si esce…

23/03/2016

bene, si esce con qualche rimpianto, ma senza rabbia, da possibile e si rifonda COMUNITA’ LUCANA…dettagli domani

miko somma

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la follia tecno-feudale del liberismo…parte IV…

terminiamo la parte cosiddetta storica, sebbene molto altro ancora sarebbe da aggiungere per inquadrare l’evoluzione del monetarismo e del liberalismo in quello che oggi tutti definiamo turbocapitalismo o se volete globalizzazione (e comunque qui e lì ci ritorneremo), per  non “allungarci” troppo e per poterci concentrare sull’oggi, ovvero su quell’impoverimento generale che rimane la costante evolutiva proprio di quel turbocapitalismo e di quella globalizzazione… 

il monetarismo in auge fino a quel momento entra presto in crisi ed a seguito del “lunedì nero del 1987“, inizia un acceso dibattito nel quale se i monetaristi sostenevano che il crollo della borsa era stato una compensazione tra le politiche monetarie di USA ed europa, i suoi detrattori trovarono forti ragioni per il suo superamento quando il giappone entrò in una pesante spirale deflazionistica e quando il sistema bancario statunitense collassò, tanto che lo stesso governatore della federal reserve, paul volcker, fu sostituito da alan greenspan, anche lui un monetarista, la cui gestione della politica monetaria nella recessione nel 1991 però fu molto criticata per essere stata troppo restrittiva, ma nonostante il successivo cambio di guardia politico tra repubblicani e democratici, bill clinton, succeduto a george w. bush nominò nuovamente greenspan…

greenspan, pur di orientamento monetarista, riteneva però che una applicazione troppo dottrinaria della teoria non mettesse in condizione le banche centrali di fare fronte a nuove situazioni di crisi e la prova di questa nuova risposta flessibile da parte della FED fu la crisi finanziaria asiatica del 1997-98, alla quale la FED stessa fece fronte inondando il mondo di dollari, tanto che molti dedussero che mentre l’inflazione si insinuava negli Stati Uniti, richiedendo la restrizione del credito, si doveva contemporaneamente immettere liquidità come risposta alla fuga di capitali in asia e nel 2000 greenspan eseguì una rapida successione di manovre restrittive per riparare agli interventi del 1997-98 ed ancora manovre di alleggerimento del credito aspettandosi una recessione nel 2000-2001 ed effettivamente dandogli poi origine proprio in conseguenza delle manovre finanziarie messe in atto…

questo negli stati uniti, mentre in europa la BCE segue invece un monetarismo più ortodosso, sostenuto dai vincoli del trattato di maastricht che, tra le altre, fissa obiettivi inflattivi, di spesa e di bilancio in relazione alla difesa dell’euro e dei debiti pubblici dei rispettivi paesi membri, in una tendenza che probabilmente è nata anche come risposta all’eccesso di facilitazioni di credito degli anni ’80 e ’90 per sostenere la riunificazione della germania, facilitazioni in seguito accusate di essere state la causa della debolezza delle monete europee alla fine degli anni ’90, prima dell’introduzione dell’euro

queste vicissitudini, prova di eventi che molti economisti hanno interpretato come inspiegabili in termini strettamente monetaristici (la separazione della crescita dell’offerta di moneta dall’inflazione negli anni ’90 e l’incapacità a stimolare l’economia nel periodo 2001-2003), hanno portato ad una tale forte messa in dubbio della forma classica del monetarismo, tanto che lo stesso greenspan, spiega l’accaduto e l’inefficacia delle sue manovre finanziarie come forme incontrollabili di “esuberanza irrazionale” nel settore degli investimenti privati…

accademicamente bernanke, professore a princeton ed anche lui presidente della FED, ha sostenuto che il monetarismo potrebbe rispondere a una condizione di tasso zero di interesse con una espansione diretta dell’offerta di moneta, ovvero stampando moneta per rilanciare un certo tasso di inflazione, ma a questa teoria paul krugman, ha facilmente obiettato che tutto ciò avrebbe un mero effetto svalutativo sulle monete, come dimostrato dai bassi tassi d’interesse del 2001-2004 che produssero svalutazione su molte monete…

i monetaristi della scuola di friedman credevano tra i ’70 e gli ’80 che la crescita dell’offerta di moneta dovesse essere basata su di una certa formula riguardante la crescita economica, ovvero applicando una politica monetaria basata su di un obiettivo in termini di “quantità di moneta”, in contrasto con la politica monetaria della “economia dell’offerta” (supply side economics) e dalla scuola austriaca, che si basa invece sull’obiettivo di un “valore della moneta“, ma solo nel 2003 milton friedman ha finalmente ammesso che non è facile predire la domanda di moneta, una delle principali obiezioni al monetarismo, provando che, pur se la teoria monetarista resta un importante settore di studio dell’economia del mercato, essa non è più una base realistica per la messa in atto di politiche economiche…

occorre però a questo punto delineare meglio cosa sia il neoliberismo, ovvero un insieme di concezioni politiche ed economiche non ben definite, ma ideologicamente indirizzate ad una esaltazione del libero mercato ed a una riduzione del peso dello stato nella vita pubblica, identificando comunque indirizzi di pensiero che negli ultimi tempi hanno assunto sempre più spesso un significato dispregiativo nell’opinione corrente, senza tuttavia essere ancora state messe in discussione dalle politiche di governo o senza che si siano elaborate strategie di cambiamento definibili come globali e come tali capaci di cambiare direzione…

a coniare il termine neoliberismo fu il sociologo ed economista tedesco alexander rüstow, che pure cercò di teorizzare una nuova forma di liberismo leggermente distaccata da quello classico, più attenta al sociale e non completamente contraria ad un controllo dell’evoluzione dei mercati da parte dello stato, in un convegno nel 1938 a parigi in cui si puntava a definire una nuova visione di liberalismo economico, liberalismo a cui in quel periodo si imputava la depressione del 1929, che potesse proporsi come terza via tra il laissez faire più assoluto in economia, come predicato da alcuni, e la pianificazione economica collettivista che sulla scorta di ciò che accadeva in URSS, molti cominciavano a credere fosse necessaria anche in occidente…

nel 1947 friedrich von hayek fondò la mont pelerin society con l’intento di ridiscutere il liberalismo classico, quindi il neoliberismo, gruppo a cui aderì milton friedman e che in breve si pose come baluardo dell’ideologia liberale e punto di incontro dei sostenitori del libero mercato, sebbene vi furono forti attriti con ludwig von mises, uno strenuo difensore del liberalismo classico, e la scuola austriaca che alle sue tesi faceva riferimento, ma per vedere i primi effetti pratici in termini di politiche economiche delle teorie propugnate si dovettero attendere i primi anni ’60 perché in america latina iniziasse un certo interesse per le politiche di libero mercato, ispirate principalmente dall’ordoliberalismo tedesco (wirtschaftswunder) che localmente era chiamato neoliberalismo, politiche che solo dopo il colpo di stato di augusto pinochet in cile, iniziarono a trovar posto nell’economia politica di uno stato, non casualmente uno stato dittatoriale

pinochet entrò in contatto con diversi economisti della scuola di chicago, i cosiddetti chicago boys, tra cui il suo fondatore friedman e josé piñera, che gli suggerirono una serie di riforme di stampo liberale ispirate ai princìpi espressi in “capitalismo e libertà”, cioè deregolamentazione (deregulation), conservatorismo fiscale, privatizzazioni del patrimonio statale e tagli alla spesa sociale, con l’effetto di consegnare il paese alle multinazionali e generare un grande malcontento nella popolazione, specialmente nelle classi sociali a più basso reddito a cui furono tagliati molti servizi assistenziali e che subirono riduzioni medie dei salari dell’8% con una inflazione che toccò il 375% nel 1974, erodendo massicciamente il potere d’acquisto e così impoverendo una grande fetta della popolazione, e con la disoccupazione salita in pochi anni dal 3% al 20% ed al 30% nel 1982, in un clima generale di terrore in cui erano diffuse torture e sparizioni operate dalla polizia, che venne sintetizzato dalla frase “la gente era in prigione perché i prezzi potessero essere liberi” che da allora legò la visione del liberalismo più esasperato ad una visione autoritaria della politica

ma oltre al cile, il paese in cui le politiche liberiste trovarono maggiore concretizzazione, anche per le dimensioni notevolmente maggiori della sua economia, fu il regno unito dove nel 79 diviene primo ministro margareth thatcher, una fervente filo-monetarista, che incrementa subito il tasso d’interesse per ridurre l’inflazione e aumenta l’imposta sui consumi, preferendo così la forma della tassazione indiretta a quella diretta, ma finendo per far raddoppiare la disoccupazione in poco più di un anno, avendo l’aumento colpito principalmente l’industria manifatturiera, tradizionalmente ad alto tasso occupazionale, e se nel 1982 l’inflazione ritornò a livelli accettabili, con tassi d’interesse bassi e buona crescita economica, la stessa industria manifatturiera ridusse i propri utili di un terzo in 4 anni e, nello stesso periodo, la disoccupazione aumentò di ben quattro volte…

la premier britannica si impegnò a ridurre l’intervento statale, soprattutto tramite un gran numero di privatizzazioni e tra le aziende privatizzate spiccano la British Airways, la British Gas, la British Telecommunication e la British Steel, la più importante industria produttrice di acciaio, e nel 1986 varò il big bang act, che deregolamentava il london stock exchange, la borsa di londra, abolendo le spese di commissione fissa e la figura dell’intermediario nelle operazioni borsistiche, con la conseguenza di diminuire i controlli e rendere più facile l’attività degli speculatori, aumentandone certo le attività, ma creando le basi per tutta la futura speculazione finanziaria…

ma ovviamente il maggiore contributo materiale al liberismo fu la reaganomics, ovvero l’insieme di scelte di politica economica adottate dagli stati uniti durante la presidenza di ronald reagan, dal 1981 al 1989, politica economica che cominciava dal taglio delle tasse che lo stesso reagan annuncia in televisione nel luglio 1981 e che prosegue con la riduzione della crescita del debito pubblico, la riduzione delle tasse sul lavoro e sui redditi di capitale, la riduzione della regolamentazione dell’attività economica, il controllo dell’offerta monetaria e la conseguente riduzione dell’inflazione, in una vicinanza estrema alla filosofia economica proprio di margaret thatcher…

ma il successo di reagan è dovuto in gran parte alla scelta di tagliare l’imposizione fiscale, invertendo la tendenza decennale di far crescere l’imposizione fiscale ed il ruolo dello stato nell’economia, limitando la capacità impositiva dello stato secondo le tesi dell’economista laffer che vedeva in una riduzione dell’imposizione fiscale un beneficio sia sulla crescita economica che sull’imposizione fiscale stessa, perché un’eccessiva imposizione fiscale spingeva i lavoratori a rinunciare a lavorare di più…

ma certo la storia del liberismo non termina qui, innestandosi sulle politiche finanziarie pubbliche, la speculazione finanziaria di cui tratteremo in seguito…

(continua…)

miko somma

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