Comunicato stampa

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Qualche “noi” che mal s’addice ad un accento senese.

Quando ci si reca in Val d’Agri a parlare di zone franche, come ha fatto l’assessore Berlinguer, sarà a causa dei numerosi precedenti, sarà per un minimo di conoscenza delle legislazione di riferimento, ma il mio sospetto è che si dia in pasto farina di millanteria ad allocchi, piuttosto che parlare di cose serie. Se infatti si parla di zone franche e così della fiscalità di vantaggio a cui allude l’assessore sulle accise dei prodotti energetici, il primo problema è l’uso di una terminologia precisa, senza cui si rischia anche di non farsi comprendere, peggio, di essere frainteso, o ancor peggio, di volere menare il can per l’aia, suggerendo l’osservazione del dito zona franca piuttosto che della luna, lo sfruttamento petrolifero.

La fiscalità di vantaggio è una agevolazioni fiscale che comporta una contrazione di gettito per l’ente erogatore, in questo caso lo stato, a vantaggio di determinati soggetti, i cittadini della Val d’Agri, e data per scontata l’esclusione di altri, il resto dei cittadini italiani e lucani, che pur si trovano nelle medesime condizioni in termini di presupposti impositivi e di capacità contributiva, deve essere motivata in termini oggettivi, il perché si agevola in quel luogo, e sostanziali, come e quanto si agevola fiscalmente, ed in quanto trattasi di un’agevolazione che crea sperequazione, deve contenere l’elemento di riequilibrio per cui si adotta il vantaggio nel riconoscimento di uno svantaggio locale conclamato, reso evidente e generalmente riconosciuto nella sua materialità, quindi nel caso disagio ambientale/economico.

Le zone franche trovano spazio normativo all’interno del diritto doganale comunitario, qualunque sia l’espressione e lo spazio giuridico che le connota negli stati membri della U.E. all’interno delle rispettive normative nazionali, e le disposizioni che le regolano sono al Reg Cee 12.10.92 n. 2913, Istituzione del Codice Doganale Comunitario, e Reg Cee  2.7.93 n. 2454, Disposizioni di Applicazione del Codice, ricondotte a due sole definizioni, zone franche e depositi franchi, con la seguente dizione, “Le zone franche o i depositi franchi sono parti del territorio doganale della Comunità o aree situate in tale territorio, separate dal resto di esso…Gli Stati membri possono destinare talune parti del territorio doganale della Comunità a zona franca o autorizzare la creazione di depositi franchi.”, espressione di fatto poi emendata nell’approvazione da parte del parlamento europeo l’11/09/2013 del nuovo Codice Doganale, che, introducendo alcune modifiche, ha eliminato la distinzione tra deposito franco e zona franca, inserito le zone franche tra i regimi doganali speciali di deposito e non più tra altre destinazioni doganali e abolito le zone franche “non intercluse” (di cui all’articolo 168 bis del previgente codice).

A seguito di queste precisazioni l’elenco delle zone franche in Italia è costituito dal Punto Franco di Trieste, dal Punto Franco di Venezia, dalla Zona Franca di Gioia Tauro, unica zona non interclusa in Italia. Valle d’Aosta e Gorizia sono nominalmente zone franche, ma le esenzioni/agevolazioni fiscali di cui godono sono dovute a leggi dello stato che compensano la mancata istituzione della zona franca e non a specifici provvedimenti europei, mentre la città di Livigno, a norma dell’art. 3 del Codice è zona extradoganale, così connotandosi un territorio doganale della Repubblica Italiana costituito dall’intero territorio nazionale, tranne i comune di Livigno, il comune di Campione d’Italia, le acque nazionali del lago di Lugano,conunichezonefranche quelle citate.

In conclusione, se si parla di zona franca, che sia integrale, che sia zona franca al consumo o si tratti di altre espressioni, occorre ricordare che non esiste alcuna definizione giuridica alla quale riferirsi, e la precisazione non è peregrina, trattandosi nel caso delle dichiarazioni dell’assessore Berlinguer o del fumus millantatorio di qualcosa che non esiste ancora nella legislazione europea, seppur fosse quella italiana ad istituire una simile prospettiva di esenzione/agevolazione fiscale per la Valle dell’Agri, o di una forma di suadenza collettiva che sostanzialmente agita sempre la stessa carota davanti all’asino affamato per convincerlo a tirare la carretta. Di sostanza giuridica nelle sue dichiarazioni non v’è nulla.

E non vi è nulla perché se perno centrale del complesso di creazione di queste aree è l’art. 107 CE, il cui contenuto è concepito come garanzia del principio di libera concorrenza, a sua volta posto a difesa del mercato comune, stabilendosi che, salvo deroghe contemplate dal Trattato, sono incompatibili con il funzionamento del mercato comune, e vietati “nella misura in cui incidano sugli scambi”, gli aiuti in qualsiasi forma concessi dagli Stati quando “favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza“, non si comprende sulla base di quale normativa europea un tale beneficio territoriale possa essere concesso, demandandosi così a totale carico dello Stato italiano il peso del mancato gettito erariale. Così la domanda che sorge è “Può lo stato italiano assumersi tale gravame e sostenerlo in sede europea come attività non influente sulla libera concorrenza?”

Se poi l’assessore, giocando sui termini e supponendo l’asino ad interlocutore, parla di un qualcosa di simile alle zone franche urbane (ZFU), occorre ricordi che questa espressione nel panorama giuridico italiano è stata introdotta con la legge 27.12.2006 n. 296, chiarendosi che l’obiettivo della zona franca urbana è quello di sostenere le attività economiche in zone urbane svantaggiate, rafforzando le attività economiche con incentivi in forma di esenzioni/sgravi fiscali e sociali, consistenti in 1) esenzione dalle imposte sui redditi per cinque anni, 2) esenzione Irap, 3) esenzione Imu, 4) esonero versamenti dei contributi previdenziali, in un regime di aiuti autorizzato dalla Commissione in base all’art. 87, par. 3  lettera c del Trattato CE., essendo state istituite 44 zone franche urbane, tra cui Matera, nel decreto attuativo del 19/03/2013 a firma del ministro dello Sviluppo Economico Passera. Ma l’assessore non parla certo di questa possibilità, non trattandosi nel caso della Val d’Agri di un comprensorio urbano.

Allora forse l’assessore parla delle Zone Economiche Speciali o forse delle Zone Franche Fiscali, i cui contorni però non sono definiti a livello comunitario, essendosi delineata opposizione della precedente Commissione su due proposte della Merkel, la Zona franca fiscale per il porto di Amburgo e le zone economiche speciali per i paesi in crisi dell’Europa Mediterranea, evento che crea un precedente forse invalicabile per l’attuale Commissione presieduta da Juncker.

Non rimane allora che pensare a forme di fiscalità di vantaggio a livello regionale, dove l’orientamento precedente, cioè che le agevolazioni fiscali, disposte attraverso riduzioni del carico tributario, fossero acquisite al regime degli aiuti sull’assunto dell’equivalenza fra mancata realizzazione di gettito e spesa erogata a carico del bilancio dello Stato, è stato ribaltato con la sentenza del 6/09/2006 della Corte di Giustizia, che riguarda misure di riduzione delle aliquote delle imposte personali e sulle imprese nella Regione autonoma delle Azzorre, che la Commissione ritenne aiuti di Stato autorizzabili parzialmente, in quanto finalizzati a superare gli svantaggi dell’insularità, affermando di fatto che è il territorio nel suo specifico fisico-istituzionale a rappresentare il contesto in relazione alla selettività della misura.

I parametri di valutazione vengono individuati in uno statuto politico/amministrativo distinto da quello statale, un potere di assumere decisioni di politica fiscale senza l’intervento dello Stato, la mancanza di compensazione della riduzione del gettito mediante sovvenzioni ad opera del governo centrale, così chiarendo che è l’autonomia regionale a suggerire l’ammissibilità dell’esenzione, quindi in sostanza un provvedimento che in Italia riguarda le sole autonomie statutarie delle regioni a statuto speciale e non certo la Regione Basilicata.

Allo stesso livello opera anche la legge 5/05/2009, n. 42, “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione”,  che all’art. 7 comma c  recita: “ c) per i tributi di cui alla lettera b), numero 1),(tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle regioni) le regioni, con propria legge, possono modificare le aliquote e disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni nei limiti e secondo criteri fissati dalla legislazione statale e nel rispetto della normativa comunitaria; per i tributi di cui alla lettera b), numero 2), (le addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali), le regioni, con propria legge, possono introdurre variazioni percentuali delle aliquote delle addizionali e possono disporre detrazioni entro i limiti fissati dalla legislazione statale;”, non riguardando ciò le accise sui carburanti che sono appunto materia statale.

Quindi se di cosa parli l’assessore Berlinguer non è chiaro nel contesto normativo, chiaro invece ci appare l’approccio sempre più politico dell’assessore il cui ruolo doveva essere tecnico, definendosi nei suoi interventi sempre più spesso una sorta di potere di indirizzo sulla destinazione programmatica dei territori che è tipico della politica e che, nel caso di specie, sembra volere dire ai cittadini della Val d’Agri “rassegnatevi al petrolio per molto, molto tempo, nel frattempo eccovi il miraggio, che la carotina forse seguirà”.

Sarebbe allora il caso che il presidente Pittella chiarisca se l’assessore ha ruolo politico senza essere stato eletto in questa terra, nonostante l’uso di qualche “noi” che mal s’addice ad un accento senese.

MiKo Somma, partito democratico