il sistema solare in immagini – parte VI – satelliti di giove

siamo ad un altro capitolo di questa, spero gradita, escursione in un tema fuori dalla consuetudine di temi trattati da questo blog, e siamo giunti ad un capitolo importante, quello sui satelliti di Giove, un argomento che trattiamo a parte, sia per il grande numero degli stessi, sia per la peculiarità di poter teoricamente ospitare forme di vita di alcuni di loro, i satelliti medicei, tutti scoperti da galileo galilei nel 1610 con un piccolo telescopio (anche meno di un giocattolo per i parametri dell’amatorialità di oggi), che solo di recente hanno assunto un ruolo primario nella ricerca della vita…e vedremo, come in parte già trattato per quanto riguarda Marte, che proprio la ricerca di possibili forme di vita al di fuori della Terra è forse la molla principale che fa scattare la ricerca…buona lettura e con l’occasione voglio ringraziare tutti gli innumerevoli siti da cui ho tratto compendi di testo ed immagini per poter scrivere questi per me entusiasmanti articoli…

Satelliti di Giove

Giove è circondato da molti satelliti naturali, attualmente identificati 67, che lo rendono il pianeta con il più gran numero di satelliti con orbite ragionevolmente certe del sistema solare.  Otto di questi sono definiti satelliti regolari e possiedono orbite prograde (che orbitano nello stesso senso della rotazione di Giove), quasi circolari e poco inclinate rispetto al piano equatoriale del pianeta, a loro volta suddivisi in due gruppi: Gruppo principale o Satelliti medicei o galileiani, ovvero Io, Europa, Ganimede e Callisto gli unici, in virtù della massa, ad avere forma sferoidale e Gruppo di Amaltea o interno, il gruppo di satelliti più vicino al pianeta e sono Metis, Adrastea, Amaltea e Tebe, le sorgenti delle polveri che formano gli anelli del pianeta.

Metis.jpgAdrastea.jpg

sopra rispettivamente foto di Metis ed Adrastea, riprese dalla sonda Galileo in condizioni di forte irradiamento da Giove 

sotto rispettivamente foto di Amaltea e Tebe, riprese dalla sonda Galileo in condizioni di forte irradiamento da Giove

Amalthea PIA02532.png

Thebe.jpg

sotto i 4 satelliti galileiani con particolari delle rispettive superfici

Le restanti lune sono annoverate tra i satelliti irregolari, le cui orbite, sia prograde sia retrograde (che orbitano in senso opposto rispetto al senso di rotazione di Giove), sono poste a una maggiore distanza dal pianeta madre e presentano alti valori di inclinazione ed eccentricità orbitale. Questi satelliti sono considerati più che altro degli asteroidi (cui somigliano per dimensioni e composizione) catturati dalla gravità di Giove e frammentatisi a seguito di collisioni; di questi, tredici, scoperti recentemente, non hanno ancora nome, mentre per altri quattordici occorre determinare con precisione l’orbita.

Themisto.jpg

sopra rappresentazione artistica di Themisto

sotto rappresentazione artistica di Ermippe

Hermippé

Tenendo presente che numero preciso di satelliti non sarà forse mai quantificato esattamente, perché anche i frammenti ghiacciati che compongono gli anelli di Giove possono tecnicamente essere considerati tali (l’Unione astronomica internazionale non ha posto una linea di distinzione tra satelliti minori e grandi frammenti ghiacciati), l’identificazione dei gruppi o famiglie satellitari è comunque sperimentale e tra i metodi di classificazione si fa riferimento anchea due principali categorie, che differiscono per il senso in cui orbita il satellite: i satelliti progradi e quelli retrogradi, che a loro volta contengono le diverse famiglie di satelliti.

sopra rappresentazione artistica di arpalice

sotto rappresentazione artistica di carpo

Carpo.png

Satelliti progradi: Gruppo di Imalia.

Satelliti retrogradi: Gruppo di Carme, Gruppo di Ananke, Gruppo di Pasifae.

Non tutti i satelliti poi appartengono ad una famiglia; esulano dallo schema Temisto, Carpo, S/2003 J 12 e S/2003 J 2.

in mancanza di materiale fotografico a supporto della trattazione sui satelliti irregolari, di seguito una tabella con i relativi dati dei satelliti

Nome

Diametro medio (km)

Massa (kg)

Semiasse maggiore (km)

Periodo orbitale

giorni – *anni

Inclinazione (°)

Eccentricità

 Scoperta 

 

Gruppo

Giove XVI

Metis

60×40×34

~3,6×1016

127 690

0,294780 

0,06

0,00002

1979

 

 Amaltea

Giove XV

Adrastea

26×20×16

~2×1015

128 694

0,29826 

0,03

0,0015

1979

 

Amaltea

Giove V

Amaltea

250×146×128

2,08×1018

181 366

0,498179 

0,374

0,0032

1892

 

  Amaltea

Giove XIV

Tebe

116×98×84

~4,3×1017

221 889

0,6745 

1,076

0,0175

1979

 

  Amaltea

Giove I

Io

3 660,0×3 637,4
×3 630,6

8,9×1022

421 700

1,769138 

0,050

0,0041

1610

 

medicei

Giove II

Europa

3 121,6

4,8×1022

671 034

3,551181 

0,471

0,0094

1610

 

 medicei

Giove III

Ganimede

5 262,4

1,5×1023

1 070 412

7,154553 

0,204

0,0011

1610

 

medicei

Giove IV

Callisto

4 820,6

1,1×1023

1 882 709

16,689018 

0,205

0,0074

1610

 

 medicei

Giove XVIII

Temisto

8

6,9×1014

7 393 216

129,8276 

45,762

0,2115

1975

 

  Temisto

Giove XIII

Leda

16

5,8×1015

11 094 000

238,72 

27,562

0,1673

1974

 

Imalia

Giove VI

Imalia

170

6,7×1018

11 451 971

250,37 

0,486

0,1513

1904

 

 Imalia

Giove X

Lisitea

36

6,3×1016

11 740 560

259,89

27,006

0,1322

1938

 

 Imalia

Giove VII

Elara

86

8,7×1017

11 778 034

261,14

29,691

0,1948

1905

 

 Imalia

Giove LIII

Dia

4

9×1013

12 570 424

287,931

27,584

0,2058

2000

 

Imalia

Giove XLVI

Carpo

3

4,5×1013

17 144 873

1,2556 *

56,001

0,2735

2003

 

Carpo

S/2003 J 12

1

1,5×1012

17 739 539

1,3215 *

142,680

0,4449

2003

 

 ?

Giove XXXIV

Euporia

2

1,5×1013

19 088 434

1,4751 *

144,694

0,0960

2002

 

Pasifae

Giove LX

S/2003 J 3

2

1,5×1013

19 621 780

1,5374 *

146,363

0,2507

2003

 

 Ananke?

Giove LV

S/2003 J 18

2

1,5×1013

19 812 577

1,5598 *

147,401

0,1569

2003

 

  Ananke

Giove XLII

Telsinoe

2

1,5×1013

20 453 755

1,6362 *

151,292

0,2684

2003

 

  Ananke

Giove XXXIII

Euante

3

4,5×1013

20 464 854

1,6375 *

43,409

0,2

2002

 

 Ananke

Giove XLV

Elice

4

9×1013

20 540 266

1,6465 *

154,586

0,1374

2003

 

  Pasifae

Giove XXXV

Ortosia

2

1,5×1013

20 567 971

1,6499 *

142,366

0,2433

2002

 

 Pasifae

Giove XXIV

Giocasta

5

1,9×1014

20 722 566

1,6685 *

147,248

0,2874

2001

 

  Ananke

S/2003 J 16

2

1,5×1013

20 743 779

1,6711 *

150,769

0,3184

2003

 

 Ananke

Giove XXVII

Prassidice

7

4,3×1014

20 823 948

1,6808 *

144,205

0,1840

2001

 

Ananke

Giove XXII

Arpalice

4

1,2×1014

21 063 814

1,7099 *

147,223

0,2440

2001

 

Ananke

Giove XL

Mneme

2

1,5×1013

21 129 786

1,7543 *

149,732

0,3169

2003

 

 Ananke

Giove XXX

Ermippe

4

9×1013

21 182 086

1,7243 *

151,242

0,2290

2002

 

Ananke

Giove XXIX

Tione

4

9×1013

21 405 570

1,7517 *

147,276

0,2525

2002

 

Ananke

Giove XII

Ananke

28

3×1016

21 454 952

1,6797 *

151,564

0,3445

1951

 

Ananke

Giove L

Erse

2

1,5×1013

22 134 306

1,8419 *

162,490

0,2379

2003

 

Carme

Giove XXXI

Etna

3

4,5×1013

22 285 161

1,8608 *

165,562

0,3927

2002

 

Carme

Giove XXXVII

Cale

2

1,5×1013

22 409 207

1,8763 *

165,378

0,2011

2001

 

Carme

Giove XX

Taigete

5

1,6×1014

22 438 648

1,8800 *

164,890

0,3678

2001

 

Carme

S/2003 J 19

2

1,5×1013

22 709 061

1,9141 *

164,727

0,1961

2003

 

Carme?

Giove XXI

Caldene

4

7,5×1013

22 713 444

1,9147 *

167,070

0,2916

2001

 

Carme

Giove LVIII

S/2003 J 15

2

1,5×1013

22 720 999

1,9156 *

141,812

0,0932

2003

 

Pasifae

S/2003 J 10

2

1,5×1013

22 730 813

1,9168 *

163,813

0,3438

2003

 

 Carme?

S/2003 J 23

2

1,5×1013

22 739 654

1,9180 *

48,849

0,3930

2004

 

Pasifae?

Giove XXV

Erinome

3

4,5×1013

22 986 266

1,9493 *

163,737

0,2552

2001

 

 Carme

Giove XLI

Aede

4

9×1013

23 044 175

1,9566 *

160,482

0,6011

2003

 

Pasifae

Giove XLIV

Callicore

2

1,5×1013

23 111 823

1,9652 *

164,605

0,2041

2003

 

  Carme

Giove XXIII

Calice

5

1,9×1014

23 180 773

1,9740 *

165,505

0,2139

2001

 

Carme

Giove XI

Carme

46

1,3×1017

23 197 992

2,0452 *

165,047

0,2342

1938

 

Carme

Giove XVII

Calliroe

9

8,7×1014

24 214 986

2,1261 *

139,849

0,2582

2000

 

Pasifae

Giove XXXII

Euridome

3

4,5×1013

23 230 858

1,9804 *

149,324

0,3769

2002

 

Pasifae

Giove XXXVIII

Pasitea

2

1,5×1013

23 307 318

1,99 02 *

165,759

0,3288

2002

 

Carme

Giove XLVIII

Cillene

2

1,5×1013

23 396 269

2,0016 *

140,148

0,4115

2003

 

Pasifae

Giove XLVII

Eucelade

4

9×1013

23 483 694

2,0129 *

163,996

0,2828

2003

 

Gruppo di Carme

S/2003 J 4

2

1,5×1013

23 570 790

2,0241 *

47,175

0,3003

2003

 

Pasifae?

Giove VIII

Pasifae

60

3×1017

23 609 042

2,0919 *

141,803

0,3743

1908

 

Pasifae

Giove XXXIX

Egemone

3

4,5×1013

23 702 511

2,0411 *

152,506

0,4077

2003

 

 Pasifae

Giove XLIII

Arche

3

4,5×1013

23 717 051

2,0429 *

164,587

0,1492

2002

 

Carme

Giove XXVI

Isonoe

4

7,5×1013

23 800 647

2,0579 *

165,127

0,1775

2001

 

Carme

S/2003 J 9

1

1,5×1012

23 857 808

2,0612 *

164,980

0,2761

2003

 

Carme?

Giove LVII

S/2003 J 5

4

9×1013

23 973 926

2,0762 *

165,549

0,3070

2003

 

Carme

Giove IX

Sinope

38

7,5×1016

24 057 865

2,1075*

153,778

0,2750

1914

 

Pasifae

Giove XXXVI

Sponde

2

1,5×1013

24 252 627

2,1125 *

154,372

0,4431

2002

 

Pasifae

Giove XXVIII

Autonoe

4

9×1013

24 264 445

2,1141 *

151,058

0,3690

2002

 

Pasifae

Giove XLIX

Core

2

1,5×1013

23 345 093

1,9814 *

137,371

0,1951

2003

 

Pasifae

Giove XIX

Megaclite

5

2,1×1014

24 687 23

2,1696 *

150,398

0,3077

2000

 

Pasifae

S/2003 J 2

2

1,5×1013

30 290 846

2,9487 *

153,521

0,1882

2003

 

 ?

Giove LI

S/2010 J 1

2

 ?

23 314 335

724,34 

163,2

0,320

2010

 

Carme

Giove LII

S/2010 J 2

2

 ?

20 307 150

588,82 

150,4

0,307

2010

 

Ananke

S/2011 J 1

1

 ?

20 155 290

582,22 

162,83

0,2963

2011

 

 ?

Giove LVI

S/2011 J 2

1

 ?

23 329 710

725,06 

151,85

0,3867

2011

 

Pasifae

Giove LIV

S/2016 J 1

3

1,5×1013

20 595 483

603,83 

139,839

0,1377

2016

 

Pasifae

Giove LIX

S/2017 J 1

2

1,5×1013

23 483 978

734,15 

149,197

0,3969

2017

 

 

Pasifae

 

Cattura temporanea di satelliti

Variazioni nel numero dei satelliti di Giove possono derivare dalla cattura temporanea di corpi minori che l’attrazione della massa del pianeta trasferisce su orbite zenocentriche; come detto, il termine temporanea può essere inteso sia su una scala temporale “astronomica”, sia “umana”.

In particolare, è stata individuata una classe di comete di corto periodo (comete quasi-Hilda o QHC) che attraversano periodicamente il sistema di Giove. In genere, tali comete percorrono alcune rivoluzioni attorno al pianeta, permanendo in orbita attorno a Giove anche per una decina d’anni, seguendo orbite instabili, altamente ellittiche e perturbabili dalla gravità solare. Mentre alcune di esse recuperano un’orbita eliocentrica, altre precipitano sul pianeta o, più raramente, sui suoi satelliti. Tra i satelliti temporanei, noti anche come TSC (dall’inglese Temporary Satellite Capture), catturati nell’ultimo secolo si annoverano le comete 39P/Oterma, 82P/Gehrels, 111P/Helin-Roman-Crockett, 147P/Kushida-Muramatsu e P/1996 R2 (Lagerkvist). Apparteneva probabilmente a questa classe anche la famosa D/1993 F2 (Shoemaker-Levy 9

Giove sicuramente cattura in via temporanea anche asteroidi, anche se ciò è stato finora osservato direttamente e si ipotizza comunque che i satelliti irregolari del sistema gioviano esterno potrebbero comunque essere degli asteroidi catturati dall’attrazione del pianeta.

Asteroidi troiani

Oltre al sistema di satelliti, il campo gravitazionale di Giove controlla numerosi asteroidi, detti asteroidi troiani, che sono vincolati in corrispondenza di alcuni punti di equilibrio del sistema gravitazionale Sole-Giove, i c.d. punti di Lagrange, in cui l’attrazione complessiva si annulla ed il sistema diviene stabile. Gli asteroidi troiani si distribuiscono in due regioni oblunghe e curve attorno ai punti lagrangiani ed hanno orbite attorno al Sole con semiasse maggiore medio di circa 5,2 UA. Il primo asteroide troiano, 588 Achilles, fu scoperto nel 1906, e ad oggi se ne conoscono oltre 4000, ma si ritiene che il numero di troiani più grandi di 1 km sia dell’ordine del milione, vicino a quello calcolato per gli asteroidi più grandi di 1 km nella fascia principale. Come nella maggior parte delle cinture asteroidali, i troiani si raggruppano in famiglie. I troiani di Giove sono degli oggetti oscuri con spettri tendenti al rosso e privi di formazioni, che non rivelano la presenza certa di acqua o composti organici.

I nomi degli asteroidi troiani di Giove derivano da quelli degli eroi che, secondo la mitologia greca, presero parte alla Guerra di Troia; i troiani di Giove si dividono in due gruppi principali: il campo greco (o gruppo di Achille), in cui gli asteroidi hanno i nomi degli eroi greci, e il campo troiano (o gruppo di Patroclo), i cui asteroidi hanno il nome degli eroi troiani. Tuttavia, alcuni asteroidi non seguono questo schema: 617 Patroclus e 624 Hektor vennero denominati prima che venisse scelto di operare questa divisione; di conseguenza, un eroe greco appare nel campo troiano e un eroe troiano si trova nel campo greco.

un po’ di storia delle osservazioni

Secondo fonti storiche, dei quattro satelliti medicei, Ganimede sarebbe visibile ad occhio nudo in condizioni osservative ideali e se l’osservatore fosse dotato di una vista acuta; infatti, le sue prime osservazioni potrebbero risalire all’astronomo cinese Gan De, che nel 364 a.C. sarebbe riuscito a vedere il satellite schermando la vista di Giove con un albero. Anche gli altri tre satelliti sarebbero in teoria visibili ad occhio nudo, raggiungendo una magnitudine apparente inferiore alla 6ª (che corrisponde al limite di visibilità) se non fossero nascosti dalla luminosità di Giove. Considerazioni recenti, mirate a valutare il potere risolutivo dell’occhio nudo sembrerebbero tuttavia indicare che la combinazione della ridotta distanza angolare tra Giove ed ognuno dei suoi satelliti e della luminosità del pianeta renderebbero impossibile per un uomo riuscire ad individuarli.

Le prime osservazioni registrate dei satelliti di Giove furono però quelle che Galileo Galilei compì tra il 1609 e il marzo 1610 e che gli permisero di individuare i quattro satelliti medicei (Io, Europa, Ganimede e Callisto) e non furono scoperti altri satelliti sino a quando Edward Emerson Barnard osservò Amaltea nel 1892. Grazie all’aiuto dell’astrofotografia, fu nel corso del XX secolo che si susseguirono numerose scoperte di satelliti gioviani. Imalia fu scoperta nel 1904, Elara nel 1905, Pasifae nel 1908, Sinope nel 1914, Lisitea e Carme nel 1938, Ananke nel 1951, e Leda nel 1974. Sino a quando le sonde Voyager raggiunsero il sistema di Giove, nel 1979, il numero di satelliti del gigante gassoso si era quindi stabilito sulle 13 unità; nel 1975 fu scoperto un quattordicesimo satellite, Temisto, ma, a dati disponibili ancora insufficienti, i suoi parametri orbitali non poterono essere ricavati e la sua scoperta non fu ufficializzata sino al 2000. Le missioni Voyager permisero di scoprire altre tre lune, poste internamente rispetto ai satelliti galileiani e strettamente correlate col sistema di anelli del pianeta: Metis, Adrastea e Tebe.

Fino al 1999 si riteneva così che il sistema di Giove fosse composto da soli 16 satelliti, ma tra l’ottobre 1999 e il febbraio 2003 i ricercatori riuscirono ad individuare, mediante strumentazioni da Terra molto sensibili, altre 32 lune, in genere oggetti molto deboli, di dimensioni non superiori ai 10 km, posti in orbite molto ampie, eccentriche e generalmente retrograde, probabilmente corpi di origine asteroidale o addirittura cometaria, forse frammenti di corpi originariamente ben più grandi, catturati dalla gravità del pianeta. In seguito sono stati scoperti, ma non ancora confermati, altri 18 satelliti che hanno portato a 67 il numero delle lune osservate; non si esclude però l’esistenza di altri satelliti, ancora inosservati, in orbita attorno al pianeta.

Formazione ed evoluzione

I satelliti regolari costituirebbero i resti di un’antica popolazione di satelliti di massa simile ai satelliti galileiani che si sarebbero formati a partire dalla coalescenza delle polveri all’interno un disco circumplanetario (detto disco protolunare), analogo ai dischi protoplanetari che circondano le stelle neoformate, e si ritiene che possano essere esistite, nella storia primordiale del pianeta, diverse generazioni di satelliti di massa paragonabile a quella dei medicei, ciascuna delle quali sarebbe poi precipitata verso il pianeta a causa degli urti nella cintura circumplanetaria, mentre nuovi satelliti si sarebbero formati dalle nuove polveri catturate dal pianeta in formazione.

L’attuale generazione satellitare sarebbe la quinta e si sarebbe formata ad una distanza maggiore rispetto all’attuale, quindi sarebbe progressivamente precipitata verso orbite più interne, acquisendo ulteriore materiale dal disco in fase di assottigliamento e stabilendosi in una risonanza orbitale che attualmente mantiene stabili Io, Europa e Ganimede; la maggior massa di quest’ultimo sta presumibilmente ad indicare che il satellite sia migrato con una velocità superiore rispetto ad Io ed Europa.

I satelliti più esterni, irregolari, si sarebbero formati dalla cattura di asteroidi di passaggio; buona parte di questi corpi si sono fratturati a seguito di stress durante la cattura o a causa di collisioni con altri oggetti più piccoli, producendo le famiglie satellitari oggi visibili.

Caratteristiche

I parametri fisici ed orbitali delle lune variano moltissimo. I quattro satelliti medicei possiedono un diametro superiore ai 3000 km; Ganimede, con i suoi 5262,4 km di diametro, è non solo il più grande dei satelliti di Giove, ma il più grande dei satelliti del sistema solare. I restanti satelliti hanno dimensioni inferiori ai 250 km, con soglia di incertezza di 5 km. La loro massa è talmente bassa che persino Europa, il meno massiccio dei satelliti medicei, è migliaia di volte più massiccio di tutti i satelliti non galileiani messi insieme. La traiettoria orbitale varia da quasi perfettamente circolare sino ad orbite altamente eccentriche ed inclinate; inoltre, la direzione del moto orbitale di gran parte di essi è retrograda rispetto al senso di rotazione di Giove. I periodi orbitali sono allo stesso modo molto variabili, spaziando tra sette ore e tre anni terrestri.

Nomenclatura

I satelliti di Giove devono il loro nome a personaggi della mitologia greca legati a Zeus; i satelliti medicei devono i loro nomi a Simon Marius, che, nel 1610, poco dopo la loro scoperta, li nominò a partire dai nomi di alcuni amanti di Zeus. In letteratura scientifica si preferì tuttavia adottare una diversa nomenclatura, sia riferendosi ad essi in base alla distanza con il numerale ordinale corrispondente (primo satellite di Giove ecc), sia utilizzando una nomenclatura basata sul nome del pianeta madre (in questo caso “Giove”) seguita da un numero romano, assegnato in base alla scoperta del satellite: così Io è “Giove I”, Europa “Giove II” e così via; quest’ultimo sistema di nomenclature è stato utilizzato anche per i satelliti scoperti sino agli anni settanta, privi ancora di una nomenclatura ufficialmente accettata dalla comunità scientifica.

Nel 1975 l’Unione Astronomica Internazionale costituì una task force, il Task Group for Outer Solar System Nomenclature, con il compito di assegnare dei nomi ai satelliti da V a XIII e di sviluppare un nuovo sistema di nomenclatura da adottare per eventuali satelliti di nuova individuazione. Seguendo la strada già tracciata da Simon Marius, si assunse la consuetudine di assegnare ai satelliti, con l’eccezione di Amaltea, i nomi di amanti di Giove e, dal 2004, di discendenti del dio; tutti i satelliti a partire dal XXXIV (Euporia) prendono il nome dalle figlie di Zeus. Molti asteroidi hanno nomi simili o identici ad alcuni satelliti di Giove: si tratta di 9 Metis, 24 Themis, 38 Leda, 52 Europa, 85 Io, 113 Amalthea, 204 Kallisto, 239 Adrastea e 1036 Ganymed, dove la presenza del numero aiuta a capire che si tratta di un asteroide e non di un satellite naturale di Giove.

Classificazione dei satelliti

Come già accennato, sebbene la distinzione non sia rigorosamente definita, i satelliti di Giove possono essere classificati come segue.

Satelliti regolari, ovvero satelliti omogenei fra loro per parametri fisici ed orbitali, suddivisi a loro volta in due gruppi:

Satelliti interni (o Gruppo di Amaltea), che orbitano molto vicini a Giove e sono, in ordine di distanza dal pianeta, Metis, Adrastea, Amaltea e Tebe. I due più interni compiono la loro orbita in meno di un giorno gioviano (<10 h), mentre gli ultimi due sono rispettivamente il quinto e il settimo satellite più grande del sistema. Le osservazioni inducono a ritenere che il membro più grande del gruppo, Amaltea, non si sia formato in corrispondenza della sua attuale orbita, ma molto più lontano da pianeta, o che costituisca un corpo formatosi indipendentemente e in seguito catturato dall’attrazione gravitazionale di Giove. Questi satelliti, assieme a numerosi altri corpi più piccoli ancora da individuare, alimentano e stabilizzano il sistema di anelli del pianeta: Metis ed Adrastea contribuiscono a mantenere l’anello principale, mentre Amaltea e Tebe mantengono gli anelli Gossamer.

Del Gruppo principale, i Satelliti medicei o galileiani, costituito da Ganimede, Callisto, Io ed Europa, parleremo in seguito in dettaglio. Con dimensioni superiori a quelle di qualunque altro pianeta nano, rappresentano quasi il 99,999% della massa totale in orbita attorno al pianeta. Io, Europa e Ganimede sono tra loro in risonanza orbitale, rispettivamente 1:2:4. I modelli suggeriscono che i satelliti medicei si siano formati dal lento accrescimento della materia presente nel disco circumplanetario di Giove, che è durato per un tempo dell’ordine di decine di milioni di anni, come nel caso di Callisto.

Satelliti irregolari

I satelliti irregolari sono sostanzialmente degli oggetti più piccoli, più distanti e con orbite più eccentriche rispetto ai satelliti regolari e costituiscono famiglie (o gruppi) le cui componenti condividono valori affini nei parametri orbitali (semiasse maggiore, inclinazione, eccentricità) e nella composizione; si ritiene che si tratti, almeno in parte, di famiglie collisionali che si sono originate dalla frammentazione di un originario corpo più grande a seguito dell’impatto con asteroidi catturati dal campo gravitazionale di Giove. Le famiglie sono denominate a partire dall’oggetto più grande che ne fa parte. L’identificazione delle famiglie satellitari è sperimentale; si riconoscono due principali categorie, che differiscono per il senso in cui orbita il satellite: i satelliti progradi, che orbitano nello stesso senso di rotazione di Giove, e quelli retrogradi, che orbitano in senso opposto; queste due categorie a loro volta assommano le diverse famiglie.

Satelliti progradi:

Il gruppo di Imalia, le cui componenti si estendono sino a circa 1,4 milioni di km dal pianeta, hanno mediamente un’inclinazione di 27,5 ± 0,8° ed eccentricità comprese tra 0,11 e 0,25. Si ipotizza che la famiglia si sia formata dalla frattura di un asteroide originario della fascia principale.

Carpo è la più esterna delle lune prograde e non fa parte di alcuna famiglia nota. Temisto è il più interno dei satelliti irregolari e non fa parte di nessuna famiglia conosciuta.

Satelliti retrogradi

I satelliti retrogradi deriverebbero da asteroidi catturati dalle regioni più esterne del disco circumplanetario di Giove mentre il sistema solare era ancora in formazione, in seguito frammentatisi a seguito di impatti. La loro distanza da Giove è tale che li rende soggetti ai disturbi del campo gravitazionale del Sole.

S/2003 J 12 è il più interno di questa classe e non fa parte di alcuna famiglia nota.

Il gruppo di Carme, le cui componenti hanno semiassi maggiori non superiori a 1,2 milioni di km, inclinazioni medie di 165,7 ± 0,8° ed eccentricità comprese tra 0,23 e 0,27. Solo S/2003 J 10 Sisare discosta parzialmente da questi parametri, per via dell’elevata eccentricità della sua orbita. Le lune di questa famiglia sono molto omogenee per il colore (tendente al rossastro) e si ritiene che si siano originate da un ancestrale asteroide di tipo D, probabilmente uno dei troiani di Giove.

Il gruppo di Ananke, le cui componenti si estendono fino a 2,4 milioni di km, hanno inclinazioni dell’ordine dei 145,7° e 154,8° ed eccentricità tra 0,02 e 0,28. La maggior parte dei membri del gruppo appaiono grigi, e si ritiene che costituiscano i frammenti di un originario asteroide catturato da Giove. Solo gli otto membri principali (S/2003 J 16, Mneme, Euante, Ortosia, Arpalice, Prassidice, Tione, Telsinoe, Ananke e Giocasta) rispettano tutti i parametri, mentre i rimanenti otto corpi se ne discostano in parte.

Il gruppo di Pasifae appare invece piuttosto sparpagliato, con un’estensione media di 1,3 milioni di km, inclinazioni comprese tra 144,5° e 158,3° ed eccentricità tra 0,25 e 0,43. Anche i colori dei membri variano significativamente, dal rosso al grigio, risultato di collisioni multiple tra asteroidi di differenti classi. Sinope, talvolta inclusa nel gruppo di Pasifae, è rosso e, data la sua marcata differenza in inclinazione rispetto agli altri membri della famiglia, si ritiene che sia stato catturato indipendentemente; Pasifae e Sinope sono inoltre vincolati in una risonanza secolare con Giove. Data la sua evidente dispersione, potrebbe trattarsi di un antico gruppo di satelliti in fase di progressiva disgregazione, oppure di un semplice raggruppamento di corpi privi di un’origine comune. S/2003 J 2 e S/2011 J 1 non fanno parte di nessuna famiglia conosciuta.

e veniamo ora ad una più dettagliata descrizione dei satelliti galileiani o medicei…

fotomontaggio che ne mette a confronto le dimensioni dei satelliti medicei. Dall’alto: Io, Europa, Ganimede e Callisto

Io

Risultato immagine per io satellite

sopra immagine di Io ripresa il 3 luglio 1999 dalla sonda Galileo

Io è il più interno dei quattro satelliti medicei, il quarto satellite del sistema solare per dimensione e quello più denso di tutti. Con oltre 300 vulcani attivi, Io è l’oggetto geologicamente più attivo del sistema Solare. L’estrema attività geologica è il risultato del riscaldamento mareale dovuto all’attrito causato al suo interno da Giove e dagli altri satelliti galileani. Molti vulcani producono pennacchi di zolfo e biossido di zolfo che si elevano fino a 500 km sulla sua superficie. Questa è costellata di oltre 100 montagne che sono state sollevate dalla compressione della crosta di silicati, con alcuni di questi picchi che arrivano ad essere più alti dell’Everest. A differenza di molti satelliti del sistema solare esterno, per lo più composti di ghiaccio d’acqua, Io è composto principalmente da rocce di silicati che circondano un nucleo di ferro o di solfuro di ferro fusi. La maggior parte della superficie di Io è composta da ampie piane ricoperte di zolfo e anidride solforosa congelata.

transito di Io sulla superficie del pianeta del 10 febbraio 2009.

Il vulcanismo su Io è il responsabile di molte delle sue particolari caratteristiche. Le colate laviche hanno prodotto grandi cambiamenti superficiali e dipinto la superficie in varie tonalità di colore giallo, rosso, bianco, nero, verde, in gran parte dovuti ai diversi allotropi e composti di zolfo. Numerose colate laviche di oltre 500 km di lunghezza, segnano la superficie di Io, e i materiali prodotti dal vulcanismo hanno costituito una sottile atmosfera a chiazze, ed hanno anche creato un toro di plasma attorno a Giove.

Nel 1979, le due sonde Voyager rivelarono l’attività geologica di Io, dotato di numerose formazioni vulcaniche, grandi montagne, e una superficie giovane priva di crateri da impatto. La sonda Galileo effettuò diversi passaggi ravvicinati tra gli anni novanta e l’inizio del XXI secolo, ottenendo dati sulla struttura interna e sulla composizione, rivelando il rapporto con la magnetosfera di Giove e l’esistenza di una cintura di radiazioni centrata sull’orbita della luna. Io riceve circa 3600 rem (36 Sv) di radiazione al giorno.

Missioni spaziali

Le prime sonde a passare vicino a Io furono le gemelle Pioneer 10 e Pioneer 11, rispettivamente il 3 dicembre 1973 ed il 2 dicembre 1974. La tracciatura radio fornì una più accurata stima della massa di Io e delle sue dimensioni, suggerendo che esso abbia la più alta densità tra i quattro satelliti galileiani e che sia composto prevalentemente di rocce silicee e non di ghiaccio d’acqua. Le due sonde Pioneer rivelarono anche la presenza di una sottile atmosfera e di una intensa fascia di radiazioni attorno all’orbita di Io. Le fotocamere a bordo della Pioneer 11 riuscirono anche a scattare una buona immagine della regione del polo nord. La Pioneer 10 doveva scattare immagini ravvicinate durante il suo sorvolo, ma le fotografie andarono perdute a causa dell’intenso campo di radiazioni.

Dotate di tecnologia più avanzata, le sonde Voyager 1 e Voyager 2 nel 1979 catturarono immagini più dettagliate: la Voyager 1 rivelò pennacchi che salivano da una superficie relativamente giovane e caratterizzata da piane di colate laviche e montagne più alte dell’Everest, dimostrando che Io era geologicamente attivo. La Voyager 2, che passò 4 mesi dopo, confermò che tutti i vulcani osservati dalla Voyager 1 erano ancora attivi, tranne Pele e che durante l’intervallo di tempo tra il passaggio delle due sonde erano avvenuti diversi cambiamenti sulla superficie.

La sonda Galileo, destinata allo studio del sistema gioviano, nonostante malfunzionamenti causati in parte dalle radiazioni provenienti da Giove riportò risultati significativi, scoprendo che Io ha, come i pianeti maggiori, un nucleo ferroso. Osservò nei suoi sorvoli ravvicinati diverse eruzioni vulcaniche e scoprì che il magma era composto di silicati ricchi di magnesio, comuni nella roccia magmatica femica e ultrafemica.

La Cassini e la New Horizons hanno monitorato il vulcanismo di Io nei loro viaggi diretti rispettivamente verso Saturno e Plutone. La New Horizons catturò anche immagini nei pressi di Girru Patera nelle prime fasi di un’eruzione, e diverse altre eruzioni avvenute dai tempi della Galileo. Juno, monitorerà anch’essa l’attività vulcanica di Io con lo spettrometro nel vicino infrarosso.

Per il futuro l’ESA ha in progetto una missione verso Giove chiamata Jupiter Icy Moon Explorer che arriverebbe nel sistema gioviano nel 2030. Nonostante sia destinata allo studio della altre 3 lune principali di Giove, potrà comunque monitorare l’attività vulcanica di Io. Un progetto a basso costo con destinazione Io è la proposta della NASA denominata Io Volcano Observer (IVO), una sonda che effettuerebbe diversi sorvoli ravvicinati di Io e che arriverebbe nel sistema gioviano nel 2026.

Parametri orbitali

Io è il più interno dei satelliti galileiani, posizionato tra Tebe e Europa ed è il quinto satellite che si incontra a partire dall’interno. Io orbita intorno a Giove ad una distanza di 421.800 km dal centro del pianeta e a 350 000 km dalla sommità delle sue nubi; impiega 42,456 ore per completare la sua orbita, il che implica che una buona parte del suo movimento può essere rilevata durante una singola notte di osservazioni. È in risonanza orbitale 2:1 con Europa e 4:1 con Ganimede. Questa risonanza contribuisce a stabilizzare l’eccentricità orbitale di 0,0041 che a sua volta costituisce la fonte principale di calore per la sua attività geologica. Senza questa eccentricità, l’orbita di Io sarebbe circolare, riducendo così la sua attività geologica in seguito alla stabilizzazione mareale.

Come gli altri satelliti di Giove e la Luna terrestre, la rotazione di Io è in sincronia con il suo periodo orbitale e pertanto il satellite mostra sempre la stessa faccia a Giove. Il lato rivolto verso il pianeta viene detto emisfero sub-gioviano, mentre il lato opposto viene chiamato emisfero anti-gioviano.

Interazioni con il campo magnetico di Giove

Io gioca un ruolo significativo nel modellare il campo magnetico gioviano, agendo come un generatore elettrico che sviluppa una corrente elettrica di 3 milioni di ampere, rilasciando ioni che rendono il campo magnetico di Giove due volte di quello che sarebbe senza la presenza di Io. La magnetosfera di Giove investe i gas e le polveri della sottile atmosfera di Io ad una velocità di 1 tonnellata al secondo. Questo materiale, proveniente dall’attività vulcanica di Io, è in gran parte composto da zolfo ionizzato e atomico, ossigeno e cloro. La materia, a seconda della sua composizione e ionizzazione, confluisce in diverse nubi neutre (non ionizzate) e in fasce di radiazione della magnetosfera di Giove e, in alcuni casi, vengono espulse dal sistema gioviano. Durante un incontro con Giove avvenuto nel 1992, la sonda Ulysses rivelò che un flusso di particelle delle dimensioni di 10 micron era stato espulso dal sistema gioviano, e che le particelle di polvere, che viaggiavano alla velocità di diversi chilometri al secondo, erano principalmente composte da cloruro di sodio. La sonda Galileo dimostrò che i flussi di polvere provengono da Io.

Risultato immagine per magnetosfera di giove

schema della magnetosfera di Giove e dell’interazione con i satelliti

Il materiale che sfugge dall’attrazione gravitazionale di Io va a formare un toro di plasma che si divide sostanzialmente in tre parti: la parte esterna, più calda, appena fuori dell’orbita di Io; più internamente si trova una fascia composta da materiali neutri e plasma in raffreddamento, situata a circa la stessa distanza di Io da Giove, mentre la parte interna del toro è quella più “fredda”, composta da particelle che stanno lentamente spiraleggiando verso Giove.

L’interazione tra l’atmosfera di Io, il campo magnetico di Giove e le nubi delle regioni polari del gigante gassoso producono una corrente elettrica conosciuta come tubo di flusso di Io, che genera aurore sia nelle regioni polari di Giove che nell’atmosfera di Io. L’influenza di Io ha una forte ripercussione anche sulle emissioni radio provenienti da Giove e dirette verso la Terra: quando infatti Io è visibile dal nostro pianeta, i segnali radio aumentano considerevolmente.

Struttura interna

A differenza della maggior parte dei satelliti del sistema solare esterno, composti prevalentemente da ghiaccio d’acqua e silicati, Io sembra presentare una composizione analoga a quella dei pianeti terrestri, composti in prevalenza di rocce silicee fuse.

schema della composizione interna di IO

Io ha una densità di 3,5275 , più alta di qualsiasi luna del sistema solare e significativamente più elevata rispetto a quella degli altri satelliti galileiani e superiore alla densità della Luna. I modelli di Io basati sulle misurazioni delle Voyager e della Galileo suggeriscono che il suo interno è differenziato tra una crosta e un mantello ricchi di silicati ed un nucleo di ferro o di ferro e zolfo fusi. Il nucleo di Io costituisce circa il 20% della sua massa totale e, a seconda della quantità di zolfo presente, il nucleo avrebbe un raggio compreso tra 350 e 650 km se composto quasi interamente da ferro, o tra 550 e 900 km, se costituito da una miscela di ferro e zolfo. Il magnetometro della Galileo non è riuscito a rilevare un campo magnetico interno, intrinseco ad Io, suggerendo che il nucleo non è convettivo.

I modelli dell’interno di Io suggeriscono che il mantello è composto da almeno il 75% da forsterite, minerale ricco di magnesio, e abbia una composizione simile a quella delle meteoriti, in particolare a quelle delle condriti L e LL, con un contenuto di ferro più alto (rispetto al silicio) della Terra e della Luna, anche se inferiore a quello di Marte. Su Io è stato osservato un flusso di calore che suggerisce che il 10-20% del mantello potrebbe essere allo stato fuso. Una rianalisi dei dati del magnetometro della Galileo del 2009 rivelarono la presenza di un campo magnetico indotto di Io, che si spiegherebbe solo con la presenza di un oceano di magma dello spessore di 50 km sotto la superficie, che equivale a circa il 10% del mantello di Io, e la cui temperatura si aggira sui 1200 °C. Ulteriori analisi nel 2011 confermarono la presenza dell’oceano di magma. La litosfera di Io, composta da basalto e zolfo depositati dall’esteso vulcanismo presente in superficie, è di almeno 12 km di spessore, e probabilmente non più di 40 km.

Riscaldamento mareale

A differenza di quanto avviene per la Terra e la Luna, la principale fonte di calore interno di Io non è causata dal decadimento degli isotopi, ma dalle forze mareali di Giove e dalla risonanza orbitale con Europa e Ganimede. Tale riscaldamento dipende dalla distanza di Io da Giove, dalla sua eccentricità orbitale, dalla composizione del nucleo e dal suo stato fisico. La sua risonanza con Europa e Ganimede mantiene invariata nel tempo l’eccentricità di Io ed impedisce che la dissipazione mareale al suo interno circolarizzi l’orbita. La risonanza orbitale aiuta anche a mantenere immutata la distanza di Io da Giove; se essa non fosse presente Io inizierebbe a spiraleggiare verso l’esterno del pianeta. La quantità di energia prodotta dall’attrito mareale all’interno di Io è fino a 200 volte superiore a quella ottenuta unicamente dal decadimento radioattivo e scioglie una quantità significativa del mantello e del nucleo di Io. Questo calore viene rilasciato sotto forma di attività vulcanica, generando l’alto flusso di calore osservato.

Superficie

Sulla base dell’esperienza avuta dall’esplorazione delle antiche superfici della Luna, di Marte e di Mercurio, gli scienziati si aspettavano di trovare numerosi crateri da impatto sulla superficie di Io nelle prime immagini della Voyager 1. La densità dei crateri da impatto sulla superficie avrebbe dato indizi sulla sua età. Tuttavia, gli astronomi furono sorpresi nel scoprire che la superficie era quasi del tutto priva di crateri da impatto, ma era invece costellata di pianure lisce e alte montagne, con caldere di varie forme e dimensioni, e colate laviche. A differenza della maggior parte dei mondi osservati fino a quel momento, la superficie di Io era ricoperta di una grande varietà di materiali colorati (in particolare tonalità dell’arancione) da vari composti solforosi. La mancanza di crateri da impatto ha indicato che la superficie di Io è geologicamente giovane, come la superficie terrestre; i materiali vulcanici coprono continuamente i crateri quando questi si producono. La conferma si ebbe con la scoperta di almeno nove vulcani attivi da parte della Voyager 1.

mosaico di immagini della Voyager 1 – la regione polare sud.

La caratteristica più evidente ed importante della superficie di Io è la presenza di numerosissimi vulcani attivi: ne sono stati identificati dalle varie sonde oltre 150 e, sulla base di queste osservazioni, si può stimare che siano presenti fino a 300, forse 400 vulcani.

Vulcanismo di Io

Il riscaldamento mareale prodotto dalla forzata eccentricità orbitale di Io lo ha portato a diventare uno dei mondi più vulcanicamente attivi nel sistema solare. Nel corso di una grande eruzione, possono essere prodotte colate di lava di decine o centinaia di chilometri, costituite per lo più da lave basaltiche di tipo femico o ultrafemico, ricche in magnesio. Sottoprodotti di questa attività sono zolfo, anidride solforosa e silicati piroclastici (ceneri), che vengono soffiati fino a 200 km di altezza, producendo grandi pennacchi a forma di ombrello e colorando il terreno circostante di rosso, nero e bianco, creando l’atmosfera chiazzata di Io. Alcuni dei pennacchi vulcanici di Io sono stati visti estendersi per oltre 500 km al di sopra della superficie prima di ricadere, con il materiale espulso che può raggiungere la velocità di circa 1 km/s, creando anelli rossi di oltre 1000 km di diametro.

Eruzione vulcanica nella regione di Tvashtar ripresa dalla sonda New Horizons nel 2007.

La superficie di Io è costellata di depressioni di origine vulcanica note come paterae, generalmente piane e delimitate da pareti scoscese. Queste caratteristiche le fanno assomigliare alle caldere terrestri, ma non è noto se si formino allo stesso modo, cioè per il crollo della camera di lava vuota. A differenza che sulla Terra e Marte, queste depressioni generalmente non si trovano nei picchi dei vulcani a scudo e sono normalmente più grandi, con un diametro medio di 41 km, con la più grande, Loki Patera, che ha un diametro di 202 km. Qualunque sia il meccanismo di formazione, la morfologia e la distribuzione di molti paterae suggeriscono che queste formazioni siano strutturalmente controllate, per lo più delimitate da faglie o montagne. Le paterae sono spesso sede di eruzioni vulcaniche, che si manifestano sia come colate laviche, che si diffondono nelle piane delle paterae, come nel caso di un’eruzione a Gish Bar Patera nel 2001, sia come laghi di lava. I laghi lava possono avere una crosta lavica in continuo rovesciamento, come nel caso di Pele, oppure esserlo solo episodicamente, come nel caso di Loki.

Eruzione vulcanica ripresa dalla sonda Galileo: le foto hanno una differenza di 3 mesi

L’analisi delle immagini della Voyager portò gli scienziati a credere che le colate laviche fossero composte principalmente di vari composti dello zolfo fuso. Tuttavia, studi successivi agli infrarossi e le misure della sonda Galileo indicano che queste erano composte da lava basaltica. Questa ipotesi si basa sulle misure della temperatura dei “punti caldi” di Io, che suggeriscono temperature di circa 1300 K con punti fino a 1600 K. 

Montagne

La superficie di Io è costellata da oltre un centinaio di montagne che si sono sollevate a causa delle enormi compressioni che si verificano alla base della sua crosta di silicati. Alcuni di questi picchi sono più alti dell’Everest (altezza media di circa 6 km, con un massimo di 17,5 km). Le montagne appaiono come grandi e isolate strutture, lunghe in media 157 km, dimensioni che richiedono strutture basate su robuste rocce silicee.

Il Tohil Mons, una montagna di Io alta oltre 5 km, ripresa dalla sonda Galileo.

Nonostante l’intenso vulcanismo che crea il caratteristico aspetto di Io, le montagne sembrano di origine tettonica, originate dalle forze compressive alla base della sua litosfera che provocano l’innalzamento della sua crosta attraverso un processo di fagliazione inversa. Gli stress compressivi che portano alla formazione dei rilievi sono il risultato della subsidenza del materiale vulcanico che viene continuamente emesso. La distribuzione globale della presenza dei rilievi appare opposta a quella dei vulcani; le montagne dominano nelle aree a scarsa densità vulcanica e viceversa, suggerendo che nella litosfera di Io vi siano grandi regioni dove dominano le forze compressive, che portano alla formazione di rilievi, o quelle estensive, che portano alla formazione di pateræ. Tuttavia in taluni punti i monti e le pateræ arrivano a toccarsi, forse per il magma che ha sfruttato le fratture innescatesi durante la formazione dei rilievi per raggiungere la superficie.

Risultato immagine per loki patera

sopra e sotto immagini della Loki Paterae riprese dalla sonda Galileo

Risultato immagine per loki patera

Risultato immagine per loki pateraRisultato immagine per loki patera

Le montagne di Io non hanno le caratteristiche tipiche dei vulcani e, sebbene molti siano ancora i dubbi sulla loro formazione, forniscono interessanti indicazioni sull’entità dello spessore crostale che le contiene. Per essere in grado di contenere le profonde radici di questi rilievi si è stimato uno spessore della crosta non inferiore a 30 km. I più importanti rilievi sono i Boösaule Montes (17,5 km d’altezza), gli Euboea Montes (13,4 km), lo Ionian Mons (12,7 km), gli Hi’iaka Montes (11,1 km) e gli Haemus Montes (10,8 km). Sembra che gli Euboea Montes si siano formati per l’innalzamento di un enorme plutone poi inclinatosi di circa 6 gradi. Questa inclinazione avrebbe poi favorito la formazione di frane sul loro versante settentrionale anche grazie alla continua erosione causata dalla sublimazione di biossido di zolfo durante le ore diurne.

Lave

L’analisi dei dati spettroscopici e delle immagini inviate a Terra dalle sonde Voyager verso la fine degli anni settanta portò a concludere che le colate di lava sulla superficie di Io erano composte da derivati dello zolfo fuso. Osservazioni successive, condotte da Terra nella banda dell’infrarosso, hanno rivelato che esse sono però troppo calde per essere costituite da zolfo liquido. Un’ipotesi è che le lave di Io siano composte di rocce silicee fuse con composizione che può variare dal basalto alla komatiite. Recenti osservazioni condotte col Telescopio Spaziale Hubble indicano che potrebbero essere ricche di sodio. Non è escluso che le diverse regioni di Io possano essere caratterizzate dalla presenza di differenti materiali. Secondo uno studio basato sui dati trasmessi dalla sonda Galileo, sarebbe dimostrata la presenza di un “oceano” di magma fuso o parzialmente fuso.

immagine della sonda galileo – il cratere Prometheus (anello giallo) al centro; il Polo Nord (color ruggine) in alto a destra.

Acqua

A differenza delle altre lune galileiane, Io non possiede praticamente acqua anche se non viene escluso che essa possa esistere in profondità, non  rilevata spettroscopicamente a causa della sua instabilità superficiale. Diverse possono essere le ipotesi sull’argomento. Una è probabilmente il calore eccessivo causato da Giove, che durante la formazione del satellite lo surriscaldò al punto di espellere tutti gli elementi volatili, acqua compresa, che nei primi milioni di anni di vita era presente e forse abbondante. Esperimenti di laboratorio hanno dimostrato che piuttosto efficace per la perdita del ghiaccio d’acqua risulta essere la polverizzazione catodica.

Atmosfera

Io possiede una sottile atmosfera, composta principalmente da diossido di zolfo (SO2) con minori percentuali di monossido di zolfo (SO), cloruro sodico (NaCl), zolfo atomico e ossigeno, fortemente influenzata dalle radiazioni presenti nella magnetosfera di Giove, che la depredano costantemente di costituenti, e dagli episodi di vulcanismo sulla luna, che la ricostituiscono. Presenta una struttura non uniforme, con una densità maggiore in corrispondenza dell’equatore, dove la superficie è più calda e dove sono collocati i principali coni vulcanici; qui si concentrano anche i principali fenomeni atmosferici. I più evidenti dalla Terra sono le aurore che su Io sono quindi equatoriali e non polari.

Un’aurora nell’alta atmosfera di Io in un’immagine ripresa dalla Galileo quando Io era in eclissi. I colori differenti rappresentano l’emissione di diversi componenti dell’atmosfera: il verde il sodio, il rosso l’ossigeno e il blu i gas vulcanici come l’anidride solforosa.

L’atmosfera mostra variazioni significative nella densità e nella temperatura in funzione dell’ora del giorno, della latitudine, dell’attività vulcanica e della brina superficiale. La pressione massima varia tra 3,3 × 10−5  e 3 × 10−4 Pa (pari rispettivamente a 0,3 e 3 nbar) osservate nell’emisfero opposto a Giove e lungo l’equatore, soprattutto nel primo pomeriggio quando la temperatura della superficie raggiunge il suo picco massimo. Nei pennacchi vulcanici sono stati osservati anche picchi localizzati con pressioni tra 5 × 10−4  e 40 × 10−4 Pa (da 5 a 40 nbar). La pressione raggiunge invece i valori minimi durante la notte, quando scende a punte comprese tra 0,1 × 10−7  e 1 × 10−7 Pa (tra 0,0001 e 0,001 nbar).

La temperatura dell’atmosfera oscilla tra quella della superficie alle basse altitudini, dove il vapore del biossido di zolfo è in equilibrio con la sua brina superficiale, fino ai 1 800 K alle grandi altitudini dove il sottile spessore atmosferico permette il riscaldamento generato dal toro di plasma e dall’effetto Joule del flusso magnetico. La bassa pressione limita gli effetti dell’atmosfera sulla superficie, eccetto per la ridistribuzione temporanea del biossido di zolfo da aree ricche di brina a zone povere e dell’espansione delle dimensioni degli anelli di deposito del materiale dei pennacchi quando esso rientra nella più densa atmosfera del lato illuminato.

Un’atmosfera sottile implica anche che eventuali futuri moduli di atterraggio di sonde spaziali non necessiteranno di scudi termici di protezione e richiederanno invece retrorazzi per garantire un atterraggio morbido. D’altra parte questo stesso spessore sottile implicherà la necessità di una più efficace schermatura dalle radiazioni provenienti da Giove, attenuate invece da un’atmosfera più spessa. Tuttavia per il futuro prossimo probabilmente non sarà possibile atterrare su Io più per problematiche varie legate alla vicinanza a Giove (delta-v, radiazioni),  più verosimile una missione con sorvoli ravvicinati multipli da una sonda in orbita attorno a Giove.

Europa

Risultato immagine per europa satellite

Europa ripreso dalla sonda Galileo nel 1997

Europa per dimensioni è il quarto satellite di Giove, il sesto del sistema solare. Poco più piccolo della Luna, Europa è composto principalmente da silicati con una crosta di acqua ghiacciata, probabilmente è presente un nucleo di ferro-nichel ed è circondato esternamente da una tenue atmosfera, composta principalmente da ossigeno. A differenza di Ganimede e Callisto, che tratteremo in seguito, la sua superficie si presenta striata e poco craterizzata, la più liscia di quella di qualsiasi oggetto noto del sistema Solare. La giovinezza e la morbidezza della superficie fanno  ipotizzare un oceano d’acqua sotto la crosta, possibile dimora per forme di vita extraterrestre. In questa ipotesi viene proposto che Europa, riscaldato internamente dalle forze mareali causate dalla vicinanza a Giove e dalla risonanza orbitale con Io e Ganimede, rilasci il calore necessario per mantenere un oceano liquido sotto la superficie, stimolando anche un’attività geologica simile alla tettonica a placche. Nel 2014 la NASA dichiara di aver trovato prove dell’esistenza di un’attività di tettonica a placche su Europa, la prima attività geologica di questo tipo su mondi extraterrestri.

Immagine ripresa dalla Voyager 1 nel 1979.

Nel 2013 la NASA individuò sulla crosta di Europa  minerali argillosi, fillosilicati, che spesso sono associati a materiale organico, annunciando anche che sulla base di osservazioni effettuate con il Telescopio spaziale Hubble, erano stati rilevati geyser di vapore acqueo simili a quelli di Encelado, il satellite di Saturno a cui dedicheremo una esauriente disamina.

 

immagine scattata dalla sonda New Horizons – Giove (in primo piano) ed Europa (dietro)

sotto schema animato delle risonanze tra Io, Europa e Ganimede

La sonda Galileo, lanciata nel 1989, ha fornito la maggior parte delle informazioni note su Europa. Nessun veicolo spaziale è ancora sbarcato sulla superficie, ma le sue caratteristiche hanno suggerito diverse proposte di esplorazione. La Jupiter Icy Moon Explorer, dell’Agenzia spaziale europea, è la missione per Europa, Io e Ganimede prevista per il 2022. La NASA programma una missione robotica da lanciare a metà degli anni 2020.

Missioni spaziali

L’esplorazione di Europa ebbe inizio con i sorvoli ravvicinati di Giove da parte delle sonde Pioneer 10 e Pioneer 11 nel 1973 e 1974 rispettivamente. Le prime foto erano però a bassa risoluzione rispetto a quelle che saranno ottenute dalle missioni successive. Le due sonde Voyager transitarono attraverso il sistema di Giove nel 1979 fornendo immagini molto più dettagliate della superficie di Europa e proprio a partire da quelle immagini si iniziò a speculare sulla possibilità dell’esistenza di un oceano liquido sotto la superficie del satellite. A partire dal 1995, la sonda Galileo iniziò una missione in orbita attorno a Giove che durò otto anni, fino al 2003, fornendo lo studio più dettagliato delle lune galileiane fino ad oggi. Nel programma della sonda erano inclusi numerosi sorvoli ravvicinati di Europa. La New Horizons riprese Europa nel febbraio 2007, mentre navigava dal sistema gioviano in direzione di Plutone.

Missioni future

Già all’epoca della Galileo, la comunità scientifica aveva manifestato l’esigenza di nuove missioni su Europa, allo scopo di determinare la composizione della superficie, per confermare o smentire l’esistenza di un oceano sotto di essa ed individuare segnali che potessero indicarvi la presenza di vita extraterrestre. Ma le missioni robotiche per Europa dovranno sopportare le alte radiazioni di Giove, visto che Europa riceve circa 5,40 Sv di radiazioni al giorno.

sopra Europa in colori reali in un mosaico di foto della sonda Galileo.

Nel 2011, una missione verso Europa fu consigliata dal Planetary Science Decadal Survey, e la NASA mise allo studio alcuni progetti come quello di una sonda che avrebbe effettuato multipli sorvoli ravvicinati (Europa Clipper) al satellite, un’altra che prevedeva un orbiter attorno a Europa e una provvista di un lander. L’opzione dell’orbiter si concentra soprattutto sullo studio dell’oceano sotto la superficie, mentre il Clipper studierebbe il satellite dal punto di vista chimico.

Il progetto Europa Clipper, ridenominato più tardi Missione di sorvolo multiplo di Europa (Europa Multiple-Flyby Mission in inglese) è stato presentato nel luglio 2013 dal Jet Propulsion Laboratory (JPL) e dall’ Applied Physics Laboratory (APL). Obiettivo della missione è esplorare Europa per indagarne l’abitabilità e per individuare siti di atterraggio adatti per un futuro lander. Europa Clipper orbiterebbe intorno a Giove, ma effettuerebbe 45 sorvoli a bassa quota su Europa durante la  missione. La sonda avrebbe tra gli strumenti di bordo un radar, uno spettrometro a raggi infrarossi, uno strumento topografico e uno spettrometro di massa. L’obiettivo dell’orbiter sarebbe invece quello di determinare l’estensione dell’oceano e la sua relazione con gli strati più interni. Potrebbe essere dotato di strumenti come un sottosistema radioscientifico, un altimetro laser, un magnetometro, una sonda Langmuir e una camera fotografica per la mappatura della superficie. Allo studio è anche una missione comprendente un lander, che avrebbe il compito specifico di valutare il potenziale astrobiologico del satellite. Nel 2012 fu selezionata e programmata dall’ESA la missione Jupiter Icy Moon Explorer, che comprende alcuni passaggi ravvicinati a Europa, anche se l’obiettivo principale di tale missione è Ganimede.

Altre proposte di esplorazione

Nel primo decennio del secolo fu proposta la missione spaziale NASA/ESA Europa Jupiter System Missio, che, pianificata per il 2020 prevedeva l’utilizzo di due sonde spaziali per l’esplorazione del sistema gioviano: Jupiter Europa Orbiter (JEO) della NASA e la Jupiter Ganymede Orbiter (JGO) dell’ESA che avevano obiettivo primario nello studio delle lune ghiacciate di Giove. Nel programma l’Agenzia spaziale giapponese propose di contribuire con il Jupiter Magnetospheric Orbiter (JMO), per studiare la magnetosfera gioviana, mentre l’Agenzia spaziale russa voleva l’invio di un lander (Europa Lander). Il piano congiunto purtroppo fallì a causa del budget momentaneamente limitato della NASA.

Il Jovian Europa Orbiter è un progetto del programma dell’ESA Cosmic Vision i cui studi iniziarono nel 2007 prevedendo l’invio dell’Ice Clipper (taglia ghiaccio) che utilizzerebbe una sonda a impatto per uno schianto controllato sulla superficie di Europa che genererebbe una nube di detriti, raccolti da una piccola sonda che vi volerebbe attraverso, analizzando i campioni. Una delle proposte più ambiziose vorrebbe utilizzare una grande Melt Probe (letteralmente “Sonda per fondere”) nucleare (Cryobot) che attraverserebbe la superficie sciogliendo il ghiaccio fino ad arrivare all’oceano. The Planetary Society afferma che scavare un pozzo provvederebbe alla protezione dalle radiazioni ed una volta raggiunta l’acqua, consentirebbe alla sonda il rilascio di un veicolo sottomarino autonomo (hydrobot), per raccogliere informazioni in situ da trasmettere alla Terra. Gli strumenti dovrebbero essere sottoposti ad un’estrema sterilizzazione per evitare che la sonda rilevi organismi terrestri anziché vita nativa e per evitare una contaminazione dell’oceano. Questa proposta non è arrivata a una seria pianificazione, per i dubbi circa l’utilizzo del nucleare e per il pericolo di contaminazioni dell’ambiente acquatico del satellite.

Parametri orbitali

Europa orbita attorno a Giove con un periodo di circa tre giorni e mezzo; il semiasse maggiore dell’orbita è pari a 670 900 km. L’orbita è praticamente circolare con un’eccentricità di 0,0094 e un’inclinazione di soli 0,470° rispetto all’equatore gioviano. Come tutti i Satelliti medicei Europa è in rotazione sincrona con Giove, con un emisfero del satellite costantemente rivolto verso il pianeta e un punto sulla sua superficie dal quale Giove appare allo zenit. Europa è forzata ad assumere forma leggermente allungata verso Giove dalla forza gravitazionale del pianeta, ma al variare della distanza, varia l’entità dello spostamento superficiale. In questo modo, come vedremo, una piccola parte dell’energia di rotazione di Giove si dissipa su Europa  e genera il riscaldamento mareale del satellite, un processo avrebbe permesso la conservazione di un oceano liquido sotto la sua superficie ghiacciata.

Struttura interna

Con un diametro di poco superiore a 3100 km, Europa è leggermente più piccola della Luna ed è il sesto satellite ed il quindicesimo oggetto più grande del sistema solare. La densità suggerisce che è simile in composizione ai pianeti terrestri, prevalentemente composto di silicati. Secondo le teorie accettate, Europa possiede uno strato di 100 km di acqua, in parte sotto forma di ghiaccio nella crosta superficiale, mentre sotto di essa si troverebbe uno strato di acqua liquida salata, con temperatura prossima allo zero, condizioni in teoria favorevoli allo sviluppo di forme di vita.

schema della struttura interna di Europa

Ad avvalorare l’ipotesi c’è l’analisi dei dati magnetometrici rilevati dalla Galileo, che ha mostrato, a una profondità compresa tra i 5 e 20 chilometri, esistere uno strato di materia che conduce elettricità. Le variazioni magnetiche osservate sono possibili perché Europa orbita intorno a Giove immersa nel campo magnetico del pianeta e ciò induce una corrente elettrica in uno strato conduttore prossimo alla superficie del satellite, corrente che a sua volta genera un campo magnetico secondario. Un’altra prova che suggerisce la presenza di un oceano sotto la superficie è la apparente rotazione di 80° della crosta, che sarebbe improbabile se il ghiaccio fosse attaccato al mantello. La presenza di acqua nel sottosuolo di Europa è comunque oggi data per certa dopo le osservazioni del Telescopio spaziale Hubble che rivelarono getti d’acqua fuoriusciti da crepe superficiali e scagliati fino ad un’altezza di 200 km. Questi enormi geyser sarebbero causati dallo stress mareale presente nell’interno della luna.

La temperatura sulla superficie di Europa è di circa 110 K (−163 °C) all’equatore e di 50 K (−223 °C) ai poli, cosicché il ghiaccio superficiale è permanentemente congelato. I membri del progetto Galileo hanno analizzato le immagini di Europa della Voyager e della Galileo, affermando che anche le caratteristiche superficiali di Europa dimostrano l’esistenza di un oceano liquido sotto la superficie, di cui il terreno “caotico”, regioni in cui l’oceano sotto la superficie ha sciolto la crosta ghiacciata, sarebbe una ulteriore prova. Tuttavia per cautela la maggior parte dei geologi che ha studiato Europa accredita il modello del “ghiaccio spesso”, in cui l’oceano ha raramente o mai interagito con la superficie. I diversi modelli per stimare lo spessore del guscio di ghiaccio danno valori oscillanti tra qualche chilometro e qualche decina di chilometri.

Schema dell’oceano sotto la superficie di Europa

La prova migliore per il cosiddetto modello del “ghiaccio spesso” è uno studio dei grandi crateri di Europa. I più grandi sono circondati da cerchi concentrici e sembrano essere riempiti con ghiaccio fresco relativamente liscio; basandosi su questo e sulla quantità di calore generata dalle maree di Europa, è stato teorizzato che la crosta esterna di ghiaccio solido sia spessa 10−30 km e l’oceano liquido sottostante potrebbe essere profondo circa 100 km. Il modello a “ghiaccio sottile” suggerisce invece che lo strato di ghiaccio sia spesso pochi chilometri. Se lo strato di ghiaccio fosse spesso solo pochi chilometri, come propone il modello “ghiaccio sottile”, significherebbe che sono possibili contatti regolari tra l’interno liquido e la superficie attraverso crepe, proprio ciò causando la formazione delle cd. zone di terreno caotico.

Nel 2008, venne suggerito che Giove potrebbe mantenere gli oceani di Europa caldi, generando grandi onde di marea su Europa a causa della sua piccola (ma non nulla) obliquità. Questo tipo di marea precedentemente non considerata genera le cosiddette onde di Rossby, che pur viaggiando lentamente alla velocità di pochi chilometri al giorno, possono generare una significativa quantità di energia cinetica. Per l’attuale stima dell’inclinazione assiale di Europa (0,1 gradi), la risonanza delle onde Rossby produrrebbe 7,3 × 1017 J di energia cinetica, duemila volte più grande di quella delle forze di marea e proprio a dissipazione di questa energia potrebbe essere la principale fonte di calore dell’oceano di Europa.

La sonda Galileo ha anche scoperto che Europa ha un debole momento magnetico, variabile e indotto dal grande campo magnetico di Giove, la cui intensità è di circa un sesto di quella del campo di Ganimede e sei volte quello di Callisto. L’esistenza del momento magnetico indotto richiede la presenza di materiale conduttore sotto la superficie, come ad esempio un grande oceano di acqua salata. Le prove spettrografiche suggeriscono che le strisce rosso scuro e le caratterizzazioni sulla superficie di Europa potrebbero essere ricche di sali come il solfato di magnesio, depositatosi tramite l’evaporazione dell’acqua che emerge da sotto. L’acido solforico idrato è un’altra possibile spiegazione dei contaminanti osservati spettroscopicamente. In entrambi i casi, siccome questi materiali sono privi di colore o bianchi quando puri, altri elementi devono essere presenti a loro volta per contribuire al colore rossastro, forse composti a base di zolfo.

Superficie

Europa è uno degli oggetti più lisci nel sistema solare, priva di grandi formazioni come montagne e crateri da impatto, il che rende plausibile il costante rimodellamento. I segni profondi ed incrociati più evidenti sulla luna sembrano essere principalmente dovute all’albedo, la quale enfatizza la topografia della bassa superficie. L’albedo (quantità di luce riflessa) di Europa è 0,64, una delle più alte di tutte le lune conosciute ed è causata dall’alta riflettività della superficie ghiacciata. Questo sembra indichi una superficie giovane e attiva che, basandosi sulla frequenza di bombardamento “cometario” stimata che raggiunge Europa, avrebbe da 20 a 180 milioni di anni circa.

Risultato immagine per superficie di europa satellite

 

sopra e sotto immagini della superficie di Europa

Risultato immagine per superficie di europa satellite

Europa - Ball of string

sopra una immagine di circa 17 km ripresa dalla sonda Galileo delle fratture nel ghiaccio

sotto la regione di Conamara Chaos ripresa dalla Galileo con particolare ingrandito

Europa - Conamara Chaos

E’ da sottolineare che Il livello di radiazione che colpisce la superficie di Europa è equivalente ad una dose di circa 5400 mSv (540 rem) al giorno, quantità sufficiente a causare una grave malattia o la morte in un essere umano che rimanga esposto in superficie anche un solo giorno.

Lineae

Le caratteristiche più evidente della superficie di Europa sono una serie di striature scure che, incrociandosi tra di loro, attraversano,  l’intero satellite. Un esame ravvicinato mostra che il bordo della crosta di Europa su ogni lato delle crepe si è mosso rispetto alla stessa crepa. Le bande più larghe sono di circa 20 km con dei bordi leggermente scuri, striature regolari, e una banda centrale di materiale più chiaro e potrebbe essere stato prodotto da una serie di eruzioni vulcaniche di acqua o geyser quando la superficie di Europa si allarga scoprendo gli strati più caldi sepolti. L’effetto è simile a quello visibile nelle dorsali oceaniche terrestri.Europa vita aliena

immagine a colori forzati delle strutture lineae

 

 
 
 Immagine a colori “quasi” naturali di Europa dalla sonda Galileo

Si pensa che queste numerose fratture siano state provocate in buona parte dagli stress gravitazionali esercitati da Giove; fino a che Europa è in rotazione sincrona con Giove, e quindi mantiene sempre lo stesso orientamento verso il pianeta, i modelli degli stress dovrebbero dare luogo a una forma distinta e prevedibile. Tuttavia, solo la più giovane delle fratture su Europa si conforma al modello previsto; le altre fratture sembrano aver preso orientamenti sempre più diversi mano a mano che la loro età aumenta. Questo si può spiegare se la superficie di Europa ruota leggermente più velocemente del suo interno, un effetto possibile con un oceano sotto la superficie che separi meccanicamente la superficie della luna dal suo mantello roccioso e dagli effetti della gravità di Giove che “tira” la crosta ghiacciata della luna. Confronti fatti tra le foto della Voyager e della Galileo suggeriscono che la crosta di Europa ruota ad una velocità tale da fare un giro in più rispetto al suo interno ogni 12.000 anni, rivelando inoltre prove di subduzione sulla superficie di Europa, ovvero che lastre di crosta ghiacciata vengano riciclate nell’interno fuso, come avviene per le placche tettoniche della Terra.

Altre formazioni geologiche

Un altro tipo di formazione presente su Europa sono lenticulae circolari ed ellittiche. Molte sono cupole, alcune sono buche e diverse sono punti scuri e lisci. Altre hanno una superficie confusa o ruvida. Le cime delle cupole sembrano parti delle antiche pianure che le circondano, suggerendo che si siano formate quando le pianure sono state spinte verso l’alto. Si pensa che tali lenticulae si siano formate da diapiri di ghiaccio caldo che sale attraverso il ghiaccio più freddo della crosta esterna, similmente alle camere magmatiche sulla crosta terrestre. I punti scuri e lisci potrebbero essersi formati da acqua liquida liberata quando il ghiaccio più caldo arriva in superficie; le lenticulae ruvide e confuse (chiamate regioni del “caos”, per esempio la Conamara Chaos) sembrerebbero essersi formate da piccoli frammenti di crosta incastonati in formazioni collinose di materiale più scuro, come iceberg in un mare di ghiaccio.

Risultato immagine per superficie di europa satellite

sopra immagine delle lenticulae

 
 
Montagne rugose e regioni lisce mescolate nella regione Conamara Chaos con una risoluzione di 9 metri per pixel

Un’ipotesi alternativa suggerisce che le lenticulae siano in realtà piccole aree caotiche e che le buche, le macchie e le cupole derivino dalla sovrastima delle immagini a bassa risoluzione della Galileo. Il problema è che il ghiaccio sarebbe troppo sottile per sostenere il modello convettivo dei diapiri per la formazione di tali strutture. Nel 2011, un team di ricercatori presentò prove pubblicate sulla rivista Nature che suggeriscono che molte caratteristiche dei “terreni caotici” di Europa si trovano al di sopra di vasti laghi di acqua allo stato liquido. Questi laghi sarebbero interamente racchiusi nel guscio esterno ghiacciato di Europa e non sono collegati all’oceano liquido che si pensa esistere sotto lo strato di ghiaccio. Una piena conferma dell’esistenza dei laghi richiede una missione spaziale progettata per sondare lo strato ghiacciato fisicamente o indirettamente, per esempio usando il radar.

Atmosfera

Osservazioni condotte nel 1994 tramite lo spettrografo di bordo del telescopio spaziale Hubble hanno rivelato la presenza di una tenue atmosfera attorno al satellite, composta di ossigeno. La pressione atmosferica al suolo è nell’ordine del micropascal. Di tutti i satelliti naturali del sistema solare, solo altri sei (Io, Ganimede, Callisto, Titano, Encelado e Tritone) possiedono un’atmosfera apprezzabile. A differenza dell’ossigeno presente nell’atmosfera terrestre, quello di Europa non ha origine biologica; è con tutta probabilità generato dall’interazione della luce solare e di particelle cariche con la superficie ghiacciata del satellite, che porta alla produzione di vapore acqueo. In seguito alla dissociazione in ossigeno e idrogeno causata dalla radiolisi, quest’ultimo, che è più leggero, sfugge con facilità all’attrazione gravitazionale del corpo e si disperde nello spazio. L’ossigeno invece, più denso e pesante, rimane più a lungo nell’atmosfera anche perché non congela a contatto della superficie come fanno invece l’acqua o il perossido di idrogeno (acqua ossigenata) e rientra quindi in ciclo nell’atmosfera.

Geyser di vapor acqueo

Su Europa si verificano pennacchi di acqua che arrivano ad un’altezza di 200 km. Dopo le prime osservazioni di geyser e pennacchi, la NASA ha confermato nel 2016 l’effettiva esistenza, provata dall’osservazione di Europa per 15 mesi da parte dello Space Telescope Science Institute di Baltimora di numerosi pennacchi acquei di altezza variabile fino a 200 km che appaiono e scompaiono anche nel giro di una settimana sulla superficie di Europa e ciò dimostrerebbe la presenza di un oceano sottostante i ghiacci che viene scaldato, per dinamiche comprendenti forze mareali di Giove, pressioni della crosta, attività vulcaniche, bombardamento di raggi cosmici, fino a fuoriuscire dalla crosta ghiacciata con enormi geyser di vapore acqueo ad una velocità di 2500 km/h. L’unica altra luna nel Sistema Solare che presenta pennacchi di vapore acqueo è Encelado, ma mentre il tasso di eruzione stimato su Europa è di circa 7000 kg/s, nei pennacchi di Encelado arriva a “solo” 200 kg/s.

Vita su Europa

Europa è considerato come uno dei mondi dove la possibilità di sviluppo di vita extraterrestre è più probabile. È stato ipotizzato che la vita potrebbe esistere in questo oceano al di sotto del ghiaccio, in un ambiente simile a quello delle sorgenti idrotermali presenti sulla Terra nelle profondità dell’oceano o sul fondo del Lago Vostok, in Antartide, ma non essendoci prove dirette che attestino la presenza di forme di vita su Europa, appare ovvio che ogni investigazione al riguardo necessiti dell’invio di sonde.

Fino al 1970 si pensava che la vita animale avesse bisogno dell’energia solare per svilupparsi (piante che in superficie catturano l’energia solare e attraverso la fotosintesi producono carboidrati dall’anidride carbonica e dall’acqua, rilasciando ossigeno nel processo, che vengono poi consumati dagli animali, creando una catena alimentare) e anche nell’oceano profondo, molto al di sotto della portata della luce del sole, si pensava che il nutrimento venisse da detriti organici discendenti dalla superficie. L’accesso alla luce solare era quindi ritenuto fondamentale per poter sostenere la vita in un determinato ambiente, ma nel 1977, durante un’immersione esplorativa alla isole Galapagos, furono scoperte colonie di vermi tubo giganti, crostacei, molluschi bivalvi e altre creature, raggruppate intorno a delle sorgenti idrotermali, con una catena alimentare del tutto indipendente. Invece delle piante, alla base di questa catena alimentare c’era una forma di batterio la cui energia deriva dalla ossidazione di sostanze chimiche, come l’idrogeno o l’acido solfidrico che ribolle fuori di camini dall’interno della Terra. Questa chemiosintesi batterica rivoluzionò lo studio della biologia, rivelando che la vita non dipendeva esclusivamente dall’irraggiamento solare; acqua ed energia erano sufficienti. Con questa scoperta si aprì una nuova strada in astrobiologia, e il numero di possibili habitat extraterrestri da prendere in considerazione aumentò sensibilmente.

Anche se i vermi tubo e gli altri organismi multicellulari scoperti attorno alle sorgenti idrotermali respirano ossigeno e sono quindi indirettamente dipendenti dalla fotosintesi, i batteri anaerobici e gli archeobatteri che abitano questi ecosistemi potrebbero fornire un esempio di come potrebbe essersi sviluppata la vita nell’oceano di Europa. L’energia fornita dalle maree gravitazionali mantiene geologicamente attivo l’interno di Europa e così il satellite potrebbe possedere una fonte di energia interna da decadimento radioattivo come la Terra, ma l’energia generata dalle maree rimane enormemente maggiore rispetto a qualsiasi sorgente radioattiva.

La vita su Europa potrebbe esistere attorno a sorgenti idrotermali dell’oceano, o sotto il fondo dell’oceano stesso, come succede per alcuni endoliti terrestri. Oppure potrebbero esistere organismi aggrappati alla superficie inferiore dello strato di ghiaccio, come alghe e batteri che vivono anche nelle regioni polari della Terra, o ancora, alcuni microrganismi potrebbero fluttuare liberamente nell’oceano di Europa. Tuttavia, se gli oceani di Europa fossero troppo freddi, i processi biologici simili a quelli noti sulla Terra non potrebbero avvenire e, allo stesso modo, se l’oceano fosse troppo salato, potrebbero vivere in quell’ambiente solo alofili estremi. Nel settembre del 2009, il planetologo Richard Greenberg calcolò che i raggi cosmici che raggiungono la superficie di Europa potrebbero convertire il ghiaccio d’acqua in ossigeno libero (O2), che potrebbe poi essere assorbito nell’oceano attraverso buche e crepe superficiali, con il raggiungimento di una concentrazione di ossigeno superiore a quella degli oceani della Terra nel giro di pochi milioni di anni, consentendo ad Europa di sostenere non solo la vita di microrganismi anaerobici, ma anche quella di organismi aerobici più complessi.

Un articolo pubblicato nel marzo 2013 suggerisce che il perossido di idrogeno abbonda in gran parte della superficie di Europa. Gli autori affermano che se il perossido sulla superficie si mescolasse all’oceano sottostante, sarebbe un’importante fonte energetica per l’abitabilità dell’oceano di Europa per eventuali forme di vita semplici, decadendo il perossido di idrogeno in ossigeno quando è mescolato con acqua liquida. Nel 2013, la NASA riferì di aver individuato dei fillosilicati, minerali argillosi spesso associati a materiali organici, sulla crosta ghiacciata di Europa. Gli scienziati suggeriscono che la presenza dei minerali è dovuta alla collisione di un asteroide o di una cometa, secondo la teoria della panspermia (o più precisamente nella Lithopanspermia).

 Il cielo visto da Europa

Il Sole, nonostante un diametro angolare di soli 6 minuti d’arco, sarebbe comunque l’oggetto più luminoso del cielo di Europa, ma l’oggetto più esteso sarebbe comunque Giove, che dalla luna ha un diametro angolare variabile tra 808 e 824 arcominuti, equivalenti a oltre 13 gradi (circa 25 volte la Luna piena vista dalla Terra). Essendo in rotazione sincrona, Giove sarebbe visibile solo da un emisfero di Europa.

Callisto

Callisto.jpg

Callisto ripreso dalla sonda Galileo nel 2001

Callisto è la terza più grande luna del sistema solare, la seconda più grande del sistema gioviano, dopo Ganimede, e il più grande oggetto del sistema solare a non essere del tutto differenziato. Ha un diametro di 4.821 km, equivalente al 99% del diametro di Mercurio, ma solo un terzo della sua massa. È la quarta luna galileiana in ordine di distanza da Giove, trovandosi a circa 1 880 000 km dal pianeta e non partecipa alla risonanza orbitale che coinvolge gli altri 3 satelliti galileiani, quindi non subisce i riscaldamenti mareali, che originano i fenomeni endogeni su Io ed Europa. Privo di campo magnetico interno e poco al di fuori della fascia di radiazioni del pianeta, non interagisce particolarmente con la magnetosfera di Giove.

Callisto, in basso a sinistra dell’immagine, ripreso dalla sonda Cassini. In alto a destra è visibile Giove e, sul suo disco,  a sinistra della Grande Macchia Rossa, Europa.

Callisto è composto, più o meno in egual misura, da rocce e ghiacci, con una densità media di circa 1,83 g/cm³, la più bassa tra i satelliti medicei. Sulla superficie spettroscopicamente è stata rilevata  la presenza di ghiaccio d’acqua, biossido di carbonio, silicati e composti organici. Studi condotti dalla sonda Galileo hanno rivelato che Callisto potrebbe avere un piccolo nucleo di silicati e forse uno strato di acqua liquida al di sotto della superficie, a profondità superiori a 100 km. La sua superficie è la più antica e la più massicciamente craterizzata del sistema solare. Non risultano tracce di processi del sottosuolo, come tettonica a placche o vulcanismo; non c’è segno che attività geologica si sia mai verificata e l’evoluzione della sua superficie si è prodotta principalmente per gli impatti meteoritici. Le sue principali caratteristiche superficiali includono strutture con multipli anelli concentrici, con scarpate, creste e depositi ad essi associati, crateri da impatto di varie forme e catene di crateri.

 

 
 

Un’immagine di Callisto ripresa dalla Voyager 2 alla distanza di 2.318.000 km . I punti brillanti che ne costellano la superficie sono crateri da impatto

Callisto è circondato da una sottile atmosfera di biossido di carbonio e ossigeno molecolare e da una ionosfera intensa. Si pensa si sia formato nel processo di accrescimento che ha interessato il disco di gas e polveri che circondava Giove dopo la formazione. La lentezza dei processi di accumulo di materia e la mancanza di riscaldamento mareale ha evitato ogni differenziazione chimica, mentre una lenta convezione all’interno di Callisto ha portato a una differenziazione solo parziale e alla possibile formazione di un oceano nel sottosuolo ad una profondità di 100–150 km, con un piccolo nucleo roccioso interno.

 
 
 Immagine ripresa dalla Voyager 1 della regione del cratere Valhalla 

La probabile presenza di un oceano nel sottosuolo di Callisto lascia aperta la pur remota possibilità che possa ospitare la vita, con condizioni che sembrano essere però meno favorevoli rispetto alla vicina Europa. Diverse sonde, le Pioneer 10 e 11, la Galileo e la Cassini hanno studiato Callisto, che, a causa dei suoi bassi livelli di radiazione, è stato a lungo considerato il luogo più adatto per una base in una futura esplorazione del sistema gioviano.

Missioni spaziali

Le sonde Pioneer 10 e Pioneer 11 inviate verso Giove nei primi anni settanta non diedero molte nuove informazioni su Callisto rispetto a quello che era già noto da osservazioni terrestri. La svolta avvenne con i sorvoli ravvicinati delle Voyager 1 e Voyager 2 negli anni 1979-80 che ripresero più della metà della superficie di Callisto, con una risoluzione di 1–2 km, misurando temperatura, massa e forma della luna gioviana. Una seconda tornata esplorativa avvenne dal 1994 al 2003, quando la  Galileo effettuò otto sorvoli ravvicinati di Callisto, il più vicino a 138 km dalla superficie. La sonda completò la mappa globale della superficie, con una serie di immagini con risoluzione fino a 15 metri di alcune aree selezionate. Nel 2000, la sonda Cassini in viaggio verso Saturno acquisì immagini di alta qualità nell’infrarosso dei satelliti galileiani, Callisto compreso. Nel 2007, la sonda New Horizons nel suo viaggio verso Plutone ottenne nuove immagini e spettri di Callisto. La prossima missione prevista per il sistema di Giove è la Jupiter Icy Moon Explorer (JUICE) dell’ESA, che partirà nel 2022, e saranno previsti diversi sorvoli ravvicinati di Callisto. 

Parametri orbitali

Callisto è il più esterno dei quattro satelliti galileiani e orbita ad una distanza di circa 1 880 000 km (equivalenti a 26,3 raggi gioviani) da Giove, distanza significativamente maggiore rispetto a quella di Ganimede (1 070 000 km). Per questo motivo Callisto non è in risonanza orbitale come lo sono invece i tre satelliti galileiani interni. Come la maggior parte delle altre lune regolari, la rotazione di Callisto è bloccata in sincrono con la sua orbita, di conseguenza la lunghezza del giorno di Callisto è pari al suo periodo orbitale di circa 16,7 giorni. Percorre orbita quasi circolare e molto prossima al piano equatoriale di Giove, con eccentricità e inclinazione orbitale che subiscono variazioni su una scala temporale di secoli a causa di perturbazioni gravitazionali. L’eccentricità varia da 0.0072 a 0,0076°, mentre l’inclinazione orbitale varia da 0,20 a 0,60° ed entrambe contribuiscono a variare l’inclinazione assiale di Callisto tra 0,4 e 1,6°.

L’isolamento dinamico di Callisto implica che non sia mai stato sensibilmente influenzato da maree gravitazionali, e ciò ha influito sulla sua evoluzione e sulla sua struttura interna. Data la sua distanza da Giove, il flusso di particelle cariche appartenenti alla magnetosfera gioviana che raggiungono la sua superficie è piuttosto basso (circa 300 volte inferiore rispetto a Europa) ed ha avuto effetti trascurabili su di essa, a differenza di quanto accaduto sugli altri satelliti galileiani. Il livello di radiazione sulla superficie di Callisto è equivalente a una dose di circa 0,01 rem (0,1 mSv) al giorno, sette volte inferiore alla radiazione che riceve la Terra.

Composizione

La densità media di Callisto, 1,83 g/cm³, suggerisce la composizione di parti approssimativamente uguali di materiale roccioso e ghiaccio d’acqua, con tracce di ghiacci volatili come l’ammoniaca. La percentuale di massa dei ghiacci è del 49-55 % mentre non è nota con precisione la componente rocciosa, probabilmente simile alla composizione delle condriti ordinarie L e LL, con basso contenuto di ferro metallico e  più abbondante presenza di ossido di ferro rispetto alle condriti H.

La superficie di Callisto ha un’albedo di circa 0,2, cioè riflette il 20% della luce solare che riceve. Si ritiene che la composizione superficiale sia sostanzialmente simile a quella del resto del satellite. Osservazioni spettroscopiche nel vicino infrarosso hanno rivelato la presenza di bande di assorbimento del ghiaccio d’acqua. Il ghiaccio d’acqua sembra onnipresente sulla sua superficie, con una frazione della massa totale pari al 25-50%. L’analisi ad alta risoluzione degli spettri nel vicino infrarosso e nell’ultravioletto ottenuti dalla sonda Galileo hanno rivelato la presenza di diversi materiali non ghiacciati in superficie, idrosilicati di ferro e magnesio, anidride carbonica, biossido di zolfo, forse, ammoniaca e vari composti organici. I dati spettrali indicano anche che la superficie di Callisto è estremamente eterogenea su piccola scala. Piccole zone luminose formate da ghiaccio d’acqua pura sono miste a zone formate da una miscela di roccia e ghiaccio e ad estese aree scure di materiali non ghiacciati.

La superficie di Callisto è asimmetrica: l’emisfero rivolto nella direzione del moto orbitale è più scuro dell’altro, al contrario di quanto accada sugli altri satelliti galileani. L’emisfero più scuro sembra più ricco in anidride solforosa rispetto all’altro, nel quale abbonda maggiormente l’anidride carbonica, elemento che pare associato a molti crateri da impatto di recente formazione, come il cratere Lofn. Generalmente la composizione chimica della superficie, specialmente quella delle aree scure, pare essere simile a quella degli asteroidi di tipo D, le cui superfici sono ricoperte di materiali carboniosi.

 
 

Nell’immagine in alto è visibile una porzione di terreno dove, nel corso del tempo e con l’erosione dei ghiacci, il materiale scuro scivolerà più in basso e il terreno assomiglierà a quello dell’immagine sotto, dove i crateri da impatto testimoniano che l’erosione è cessata

Struttura interna

La superficie craterizzata di Callisto sovrasta una litosfera gelida, spessa 80–150 km, mentre, ad una profondità di 50–200 km, si troverebbe uno strato di acqua liquida e salata dallo spessore di 10 km. Tale oceano interno è stato scoperto indirettamente attraverso studi del campo magnetico attorno a Giove e ai suoi satelliti più interni. Callisto, infatti, non possiede un campo magnetico proprio, ma solo un campo indotto che varia in direzione, in risposta alle diverse configurazioni orbitali del satellite rispetto al campo magnetico di Giove. Ciò suggerisce che all’interno di Callisto si trovi uno strato di fluido molto conduttivo. L’esistenza di un oceano sarebbe più probabile se l’acqua contenesse quantità di ammoniaca o altre sostanze antigelo, fino al 5% del peso. In tal caso, lo strato di acqua e ghiaccio potrebbe raggiungere anche uno spessore di 250–300 km. I modelli che non prevedono l’esistenza dell’oceano indicano un maggiore spessore per la litosfera ghiacciata, che potrebbe raggiungere una profondità di circa 300 chilometri.

la struttura interna di Callisto

Un altro indizio a favore dell’esistenza dell’oceano interno è che l’emisfero del satellite direttamente opposto al bacino di Valhalla non mostra alcuna frattura, a differenza di quanto succede agli antipodi di crateri di simili dimensioni sulla Luna o su Mercurio. Uno strato liquido sarebbe probabilmente in grado di assorbire le onde sismiche prima che esse possano rifocalizzarsi sul punto opposto della crosta planetaria. Al di sotto dell’oceano, Callisto sembra presentare un nucleo particolare, non interamente uniforme, ma stabile. I dati della Galileo suggeriscono che il nucleo sia composto da roccia e ghiaccio compressi, con percentuali di roccia crescenti all’aumentare della profondità. Fra i satelliti galileiani Callisto è quello con la densità minore; esso si compone per il 40% di ghiaccio e il 60% di roccia e ferro, inoltre è solo parzialmente differenziato, al contrario di Ganimede, di dimensioni di poco maggiori. La densità e il momento d’inerzia sono compatibili con l’esistenza di un piccolo nucleo di silicati al centro. Il raggio di tale nucleo non può superare i 600 km e la densità sarebbe compresa tra 3,1 e 3,6 g/cm³. Si ritiene che Titano e Tritone, due fra i principali satelliti del sistema solare, presentino una composizione analoga.

Superficie

Callisto è il satellite naturale più pesantemente craterizzato del sistema solare. A differenza del vicino Ganimede, che mostra un terreno variegato, Callisto non presenta evidenza di attività simili alla tettonica a placche. Pur trattandosi di due oggetti relativamente simili sembra che Callisto abbia avuto una storia geologica più semplice. In effetti, i crateri da impatto e gli anelli concentrici rappresentano le uniche strutture presenti su Callisto; non vi sono infatti grandi montagne o altre caratteristiche prominenti. Ciò è dipeso probabilmente dalla natura della superficie: lo scorrimento del ghiaccio in tempi geologici ha cancellato i crateri e le montagne più grandi. I crateri da impatto e le strutture multianello, le scarpate e i depositi ad esse associati sono le uniche caratteristiche che si trovano sulla superficie.

sopra dettaglio della superficie craterizzata di Callisto

sotto dettagli di crateri da impatto

Callisto

La superficie di Callisto è costituita da due enormi regioni: Valhalla (la più grande) presenta una regione centrale brillante larga 600 km e anelli concentrici che raggiungono i 3.000 km di diametro; la seconda, Asgard, presenta un diametro esterno di 1 400 km. Sono presenti inoltre catenae, come la Gipul Catena, una lunga serie di crateri da impatto in linea retta sulla superficie. L’origine di ciascuna di esse è da ricondursi all’impatto su Callisto di oggetti catturati dalla gravità gioviana e poi frammentati dalle forze di marea del pianeta (come la Cometa Shoemaker-Levy 9). Alla crosta del satellite è assegnata un’età di 4,5 miliardi di anni, risalente quasi alla formazione del sistema solare, mentre le strutture ad anelli concentrici hanno età compresa tra 1 e 4 miliardi di anni.

Atmosfera

Callisto ha un’atmosfera molto tenue, composta da anidride carbonica, rilevata attraverso lo spettrometro nel vicino infrarosso a bordo della Galileo. Si stima che in superficie sia raggiunta una pressione di 0,75 μPa ed una densità di 4 × 108 cm−3. Poiché un’atmosfera di tale entità sarebbe perduta dal satellite in 4 giorni, deve esserci un meccanismo che la reintegra costantemente, probabilmente la sublimazione del ghiaccio di anidride carbonica presente sulla superficie, ipotesi compatibile con la formazione delle striature brillanti visibili sulla superficie. Callisto è dotato di una ionosfera, rilevata durante i sorvoli ravvicinati della sonda Galileo; i valori della densità elettronica, misurata in 7 – 17 × 104 cm−3, non trovano spiegazione nella sola fotoionizzazione dell’anidride carbonica presente nell’atmosfera, così si ritiene che l’atmosfera sia dominata da una seconda specie, presente in quantità 10 − 100 volte superiori rispetto alla CO2, ritenendosi possa trattarsi di ossigeno molecolare, pur senza alcuna rilevazione diretta. Osservazioni condotte con il telescopio spaziale Hubble hanno posto un limite superiore alla concentrazione dell’ossigeno sulla base della sua mancata rilevazione, riuscendo però ad individuare ossigeno condensato ed intrappolato sulla superficie della luna.

Origine ed evoluzione

Callisto si è formato probabilmente per lenta accrezione dalla sub-nebulosa di Giove, il disco di gas e polveri che circondava il pianeta dopo la  formazione, tuttavia, a differenza di Ganimede, è solo parzialmente differenziato, dovendosi ciò al fatto che probabilmente non si è mai riscaldato a sufficienza perché potesse sciogliersi la sua componente ghiacciata. La sua evoluzione geologica dopo l’accrezione è determinata dall’equilibrio tra il riscaldamento radioattivo e il raffreddamento dovuto alla conduzione termica nei pressi della superficie e la convezione dello stato solido nell’interno del satellite. È noto che questa convezione si verifica quando la temperatura è abbastanza vicina al punto di fusione del ghiaccio ed è un processo lento, con movimenti del ghiaccio dell’ordine di 1 cm all’anno, tuttavia molto efficace per lunghi periodi temporali.

La precoce convezione subsolida nell’interno di Callisto avrebbe impedito la fusione del ghiaccio su larga scala e la completa differenziazione, che avrebbe formato un nucleo roccioso circondato da un mantello di ghiaccio. A causa del processo di convezione, la lenta e parziale separazione e differenziazione di rocce e ghiacci all’interno Callisto è proceduta per miliardi di anni ed è possibile che stia continuando anche nell’epoca attuale. L’attuale comprensione dell’evoluzione di Callisto non pregiudica l’esistenza di un oceano di acqua liquida sotto la superficie, per il comportamento “anomalo” del punto di fusione del ghiaccio, che diminuisce all’aumentare della pressione, e che arriva a 251 K (-22 °C) quando la pressione raggiunge i 2 070 bar. In tutti i modelli realizzati su Callisto la temperatura nello strato compreso tra 100 e 200 km di profondità è molto vicina, o supera leggermente, questa temperatura di fusione anomala. La presenza anche di piccole quantità di ammoniaca (1-2% della massa) garantirebbe l’esistenza del liquido poiché l’ammoniaca abbasserebbe ulteriormente la temperatura di fusione.

Possibilità di vita nell’oceano

Come Europa e Ganimede, si pensa che la vita microbica extraterrestre potrebbe esistere in un oceano salato sotto la superficie di Callisto, tuttavia, le condizioni sembrano meno favorevoli che su Europa. Le principali ragioni sono la mancanza di contatto con materiale roccioso e il minor flusso di calore proveniente dall’interno di Callisto. Torrence Johnson a proposito disse: « Gli ingredienti di base per la vita, che noi chiamiamo “chimica pre-biotica”, sono abbondanti in molti oggetti del sistema solare, come le comete, gli asteroidi e lune ghiacciate. I biologi ritengono che l’acqua liquida e l’energia siano necessari per sostenere realmente la vita, quindi è emozionante trovare un altro posto dove esiste acqua allo stato liquido. Ma l’energia è un’altra cosa, e mentre l’oceano di Callisto viene riscaldato solo da elementi radioattivi, Europa ha dalla sua l’energia delle maree e la maggiore vicinanza a Giove. ».

Una base su Callisto?

Nel 2003 la NASA condusse uno studio chiamato Human Outer Planets Exploration (HOPE) per una futura esplorazione umana del sistema solare esterno. L’obiettivo primario per una base che producesse carburante per ulteriori esplorazioni del sistema solare fu Callisto, con sostanziali vantaggi la bassa dose di radiazioni che riceve la superficie e la stabilità geologica della luna. Tale base potrebbe facilitare l’esplorazione a distanza di Europa e sarebbe in una posizione ideale per una stazione di rifornimenti e di manutenzione per le navi spaziali in rotta per le regioni più esterne del sistema solare, con ulteriore vantaggio di poter sfruttare l’assistenza gravitazionale di Giove con uno stretto fly-by dopo la partenza da Callisto. Rapporto NASA parlano di una missione umana verso Callisto intorno all 2040.

Ganimede

Ganymede, moon of Jupiter, NASA.jpg

immagine a contrasto aumentato di Ganimede dalla sonda Galileo

Ganimede è il principale satellite naturale di Giove e il più grande dell’intero sistema solare; supera per dimensioni (non per massa) Mercurio. Ganimede completa un’orbita attorno a Giove in poco più di sette giorni ed è in risonanza orbitale 1:2:4 con Europa ed Io rispettivamente. Composto principalmente da silicati e ghiaccio d’acqua, è totalmente differenziato, con un nucleo di ferro fuso. Si ritiene che abbia un oceano di acqua salata a circa 200 km di profondità, compreso tra due strati di ghiaccio. La superficie presenta due principali tipologie di terreno: le regioni scure, antiche ed a forte craterizzazione, formatesi 4 miliardi di anni fa e che coprono un terzo della luna, e le zone più chiare, di formazione più recente, ricche di scoscendimenti e scarpate, che ne coprono la restante parte. La causa delle striature visibili nelle zone chiare non è ancora totalmente compresa, anche se sembrano essere il risultato dell’attività tettonica attivata dal riscaldamento mareale.

Immagine ripresa dal telescopio spaziale Hubble che mostra Ganimede all’inizio di un transito dietro il disco di Giove. NASA

Ganimede è l’unico satellite del sistema solare per cui è nota l’esistenza di un campo magnetico proprio, probabilmente sostenuto dai movimenti convettivi all’interno del nucleo di ferro fuso. La sua ridotta magnetosfera è immersa nella ben più grande magnetosfera gioviana, cui è collegata da linee di campo aperte. Il satellite presenta una tenue atmosfera di ossigeno, presente in forma atomica (O), molecolare (O2) e forse come ozono (O3). L’idrogeno atomico è costituente minore dell’atmosfera. Ancora non è noto con certezza se il satellite sia dotato anche di una ionosfera.

Mosaico di immagini dalla Voyager 2 dell’emisfero di Ganimede non visibile da Giove. L’area scura e più antica visibile in alto a destra è la Galileo Regio, separata dalla regione scura più piccola, Marius Regio, alla sua sinistra dal più chiaro e più giovane Uruk Sulcus. In basso il ghiaccio relativamente recente eiettato dal Cratere Osiride.

Diverse missioni spaziali hanno potuto studiare Ganimede durante l’esplorazione del sistema di Giove; la Pioneer 10 ne ha raccolto le prime immagini ravvicinate, le Voyager hanno raffinato la stima delle dimensioni, mentre la Galileo ha scoperto, durante ripetuti sorvoli ravvicinati, l’esistenza del campo magnetico proprio ed ha suggerito quella dell’oceano sotto la superficie. Ganimede è, con Europa, uno degli obiettivi principali di nuove missioni nel sistema di satelliti di Giove.

Osservazione

Come già descritto, fonti storiche riportano che Ganimede sarebbe stato visto ad occhio nudo dall’astronomo cinese Gan De, nel 364 a.C. Tra i quattro satelliti medicei, Ganimede è quello con la magnitudine apparente più bassa. Essi sarebbero in teoria tutti visibili ad occhio nudo se non fossero nascosti dalla luminosità di Giove. Considerazioni recenti, valutato il potere risolutivo dell’occhio umano, sembrerebbero indicare che la combinazione della ridotta distanza angolare tra Giove ed ognuno dei suoi satelliti e della luminosità del pianeta renderebbero impossibile per un uomo riuscire ad individuare uno di essi. Le fonti lasciano però aperti dubbi sulla impossibilità che questo avvistamento sia avvenuto.

cratere da impatto recente

Ogni 5,93 anni la Terra si trova per alcuni mesi in prossimità del piano su cui giacciono le orbite dei satelliti medicei. In questa occasione è possibile assistere a transiti ed eclissi tra i satelliti e Giove e tra i satelliti stessi. Queste occultazioni mutue, fenomeni non rari, potendo susseguirsene anche qualche centinaio durante una fase di periodico allineamento, sono state utilizzate per confrontare i satelliti in albedo, e, pur se raro, è così possibile che si verifichi l’eclissi di un satellite per opera di un altro, mentre le ombre di entrambi transitano sul disco di Giove (l’11 giugno 1991 sono state osservate le ombre di Ganimede ed Io raggiungersi ed unirsi). Un’altra rara possibilità è che un satellite esterno sia occultato da un satellite più interno eclissato a sua volta da Giove. Se la coppia coinvolta nel fenomeno fosse composta da Ganimede e Callisto, l’eclissi di Callisto sarebbe totale.

Missioni spaziali

Mentre una stima del diametro di Ganimede prossima al valore misurato dalla sonda Voyager 1 fu ottenuta già alla fine dell’Ottocento e lo sviluppo nei telescopi nel XX secolo ha permesso l’individuazione di qualche dettaglio e del colore delle superfici, solo l’era spaziale ha permesso di migliorare le conoscenze scientifiche su Ganimede e sugli altri satelliti galileiani ad opera di missioni esplorative e di osservazioni attraverso il Telescopio spaziale Hubble. Diverse sonde lanciate verso Giove hanno esplorato Ganimede in dettaglio. Le prime furono le Pioneer 10 e 11, che però non fornirono molte informazioni sul satellite. Le sonde successive furono le Voyager 1 e 2 nel 1979 che ne rivelarono le dimensioni, dimostrando che Ganimede è più grande di Titano, fino ad allora ritenuto il più grande satellite naturale del Sistema solare, e furono osservate anche le regioni di terreno con scarpate.

immagine scattata da Voyager 1

Nel 1995 la Galileo entrò in orbita attorno a Giove ed eseguì sei sorvoli ravvicinati di Ganimede tra il 1996 ed il 2000. Durante il sorvolo più ravvicinato, la Galileo passò a soli 264 km dalla superficie della luna. Durante il primo sorvolo nel 1996 fu scoperta l’esistenza del suo campo magnetico, mentre l’annuncio della scoperta dell’oceano avvenne nel 2001. La Galileo trasmise a Terra un gran numero di immagini spettrali che permisero la scoperta di componenti non ghiacciati della superficie di Ganimede. La New Horizons, diretta verso Plutone, nel 2007 ha raccolto mappe topografiche e della composizione della luna. Proposta per il lancio nel 2020, la prossima missione verso Ganimede e le altre lune sarà la Europa Jupiter System Mission (EJSM missione congiunta NASA/ESA). L’EJSM consiste, come già descritto, del Jupiter Europa Orbiter, NASA, del Jupiter Ganymede Orbiter, ESA, forse del Jupiter Magnetospheric Orbiter, di costruzione JAXA. La proposta di porre un orbiter attorno a Ganimede era inclusa nella missione Jupiter Icy Moons Orbiter della NASA, poi cancellata.

Parametri orbitali e rotazione

Ganimede orbita attorno a Giove ad una distanza di 1 070 400 km, terzo tra i satelliti medicei. Completa una rivoluzione ogni sette giorni e tre ore. Come la maggior parte delle lune conosciute, Ganimede è in rotazione sincrona con Giove, con un emisfero del satellite costantemente rivolto verso il pianeta. L’orbita è caratterizzata da un bassissimo valore dell’eccentricità e dell’inclinazione rispetto al piano equatoriale di Giove; entrambi i valori cambiano con periodicità a causa delle perturbazioni gravitazionali del Sole e degli altri pianeti con una tempistica di secoli. Gli intervalli di variazione sono di 0,0009-0,0022 e 0,05-0,32° rispettivamente, e alle variazioni nell’orbita corrispondono variazioni comprese tra gli 0 e gli 0,33° nell’inclinazione dell’asse di rotazione della luna rispetto all’asse ortogonale al piano orbitale.

La risonanza di Laplace di Ganimede, Europa ed Io.

Ganimede è in risonanza orbitale con Io ed Europa: ad ogni orbita di Ganimede, Europa ed Io completano rispettivamente due e quattro orbite. La congiunzione superiore tra Io ed Europa avviene sempre quando Io è al periasse dell’orbita ed Europa all’apoasse. La congiunzione superiore tra Europa e Ganimede avviene quando Europa è nelle vicinanze del periasse. Le longitudini delle congiunzioni di Io-Europa ed Europa-Ganimede cambiano con la stessa velocità, rendendo possibile che si verifichi una congiunzione triplice, una complessa forma di risonanza, detta risonanza di Laplace.

La risonanza di Laplace tra Io, Europa e Ganimede.

La risonanza di Laplace attualmente esistente non è in grado di aumentare l’eccentricità dell’orbita di Ganimede, che risulta sconcertante: se non fosse esistito un meccanismo di mantenimento si sarebbe azzerata da tempo per la dissipazione mareale all’interno, significando che l’ultima eccitazione dell’eccentricità è avvenuto soltanto diverse centinaia di milioni di anni fa. Poiché l’eccentricità orbitale di Ganimede è relativamente bassa (0,0015 in media) il riscaldamento mareale della luna oggi è trascurabile. Tuttavia, nel passato Ganimede potrebbe aver attraversato più fasi di risonanza simile a quella di Laplace, che potrebbero aver aumentato l’eccentricità orbitale, determinando la generazione di un significativo quantitativo di calore mareale all’interno di Ganimede e la formazione del terreno striato potrebbe essere il risultato di uno o più di questi episodici riscaldamenti.

L’origine della risonanza di Laplace tra Io, Europa e Ganimede è sconosciuta. Esistono due ipotesi al riguardo: che sia esistita dalla formazione del sistema solare o che si sia sviluppata in seguito, secondo questa sequenza: Io sollevava maree su Giove ed il processo causò un’espansione dell’orbita finché non fu raggiunta la risonanza 2:1 con Europa; dopo di ciò, l’espansione continuò, ma parte del momento angolare venne trasferito ad Europa mentre la risonanza determinava che anche l’orbita della seconda luna si espandesse; il processo continuò finché Europa instaurò una risonanza 2:1 con Ganimede. Infine, la velocità di spostamento delle congiunzioni tra le tre lune si sincronizzò e le bloccò nella risonanza rilevata da Laplace.

Composizione

La densità media di Ganimede, 1,936 g/cm³, suggerisce che acqua, prevalentemente ghiacciata, e materiali rocciosi compongano la luna in ugual misura. Il valore del rapporto tra la massa dei ghiacci e la massa totale di Ganimede (frazione di massa) è compreso tra 46-50%, leggermente inferiore a quello stimato per Callisto. Potrebbero essere presenti altri ghiacci di sostanze volatili, come ammoniaca. La composizione esatta delle rocce di Ganimede non è nota, ma è probabile che sia simile alla composizione della condriti ordinarie di tipo L o LL, caratterizzate da  quantitativi complessivi di ferro inferiori rispetto alle condriti H.

La superficie di Ganimede ha un’albedo del 43%. Il ghiaccio d’acqua è onnipresente in superficie, con frazione di massa del 50-90%, dato confermato anche da analisi spettroscopiche nel vicino infrarosso che hanno rivelato la presenza di forti bande di assorbimento del ghiaccio d’acqua. Il terreno scanalato è più luminoso e si compone di un quantitativo di ghiaccio superiore rispetto ai terreni più scuri. L’analisi di spettri ad alta risoluzione nel vicino infrarosso e nell’ultravioletto ottenuti dalla Galileo e da terra, hanno rivelato altri materiali: anidride carbonica (CO2), anidride solforosa (SO2) e probabilmente cianogeno ((CN)2), idrogeno solfato (HSO4-) e vari composti organici, rivelando presenza di solfato di magnesio (MgSO4) e solfato di sodio (Na2SO4) sulla superficie, sali che potrebbero essersi originati nell’oceano al di sotto della superficie.

La superficie di Ganimede è asimmetrica; l’emisfero “anteriore”, che guarda verso la direzione di avanzamento della luna sulla sua orbita, è più luminoso rispetto a quello posteriore. Lo stesso accade su Europa, mentre su Callisto accade la situazione opposta. L’emisfero anteriore di Ganimede sembra essere il più ricco di diossido di zolfo, mentre la distribuzione dell’anidride carbonica non sembra rivelare alcuna asimmetria tra gli emisferi. I crateri da impatto su Ganimede (eccetto uno) non presentano arricchimento di anidride carbonica, cose che nuovamente distingue Ganimede da Callisto. I livelli di anidride carbonica di Ganimede furono probabilmente esauriti nel passato.

Struttura interna

Ganimede si compone principalmente di silicati e ghiaccio d’acqua; presenta una crosta ghiacciata che scivola su di un mantello di ghiaccio più tiepido, e che ospita uno strato di acqua liquida. Le indicazioni provenienti dalla sonda Galileo sembrano suffragare una differenziazione di Ganimede in tre strati concentrici: un piccolo nucleo di ferro-solfuro di ferro, un mantello roccioso ricco di silicati ed una crosta ghiacciata. Il modello è supportato da un basso valore del momento di inerzia adimensionale, il più basso tra i corpi solidi del Sistema solare, misurato durante i fly-by della Galileo. L’esistenza di un nucleo liquido e ricco in ferro fornirebbe inoltre una spiegazione piuttosto semplice dell’esistenza del campo magnetico della luna, misurato dalla Galileo. I moti convettivi nel ferro liquido, che presenta una conduttività elettrica elevata, sono il modello più ragionevole per la generazione di un campo magnetico planetario. La presenza di un nucleo metallico suggerisce che in passato Ganimede possa essere stato esposto a temperature più elevate delle attuali.

struttura interna di Ganimede

Gli spessori indicati per gli strati all’interno di Ganimede dipendono dalla presunta composizione dei silicati (olivine e pirosseni) nel mantello e dei solfuri nel nucleo. I valori più probabili sono di 700–900 km per il raggio del nucleo e 800–1000 km per lo spessore del mantello ghiacciato esterno, con la parte rimanente occupata dal mantello di silicati. La densità del nucleo è di 5,5–6 g/cm³ e quella del mantello di silicati è di 3,4–3,6 g/cm³. Alcuni modelli per la generazione di un campo magnetico planetario richiedono l’esistenza di un nucleo solido di ferro puro all’interno del nucleo liquido di Fe-FeS, simile alla struttura del nucleo terrestre. Il raggio di tale nucleo solido potrebbe raggiungere un valore massimo di 500 km. Il nucleo di Ganimede è caratterizzato da temperature di circa 1500–1700 K e da una pressione di 100 kbar (equivalente ad 1 GPa).

Superficie

La superficie di Ganimede presenta due tipi di terreno assai differenti; regioni scure, antiche e fortemente craterizzate si contrappongono a zone più chiare, di formazione più recente, ricche di scoscendimenti e scarpate. La loro origine è chiaramente di natura tettonica, probabilmente da attribuirsi ai movimenti di rilassamento e di riposizionamento della crosta ghiacciata del satellite. Sono visibili formazioni geologiche che testimoniano la presenza di flussi lavici in passato, mentre il criovulcanismo sembra abbia svolto solo ruolo marginale. Grazie ad analisi spettroscopiche delle regioni più scure sono state individuate tracce di materiali organici che potrebbero indicare la composizione degli impattatori che parteciparono al processo di accrezione dei satelliti di Giove. Le regioni più giovani della superficie sono relativamente simili a quelle di Encelado, Ariel e Miranda; le regioni più antiche, circa un terzo della superficie, ricordano la superficie di Callisto.

sopra e sotto immagini della superficie di Ganimede

Il motore degli sconvolgimenti tettonici potrebbe essere connesso con gli episodi di riscaldamento mareale avvenuti nel passato della luna, probabilmente rafforzatisi quando il satellite attraversava fasi di risonanza orbitale instabile. La deformazione mareale del ghiaccio potrebbe aver riscaldato l’interno della luna e teso la litosfera, conducendo alla formazione di fratture e di sistemi di horst e graben, che erosero il terreno più antico e più scuro sul 70% della superficie. La formazione del terreno più chiaro e striato potrebbe essere anche connessa con quella del nucleo, durante la cui evoluzione pennacchi di acqua calda proveniente dalle profondità della luna potrebbero essere risaliti alla superficie, determinando la deformazione tettonica della litosfera.

Il riscaldamento derivante dal decadimento da elementi radioattivi all’interno del satellite è la principale fonte di calore interno attualmente esistente. Dal flusso di calore generato dipende lo spessore dell’oceano sotto la superficie. Modelli recenti sembrano indicare che il flusso di calore prodotto dal riscaldamento mareale potrebbe aver raggiunto un ordine di grandezza maggiore rispetto al flusso attuale se l’eccentricità fosse stata anch’essa di un ordine di grandezza maggiore dell’attuale (come potrebbe essere stato nel passato).

Entrambi i tipi di terreno sono fortemente craterizzati, con il terreno più scuro che sembra essere saturato da crateri e la cui evoluzione è avvenuta grandemente per mezzo di eventi di impatto. Il terreno più chiaro e striato presenta un numero nettamente inferiore di caratteristiche da impatto, che hanno avuto un ruolo di minore importanza nell’evoluzione tettonica del terreno. La densità dei crateri suggerisce che il terreno scuro risalga a 3,5-4 miliardi di anni fa, un’età simile a quella degli altopiani lunari, il terreno chiaro sarebbe invece più recente. Ganimede potrebbe aver avuto un periodo di intenso bombardamento meteorico da 3,5 a 4 miliardi di anni fa, simile a quello della Luna. Se ciò fosse vero, la grande maggioranza degli impatti sarebbe avvenuta in quell’epoca ed il tasso di craterizzazione da allora si sarebbe fortemente ridotto. Alcuni crateri si sovrappongono alle fenditure nel terreno, mentre altri ne sono divisi; questo indica un’origine simultanea dei diversi tipi di formazione geologica. I crateri più recenti presentano le caratteristiche strutture a raggiera, ma a differenza dei crateri lunari, sono più piatti e meno pronunciati, privi dei rilievi circostanti e della depressione centrale, probabilmente per via dell’assenza di roccia dalla superficie del satellite. La superficie del satellite è anche ricca di palinsesti, antichi crateri livellati dall’attività geologica successiva, che ha lasciato traccia del loro pareti solo come variazioni di albedo.

La formazione principale della superficie di Ganimede è una pianura scura nota come Galileo Regio, in cui sono distinguibili una serie di fenditure concentriche, o solchi, forse originatisi durante un periodo di attività geologica. Un’altra importante caratteristica di Ganimede sono le calotte polari, osservate la prima volta dalle sonde Voyager e probabilmente composte di brina di acqua. La brina raggiunge i 40° di latitudine.. I dati raccolti durante la missione Galileo suggeriscono una origine da bombardamento da plasma del ghiaccio superficiale.

Atmosfera

Nel 1972 un gruppo di astronomi indiani, britannici e statunitensi annunciarono la scoperta di una sottile atmosfera attorno al satellite durante l’occultazione di una stella da parte di Giove e dello stesso Ganimede, ipotizzando una pressione superficiale di 1 μBar circa (0,1 Pa). Tuttavia nel 1979, la sonda Voyager 1 osservò l’occultazione della stella κ Centauri durante il suo sorvolo del pianeta, compiendo analisi che portarono a risultati differenti da quelli del 1972. Le misurazioni furono condotte nello ultravioletto lontano, ad una lunghezza d’onda inferiore ai 200 nm, e non rilevarono alcuna atmosfera.

Al contrario dei dati della Voyager, però una tenue atmosfera di ossigeno, similmente a quanto trovato anche per Europa, venne rilevata su Ganimede dal Telescopio spaziale Hubble nel 1995. Il telescopio spaziale rilevò la presenza di ossigeno atomico da osservazioni nel lontano ultravioletto e il manifestarsi di luminescenze notturne che si verificano quando l’ossigeno molecolare viene dissociato in atomi dall’impatto con elettroni, rivelando così la presenza di un’atmosfera neutra, composta principalmente di molecole di O2. Il valore della densità numerica corrisponde alla pressione superficiale di 0,2–1,2×10-5 μBar, valore in accordo con il limite superiore ricavato dai dati raccolti dalla Voyager e calcolato nel 1981.

L’ossigeno si pensa sia prodotto per le radiazioni incidenti sulla superficie che determinano la scissione in idrogeno e ossigeno di molecole di ghiaccio d’acqua. Mentre l’idrogeno è rapidamente disperso a causa del suo basso peso atomico, l’ossigeno così liberato va a costituire l’atmosfera del satellite. Le emissioni luminose (airglow) osservate su Ganimede non sono omogenee come su Europa. Il Telescopio spaziale Hubble ha osservato due chiazze luminose localizzate nell’emisfero sud e nell’emisfero nord, vicino ai ± 50° di latitudine, corrispondenti al confine tra le linee di campo aperte e chiuse del campo magnetico, forse aurore polari, causate dalla precipitazione del plasma lungo le linee di campo aperte.

L’esistenza di un’atmosfera neutra implica quella di una ionosfera, poiché le molecole di ossigeno vengono ionizzate dall’impatto con gli elettroni altamente energetici provenienti dalla magnetosfera e dalle radiazioni solari nell’estremo ultravioletto. Tuttavia, la natura della ionosfera di Ganimede è ancora controversa, come lo è del resto la natura dell’atmosfera. Alcune misurazioni della sonda Galileo accertarono un valore elevato della densità di elettroni vicino al satellite, suggerendo così la presenza di una ionosfera, mentre altre misurazioni non riuscirono a rilevare niente. Ulteriori evidenze di una atmosfera di ossigeno derivano dal rilevamento spettroscopico di gas intrappolato tra i ghiacci d’acqua di Ganimede. La scoperta di ozono (O3) nell’atmosfera venne annunciata nel 1996. Nel 1997 fu rilevata, tramite l’analisi delle righe di assorbimento spettroscopico, la presenza di una fase densa di ossigeno molecolare, compatibile con gas intrappolato nel ghiaccio d’acqua. L’intensità delle righe di assorbimento rilevate dipende più dalla latitudine e dalla longitudine che dall’albedo della superficie; le righe tendono a diminuire all’aumentare della latitudine, mentre l’ozono mostra un comportamento opposto. Esperimenti di laboratorio hanno trovato che alla temperatura relativamente calda di 100 K della superficie del satellite, l’ossigeno molecolare tende a dissolversi nel ghiaccio invece di raggrupparsi in bolle.

La ricerca del sodio nell’atmosfera, subito dopo il ritrovamento dello stesso su Europa, non portò ad alcun risultato nel 1997, ipotizzandosi il sodio almeno 13 volte meno abbondante su Ganimede che su Europa, a causa o alla relativa scarsezza sulla superficie o al fatto che la magnetosfera scherma le particelle più energetiche. Un altro costituente minore dell’atmosfera di Ganimede è l’idrogeno atomico. Gli atomi di idrogeno vennero scoperti a 3000 km dalla superficie.

Campo magnetico

La sonda Galileo ha scopeerto, durante i sorvoli ravvicinati di Ganimede, che la luna ha un campo magnetico proprio all’interno della ben più vasta magnetosfera di Giove, ma indipendente da essa. Il valore del momento magnetico è tre volte superiore a quello di Mercurio. L’asse del dipolo magnetico è inclinato rispetto all’asse di rotazione di Ganimede di 176°, opponendosi quindi al campo magnetico di Giove, rendendo possibile episodi di riconnessione magnetica. Il polo nord magnetico si trova al di sotto del piano orbitale. Il campo magnetico di Ganimede ha un’intensità di 719 ± 2 nT all’equatore della luna, mentre il campo magnetico di Giove ha un’intensità di circa 120 nT in corrispondenza dell’orbita di Ganimede. In corrispondenza dei poli, il campo magnetico di Ganimede raggiunge un’intensità doppia di quella misurata all’equatore.

sopra e sotto aurore polari su ganimede con le relative linee di flusso

Il campo magnetico permanente scava una nicchia attorno a Ganimede, creando una piccola magnetosfera inclusa in quella di Giove. Nel Sistema solare, questa caratteristica non si ripete per alcun’altra luna. La specie chimica più presente nella magnetosfera è ossigeno atomico ionizzato (O+) che si adatta bene alla tenue atmosfera di ossigeno della luna. Nelle regioni polari, per latitudini superiori a 30°, le linee del campo magnetico sono aperte e connettono Ganimede con la ionosfera di Giove. In queste regioni, sono state rilevate particelle cariche altamente energetiche (decine e centinaia di keV), che potrebbero essere le responsabili delle aurore osservate attorno ai poli di Ganimede. Ioni pesanti precipitano di continuo ai poli della luna, determinando lo scurimento del ghiaccio.

Il campo magnetico di Ganimede all’interno della magnetosfera gioviana. In verde le linee di campo chiuse.

L’interazione tra la magnetosfera di Ganimede ed il plasma appartenente a quella gioviana è per molti aspetti simile all’interazione tra la magnetosfera terrestre ed il vento solare. Il plasma co-rotante con Giove impatta sulla parte della magnetosfera di Ganimede opposta rispetto alla direzione di avanzamento della luna sulla sua orbita, così come il vento solare impatta sulla magnetosfera terrestre. La principale differenza è nella velocità del flusso di plasma, supersonico nel caso della Terra e subsonico nel caso di Ganimede. A causa di ciò, non si forma alcuna onda d’urto davanti all’emisfero “posteriore” di Ganimede.

In aggiunta al campo magnetico proprio, Ganimede presenta un campo magnetico indotto. La sua esistenza è connessa con la variazione del campo magnetico gioviano in prossimità della luna. Il momento indotto è diretto radialmente da o verso Giove e segue la direzione della variazione nel campo magnetico planetario. Il campo magnetico indotto ha un’intensità di un ordine di grandezza inferiore rispetto a quello proprio; all’equatore l’intensità del campo è di circa 60 nT, circa la metà dell’intensità assunta dal campo magnetico di Giove nella stessa zona. Il fatto che il campo magnetico indotto di Ganimede sia confrontabile con quelli di Callisto ed Europa indica che anche questa luna ha un oceano al di sotto della superficie con elevata conduttività elettrica.

Poiché Ganimede è totalmente differenziato ed ha un nucleo metallico, alcune teorie prevedono che il campo magnetico intrinseco sia generato in modo simile a quanto accade sulla Terra, ovvero dalla rotazione di materiale conduttore presente nel suo interno, nel quale si siano instaurati flussi di corrente elettrica. A dispetto della presenza del nucleo ferroso però, il campo magnetico di Ganimede rimane un mistero, particolarmente perché altri corpi simili a Ganimede ne sono sprovvisti. Altre ricerche suggeriscono che il nucleo, relativamente piccolo nelle dimensioni, possa ormai essersi raffreddato al punto da non essere più in grado di sostenere il campo magnetico. In alternativa allora questo potrebbe derivare da uno strato di acqua liquida ricca di sale situato ad una profondità di circa 150 km. Altri studiosi invece ritengono che il nucleo possa essere ancora caldo, avendo ricevuto energia da episodi di risonanza orbitale e grazie ad un mantello composto da materiale particolarmente isolante. Un’ultima alternativa è che il campo sia generato da silicati magnetizzati presenti nel mantello, rimanenze di un passato in cui Ganimede possedeva un campo magnetico molto più potente generato dal nucleo ancora fluido.

Origine ed evoluzione

Ganimede si è formato probabilmente per accrezione nella sub-nebulosa di Giove, in un processo di circa 10 000 anni, un lasso di tempo molto inferiore ai 100 000 anni stimati per l’accrezione di Callisto. Essendo Ganimede più interno di Callisto, la sua formazione ha richiesto comunque tempi inferiori perché avvenuta in una regione della nube più vicina a Giove, quindi più densa. Un processo di formazione relativamente veloce ha impedito che il calore di accrezione fosse disperso nello spazio, favorendo il processo di differenziazione, che ha condotto alla separazione del ghiaccio dalle rocce e ad un’organizzazione interna secondo strati sovrapposti di composizione chimica differente. In ciò, Ganimede è molto differente da Callisto, che ha perso molto calore durante la fase di accrezione ed oggi appare congelato in una forma precoce di differenziazione, con il processo completato parzialmente. Questa ipotesi spiega il perché le due lune appaiano così differenti a dispetto di masse e composizioni assai simili.

Subito dopo la formazione, il nucleo roccioso, che durante accrezione e differenziazione aveva accumulato una grande quantità di calore, iniziò lentamente a trasmetterlo al mantello ghiacciato. Quest’ultimo, a sua volta, lo trasferiva alla superficie per convezione. Inoltre, il decadimento degli elementi radioattivi nelle rocce riscaldò ulteriormente il nucleo, determinandone la differenziazione ulteriore in un nucleo di ferro-solfuro di ferro ed un mantello di silicati. A questo punto, Ganimede aveva terminato il processo di differenziazione. Per paragone, si ritiene che il calore proveniente dal decadimento radioattivo in Callisto instaurò moti convettivi all’interno ghiacciato della luna, che in definitiva la raffreddarono ed impedirono la fusione su grande scala del ghiaccio ed una rapida differenziazione. Ganimede continua a raffreddarsi lentamente, con il calore rilasciato dal nucleo e dal mantello di silicati che permette la sussistenza dell’oceano al di sotto della superficie, mentre il lento raffreddamento del nucleo liquido di Fe – FeS determina i moti convettivi che supportano il campo magnetico. Il flusso di calore attualmente proveniente da Ganimede è probabilmente maggiore rispetto a quello di Callisto.

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