la follia tecno-feudale del liberismo…parte II…

certo la qualità e quantità di sacrificio e risparmio delle famiglie immediatamente dopo la guerra e nel primo periodo di ricostruzione erano evidentemente maggiori di quanto oggi non si riesca forse neppure ad immaginare, ma il semplice dato di avere un lavoro stabile, pur nella ristrettezza di salari tenuti artificiosamente bassi, traslava con sicura immediatezza in categorie sociali il cui tratto distintivo era una relativa serenità economica ed una buona aspettativa di miglioramento sociale per i propri figli, quando non anche direttamente per se stessi…

condizioni queste non frutto del caso o della magnanimità delle parti datoriali, ma certo di un connubio di spinte e controspinte, a volte violente e contraddittorie, tra queste e le parti sindacali in quel fenomeno di lotta sociale che ha in qualche modo contraddistinto il quadro delle relazioni sociali dalla rivoluzione industriale in poi…

ma l’elemento che determina la nascita di classi medie sempre più numerose che detengono quantità di ricchezza e reddito crescenti è l’adottarsi di politiche neo-keynesiane negli stati uniti da parte  dell’amministrazione kennedy all’inizio degli anni ’60 (comunemente conosciuta come “la nuova frontiera“, pur se questa locuzione si riferisce ai famosi 12 punti con cui kennedy tratteggia il ruolo americano nel mondo), il cui riferimento teorico affonda nella new economics di keynes che trova uno spazio politico di azione, contrariamente all’opinione diffusa, non con il new deal rooseveltiano, ma solo nel secondo dopoguerra…

in effetti le idee keynesiane cominciano a divenire materia di interesse politico solo alla fine della seconda guerra mondiale, e finirono per essere accettate ed applicate in forma di politiche economiche concrete solo negli anni ’60, quando la loro affermazione si accompagnò ad una diminuita opposizione culturale all’intervento pubblico in economia da parte della classe politica più tradizionale e degli stessi uomini di affari, appunto con l’affermarsi alla presidenza degli stati uniti del giovane j.f. kennedy, in un periodo tra l’altro caratterizzato da una leadership economica e politica che dopo la guerra ed in conseguenza di questa e delle sue distruzioni e delle divisioni in blocchi di influenza strategica, era passata definitivamente dalla vecchia europa agli stati uniti… 

ciò non tolse che a partire già dall’immediato dopoguerra, gli ostacoli all’accettazione delle idee keynesiane furono molteplici e derivanti da più fattori concatenati, ovvero:

  • una tradizionale mentalità ciclica che influenzava ancora le tesi economiche e politiche prevalenti (i cicli facevano parte dell’ordine naturale delle cose ed erano perciò ineliminabili), anche sulla scorta delle teorie di malthus che sembravano confermarle;
  • una idea diffusa che se il reddito complessivo continuava a crescere, ciò era sufficiente ad acquietare l’opinione pubblica rispetto a più radicali cambiamenti politici;
  • l’ipotesi della disoccupazione strutturale, ovvero l’idea che la disoccupazione fosse dovuta solo alle caratteristiche specifiche del mercato del lavoro;
  • il principio rigorosamente seguito della finanza ortodossa, per cui il bilancio pubblico dovesse essere sempre rigorosamente in pareggio 

così la conquista del primato ideologico della teoria neokeynesiana che diviene la corrente di pensiero dominante avvenne solo nei primi anni ’60 negli stati uniti con l’amministrazione kennedy, che  propose ed attuò programmi di politica economica innovativi, ispirato appunto dall’impostazione teorica della cosiddetta “new economics”, che come il nome suggeriva era un nuovo approccio alla macroeconomia, pur trattandosi però di un compromesso tra la teoria generale di keynes e la teoria economica neoclassica, conosciuta come “sintesi neoclassica di keynes”, una sintesi sia teorica, sia normativa, ovvero di politica economica… 

secondo la sintesi neoclassica, la teoria di keynes è erronea, ma dal punto di vista operativo suggerisce provvedimenti in grado di raggiungere più rapidamente la piena occupazione, attraverso la politica fiscale o fiscalismo keynesiano che comincia a divenire realtà, quando nella sua prima fase le tesi di keynes vengono interpretate con politiche fiscali governative che generano ampie fluttuazioni del reddito, mentre le sole politiche monetariste non appaiono efficaci nella generazione di piena occupazione e così di reddito

si comprende solo negli anni ’60 che avendo a disposizione due strumenti (politica monetaria e politica fiscale), risulta riduttivo puntare ad un solo obiettivo (il pieno impiego), ma diventa ragionevole perseguire obiettivi più ambiziosi quali la piena occupazione (obiettivo statico) e la crescita economica (obiettivo dinamico), ed in particolare se il primo obiettivo è raggiungibile con combinazioni di politica monetaria e fiscale, per ottenere il secondo occorre favorire un uso più intenso della politica monetaria, volto a stimolare una maggiore accumulazione di capitale (vedremo in seguito come il prevalere delle politiche monetariste finisca per stimolare la sola crescita economica senza generare piena occupazione)…

è il caso di osservare che, in un periodo dominato dalla guerra fredda, ed in cui la supremazia tecnologica degli stati uniti era stata messa in dubbio dai successi spaziali sovietici, i consiglieri economici neokeynesiani di kennedy suggerirono una strategia di recupero della superiorità tecnologica americana, a partire dalla corsa allo spazio, che non casualmente appare determinante nei 12 punti con cui il presidente kennedy tratteggia la “nuova frontiera”, progresso tecnologico che valida le indicazioni neoclassiche sui fattori determinanti il tasso di crescita del sistema economico, ovvero maggiori dotazioni di fattori produttivi (lavoro e capitale) e ritmo del progresso tecnologico 

ma la politica economica, seppure stimolante la crescita attraverso capitale e progresso, deve assume anche caratteristiche e obiettivi di stabilizzazione del sistema, ovvero minimizzare  le fluttuazioni  cicliche intorno al reddito potenziale o di piena occupazione e così nell’affrontare shock di breve periodo gli strumenti di politica fiscale e monetaria non devono avere lo stesso ruolo perché se la politica monetaria ha effetti asimmetrici, e risulta più utile ed efficace nel reprimere boom inflazionistici, la politica fiscale è più idonea ad affrontare situazioni di temporanea depressione

rispetto alla teoria di keynes la new economics si contraddistingueva per l’enfasi posta sulla tassazione, e non sulla sola spesa pubblica, come strumento di bilancio, ovvero se lo scopo delle autorità era quello di stabilizzare il reddito, i cambiamenti di regime fiscale, soprattutto a carattere temporaneo, modificano la convenienza o l’attitudine a consumare, e diventano così un importante strumento di stimolo sulle persone

gli insegnamenti fiscali keynesiani furono messi in pratica dalla amministrazioni kennedy e johnson nei primi anni ’60 con robusti tagli fiscali che permisero di contrastare la diminuzione spontanea della domanda a seguito del periodo dell’immediato dopoguerra che avrebbe generato effetti negativi su reddito e occupazione, cosa questa che permise un allargamento percentuale della classe media come supporto alla stabilità economica e politica, ovvero ad una mutazione della composizione classica della piramide sociale, che comincia ad assumere sempre meno l’aspetto di una figura geometrica che da una larga base progredisce verso un vertice ristretto per divenire una sorta di romboide ingrossato al centro, quindi ad una classe media che deve estendere i propri confini per favorire il principale fondamentale di una economia di mercato, i consumi…

vi sono serie storiche di diagrammi che indicano chiaramente come condizione reciproca ed interlacciata di crescita economica, un aumento delle capacità di spesa delle classi medie, quindi un aumento della disponibilità di reddito ed un progredire del welfare pubblico, ed un miglioramento tecnico in grado di assicurare disponibilità di beni e servizi a condizioni sempre più accessibili, quindi parliamo della società dei consumi di massa…

miko somma

(continua…)