generica, non individuando più la borghesia imprenditoriale, ma gruppi diversi come liberi professionisti, artigiani, commercianti, burocrati e colletti bianchi ed anche gli agricoltori nella loro trasformazione…

così per sintetizzare e per citare sylos labini in un suo saggio del 1974, se dopo le rivoluzioni industriali nei paesi a capitalismo avanzato la struttura di classe è caratterizzata dalla presenza delle due classi degli imprenditori e degli operai industriali, il fatto che esse siano le classi caratteristiche della nuova formazione sociale fa sì che le altre classi debbano essere in qualche modo definite in rapporto a esse, e così queste di fatto rientrano in una piccola borghesia in genere in possesso dei propri mezzi di produzione e che poco o per nulla utilizza lavoro salariato (i lavoratori autonomi, i professionisti, ma anche coltivatori diretti, commercianti, artigiani) o da una piccola borghesia impiegatizia, di cui fanno parte impiegati pubblici e privati…

dunque acclarato che quando si parla di classe media, si intende una pluralità di soggetti sociali che meglio sarebbe definire come “classi medie” e che ne fanno parte tutti o quasi coloro che non rappresentano gli estremi sociali, ma che soprattutto in queste classi medie sono entrati osmoticamente nel corso del tempo sia piccoli imprenditori che operai specializzati, soggetti che pur appartenendo nominalmente alle rispettive dicotomie sociali degli imprenditori e delle classi operaie, redditualmente e per rispettivo potere di influenza ne fuoriescono, possiamo passare ad analizzare il fenomeno dello “svuotamento” delle classi medie operato dal liberismo economico…

in una prospettiva storica che per ora e solo per comodità di esposizione e per non estendere troppo il raggio di analisi considereremo dalla fine del secondo conflitto mondiale alla metà degli anni ’70 del secolo scorso, le percentuali di reddito e di ricchezza disponibili (che ricordo essere aspetti molto diversi, essendo la ricchezza il complesso dei beni materiali e immateriali che hanno valore di mercato di cui una famiglia dispone, quindi uno stock definito in un determinato istante, al contrario del reddito o del risparmio che sono invece flussi finanziari definiti in un intervallo di tempo) per le classi medie ed il loro decremento percentuale nel periodo seguente sono dapprima molto cresciute, poi con la crisi dei debiti sovrani enormemente calate…

ma pur restringendo il raggio di ricerca ad un determinato momento, non si può non considerare che la crescita economica in quanto tale deve essere inquadrata in alcuni periodi storici che ne tracciano il suo divenire…

il meccanismo della crescita economica può essere infatti suddiviso in 6 grandi periodi:

1) dalla preistoria al 1500, una crescita economica lentissima con una popolazione che cresce molto lentamente e con standard di vita statici fino alla metà del 1700. Il reddito procapite, nell’analisi statistica di maddison che misura l’aumento della ricchezza disponibile, risulta avere un incremento dello 0,04% all’anno solo nel periodo tra il 1500 ed il 1700, mantenendosi in percentuali quasi prossime allo 0 nei periodi precedenti…

2) tra il 1750 ed il 1820, quando il tasso di fertilità aumenta, il tasso di mortalità diminuisce e gli standard di vita cominciano a migliorare. La causa è da rinvenire prevalentemente nella cosiddetta “rivoluzione industriale”, che produce un’accelerazione del tasso di crescita annuo del PIL che tuttavia è solo dello 0.07% all’anno nel periodo 1700-1820…

3) a partire dal 1820 avviene il decollo economico nella maggior parte dei paesi oggi definiti avanzati, ma i tassi di crescita annui del reddito pro capite non furono tuttavia mai eccezionali, tanto che nel periodo 1820-1870, il reddito pro-capite della gran bretagna, il paese più industrializzato del periodo (sebbene gli USA cominciassero ad insediarlo) salì infatti in media solo del 1,3% all’anno

4) le complesse vicende della prima guerra mondiale e della crisi economica che seguì in tutti i paesi avanzati dopo il “crollo” di Wall Street del 1929, che fecero sì che il ventennio fra le due guerre mondiali fosse segnato da una forte depressione economica…

5) il periodo a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, quando, trainate dalla ricostruzione post-bellica, le economie dei paesi del mondo occidentale conobbero una forte accelerazione dello sviluppo, tanto che il reddito pro-capite crebbe ad un tasso medio annuo del 2,7% fra il 1960 ed il 2000, con picchi del 5-6%…

6) il periodo che parte dalla fine degli anni 70 e che definiamo come quello del liberalismo economico e che è il periodo che ci interessa esaminare per comprendere l’aumento del potere d’acquisto e la ricchezza delle classi medie e che, per maggiore comprensione, suddivideremo e caratterizzeremo per tre grandi periodi..

A) lo sviluppo estensivo (1946-1963)

gli anni dell’immediato dopoguerra sono caratterizzati dall’adozione di un regime valutario di cambi fissi, definito a bretton woods nel 1944, regime nel cui ambito non consentiva ai paesi aderenti di adottare politiche economiche basate proprio sulla fluttuazione dei cambi valutari…si era cioè deciso, a causa della penuria di strumenti finanziari disponibili seguita alla guerra, di “sacrificare” la libera circolazione dei capitali, permettendo quindi ai singoli paesi di gestire in autonomia la propria politica monetaria con unico vincolo il saldo delle partite correnti che doveva rimanere in equilibrio, ed a tal fine l’unica strada percorribile era l’aumento della competitività interna ottenuta con la compressione dei salari ed attraverso l’aumento della produttività interna (cosa che fu senza dubbio il principale fattore di incremento della competitività internazionale)…in italia questa strategia, rivolta soprattutto al settore manifatturiero per soddisfare più a domanda internazionale che quella interna, fu considerata l’unica possibile, ma furono necessari non solo massicci investimenti, ma anche e soprattutto bassi livelli salariali indotti anche dall’esistenza di una grande massa di forza lavoro disoccupata e sottoccupata disponibile a scambiare un impiego stabile con salari molto inferiori a quelli corrisposti nei paesi i cui mercati erano il principale sbocco della produzione nazionale.

B) lo sviluppo intensivo (1963-1971)

in questo periodo non muta lo scenario economico internazionale, che resta caratterizzato dal prevalere di un regime di cambi fissi, ma cambiano le condizioni interne che avevano permesso la crescita della competitività internazionale…il modello prevalente viene meno perché raggiunta la virtuale piena occupazione ed una compensazione produttiva che colmava gli effetti della guerra, le imprese cominciarono a farsi concorrenza sul mercato del lavoro, determinando un aumento del saggio di salario che dai primi anni ’60 superò per la prima volta la crescita della produttività del lavoro…il costo del lavoro per unità di prodotto comincia così a crescere, trasferendosi sui prezzi dei prodotti e facendo perdere competitività soprattutto alle imprese italiane (nello specifico, dato che ragioni sociali e geo-politiche sconsigliavano di intervenire sulla variabile salariale, si perseguì la strada di un ulteriore aumento di produttività del lavoro, cosa che presentava due opzioni, o incrementare ancora gli investimenti per ottenere un aumento del prodotto complessivo, o generare una contrazione dell’occupazione che, a parità di reddito prodotto, avrebbe causato un incremento della produttività del lavoro)…

C) da bretton woods ai cambi flessibili (1971-1979)

la fase iniziale di questo periodo è caratterizzata da due eventi che determinano una profonda discontinuità rispetto ai decenni precedenti..da un lato, la minore competitività dell’economia statunitense rispetto alle performance di paesi come il giappone e la germania determina un incremento del deficit commerciale e della spesa pubblica degli stati uniti, situazione che poté essere sostenuta solo attraverso l’emissione continua di dollari, data la possibilità, consentita dal gold exchange standard, di convertirla in oro…e tuttavia era evidente che le riserve auree degli stati uniti non sarebbero state sufficienti a rimborsare l’ammontare di dollari circolante, così con la dichiarazione di inconvertibilità del dollaro nel 1971 (nixon) viene abbandonato il sistema valutario internazionale del gold exchange standard e nel giro di pochi anni ogni paese fissò la parità di cambio con le altre valute nazionali in base alle proprie necessità…dall’altro, si assistette ad un improvviso aumento dei prezzi delle materie prime (petrolio in primis) che modificò gli scambi tra paesi produttori di beni manufatti e paesi produttori di materie prime, con una forte inflazione da costi che ridusse il potere di acquisto e determinò una contrazione della domanda dei paesi avanzati…per la prima volta si assistette ad un fenomeno non previsto, la contemporanea presenza di inflazione e riduzione della domanda (stagflazione), a cui le teorie economiche prevalenti non erano in grado di dare spiegazione…

evidente è quindi che nei tre periodi presi in esame assistiamo comunque a fasi di crescita intensa che se generano aumenti produttivi debbono necessariamente generare un aumento della capacità di spesa di sempre più larghe fette della popolazione, popolazione che entra, proprio in virtù di questo aumento di capacità di spesa, nelle cosiddette classi medie…

otticamente percepibile nel corso di questi periodi era infatti la capacità di supportare redditualmente uno stile di vita in continuo miglioramento non più e solo da parte dei quadri impiegatizi, ma anche dei settori fino a quel momento considerati come “proletari”, gli operai, che grazie al semplice lavoro in fabbrica cominciano ad affacciarsi a consumi fino a quel momento prerogativa di altri settori sociali…

miko somma

(continua…)

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occorre studiare…

07/03/2016

studiare è bellissimo ed esaltante ed è l’unica cosa che mi rende davvero sicuro di ciò che dico, una qualità questa che dovrebbe riguardare tutti coloro che fanno politica, per far si che li si possa considerare politici e non politicanti…

miko somma

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il vento dell’ottimismo?…

04/03/2016

il vento dell’ottimismo?…il vero dato sulla crescita decantata dal sig. renzi, se pure accettiamo per utile convenzione che la “crescita” sia un parametro realistico di benessere (cosa che a mio avviso, nella sperequazione del possesso di ricchezza per fasce sociali, non è affatto), è che nel raffronto con le altre economie il dato italiano si rivela per ciò che è, ovvero un hashtag del governo per alimentare la febbre dell’ottimismo anche a fronte di risultati deludenti ri…spetto alle attese di miglioramento con cui si è “distrutta” la democrazia, consentendo ad un “cretino” di gestire un paese (colpa storica del pd)…infatti, a fronte di una crescita dello 0,7% corretto, la spagna cresce del 2,8%, il regno unito del 2,6%, la germania dell’1,9% e la francia dell’1,1%, portando l’eurozona ad un tasso di sviluppo dell’1,5% e l’intera unione europea dell’1,8%…nell’interlaccio delle economie europee il dato utile è solo quello che raffronta…

miko somma

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…‪#‎folliapalazzochigi…

04/03/2016

da ieri 50 incursori italiani sono in libia…se è un inizio di intervento è sbagliato cominciarlo senza essere passati dal parlamento, adottando il trucco becero di farla apparire come azione di intelligence (cosa che esimerebbe dalle comunicazioni di rito), ma se è un’azione “coperta” a supporto della ricerca dei nostri connazionali rapiti, che azione sarebbe se tutti già lo sanno?…‪#‎folliapalazzochigi‬ ‪#‎imitandoblair

p.s. dicitur che gli ostaggi siano liberi…

miko somma

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valutiamo…

03/03/2016 

Oggi riunione del circolo carlo levi…all’odg, tra le altre, valutiamo la nostra uscita da possibile…

miko somma

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siamo già in guerra grazie a renzi…

contrariamente a quanto faccio di solito, vista la necessità di non spezzettare la lettura, vi posto questo link http://www.corriere.it/esteri/16_febbraio_29/intervento-libia-italia-usa-b7ad751a-df0d-11e5-8660-2dd950039afc.shtml?refresh_ce-cp all’articolo di Fiorenza Sarzanini

Libia, intervento militare più vicino
Italia in prima linea per il Comando

Il segretario alla Difesa Usa: «Appoggeremo con forza la guida di Roma»

ROMA Il tempo evidentemente stringe, la pressione degli Stati Uniti per un intervento di tutti gli alleati si fa sempre più pesante. In attesa di una richiesta ufficiale che arrivi dal governo libico, l’Italia mette a punto i piani militari e la trattativa per il Comando entra nella fase cruciale. La dichiarazione del segretario alla Difesa americano, Ash Carter è netta: «L’Italia, essendo così vicina, ha offerto di prendere la guida in Libia. E noi abbiamo già promesso che li appoggeremo con forza». Da mesi Palazzo Chigi porta avanti il negoziato in coordinamento con i ministri della Difesa e degli Esteri proprio per ottenere la guida della Coalizione composta da 19 Paesi uniti nella lotta contro l’Isis. E garantisce la propria capacità di entrare in azione in una settimana, affiancandosi a chi è già «in teatro».

La risoluzione Onu

La crisi provocata dall’avanzata delle truppe del Califfato è stata anche al centro del colloqui tra il capo di Stato Sergio Mattarella e il presidente Barak Obama, durante la missione di due settimane fa a Washington. Il Quirinale ha ribadito anche qualche giorno fa — al termine del Consiglio supremo di difesa — la linea di intervenire soltanto nella «cornice» dell’Onu, consapevoli che la risoluzione delle Nazioni Unite è stata già votata nel dicembre scorso. Dunque, bisogna attendere soltanto la richiesta del governo di Tobruk. Dopo il via libera concesso al decollo dei Predator armati dalla base di Sigonella, lo schieramento delle forze in campo è stato delineato. Così come i piani operativi. 

Le forze in campo

Le forze armate italiane insistono sulla necessità di essere in prima linea sul campo, evidenziano come francesi e britannici siano già al fianco degli Usa. Rivendicano la necessità di muoversi non soltanto con attività di addestramento del personale libico e di sorveglianza dei siti sensibili e strategici, ma utilizzando i corpi speciali per quelle missioni di intervento segrete che gli alleati stanno già effettuando. Operazioni di intervento affidate ai militari del Comsubin e del Col Moschin. E poi ci sono gli elicotteri da combattimento, le navi già schierate nel Mediterraneo in servizio di pattugliamento per l’emergenza migranti, gli aerei e i sommergibili.

Le forze in campo

Difficile fare previsioni su chi potrebbe essere scelto per la guida, ma qualche indiscrezione già filtra. E tra i nomi in pole position si fa quello del generale Paolo Serra, il consigliere militare dell’inviato dell’Onu Martin Koble che ha grande esperienza sia per quanto riguarda la conoscenza della crisi libica, sia per i precedenti incarichi visto che è stato alla guida della missione Unifil in Libano. Potrebbe essere proprio lui l’alto ufficiale scelto per comandare gli oltre 11mila uomini da impegnare in quella che potrebbe diventare una delle operazioni più imponenti dal punto di vista militare, ma che si preannuncia anche molto delicata proprio per la vicinanza con il nostro Paese e le possibili ritorsioni che potrebbe scatenare da parte dei terroristi dell’Isis. Non a caso i progetti che vengono esaminati in queste settimane si concentrano sugli interventi nel teatro di guerra, ma anche su quelli a protezione degli obiettivi in Italia.

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…e visto che si tratta di una vera e propria guerra, non sarebbe il caso di una discussione in parlamento?…

 

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ad un passo dall’intervento in libia…

01/03/2016

…dunque ci balocchiamo sulla paternità di vendola e nessuno sembra accorgersi che siamo ad un passo da un intervento militare diretto in libia, fortemente voluto da un ipocrita spergiuro che nessuno ha eletto…

miko somma

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