contributo/comunicato stampa

Tra il martello dell’italicum e l’incudine del nuovo senato.

Tralasciando gli effetti della cosiddetta riforma del titolo V della Costituzione, di cui molte volte ho avuto occasione di parlare, sia per stigmatizzarne effetti di forte centralizzazione di potestà legislative ad oggi devolute alle autonomie locali, sia per avvisare di “effetti locali” di tale deprivazione potestativa che non mancheranno di farsi sentire sulle risorse naturali, la gestione delle acque, il ciclo dei rifiuti e via discorrendo, a concentrarsi sulla nuova struttura istituzionale designata da una riforma che cambia la forma di governo del paese, consegnandolo ad un premierato forte senza basi logiche per la nostra cultura democratica, e soprattutto senza contrappesi che in altre culture consentono la sopravvivenza di forti decisionalità accentrate nel rispetto delle garanzia democratiche, il quadro appare fosco.

Il nuovo senato sarà composto da 95 componenti eletti dai consigli regionali, quindi da maggioranze consolidatesi altrove che a livello nazionale, più 5 nominati dal Capo dello Stato in carica per soli 7 anni, eliminandosi così la figura del senatore a vita. 95 componenti, eletti dalle assise regionali con un metodo proporzionale (e tra cui almeno un sindaco), che quindi se avranno competenza legislativa su riforme e leggi costituzionali, sulle leggi ordinarie potranno solo chiederne modifica alla Camera, che non sarà obbligata a tenerne conto se non per leggi che riguardano il rapporto tra Stato e Regioni, in ogni caso potendone respingere la richiesta con voto a maggioranza assoluta e ci chiediamo allora se tale strumento legislativo serva a qualcosa, non avendo né caratteristiche di Camera delle Regioni, né di una struttura di ripensamento legislativo tarato sugli impatti delle leggi che riguardano i territori.

Il disegno di sommare ad una Camera eletta senza preferenze grazie all’Italicum, un Senato con una legittimazione di secondo grado, quindi con un deciso regresso del livello di incidenza popolare sui processi decisionali, dunque si compie, ma la stessa norma che struttura un Senato ininfluente di fatto sulla legislazione ordinaria, definisce un “ente inutile” probabilmente sistematicamente ignorato, anche per via di quelle maggioranze assolute per respingerne le richieste di revisione sulle leggi di interesse Stato-regioni, che è la stessa composizione maggioritaria della Camera, 354 seggi alla maggioranza, a rendere opzionale.

Ma stranamente  il nuovo Senato ha piena potestà legislativa su riforme e leggi costituzionali, con ciò delineandosi in concreto l’ipotesi che se la maggioranza del Senato, quindi dei consigli regionali, avrà stesso colore politico di quella alla Camera, tutto – ma proprio tutto – potrebbe essere approvato senza la difficoltà delle maggioranze qualificate, mentre, prevalendo al Senato un colore politico opposto a quello espresso alla Camera, potremmo trovarci di fronte ad una inedita trincea ostruzionistica fra chi ha legittimazione di primo grado, la Camera, e chi, il Senato, l’avrebbe di secondo grado, in un quadro in cui un grande peso avranno proprio i 5 senatori di nomina presidenziale, il cui peso proporzionale al Senato aumenta sino al 5% del totale dei senatori, di fatto costituendosi un “partito del Presidente”, la cui figura di garante potrebbe a quel punto divenire meno neutrale.

Ma le conseguenze più pericolose, quelle che a mio avviso delineano il premierato forte di cui pavento l’apparire in una cultura nazionale affatto pronta, riguardano l’elezione del Presidente della Repubblica e dei giudici costituzionali.

I senatori parteciperanno all’elezione del Presidente della Repubblica per eleggere il quale sarà, come oggi, necessaria la maggioranza dei 2/3 sino alla terza votazione, dei 3/5 nelle successive quattro e della maggioranza assoluta dalla nona in poi, in un limite così evanescente che al partito/coalizione di maggioranza basterebbe solo non partecipare alle votazioni fino alla nona per scegliersi un Presidente della Repubblica completamento “fatto in casa”, con buona pace della garanzia per tutti che la figura del Presidente deve necessariamente rappresentare.

Sinora il collegio elettorale per l’elezione del Capo dello Stato era di 630 deputati più i 320 Senatori (quindi compresi i senatori a vita) più i 58 delegati regionali, per un totale di 1.008 grandi elettori, la cui maggioranza assoluta per l’elezione del Presidente della repubblica era di 505. Nel nuovo Parlamento riunito in seduta comune con 725 membri la maggioranza è di 363 voti e così considerandosi che con l’Italicum, la maggioranza disporrebbe già di 354 seggi alla Camera, ciò significa che con il voto di soli 9 senatori, questa stessa eleggerebbe il Presidente della Repubblica da sola ed ancor peggio quel che riguarda l’elezione dei giudici costituzionali, dove, ad una maggioranza di governo d’accordo con il Presidente, basterebbero solo 4 senatori per prendersi tutti i 5 giudici, che andrebbero ad affiancarsi ai 5 di nomina presidenziale, quindi con 10 giudici di maggioranza su 15.

Una manovra questa tra riforma del Senato e approvazione della legge elettorale Italicum, che rischia di schiacciare tra un’incudine ed un martello la democrazia, pure imperfetta per gli uomini che l’hanno interpretata e non certo per l’architrave della nostra Carta Costituzionale, che abbiamo ereditato da una guerra ed una dittatura, una manovra pericolosa e di cui appare chiara la vocazione al premierato forte, una opzione istituzionale che l’attuale Presidente del Consiglio identifica completamente con se stesso, chiarendo definitivamente il senso della democrazia che egli incarna.

La sinistra non può indugiare oltre, avendo finora troppo consentito a costui di avanzare in un’opera di distruzione democratica che ha come fine ultimo lo stravolgimento della rappresentanza da popolare a fortemente e lobbysta, la trasformazione del diritto al/del lavoro da fonte di dignità a funzionalizzazione ai cicli economici globali e al profitto di impresa senza regole, la sottomissione più cupa dell’ambiente e delle risorse naturali alle logiche corporative ed alle mire delle multinazionali, l’intromissione privata nel ciclo degli interessi pubblici legati alla previdenza, all’assistenza, alla sanità, alla scuola, la messa in mora dei diritti acquisiti nei confronti della lotta per la sopravvivenza in uno stile darwiniano dove si fatica a comprendere se vi sia ancora posto per i più deboli.

Altrove ciò magari lo si chiamerebbe un golpe bianco, consumato nella complicità abietta per motivi di sopravvivenza personale di chi più di tutti avrebbe il dovere di comprendere, la sinistra nell’accezione più vasta che ciò rappresenta, ed organizzare forme di resistenza attiva a questa deriva, resistenza attiva che certo non si comprende quale funzione avrebbe mai se la si fonda sempre su un “ultimo si” pronunciato al soglio di un trono su cui ormai siede un piccolo, piccolo dittatore. E farlo cader dal trono per rimettere la strada delle riforme sulla via corretta, ciò che serve al paese, è un compito di sinistra.  

Miko Somma