Comunicato stampa

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Non è un Miracolo a Matera…

Non fosse stato per l’accurata preparazione cui è stata sottoposta la candidatura, l’indiscutibile grande bellezza di una città paradigma del trascorrere dei millenni dalla preistoria fino alla sua modernità, una partecipazione, a tratti commovente, dell’intera popolazione lucana al lungo processo d’avvicinamento al momento in cui il ministro Franceschini ha pronunciato il suo nome, potrebbe gridarsi al miracolo ed invece Matera passa dall’essere città candidata, già un onore anche rispetto a candidature concorrenti di città di grande prestigio storico e culturale, a divenire capitale europea della cultura 2019 con tutte le carte in regola, quelle storico-artistiche, dai Sassi al suo barocco, quelle culturali con eventi che via via hanno assunto carattere di regolarità e grande proposizione partecipativa, quelle civili, riassunte in un marginalità geografica che lungi dal chiedere alcun mendicio riparatore, propone invece quella sua differenza che diviene nuova centralità in un paese per sua natura, storia e carattere policentrico.

Matera così vince e non è un miracolo o una casualità o persino un regalo, ma il finale di una lunga e faticosa corsa in cui sarebbe stato impossibile, inutile, persino assurdo verso la propria storia e cultura mentire e mentirsi, perché se ha vinto una piccola città che coniuga passato e presente verso il futuro di una regione altra in un meridione altro – un meridione “minore” agli sguardi e al metro di giudizio con cui in genere si accede al concetto stesso di sud – vuol dire che ha vinto la forza morale di presentarsi per ciò che consapevolmente si è, senza belletti o sovrastrutture, senza stereotipi e luoghi comuni.

Ma, a gioia ancora corrente, è già da oggi che Matera e la regione intera devono prepararsi alla sfida di quale territorio, quale cultura, quale futuro, quale “motivo” si offrirà alla percezione ed alla fruizione di un pubblico internazionale più attento, più profondo, più esigente del “mordi e fuggi” di cui in genere è stato finora composto il nostro turismo, ed a cominciare dal dato primario che non avremo più turisti, ma più “viaggiatori”, sulle nostre strade, nei vicoli, nelle piazze di Matera, sperabilmente della regione, poiché chi si muove sull’onda della cultura e della storia preferisce di gran lunga il viaggio difficile, ma denso, alla residenzialità ridanciana e vacua dei villaggi vacanze e del consumificio dei luoghi.

Così che la vera sfida è preservare il nostro territorio per ciò che esso è nei contrasti e nei tagli di luce, nella urbanizzazione entropica a risorse fisiche, economiche ed umane e nella meravigliosa solitudine dello spirito che anche un acciottolato di campagna può donare, nel frinìo delle cicale e nella spazialità del volo del nibbio reale che accompagnano i sensi persino nei nostri centri urbani, nella convinzione di una “differenza” di questa terra da ogni altra terra, differenza che misura un tempo ed uno spazio in grado di dilatarsi come “altro” in una Europa sempre più simile, omogenea, “uguale”.

Matera vince per questa differenza che racconta un territorio, la sua storia e le sue genti “socialmente difficili” senza affabulare/affabularsi in narrazione epica, ma lasciando sedimentare sulla pelle di chi la trova, senza neppure cercarla, quella forma del sentimento e dell’emozione che è già nelle cose, negli odori e nei sapori, nei manufatti, nel sole, nei volti dei suoi abitanti, che se non sono certo più quelli di scatti antropologici, nei tratti portano ancora la cesura tra mondi diversi al centro del Mediterraneo.

Il miglior modo di “costruire” la capitale della cultura è lasciare che sia il territorio lucano in cui vivono i lucani a mostrarsi per ciò che è e non per ciò che alcuni vogliono che sia, per ciò che offre agli sguardi che osservano l’intimo delle cose ed alla gioia anche difficile dei sensi, e non per ciò che da qualche parte essa conserva in forma di risorsa, per ciò che si rinnova nei secoli e nelle generazioni e non per ciò che si consuma hic et nunc per qualche punto decimale di un qualsiasi freddo metro di valutazione o per insani faraonici desideri di calare e colare ovunque una presenza umana troppo invasiva e meno attenta ad un tramonto intravisto da San Pietro Caveoso che al metro cubo di una infrastruttura inutile.

Matera 2019 non sia solo l’inizio/fine di un periodo, ma l’occasione di riscrivere con parole, fatti ed atti nuovi il futuro/presente di una regione che la sua modernità deve cercarla nella storia e nella terra.

Miko Somma