non liberate questo mostro…

credo che a una bestia come totò riina, in assenza di pentimento, non possano essere concessi altri benefici, vista età e salute, che una attenuazione del 41bis, non certo gli arresti domiciliari o alcuna misura alternativa alla detenzione…

lo stato non deve essere un carnefice, ma neppure può divenire uno stolto…

io credo che una simile persona possa, anche in fin di vita, riprendere il contatto diretto con i suoi affari mafiosi ed organizzare il suo lascito ai familiari e quelli all’organizzazione criminale di cui è ancora un nume tutelare, seppure senza poteri reali,sotto forma di una indicazione per la una sua successione…

Risultato immagine per toto riina

la decisione, che non commenterò comunque, spetta al tribunale di sorveglianza di bologna invitato dalla cassazione al riesame della carcerazione, dopo ingiunzione dei difensori…la cassazione ribadisce la pericolosità del soggetto, ma antepone a questa il diritto ad una morte dignitosa…tutto ineccepibile e sacrosanto, ma rimane il punto della pericolosità che, a mio avviso, in un tale soggetto non è diminuita dalle condizioni di salute…

spero che il tribunale, in accoglienza del disposto della cassazione, ordini il trasferimento in ospedale in regime speciale di sorveglianza per garantire a questo schifoso una morte dignitosa, ma alla collettività la sicurezza che costui non usi i suoi ultimi giorni per ordinare altre nefandezze…

ricordo infine che a provenzano non è stato assicurato di più che l’ospedale per umanizzare la pena in vista della morte…sono cosciente del dovere del tribunale di giudicare serenamente, ma credo gli italiani si arrabbierebbero davvero molto in caso contrario

 inizi della carriera di un capo della mafia

Nato in una famiglia di contadini il 16 novembre 1930, nel settembre 1943 Riina perse il padre Giovanni e il fratello Francesco (di 7 anni) mentre, insieme con il fratello Gaetano, rimasto ferito, stavano cercando di estrarre la polvere da sparo da una bomba inesplosa, rinvenuta tra le terre che curavano, per rivenderla insieme con il metallo. Luciano Liggio, lo affiliò nella locale cosca mafiosa, di cui faceva parte anche lo zio paterno di Riina, Giacomo, principalmente impegnato nel furto di bestiame, di attrezzi agricoli e di derrate.

A soli 19 anni Riina uccide in una rissa un coetaneo, Domenico Di Matteo, e fu condannato a 12 anni, scontati solo in parte nel carcere dell’Ucciardone, e scarcerato nel 1956. Insieme con Liggio, Riina cominciò a occuparsi di macellazione clandestina di bestiame rubato. Nel 1958 Liggio eliminò il suo capo mafioso Michele Navarra e nei mesi successivi, scatenò un conflitto contro gli uomini di Navarra, in gran parte assassinati. 

Riina venne arrestato nel dicembre del 1963 a Torre di Gaffe (Ag)da una pattuglia di agenti di Polizia . Riina, aveva una carta d’identità rubata (dalla quale risultava essere “Giovanni Grande” da Caltanissetta) e una pistola non dichiarata.

Dopo aver scontato alcuni anni di prigione al carcere dell’Ucciardone, fu assolto per insufficienza di prove nel processo svoltosi a Bari nel 1969. Dopo l’assoluzione, il Tribunale di Palermo emise un’ordinanza di custodia precauzionale nei loro confronti. Riina tornò da solo a Corleone, dove venne arrestato e gli venne applicata la misura del soggiorno obbligato; scarcerato e munito di foglio di via obbligatorio, Riina non raggiunse mai il soggiorno obbligato e si rese irreperibile, dando inizio alla sua lunga latitanza

ed a maggior supporto di quanto affermo, circa la necessità di tenere ancora in custodia cautelare, seppur lieve e protetta quale può essere, viste le sue condizioni di salute, la detenzione ospedaliera, vi posto queste dichiarazione del procuratore capo dell’antimafia, franco roberti…

ansa – “Totò Riina deve continuare a stare in carcere e soprattutto rimanere in regime di 41 bis”. A dirlo è il procuratore nazionale Antimafia, Franco Roberti, che in un’intervista al Corriere della Sera spiega che ci sono le prove per dire che il vecchio boss sia ancora il capo di Cosa Nostra. Roberti è sicuro che il tribunale di sorveglianza di Bologna, in sede di rinvio da parte della Cassazione, gli darà ragione, nuovamente: “Si tratta – osserva – di un annullamento con rinvio, il Tribunale dovrà integrare la motivazione sui punti indicati dalla Cassazione e sono certo che a quel punto reggerà l’intero impianto. Questa decisione non mi preoccupa”.

La Cassazione dice che non è motivata a sufficienza l’attualità del pericolo, ma “siamo perfettamente in grado di dimostrare il contrario – afferma -. Abbiamo elementi per smentire questa tesi. E per ribadire che Totò Riina è il capo di Cosa nostra”, “le indagini sono in corso e non ho nulla da dire, né potrei farlo. Ma vorrei ricordare che il pubblico ministero Nino Di Matteo vive blindato proprio a causa delle minacce che Totò Riina ha lanciato dal carcere. Se non è un pericolo attuale questo, mi chiedo che altro dovrebbe esserci”. Secondo Roberti, le condizioni di salute di Riina non sono incompatibili con il regime carcerario del 41 bis: se davvero il carcere di Parma non fosse attrezzato a sufficienza, “nulla impedirebbe il trasferimento in un’altra struttura di massima sicurezza. Ma dico per Riina quello che avevamo già sostenuto nel caso di Bernardo Provenzano, che era in condizioni addirittura più gravi: deve rimanere in carcere al 41 bis“.

in breve la sentenza della corte di cassazione

La prima sezione penale della Cassazione ha accolto il ricorso del difensore di Totò Riina, che chiede il differimento della pena o, in subordine, la detenzione domiciliare. La richiesta (si legge nella sentenza 27.766, relativa all’udienza del 22 marzo scorso) era stata respinta lo scorso anno dal tribunale di sorveglianza di Bologna, che però, secondo la Cassazione, nel motivare il diniego aveva omesso “di considerare il complessivo stato morboso del detenuto e le sue condizioni generali di scadimento fisico“. Il tribunale non aveva ritenuto che vi fosse incompatibilità tra l’infermità fisica di Riina e la detenzione in carcere, visto che le sue patologie venivano monitorate e quando necessario si era ricorso al ricovero in ospedale a Parma. Ma la Cassazione sottolinea, a tale proposito, che il giudice deve verificare e motivare “se lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza ed un’afflizione di tale intensità” da andare oltre la “legittima esecuzione di una pena”.

Il collegio ritiene che non emerga dalla decisione del giudice in che modo si è giunti a ritenere compatibile con il senso di umanità della pena “il mantenimento il carcere, in luogo della detenzione domiciliare, di un soggetto ultraottantenne affetto da duplice neoplasia renale, con una situazione neurologica altamente compromessa”, che non riesce a stare seduto ed è esposto “in ragione di una grave cardiopatia ad eventi cardiovascolari infausti e non prevedibili”. La Cassazione ritiene di dover dissentire con l’ordinanza del tribunale, “dovendosi al contrario affermare l’esistenza di un diritto di morire dignitosamente” che deve essere assicurato al detenuto. Inoltre, ferma restano “l’altissima pericolosità” e l’indiscusso spessore criminale” il tribunale non ha chiarito “come tale pericolosità “possa e debba considerarsi attuale in considerazione della sopravvenuta precarietà delle condizioni di salute e del più generale stato di decadimento fisico”.

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