la follia tecno-feudale del liberismo…parte I

appare evidente da grafici e comparazioni storiche (ancorchè non esistano specifici studi in tal senso) come uno dei tratti maggiormente evidenti delle grandi trasformazioni sociali innescate dal neo-liberismo economico sia stato un progressivo assottigliamento di capacità economica delle classi medie e nei fatti una rilevante diminuzione del potere di acquisto/sociale delle stesse, dopo diversi decenni nei quali invece tale potere è considerevolmente aumentato, di fatto “assottigliando” la composizione della classe media…

occorre naturalmente intendersi su cosa sia la classe media: l’espressione “classe media” ed il suo sinonimo “ceto medio” indicano gruppi sociali che, non appartenendo né alla borghesia né al proletariato, intesi come dicotomici, si collocano tra i due, occupando una dimensione rilevante della stratificazione sociale, espressione quest’ultima che fa riferimento più ad una classificazione delle diseguaglianze sociali che ad una classe sociale in quanto tale, tanto è vero che gli strati individuati non sono attori sociali collettivi nel senso in cui lo sono state comunemente le classi sociali come individuate a partire dal XIX secolo…

e se quindi l’espressione “classe media” fa riferimento ad un modello dicotomico che la lascia individuare come non appartenente ai due estremi di struttura di classe (che non appartiene invece al concetto di stratificazione sociale), parlare di classe media indica invece un modello di stratificazione sociale che accorpa una pluralità di strati sociali, connaturando ogni strato, ad eccezione quindi dei due estremi, come “medi”…

così il concetto stesso di classe media è contraddittorio e legato sia ad interpretazioni dicotomiche degli estremi che provano con la loro esistenza l’esistenza di una “classe media”, sia ovviamente a quale sia il limite di ricchezza e reddito che determina  il confine tra le dicotomie e così l’intervallo in cui possiamo situare le classi medie…

ed anche negli schemi funzionalistici è possibile individuare due classi estreme in cui reddito, prestigio e potere sono o molto più elevati o molto più bassi di quelli di altre classi intese così come “medie”, pur non potendosi però individuare funzioni proprie di queste classi medie…

si parla infatti di “classi medie”, al plurale, perchè l’espressione “classe media” è diventata troppo generica, non individuando più la borghesia imprenditoriale, ma gruppi diversi come liberi professionisti, artigiani, commercianti, burocrati e colletti bianchi ed anche gli agricoltori nella loro trasformazione…

così per sintetizzare e per citare sylos labini in un suo saggio del 1974, se dopo le rivoluzioni industriali nei paesi a capitalismo avanzato la struttura di classe è caratterizzata dalla presenza delle due classi degli imprenditori e degli operai industriali, il fatto che esse siano le classi caratteristiche della nuova formazione sociale fa sì che le altre classi debbano essere in qualche modo definite in rapporto a esse, e così queste di fatto rientrano in una piccola borghesia in genere in possesso dei propri mezzi di produzione e che poco o per nulla utilizza lavoro salariato (i lavoratori autonomi, i professionisti, ma anche coltivatori diretti, commercianti, artigiani) o da una piccola borghesia impiegatizia, di cui fanno parte impiegati pubblici e privati…

dunque acclarato che quando si parla di classe media, si intende una pluralità di soggetti sociali che meglio sarebbe definire come “classi medie” e che ne fanno parte tutti o quasi coloro che non rappresentano gli estremi sociali, ma che soprattutto in queste classi medie sono entrati osmoticamente nel corso del tempo sia piccoli imprenditori che operai specializzati, soggetti che pur appartenendo nominalmente alle rispettive dicotomie sociali degli imprenditori e delle classi operaie, redditualmente e per rispettivo potere di influenza ne fuoriescono, possiamo passare ad analizzare il fenomeno dello “svuotamento” delle classi medie operato dal liberismo economico…

in una prospettiva storica che per ora e solo per comodità di esposizione e per non estendere troppo il raggio di analisi considereremo dalla fine del secondo conflitto mondiale alla metà degli anni ’70 del secolo scorso, le percentuali di reddito e di ricchezza disponibili (che ricordo essere aspetti molto diversi, essendo la ricchezza il complesso dei beni materiali e immateriali che hanno valore di mercato di cui una famiglia dispone, quindi uno stock definito in un determinato istante, al contrario del reddito o del risparmio che sono invece flussi finanziari definiti in un intervallo di tempo) per le classi medie ed il loro decremento percentuale nel periodo seguente sono dapprima molto cresciute, poi con la crisi dei debiti sovrani enormemente calate…

ma pur restringendo il raggio di ricerca ad un determinato momento, non si può non considerare che la crescita economica in quanto tale deve essere inquadrata in alcuni periodi storici che ne tracciano il suo divenire…

il meccanismo della crescita economica può essere infatti suddiviso in 6 grandi periodi:

1) dalla preistoria al 1500, una crescita economica lentissima con una popolazione che cresce molto lentamente e con standard di vita statici fino alla metà del 1700. Il reddito procapite, nell’analisi statistica di maddison che misura l’aumento della ricchezza disponibile, risulta avere un incremento dello 0,04% all’anno solo nel periodo tra il 1500 ed il 1700, mantenendosi in percentuali quasi prossime allo 0 nei periodi precedenti…

2) tra il 1750 ed il 1820, quando il tasso di fertilità aumenta, il tasso di mortalità diminuisce e gli standard di vita cominciano a migliorare. La causa è da rinvenire prevalentemente nella cosiddetta “rivoluzione industriale”, che produce un’accelerazione del tasso di crescita annuo del PIL che tuttavia è solo dello 0.07% all’anno nel periodo 1700-1820…

3) a partire dal 1820 avviene il decollo economico nella maggior parte dei paesi oggi definiti avanzati, ma i tassi di crescita annui del reddito pro capite non furono tuttavia mai eccezionali, tanto che nel periodo 1820-1870, il reddito pro-capite della gran bretagna, il paese più industrializzato del periodo (sebbene gli USA cominciassero ad insediarlo) salì infatti in media solo del 1,3% all’anno

4) le complesse vicende della prima guerra mondiale e della crisi economica che seguì in tutti i paesi avanzati dopo il “crollo” di Wall Street del 1929, che fecero sì che il ventennio fra le due guerre mondiali fosse segnato da una forte depressione economica…

5) il periodo a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, quando, trainate dalla ricostruzione post-bellica, le economie dei paesi del mondo occidentale conobbero una forte accelerazione dello sviluppo, tanto che il reddito pro-capite crebbe ad un tasso medio annuo del 2,7% fra il 1960 ed il 2000, con picchi del 5-6%…

6) il periodo che parte dalla fine degli anni 70 e che definiamo come quello del liberalismo economico e che è il periodo che ci interessa esaminare per comprendere l’aumento del potere d’acquisto e la ricchezza delle classi medie e che, per maggiore comprensione, suddivideremo e caratterizzeremo per tre grandi periodi..

A) lo sviluppo estensivo (1946-1963)

gli anni dell’immediato dopoguerra sono caratterizzati dall’adozione di un regime valutario di cambi fissi, definito a bretton woods nel 1944, regime nel cui ambito non consentiva ai paesi aderenti di adottare politiche economiche basate proprio sulla fluttuazione dei cambi valutari…si era cioè deciso, a causa della penuria di strumenti finanziari disponibili seguita alla guerra, di “sacrificare” la libera circolazione dei capitali, permettendo quindi ai singoli paesi di gestire in autonomia la propria politica monetaria con unico vincolo il saldo delle partite correnti che doveva rimanere in equilibrio, ed a tal fine l’unica strada percorribile era l’aumento della competitività interna ottenuta con la compressione dei salari ed attraverso l’aumento della produttività interna (cosa che fu senza dubbio il principale fattore di incremento della competitività internazionale)…in italia questa strategia, rivolta soprattutto al settore manifatturiero per soddisfare più a domanda internazionale che quella interna, fu considerata l’unica possibile, ma furono necessari non solo massicci investimenti, ma anche e soprattutto bassi livelli salariali indotti anche dall’esistenza di una grande massa di forza lavoro disoccupata e sottoccupata disponibile a scambiare un impiego stabile con salari molto inferiori a quelli corrisposti nei paesi i cui mercati erano il principale sbocco della produzione nazionale.

B) lo sviluppo intensivo (1963-1971)

in questo periodo non muta lo scenario economico internazionale, che resta caratterizzato dal prevalere di un regime di cambi fissi, ma cambiano le condizioni interne che avevano permesso la crescita della competitività internazionale…il modello prevalente viene meno perché raggiunta la virtuale piena occupazione ed una compensazione produttiva che colmava gli effetti della guerra, le imprese cominciarono a farsi concorrenza sul mercato del lavoro, determinando un aumento del saggio di salario che dai primi anni ’60 superò per la prima volta la crescita della produttività del lavoro…il costo del lavoro per unità di prodotto comincia così a crescere, trasferendosi sui prezzi dei prodotti e facendo perdere competitività soprattutto alle imprese italiane (nello specifico, dato che ragioni sociali e geo-politiche sconsigliavano di intervenire sulla variabile salariale, si perseguì la strada di un ulteriore aumento di produttività del lavoro, cosa che presentava due opzioni, o incrementare ancora gli investimenti per ottenere un aumento del prodotto complessivo, o generare una contrazione dell’occupazione che, a parità di reddito prodotto, avrebbe causato un incremento della produttività del lavoro)…

C) da bretton woods ai cambi flessibili (1971-1979)

la fase iniziale di questo periodo è caratterizzata da due eventi che determinano una profonda discontinuità rispetto ai decenni precedenti..da un lato, la minore competitività dell’economia statunitense rispetto alle performance di paesi come il giappone e la germania determina un incremento del deficit commerciale e della spesa pubblica degli stati uniti, situazione che poté essere sostenuta solo attraverso l’emissione continua di dollari, data la possibilità, consentita dal gold exchange standard, di convertirla in oro…e tuttavia era evidente che le riserve auree degli stati uniti non sarebbero state sufficienti a rimborsare l’ammontare di dollari circolante, così con la dichiarazione di inconvertibilità del dollaro nel 1971 (nixon) viene abbandonato il sistema valutario internazionale del gold exchange standard e nel giro di pochi anni ogni paese fissò la parità di cambio con le altre valute nazionali in base alle proprie necessità…dall’altro, si assistette ad un improvviso aumento dei prezzi delle materie prime (petrolio in primis) che modificò gli scambi tra paesi produttori di beni manufatti e paesi produttori di materie prime, con una forte inflazione da costi che ridusse il potere di acquisto e determinò una contrazione della domanda dei paesi avanzati…per la prima volta si assistette ad un fenomeno non previsto, la contemporanea presenza di inflazione e riduzione della domanda (stagflazione), a cui le teorie economiche prevalenti non erano in grado di dare spiegazione…

evidente è quindi che nei tre periodi presi in esame assistiamo comunque a fasi di crescita intensa che se generano aumenti produttivi debbono necessariamente generare un aumento della capacità di spesa di sempre più larghe fette della popolazione, popolazione che entra, proprio in virtù di questo aumento di capacità di spesa, nelle cosiddette classi medie…

otticamente percepibile nel corso di questi periodi era infatti la capacità di supportare redditualmente uno stile di vita in continuo miglioramento non più e solo da parte dei quadri impiegatizi, ma anche dei settori fino a quel momento considerati come “proletari”, gli operai, che grazie al semplice lavoro in fabbrica cominciano ad affacciarsi a consumi fino a quel momento prerogativa di altri settori sociali…

miko somma

(continua…)