tra reddito di cittadinanza e flat tax, la conferma del capitalismo liberista…

il reddito di cittadinanza, ovvero come confermare il capitalismo globale e le sue storture che affamano milioni di persone, facendo l’elemosina alle sue vittime, ma facendola pagare alla collettività…

avrete capito tutta la mia contrarietà al c.d. reddito di cittadinanza, la banderuola per allocchi che i grillini hanno agitato, particolarmente qui al sud per ottenere il diluvio di voti che hanno avuto alle ultime elezioni, ma ormai è storia, recente, ma sempre storia…avrei potuto scriverne prima, ma la pretesa di far luce agli elettori grillini sarebbe stata vana, dal momento che una ragnatela di suggestioni, ben costruita intorno alla loro creduloneria, era ormai intessuta e difficile da squarciare con argomenti logici…

e dunque, fuori da ogni polemica politica e a bocce ferme di una situazione politica ai limiti del ridicolo, perché sono così ostile a questa misura che a prima vista apparirebbe un riequilibrio economico per chi attualmente si trova in condizioni di marginalità economica?…voglio dunque andare contro la legittima aspettativa di tanti che lo stato abbia maggior cura di loro?…decisamente no, ma questa strada è una strada pericolosa, come tenterò di spiegare…andiamo come al solito con ordine…

l’idea del cd. reddito di cittadinanza non è certo nuova e chiariamo subito che la misura nulla ha a che fare con altre forme di assistenza al reddito quali quelle praticate finora, ma soprattutto, contrariamente agli argomenti agitati sovente dai suoi sostenitori, in alcun paese europeo vige questa “follia economica”, come chiarirò in seguito e ancor più grave, la misura coesiste perfettamente e forse indissolubilmente con quelle malsane idee di flat tax che la lega porta direttamente dal centrodestra nel “contratto di governo”…

ma partiamo dalle sue origini per comprendere la mia contrarietà…quello che appare come un “coniglio tirato fuori dal cilindro grillino” è una idea affatto nuova, i cui gameti di origine discendono da una “teoria” e da una suggestione:

1) l’imposta negativa di milton friedman, premio nobel 1976 per l’economia e noto teorico del liberismo e delle teorie monetariste.

2) un volume di Jeremy rifkin (che qualcuno tra i lettori meno stufi di leggermi sa bene quanto io disprezzi), ovvero “la fine del lavoro, il declino della forza lavoro globale e l’avvento dell’era post-mercato” (the end of work: the decline of the global labor force and the dawn of the post-market) edito in italia prima da baldini&castoldi nel 1995, poi da oscar mondadori nel 2002

ora tra le due, vista la cultura media della classe dirigente grillina e viste alcune discussioni avute con qualcuno di loro, propenderei per la seconda delle ipotesi (più facile leggere un saggio breve che studiare una teoria economica complessa) avvisando però che proprio questa seconda ipotesi è figlia di un copia-incolla che rifkin lancia con la sua attività di conferenziere a partire però proprio dalla prima, certo decontestualizzandola di alcuni aspetti “tecnici”, ovvero appartenenti ad una delle teorie dell’economia affermatasi come la “madre” del liberismo e del capitalismo globale, e facendola divenire una sua “visione” di un futuro, visione che i frequentatori delle sue conferenze pagano per farsene abbacinare, senza tuttavia comprendere l’inganno che questo venditore di fumo perpetra…alla base del reddito di cittadinanza dunque vi sarebbe una visione dell’economia che ha prodotto danni enormi alla società, il liberismo, raccontata come una favola da uno pseudo-scienziato a cui abboccano degli allocchi o che semplicemente era quello che volevano sentirsi dire

ma come sapete sono testardo e nutro sempre l’illusione che spiegando analiticamente le cose nella loro complessità le si possa smontare proprio di quella complessità, rendendole semplici e comprensibili a chiunque, senza tuttavia rinunciare a quella complessità che tiene in sé le cose…

e proprio perché ritengo la misura proposta figlia di una lettura del saggio di rifkin, ma nipote diretta della teoria dell’imposta negativa di friedman, parleremo di entrambe, focalizzando però maggiormente sulla seconda, la capostipite…

sostanzialmente friedman (e con lui juliet rhys-williams, in una idea condivisa anche da friedrich von hayek), avanzò nel ’62 la proposta di un’”imposta negativa”, ovvero una proposta di gestione dei sussidi di assistenza secondo cui al di sotto di un determinato livello di reddito stabilito, definito minimo imponibile, chiunque non arrivi redditualmente a tale limite benefici di una somma equivalente ad una percentuale data della differenza esistente il reddito minimo stabilito e il reddito effettivamente percepito dal lavoratore, in una sorta di redistribuzione di reddito alternativa all’esenzione fiscale per i più poveri, avente come obiettivo teorico di stimolare i percettori dei redditi inferiori a uscire da questa soglia…

ovvero l’imposta negativa come un sistema universale di supporto agli individui a basso reddito, che si sostituisce all’assistenza sociale vera e propria sia per limitarne i costi elevati, anche burocratici per la gestione della sua erogazione, sia e soprattutto come una forma di incentivo ideologico a trovare forme di reddito diverse dall’assistenza pubblica, essendo il sussidio pari alla differenza tra reddito standard minimo e reddito familiare effettivo, ma inferiore al reddito standard, così da disincentivare comportamenti “parassitari”, con ciò rivelandosi tutto il carattere ideologicamente socialdarwinista della stessa proposta

jeremy rifkin, invece giunge più o meno alla stessa proposta, elaborando anch’egli un reddito cd. di cittadinanza, ma apparentemente provenendo da un’altra strada, ovvero quella  della teoria della “fine del lavoro”, in sintesi estrema dando per scontato che la tecnologia espelle i lavoratori dai cicli produttivi, egli finisce per accettare pedissequamente che la tecnologia sostituisca la manodopera, creando di fatto disoccupazione e sottoccupazione, ma teorizza un piano di redistribuzione di reddito in grado di sostenere la domanda di beni e servizi, quindi di contribuire alla domanda globale, mantenendo così in vita quegli stessi settori produttivi che la tecnologia e la globalizzazione rischiano di cancellare, ed indica la copertura della misura a carico della finanza pubblica e non certo attraverso quella specifica imposizione fiscale a carico dei beneficiari principali di tale “innovazione”, i grandi capitali, che pur apparirebbe logica, ovvero se è il sistema che affama, il pane lo facciamo pagare a quelli leggermente meno affamati, con la fiscalità generale, piuttosto che a quelli che su questo affamamento hanno prosperato…

ma lasciamo perdere per il momento questo infimo creatore di suggestioni sociali che “dopano” di sogni quasi asimoviani (ovvero di una fantascienza dove è presupposto un progresso che ad oggi non è dato osservare, magari per giustificare viaggi intergalattici a velocità che oggi sono impensabili tecinicamente) l’opinione pubblica per distrarla dalle dinamiche reali di produzione e percezione di reddito, in sostanza dalle storture sempre più crude di un sistema di turbocapitalismo che, attraverso finanza ed elusione fiscale autorizzata dalla libera circolazione di capitali e dalla sostanziale impossibilità a seguirne i flussi con gli strumenti giuridici esistenti, sottrae sempre più risorse vitali (e non solo economiche) all’umanità, e torniamo a friedman ed alla sua teoria che, dove applicata (gli usa di ronald reagan, in parte dei bush, e più recentemente di donald trump, ma in una strana chiave sovrano-isolazionista che nulla toglie però al dogmatismo della imposta negativa), ha sempre sostanzialmente generato degli effetti devastanti sia in termini di equità sociale, che, alla fine, di bilanci pubblici…

abbiamo detto che sostanzialmente l’idea di reddito di cittadinanza ed imposta negativa coincidono, pur se alcuni tendono a negarlo, ed allora torniamo con un esempio concreto a cosa sia davvero l’imposta negativa per meglio far comprendere come le due cose invece coincidano quasi perfettamente…

per chi non percepisce reddito o ne percepisce meno della soglia che individua la no-tax area (8.000 euro), gli “incapienti” (ovvero chi non ha capacità fiscale, se  volete, i poveri), il fisco applicherebbe una aliquota negativa (diciamo che sia il 70%), ossia una “dazione” di denaro che colma in parte la differenza fra ciò che il soggetto guadagna effettivamente e quella soglia di no-tax area…

quindi di fatto se un soggetto guadagna 4.000 euro annui, per arrivare a quota 8.000 gli mancano 4.000 euro, così, seguendo esempio e percentuale adottata, a questi 4.000 euro effettivamente percepiti dal soggetto il fisco applicherebbe un’aliquota negativa del 70%, 2.800 euro (4.000 x 0,70) da trasferire al soggetto stesso il cui reddito arriva quindi a 6.800 euro (4.000 reddito reale + 2.800 di imposta negativa, quindi di sussidio), quindi certamente più di quanto guadagni il soggetto, ma sempre meno di quel che servirebbe a raggiungere e superare la soglia di povertà che tecnicamente proprio il limite della no-tax area individua (al di sopra paghi le tasse, quindi sei sostanzialmente un “non povero”)…

apparentemente il pregio decantato di questo meccanismo è che garantirebbe che al beneficiario del sussidio stesso non convenga mai lavorare di meno, perché guadagnerebbe meno dei 6.800 euro dell’esempio, ma semmai gli convenga  lavorare sempre di più per arrivare finalmente a quella famosa soglia, e così divenire un soggetto ad imposizione fiscale positiva…credo sia del tutto evidente che così non è, poichè al soggetto non converrebbe mai arrivare oltre la soglia, dovendo di fatto pagare delle imposte (il 27% dell’aliquota minima) che annullerebbero ogni differenza tra il percepire un sussidio in forma di imposta negativa (o reddito di cittadinanza) che fissa il suo reddito a 6.800 euro e raggiungere gli ottomila ma dovendo rinunciare ad un quarto della somma in imposte, ovvero al soggetto conviene continuare a rimanere “povero” e bisognoso di reddito aggiunto…

ma andiamo avanti, dando per assodato la coincidenza tra imposta negativa e reddito di cittadinanza (vedremo poi come la differenza tra le due misure, seppur teoricamente differenti, rimane allo stato puramente semantico e teorico)…

lo scricchiolio del meccanismo appare chiaro, oltre che da questioni strettamente fiscali, già nell’evidenza che chi non lavora o lavora poco non sempre lo fa di sua volontà, come pure sembra essere postulato dall’imposta negativa), più spesso, direi quasi sempre, lo fa per uno stato di fatto, ovvero se il lavoro non c’è in una data realtà geografica, mettiamo si parli di sud del paese dove il lavoro per molti è una chimera, anche volendo non potrebbe lavorare di più o meglio, quindi il suo stato di disoccupato, inoccupato o parzialmente occupato rimarrebbe tale pur volendo il soggetto fare di più, o se il lavoro non esiste per personali qualifiche specifiche possedute dal soggetto, e qui entra in ballo proprio il processo tecnologico alla base della fine del lavoro, altre e più alte qualifiche richieste dal sistema lo escluderebbero comunque dall’offerta di lavoro e lo costringerebbero al contrario ad accettare forme di lavoro poco qualificato e sottopagato quando non al nero, ciò che probabilmente il sistema vuole e persegue per avere un piccolo esercito di semi-schiavi…

come semplice addendum logico, vorrei anche far riflettere sull’assurdità della perdita del beneficio dopo tre offerte di lavoro non accettate…primo come assurdo di contesto  geografico, secondo come confermatorio del fatto che alla terza offerta, magari con un salario da fame, si è costretti ad accettare sic et simpliciter ciò che passa il convento…

perché il punto è proprio questo, che un meccanismo del genere finirebbe per consentire la legittimazione di un esercito di quasi schiavi, nei fatti ciò che proprio gli assetti ideologici e pratici dell’assetto produttivo liberalista spingono per ottenere (seppur in chiave del tutto diversa, vedi in germania, dove prosperano i mini-job a salari da fame che il sistema di previdenza impone in cambio di un piccolo assegno mensile)…

e non vi pare strano che, vista la somiglianza sospetta che fa coincidere il reddito di cittadinanza con l’imposta negativa, a proporlo sia una forza politica che pur dovrebbe aver chiaro il dramma del turbocapitalismo e la necessità di superarlo con misure utili che riportino la palla dell’intervento economico-produttivo in campo pubblico?…o forse strano non lo è invece affatto, perché il gioco magari conduce proprio a questo, ovvero a confermare l’accettazione passiva del sistema liberista come unico sistema possibile?…

ora credo sia del tutto inutile soffermarsi troppo sulla differenza teorica tra imposta negativa e reddito di cittadinanza, eppure queste differenze che pure semanticamente esisterebbero, di fatto concretamente non ci sono e richiedono qualche spiegazione veloce…

il trasferimento pubblico di risorse economiche (sussidio) rientrante nell’ambito degli schemi di contrasto alla povertà di tipo tax transfer si divide fondamentalmente in due sistemi, il cd. dividendo sociale, earned income tax credit, in sostanza il reddito di cittadinanza, ovvero il sussidio spetta a tutti i contribuenti che presentino similari caratteristiche sociali (nel caso specifico è l’essere cittadini italiani al di sotto di un certo reddito, ma potrebbe essere qualsiasi caratteristica di svantaggio sociale), quindi percettori di un flusso di sussidio che si fonda su un criterio generale ovvero il possesso di una caratteristica sociale, e appunto l’imposta negativa (NIT, negative income tax) che spetta invece a soggetti selezionati sulla base di un meccanismo di prova, il reddito effettivamente percepito e dimostrabile, quindi un criterio selettivo non fondato sulla generalità di un presupposto sociale, ma appunto economico

quindi nel caso del reddito di cittadinanza essere cittadini italiani è il presupposto oggettivo su cui fonda poi il corollario della incapienza economica, mentre è il non avere capacità economica è il presupposto dell’imposta negativa, ovvero l’unica differenza tra le due misure è che il reddito di cittadinanza sarebbe percepito dai soli cittadini italiani sotto un certo reddito, quindi non dai residenti senza cittadinanza, mentre più larghe appaiono le maglie dell’imposta negativa che invece potrebbe essere estesa anche ai non cittadini italiani, purchè residenti…ed è chiaro che è semantica, pregnante, ma appunto semantica stabilire una differenza fattuale tra reddito di cittadinanza ed imposta negativa ad eccezione della titolarità del diritto che sarebbe limitata ai soli cittadini italiani nel caso proposto di reddito di cittadinanza…

ma il punto, e veniamo alla flat tax, o alle forme che si stanno definendo di un doppio scaglione al 15% e 25%, che dovrà coesistere con il reddito di cittadinanza…uno strumento articolato, in cui coesistono due flussi monetari di segno opposto (l’imposta che trasferisce dal cittadino allo stato e il sussidio che trasferisce dallo stato al cittadino), nasce dall’esigenza di collegare imposta e spesa sociale per perseguire una contemporanea ed effettiva acquisizione di benefici da parte dei soggetti più poveri nel contenimento della spesa sociale, quindi il sistema postulerebbe che il settore pubblico finanzia con sussidi i soggetti svantaggiati attraverso la tassazione dei redditi maggiori o più agiati in misura necessaria per finanziare il sussidio stesso, oltre che le esigenze di spesa generale dello stato, realizzando così una redistribuzione del reddito in applicazione del cd. principio di equità verticale…

ma se la flat tax fa diminuire gli introiti fiscali per lo stato, poiché fratte le speranze o illusioni che pagare meno tasse aiuti all’uscita dall’economia sommersa, ovunque nel mondo si siano applicate soluzioni simili le risorse pubbliche sono drasticamente diminuite, come si fa a sostenere il reddito di cittadinanza, nonché tutte le altre spese che non sempre sono sprechi?…apparentemente sembra una contraddizione irrisolvibile, eppure le due cose coesistono quasi perfettamente nel disegnare un paese disegnato sul liberismo come fondamento economico…

la discussione pubblica sulle politiche di lotta alla povertà in italia, una evidenza che la crisi ha reso drammatica ed urgente, ha avuto un contributo di “peso”, magari sfuggito ai più, dall’istituto bruno leoni che ha proposto di riformare in senso flat-rate le principali imposte del nostro sistema tributario, in primo luogo l’Irpef, con unica aliquota marginale al 25% e di sostituire la totalità dei trasferimenti riferibili alla spesa per assistenza con una misura di contrasto alla povertà denominata “minimo vitale” (l’imposta negativa aveva questo presupposto, come abbiamo visto), una proposta che elimina la spesa in moneta  assegni per il nucleo familiare, integrazioni al minimo delle pensioni, pensioni sociali, indennità di accompagnamento, Social Card, Asdi, Reddito di inclusione, etc. etc), circa 60 miliardi di euro, introducendo un trasferimento universale su base familiare, ma non subordinato alla verifica della condizione economica, differenziato geograficamente e di importo medio mensile pari a circa 500 euro per il single (per famiglie più numerose si applicherebbe la scala di equivalenza isee), di fatto un reddito di cittadinanza, visto il criterio generale e non selettivo, che si accompagna all’introduzione di una tassa fissa al 25%, in una coesistenza quasi perfetta che integra la proposta grillina a quella della lega, ovvero del centrodestra…siamo dunque al punto, l’integrazione non è suggerita da un grillino, non da un leghista, ma in qualche modo insufflata da un centro studi che certo non definiremmo no-global…

tecnicamente questo “minimo vitale” assumerebbe forma di deduzione fiscale, ossia un abbattimento del reddito complessivo a fini della determinazione del reddito imponibile irpef, fissata in 7.000 euro annui per una famiglia di un solo componente residente al nord con complesso delle deduzioni che si ridurrebbe gradualmente, in proporzione alla distanza tra il reddito familiare e la deduzione base medesima, fino ad azzerarsi… appare chiaro che il “minimo vitale” dell’ibl sia un reddito di cittadinanza, in quanto non vincolato alla prova dei mezzi, integrato nell’imposta personale sul reddito…

 

in pratica, si delinea un sistema che

1) integra al «minimo vitale» i redditi inferiori

2) restituisce ai redditi familiari superiori alla deduzione base di 7.000 euro, ma inferiori al complesso delle deduzioni applicabili, il 25% della differenza tra queste ultime e il reddito familiare

3) preleva il 25% della differenza tra il reddito familiare e il complesso delle deduzioni se la differenza è positiva.

qualcosa di simile, di troppo simile proprio all’imposta negativa sul reddito di friedman, teorizzata in “capitalismo e libertà” , una sorta di bibbia per l’ibl poiché per costoro l’imposta negativa sul reddito ha il pregio di essere al tempo stesso strumento di prelievo fiscale e di spesa pubblica (ai soggetti con redditi così bassi da essere privi di capacità contributiva e meritevoli di intervento pubblico viene corrisposto un trasferimento in moneta dissuasivo di ogni richiesta di intervento “politico” di riequilibrio dell’iniquità del sistema economico). 

 

magari i grillini neppure immaginano quanto questo punto sia pericoloso (mentre per i leghisti è patrimonio genetico) sia per motivi strettamente contabili, sia di realizzabilità politico-finanziaria…un sistema siffatto (e ripeto stiamo andando in quella direzione e nel famoso contratto proprio lì si arriva) prevede una perdita di gettito di 27 miliardi di euro, la cui copertura dovrebbe essere assicurata attraverso interventi sul versante della spending review che tutti sappiamo essere si realizzabile, ma ad un costo elettorale che nessuno vuole assumersi poiché ciò significa non solo tagli agli sprechi, ma anche tagli alla spesa sociale e sanitaria in primo luogo, in un costo derivato dal contratto che porta al doppio la stima inizialmente prevista per il cd. reddito di cittadinanza…e contabilmente, dovendo in primis trovare nelle pieghe del bilancio 12 miliardi per bloccare l’aumento dell’iva, capirete che qualche problema esiste…

ma non è finito qui, poiché fare tabula rasa delle prestazioni assistenziali e sostituirle con un’unica misura, il «minimo vitale», pone anche problemi “etici”, visto l’inevitabile esclusione da un beneficio commisurato alla realtà di particolari stati di ulteriore bisogno (basti pensare ad un soggetto con gravi handicap non autosufficiente o semplicemente ad un anziano a cui verrebbe sottratto il cd accompagnamento)…

la proposta  è oltremodo criticabile poiché, nella previsione, per i redditi inferiori alla deduzione base, la totale integrazione della differenza tra la deduzione stessa e il reddito familiare, si determina una vera e propria «trappola della povertà» in cui matura un totale disincentivo a cercare lavoro… e se per un single la misura costa 7.000 euro, per una famiglia di quattro componenti residenti al nord con reddito zero la misura come concepita arriva a circa 24.000 euro….

spero di essere stato ben compreso, la somma del beneficio e delle deduzioni in caso di reddito zero (e ci si può arrivare con facilità anche nel caso di chi lavori in nero) comporta una spesa non più controllabile dalla burocrazia ed incontrollata per il bilancio dello stato nella rincorsa folle ad un sistema di universalismo senza selettività della spesa sociale che si determinerebbe dall’unione di reddito di cittadinanza e flat-tax, scaricandosi del tutto il costo proprio sull’irpef che ovviamente non bastando per il calo dei tassi di imposta, porta al drastico taglio dello stato sociale, che è la misura principe che il capitalismo liberista insegue e troppo spesso ottiene dalla politica, sia da quella dei partiti ad orientamento lib-lab, ossia liberal/labour come il pd, sia dai partiti di destra, come forza italia ed addentellato lega, sia e, e qui siamo o saremmo al paradosso, da partiti come il 5 stelle, che pur dovrebbero fare altro e che, abbiano mentito della loro natura alla gente o semplicemente quella natura hanno sempre avuto (propendo per questa seconda ipotesi da anni, come i lettori sanno bene) ed hanno sfruttato solo la rabbia delle stesse vittime del capitalismo liberal, di fatto oggi ed i questo contesto sono diventati il miglior alleato del sistema economico vigente…ovvero le vittime offrono la chiave per serrare la loro gola ai loro stessi carnefici-carcerieri…

spero che a questo punto sia chiaro perché sono così contrario al reddito di cittadinanza in questo contesto di flat tax e così contrario a che questo governo veda la luce…

vostro, miko somma

 

 

 

 

 

 

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un eccezionale ritrovamento…

Ritrovate Historiae di Seneca il Vecchio

La scoperta della papirologa e ricercatrice Valeria Piano

ansa – Ritrovate a Ercolano le Historiae di Seneca il Vecchio. Autrice dell’eccezionale scoperta, annuncia il direttore della Biblioteca nazionale di Napoli Francesco Mercurio, è una giovane papirologa e ricercatrice dell’Università Federico II di Napoli, Valeria Piano, che ha riconosciuto il testo nel P. Herc. 1067, uno dei più noti papiri di Ercolano conservato nell’Officina dei Papiri Ercolanesi.

Della Historiae ab initio bellorum civilium di Seneca il Vecchio non esisteva finora alcuna notizia diretta di tradizione manoscritta. La Piano ha impiegato un anno nella ricomposizione degli scampoli, tutti catalogati con lo stesso numero di inventario e dunque provenienti dallo stesso rotolo. Gli studi e le analisi eseguite sui 16 pezzi, sul loro contenuto e sui calcoli cronologici, hanno condotto alla certa attribuzione dell’opera di Seneca il Vecchio che racconta i primi decenni del principato di Augusto e Tiberio (27a.C.-37d.C.). Il riconoscimento è stato accolto positivamente anche da altri studiosi e paleografi.

Il P. Herc. 1067 è conosciuto come Oratio in Senatu habita ante principem e finora si riteneva conservasse un discorso di tenore politico composto da Lucio Manlio Torquato e pronunciato in Senato al cospetto dell’imperatore. L’attribuzione a Seneca il Vecchio, oltre a restituirci parte di un’opera finora ritenuta persa, conferma quanto la Villa dei Pisoni con la sua biblioteca fosse un vitale centro di studi fino a poco prima dell’eruzione del Vesuvio. I papiri carbonizzati di Ercolano riservano così un’altra straordinaria scoperta, mostrando come nella villa dei Pisoni vi fosse l’opera di uno dei grandi assenti della letteratura latina.

Dal Mibact arriva la soddisfazione del dg biblioteche e istituti culturali Paola Passarelli, che parla di “segnale positivo di come fare sistema possa portare a questi risultati ed uno stimolo incoraggiante a proseguire in questo senso”. Il binomio tutela e ricerca, commenta a sua volta il segretario generale del Mibact Carla di Francesco, “porta oggi un risultato straordinario e restituisce al mondo un’opera della letteratura latina finora ritenuta perduta”

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