comunicato stampa

questo comunicato non è stato inviato al sito istituzionale basilicatanet

 

L’unità non è nella mediazione tra gruppi dirigenti

L’impressione rimane quella di una assemblea PD che non si è affatto aperta al dibattito sull’art. 38 ed impugnativa, rimanendo piuttosto confinata contenutisticamente a passerella di interventi notabilari dal tono spesso ripetitivo ed ecclesiale, in grado di far assopire ogni forma di partecipazione della platea di delegati, molti dei quali giovani che, ben oltre le correnti, probabilmente avrebbero espresso dubbi e richieste di chiarimenti verso la posizione che senza voto pare aver chiuso quella stessa assemblea e che, in estrema sintesi, si potrebbe riassumere in un “i nostri parlamentari tratteranno con il Governo la modifica dell’art. 38 nella legge di stabilità, ormai prossima all’esame parlamentare, quindi non vi è bisogno alcuno di impugnare per non scontentare Renzi, se non come ultima possibilità”.

E potrebbe sembrare un ottimo risultato, se non vi fosse quella distanza semantica enorme tra ciò che in democrazia è sostanza, la forma, e ciò che non lo è (o lo è solo in funzione della prima condizione), quelle relazioni che ancora una volta s’adducono a “motivo” politico, questa volta incardinandole in una supposta autorevolezza, più volte citata a mantra acritico, che la classe dirigente lucana avrebbe in virtù della sua partecipazione al Governo, due sottosegretari, e a una Giunta Regionale fotocopiata ad immagine e somiglianza con il dominus romano che così garantirebbe quel magnanimo, inusitato e incommensurabile ascolto delle istanza made in Lucania che in verità e dovendoci raccontare la verità per intero non ci pare di avere finora recepito quando si parlava di comitatini e di voti sacrificabili.

Questa analisi ovviamente e come pronunciato dal sottoscritto nel suo sospirato intervento alla coda di un’assemblea che non trattando temi organigrammatici non si comprende perché abbia visto il forzoso scivolamento dello stesso in favore di molti interventi clonati sulla relazione del segretario e prolusione del presidente, non significa che i buoni risultati economici ottenuti, ancorchè parziali e da chiarire fino in fondo nei loro effetti pratici, dai nostri parlamentari sulla riscrittura in commissione del disposto che ci riguarda più da vicino (ma è chiaro che è l’intero complesso della legge a riguardarci come lucani ed italiani) non siano rimarchevoli e positivi, ma piuttosto che è una operazione di deviazione dal senso comune quello spostare la risposta alla vera domanda che i lucani si pongono, “ma l’articolo 38 farà aumentare le estrazioni, oltre quelle già autorizzate?”, dall’ovvio “si, con la formulazione dell’articolo in breve tempo ciò sarà possibile” a quella più tranquillizzante di un “arriveranno molti soldi”.

Ora è abbastanza evidente che quella stessa classe dirigente che edulcora il contenuto dell’articolo 38 addormentando il senso comune sui denari che arriveranno dai due precedenti, ben conosce invece il rischio reale del dettato di legge e sull’evidenza del pericolo tenta una difficile mediazione per limarne almeno gli aspetti più pericolosi, uno con il tetto estrattivo a 154.000 barili/giorno come da accordi per la Val D’agri e Tempa Rossa, già passato come o.d.g. alla Camera (che impegna il governo, ma non lo obbliga), l’altro sulla modifica concertata con la Conferenza delle Regioni del senso dell’intesa di cui allo stesso 38, da far passare entrambi o anche singoli come emendamento alla legge di Stabilità, con ciò naturalmente tentando di recuperare ciò che il decreto toglie, il controllo democratico locale su una materia che a costituzione vigente è ancora potestà delle regioni. E si dicono sicuri che lo otterranno.

Buone dunque le intenzioni, ma quale e dove sia il punto di ancoraggio di queste intenzioni alla prassi decisoria di un Governo che in genere impone con la fiducia il consenso alle camere, piuttosto che far in modo che facciano ciò per cui sono state elette, legiferare? E chiedersi dove e quale sia “la pezza di appoggio” di queste sicurezze non è una mera operazione di lana caprina, ma sostanza stessa della democrazia, perché se la “pezza” è nelle relazioni, e quindi nei soggetti, immediatamente si pone serio il problema di quale sia la fiducia di cui poi localmente dispongono gli attori, oltre che la più generale preoccupazione che lo scivolamento nelle leadership forti dei premierati nazionali, corrisponda poi alla nascita di esarcati locali e non di fatti democratici, come sembra peraltro indicare la ulteriore caduta della partecipazione popolare alle elezioni regionali in Calabria ed Emilia Romagna.

E se alla prima domanda è facile osservare che se ancoraggio esiste, non è nei fatti della democrazia formale che pure è base della democrazia reale, e meglio allora andrebbe spiegato sia ai lucani che ai partecipanti al massimo organo decisiorio ed assembleare del principale partito della regione, piuttosto che calarlo come atto di fede che mortifica la partecipazione ed il dibattito collettivo per una passerella declaratoria di notabili, e forse più nella sudditanza di corrente e nei posizionamenti personali si trova la radice della decisione di non “urtare” il Governo con l’impugnativa se non come ultima speme, alla seconda altrettanto facilmente si può osservare che quella fiducia, semmai esistita, probabilmente non esiste più da parte dei cittadini, risiedendo piuttosto solo in filiere baronali di consenso.

Sulla scorta di queste considerazioni, il sottoscritto, che non appartiene a correnti interne sia locali che nazionali (sarà che per me l’appartenenza si esprime sul consenso ad un documento programmatico e non mai ad una persona fisica con cui troppo spesso si identifica la politica), ho ricordato al presidente Pittella, al segretario regionale Luongo, ai parlamentari ed alla parte di assemblea rimasta in sala che se l’unità non è nella mediazione tra gruppi dirigenti, ma nella sintesi di un dibattito reale in un partito plurale e non baronale, presentare l’impugnativa al decreto è atto dovuto rispetto alla lesione del diritto corrente che il dettato dell’articolo 38 opera sulle competenze regionali ed in subordine municipali, e così sui cittadini che queste istituzioni elette rappresentano con l’elezione diretta e non “porcellizzata”, dei rappresentanti, ed è atto di dignità di una regione e di un popolo a cui non si possono raccontare più frottole od imbonire rimedi da fiera medioevale, un popolo che sembra avere ormai capito tutto.

Si faccia subito opposizione e nel frattempo si vada avanti con ogni trattativa, ma rendendola pubblica e così democratica. Anche perché ci sono ormai molte migliaia di cittadini che apponendo la loro firma ad una petizione, stanno chiedendo ad un presidente di fare il presidente, come si avrà modo in pochi giorni di mostrargli consegnandole allo stesso, firme che rappresentano un dissenso che non vive solo sulle piazze, ma all’interno del partito di cui egli è massima espressione amministrativa locale.

Miko Somma, partito democratico