il sistema solare in immagini – parte V – giove

giove

Giove, classificato, al pari di Saturno, Urano e Nettuno come gigante gassoso, è il quinto pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal Sole (in ordine Mercurio, Venere, Terra, Marte) ed il più grande di tutto il sistema planetario. La sua massa corrisponde da sola a 2,468 volte la somma di quelle di tutti gli altri pianeti messi insieme.

Giove fotografato da un telescopio amatoriale. Si notano tre dei quattro satelliti medicei: a destra Io, a sinistra Europa (più interno) e Ganimede. Si nota anche la sua caratteristica più peculiare: la Grande Macchia Rossa

Con una composizione simile a quella del Sole, Giove è costituito principalmente da idrogeno ed elio con piccole quantità di altri composti. Si ritiene che il pianeta possegga una struttura pluristratificata, con un nucleo solido, probabilmente di natura rocciosa, costituito da carbonio e silicati di ferro, sopra il quale è deposto un mantello di idrogeno metallico, indi una vasta copertura atmosferica che esercita altissime pressioni.

L’atmosfera esterna è caratterizzata da numerose bande e zone di tonalità variabili dal color crema al marrone, costellate da formazioni cicloniche ed anticicloniche, tra le quali spicca la Grande Macchia Rossa, una delle caratteristiche del pianeta. La sua rapida rotazione gli conferisce l’aspetto di uno sferoide schiacciato ai poli che genera un intenso campo magnetico e quindi un’estesa magnetosfera. Giove (come gli altri giganti gassosi) emette quantità di energia superiore a quella ricevuta dal Sole.

A causa delle sue dimensioni e della composizione simile a quella solare, Giove è stato considerato per lungo tempo una stella mancata, ma in realtà solo se si fosse accresciuto fino a 75-80 volte le sue dimensioni attuali, il suo nucleo avrebbe potuto ospitare condizioni di temperatura e pressione che avrebbero innescato le reazioni di fusione dell’idrogeno in elio. Se ciò fosse accaduto, il sistema solare sarebbe stato un cd. sistema binario.

L’intenso campo gravitazionale di Giove influenza tutto il sistema solare, perturbando le orbite degli altri pianeti ed allontanando detriti cosmici dalla zona dei pianeti interni. Giove, con l’azione combinata del proprio campo gravitazionale e di quello del Sole, stabilizza le orbite di due gruppi di asteroidi troiani, possiede numerosissimi satelliti ed un sistema di anelli poco visibili.

Jupiter New Horizons.jpg

una immagine scattata dal Long Range Reconnaissance Imager (LORRI) della sonda New Horizons il 24 gennaio 2007 da una distanza di 57 milioni di chilometri. Si nota sulla parte superiore l’ombra del satellite Ganimede. Sono visibili  le due maggiori tempeste dell’atmosfera gioviana, a sinistra la Grande Macchia Rossa, a destra leggermente più in basso, la Piccola Macchia Rossa.

Osservazione

Giove appare ad occhio nudo come un astro biancastro molto brillante a causa della sua elevata albedo. È il quarto oggetto più brillante nel cielo, dopo il Sole, la Luna e Venere (quando Venere non è osservabile ha il ruolo di “stella del mattino” o “stella della sera”). La magnitudine apparente varia, a seconda della posizione durante il suo moto di rivoluzione, da −1,6 a −2,8, mentre il suo diametro apparente varia da 29,8 a 50,1 secondi d’arco. Il periodo sinodico del pianeta è di 398,88 giorni, al termine dei quali il corpo celeste inizia una fase di moto retrogrado apparente, in cui sembra spostarsi all’indietro nel cielo notturno rispetto allo sfondo delle stelle “fisse” eseguendo una traiettoria sigmoide. Giove, nei 12 anni circa della propria rivoluzione, attraversa tutte le costellazioni dello zodiaco.

Risultato immagine per giove

sopra Giove tramonta dietro le Marmarole (Dolimiti – Cortina) foto di Giorgia Hofer

sotto immagine di Giove e della sua luna Ganimede – Telescopio Hubble

Già con piccoli strumenti è possibile apprezzare alcuni caratteristici dettagli superficiali. I periodi più propizi per osservare il pianeta corrispondono alle opposizioni e in particolare alle “grandi opposizioni”, che si verificano ogni qual volta Giove transita al perielio, raggiungendo le dimensioni apparenti massime. Questo consente di scorgere facilmente buona parte delle sue caratteristiche anche all’osservazione amatoriale. Un binocolo 10×50, un teleobiettivo da 300 mm o un piccolo telescopio rifrattore consentono di osservare attorno al pianeta quattro piccoli punti luminosi, disposti lungo il prolungamento dell’equatore del pianeta, satelliti medicei, scoperti da Galieo Galilei, ma stranamente già citati da astronomi cinesi che non disponevano ancora di telescopi. Poiché questi orbitano velocemente intorno al pianeta, è possibile notarne i movimenti già tra una notte e l’altra: il più interno, Io, compie tra una notte e la successiva quasi un’intera orbita. Un telescopio da 60 mm permette di osservare le caratteristiche bande nuvolose e, in condizioni atmosferiche ideali, anche la Grande Macchia Rossa.

Il pianeta risulta osservabile non solo nel visibile, ma anche ad altre lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico, principalmente nell’infrarosso. L’osservazione a più lunghezze d’onda si rivela utile soprattutto nell’analisi della struttura e della composizione dell’atmosfera e nello studio delle componenti del sistema di Giove.

Jupiter on fire! In preparation for the imminent arrival of NASA's Juno spacecraft in July 2016, astronomers used ESO's Very Large Telescope to obtain spectacular new infrared images of Jupiter using the VISIR instrument. This false-color image was created by selecting and combining the best images obtained from many short VISIR exposures at a wavelength of 5 micrometers.

sopra immagine di Giove all’infrarosso – Very Large Telescope

Un’immagine del pianeta ripresa dalla Pioneer 10 il 1º dicembre 1973 dalla distanza di 2 557 000 km NASA

Missioni spaziali

Sin dal 1973 numerose sonde automatiche hanno visitato il pianeta, sia come obiettivo di studio, sia come tappa intermedia, per sfruttarne il potente effetto fionda gravitazionale per dirigersi nelle regioni più distanti del sistema solare. I viaggi in direzione di altri pianeti richiedono grandi quantità di energia per provocare una netta variazione della velocità della sonda nota come delta-v (Δv). Il raggiungimento di Giove dalla Terra richiede un Δv di 9,2 km/s, molto simile ai 9,7 km/s di Δv necessari per raggiungere l’orbita terrestre bassa. L’effetto fionda gravitazionale consente di incrementare il Δv senza consumare eccessivo combustibile, consentendo un notevole risparmio energetico ed un significativo prolungamento della durata del volo.

Missioni con sorvolo ravvicinato (fly-by)

Le due sonde Pioneer ottennero le prime immagini ravvicinate dell’atmosfera, delle nubi gioviane e di alcuni satelliti e la prima misura precisa del suo campo magnetico; scoprirono che la quantità di radiazioni in prossimità del pianeta era assai superiore a quanto immaginato fino ad allora. Le traiettorie delle sonde furono utilizzate per raffinare la stima della massa del sistema gioviano, mentre l’occultazione delle sonde dietro il disco del pianeta migliorò le stime del valore del diametro equatoriale e dello schiacciamento polare.

sopra mosaico di immagini della grande macchia rossa scattate dalla sonda Voyager 1

sotto Giove ripreso dalla sonda Voyager 2

Sei anni dopo le missioni Voyager (1 e 2), programmate per l’esplorazione del sistema solare esterno, migliorarono la comprensione delle dinamiche dei satelliti galileiani e dell’atmosfera di Giove, confermando la natura anticiclonica della Grande Macchia Rossa, individuando lampi e formazioni temporalesche, scoprendo inoltre gli anelli di Giove e ben otto satelliti sconosciuti. Le Voyager rintracciarono la presenza di un toroide di plasma ed atomi ionizzati in corrispondenza dell’orbita di Io, sulla cui superficie furono scoperti numerosi edifici vulcanici, alcuni dei quali nell’atto di eruttare.

La successiva missione, nel 1992, della sonda solare Ulysses raggiunse una distanza minima dal pianeta di 450 000 km (6,3 raggi gioviani). Il fly-by era necessario per raggiungere l’orbita polare attorno al Sole, e fu sfruttato per condurre studi sulla magnetosfera di Giove, ma la sonda non aveva telecamere, quindi non è stata ripresa alcuna immagine. Nel febbraio 2004 si avvicinò nuovamente a Giove, a una distanza molto maggiore, circa 240 milioni di chilometri.

Cassini Jupiter Portrait

sopra giove ripreso dalla sonda Cassini

sotto Giove ed il suo satellite Io ripresi dalla sonda New Horizons

Jupiter and Io

Nel 2000 la sonda Cassini, durante la sua rotta verso Saturno, sorvolò Giove e fornì alcune delle immagini più dettagliate mai scattate del pianeta. L’ultima sonda a raggiungere Giove è stata la New Horizons, diretta verso Plutone e gli oggetti della fascia di Kuiper, ed ha eseguito un fly-by del pianeta per sfruttarne la gravità, con l’approccio più vicino il 28 febbraio 2007. I sensori della sonda all’uscita dall’orbita di Giove hanno misurato l’energia del plasma emesso dai vulcani di Io ed hanno studiato brevemente ma in dettaglio i quattro satelliti medicei, conducendo anche indagini a distanza dei satelliti più esterni Imalia ed Elara

Giove ripreso nell’ultravioletto dal telescopio Hubble poco dopo l’impatto con la Shoemaker-Levy 9.[196] Le lettere indicano i frammenti della cometa responsabili dei segni scuri segnalati dalle frecce.

La missione Galileo

Sino ad oggi, l’unica sonda progettata per lo studio del pianeta è stata la Galileo, entrata in orbita attorno a Giove il 7 dicembre del 1995 e rimastavi oltre 7 anni, compiendo sorvoli ravvicinati di tutti i satelliti galileiani e di Amaltea. Nel 1994, mentre giungeva verso il pianeta gigante, la sonda ha registrato l’impatto della cometa Shoemaker-Levy 9.

 

sopra immagini in colori reali e falsi delle nuvole di Giove – sonda Galileo

sotto immagini degli anelli di Giove – sonda galileo

sopra fulmini nell’atmosfera di Giove – sonda galileo

sotto quattro immagini con filtri diversi della Grande Macchia Rossa – sonda Galileo

Nel luglio del 1995 è stato sganciato dalla sonda madre un piccolo modulo-sonda, entrato nell’atmosfera del pianeta il 7 dicembre, che ha raccolto dati per 75 minuti, penetrando per 159 km prima di essere distrutto dalle alte pressioni e temperature dell’atmosfera inferiore (circa 28 atmosfere – ~2,8 × 106 Pa, e 185 °C – 458 K). Stessa sorte è toccata alla sonda madre quando, il 21 settembre 2003, fu deliberatamente spinta verso il pianeta a una velocità di oltre 50 km/s, per evitare qualsiasi possibilità che in futuro potesse collidere con il satellite Europa e contaminarlo.

Missioni future

La NASA ha progettato una sonda per lo studio di Giove da un’orbita polare, Juno, lanciata nell’agosto 2011 ed arrivata nei pressi del pianeta a luglio 2016.

sopra e sotto polo sud di giove ripreso dalla sonda Juno

sopra immagine allo spettrografo agli ultravioletti delle aurore di Giove ripresa dalla sonda Juno

La possibile presenza di un oceano di acqua liquida sui satelliti Europa, Ganimede e Callisto ha portato ad un crescente interesse per uno studio ravvicinato dei satelliti ghiacciati del sistema solare esterno. L’ESA ha studiato una missione per lo studio di Europa denominata Jovian Europa Orbiter (JEO), implementato però da quello della Europa Jupiter System Mission (EJSM), frutto della collaborazione con la NASA e studiato per l’esplorazione di Giove e dei satelliti, il cui lancio è previsto attorno al 2020. La EJSM è costituita da due unità, la Jupiter Europa Orbiter, gestita e sviluppata dalla NASA, e la Jupiter Ganymede Orbiter, gestita dall’ESA.

Parametri orbitali e rotazione

Giove orbita ad una distanza media dal Sole di 778,33 milioni di chilometri (5,202 UA) e completa la sua rivoluzione attorno alla stella ogni 11,86 anni; questo periodo corrisponde esattamente ai due quinti del periodo orbitale di Saturno, con cui si trova dunque in una risonanza di 5:2. L’orbita di Giove è inclinata di 1,31º rispetto al piano dell’eclittica; per via della sua eccentricità pari a 0,048, la distanza tra il pianeta e il Sole varia di circa 75 milioni di chilometri tra perielio (740.742.598 km) ed afelio (816.081.455 km). La velocità orbitale media di Giove è di 13.056 m/s (47.001 km/h), mentre la circonferenza orbitale misura complessivamente 4.774.000.000 km.

L’inclinazione dell’asse di rotazione è relativamente piccola, solamente 3,13º, ogni 12 000 anni, con il pianeta che così non sperimenta significative variazioni stagionali.

Poiché Giove non è un corpo solido (eccezion fatta forse solo per il suo nucleo, la sua atmosfera superiore è soggetta ad una rotazione differenziale: la rotazione delle regioni polari del pianeta è più lunga di circa 5 minuti rispetto a quella all’equatore. La rotazione “ufficiale” del pianeta è di 9 h 55 min 29,685 sec., la rotazione più rapida di tutti i pianeti del sistema solare.

L’alta velocità di rotazione è all’origine di un marcato rigonfiamento equatoriale, visibile anche con telescopi amatoriali, rigonfiamento causato dall’alta accelerazione centripeta all’equatore, pari a circa 1,67 m/s², che, combinata con l’accelerazione di gravità media del pianeta (24,79 m/s²), dà un’accelerazione risultante pari a 23,12 m/s². Un ipotetico oggetto posto all’equatore del pianeta così peserebbe meno rispetto ad un corpo di identica massa posto alle medie latitudini. Queste caratteristiche conferiscono al pianeta l’aspetto di uno sferoide, il cui diametro equatoriale è maggiore rispetto al diametro polare di ben 9 275 km il diametro misurato ai poli.

Formazione

Dopo la formazione del Sole, circa 4,6 miliardi di anni fa, il materiale residuato dal processo, ricco di polveri metalliche, si è disposto in un disco circumstellare da cui hanno avuto origine dapprima i planetesimi, quindi, per aggregazione di questi ultimi, i protopianeti. La formazione di Giove ha avuto inizio a partire dalla coalescenza di planetesimi di natura ghiacciata poco al di là della cosiddetta frost line, una linea oltre la quale si addensarono i planetesimi costituiti in prevalenza da materiale a basso punto di fusione. La frost line ha agito da barriera, provocando un rapido accumulo di materia a circa 5 UA dal Sole. L’embrione planetario così formato, di massa pari ad almeno 10 masse terrestri ha iniziato ad accrescere materia gassosa a partire dall’idrogeno e dall’elio avanzati dalla formazione del Sole e confinati nelle regioni periferiche del sistema dal vento della stella neoformata. Il tasso di accrescimento dei planetesimi, inizialmente più intenso di quello dei gas, proseguì sino a quando il numero di planetesimi nella fascia orbitale del proto-Giove non andò incontro a una netta diminuzione, portando il tasso di accrescimento dei planetesimi e quello dei gas a valori simili, sino a quando proprio quest’ultimo iniziò a predominare, favorito dalla rapida contrazione dell’involucro gassoso in accrescimento e dalla rapida espansione del confine esterno del sistema, proporzionale all’incremento della massa dal pianeta. Il proto-Giove iniziò quindi a crescere a ritmo serrato sottraendo idrogeno dalla nebulosa solare.

Il processo di accrescimento del pianeta è stato mediato dalla formazione di un disco circumplanetario all’interno del disco circumsolare, così che, terminato il processo di accrescimento per esaurimento dei materiali volatili, andati a costituire il pianeta, i materiali residui, in prevalenza rocciosi, sono andati a costituire il sistema di satelliti del pianeta, infoltitosi poi con la cattura, grazie alla grande attrazione gravitazionale di Giove, di numerosi altri corpi minori, nel mentre il pianeta stesso subiva un processo di migrazione orbitale verso l’interno del sistema solare, calcolato a partire dalla sua formazione a circa 5,65 UA, in circa 0,45 UA, ovvero 70 milioni di chilometri, scivolando nei 100.000 anni successivi, verso l’attuale orbita, stabilizzandosi ed entrando in risonanza 5:2 con Saturno. Durante questa fase Giove avrebbe catturato i suoi asteroidi troiani, originariamente oggetti della fascia principale o della fascia di Kuiper, destabilizzati dalle loro orbite originarie.

Caratteristiche chimico-fisiche

Composizione Atmosferica

Idrogeno molecolare (H2) 89,8 ± 2,0%, Elio (He) 10,2 ± 2,0%, Metano (CH4) ~0,3%, Ammoniaca (NH3) ~0,026%, Deuteruro di idrogeno (HD) ~0,003%, Etano (C2H6) 0,0006%, Acqua (H2O) 0,0004%, Idrosolfuro di ammonio (NH4SH)

La composizione varia leggermente man mano che si procede verso le regioni interne del pianeta, date le alte densità; alla base dell’atmosfera si ha quindi un 71% in massa di idrogeno, un 24% di elio e il restante 5% di elementi più pesanti e composti: vapore acqueo, ammoniaca, composti del silicio, carbonio e idrocarburi (soprattutto metano ed etano), acido solfidrico, neon, ossigeno, fosforo e zolfo. Nelle regioni più esterne dell’atmosfera sono inoltre presenti dei consistenti strati di cristalli di ammoniaca solida.

Le proporzioni atmosferiche di idrogeno ed elio sono molto vicine a quelle riscontrate nel Sole e teoricamente della nebulosa solare primordiale, tuttavia ossigeno, azoto, zolfo e gas nobili sono superiori di un fattore tre rispetto ai valori misurati nel Sole, mentre la quantità di neon nell’alta atmosfera è pari in massa a circa un decimo rispetto alla sua quantità nella stella. Anche la quantità di elio appare decisamente inferiore, forse a causa di precipitazioni che, secondo simulazioni, interessano una porzione profonda dell’atmosfera gioviana in cui il gas condensa in goccioline anziché mescolarsi in modo omogeneo con l’idrogeno. Le quantità dei gas nobili di peso atomico maggiore (argon, kripton, xeno, radon) sono circa due o tre volte quelle della nostra stella.

Massa e dimensioni

Giove possiede il maggior volume per una massa fredda: i dati teorici indicano che se il pianeta fosse più massiccio avrebbe dimensioni minori. Infatti, a basse densità della materia come quelle del pianeta, l’oggetto è mantenuto tale da forze di natura elettromagnetica, con gli atomi che interagiscono tra loro formando legami. Se la massa è piuttosto grande, come quella di Giove, la gravità al centro del corpo è talmente elevata che la materia è ionizzata: gli elettroni degli orbitali sono strappati all’attrazione dei loro nuclei e sono liberi di muoversi, rendendo impossibile la formazione di legami, pertanto l’incremento di gravità dovuto all’aumento di massa non è più esattamente controbilanciato e il pianeta subisce una contrazione. Un ulteriore aumento di massa provoca la degenerazione degli elettroni, costretti a occupare il livello quantico ad energia più bassa disponibile. Gli elettroni obbediscono al principio di esclusione di Pauli, di conseguenza sono obbligati a occupare una banda piuttosto vasta di livelli a bassa energia. In questa circostanza, quindi, le strutture atomiche sono alterate dalla crescente gravità, che costringe tale banda ad allargarsi, sicché la sola pressione degli elettroni degeneri manterrebbe in equilibrio il nucleo contro il collasso gravitazionale cui sarebbe naturalmente soggetto.

Giove è il pianeta più massiccio del sistema solare, 2,468 volte più massiccio di tutti gli altri pianeti messi insieme. Il valore della massa gioviana (indicata con MJ) è utilizzato come raffronto per le masse degli altri pianeti gassosi ed in particolare dei pianeti extrasolari.

In raffronto alla Terra, Giove è 317,938 volte più massiccio, ha un volume 1.319 volte superiore, ma densità più bassa, poco superiore a quella dell’acqua. Il diametro è 11,2008 volte maggiore di quello terrestre.

Giove si comprime di circa 2 cm all’anno. Probabilmente il pianeta compensa la dispersione nello spazio del calore endogeno, comprimendosi. Questa compressione riscalda il nucleo, incrementando la quantità di calore emessa, e portando il pianeta ad irradiare nello spazio una quantità di energia superiore a quella che riceve per insolazione. Per queste ragioni si ritiene che, appena formato, il pianeta dovesse essere più caldo e grande di circa il doppio rispetto ad ora.

Una stella mancata?

Giove ha il maggior volume possibile per una massa fredda. Tuttavia i modelli teorici indicano che se Giove fosse più massiccio avrebbe un diametro inferiore a quello che possiede attualmente. Questo comportamento varrebbe fino a masse comprese tra 10 e 50 volte la massa di Giove; oltre questo limite, infatti, ulteriori aumenti di massa determinerebbero aumenti effettivi di volume e causerebbero il raggiungimento di temperature, nel nucleo, tali da innescare la fusione del deuterio (13MJ) e del litio (65MJ), formando così una nana bruna. Qualora l’oggetto raggiungesse una massa pari a circa 75-80 volte quella di Giove si raggiungerebbe la massa critica per l’innesco di reazioni termonucleari di fusione dell’idrogeno in elio, che porterebbe alla formazione di una stella vera e propria, in questo caso una nana rossa, anche Anche se il diametro della più piccola stella sinora scoperta, AB Doradus C, è solamente il 40% più grande rispetto al diametro del pianeta.

Struttura interna

La struttura interna del pianeta è ancora oggetto di studi: si ritiene che il pianeta sia costituito da più strati, ciascuno con caratteristiche chimico-fisiche ben precise. Partendo dall’interno verso l’esterno si incontrano, in sequenza: un nucleo, un mantello di idrogeno metallico liquido, uno strato di idrogeno molecolare liquido, elio ed altri elementi, ed una turbolenta atmosfera. Secondo i modelli astrofisici più moderni e ormai accettati da tutta la comunità scientifica, Giove non possiede una crosta solida; il gas atmosferico diventa sempre più denso procedendo verso l’interno e gradualmente si converte in liquido, al quale si aggiunge una piccola percentuale di elio, ammoniaca, metano, zolfo, acido solfidrico ed altri composti in percentuale minore. Temperatura e pressione aumentano costantemente man mano che si procede verso il nucleo.

Al nucleo del pianeta è spesso attribuita una natura rocciosa, ma la sua composizione dettagliata, così come le proprietà dei materiali che lo costituiscono e le temperature e le pressioni cui sono soggetti, e persino la sua stessa esistenza, sono ancora in gran parte oggetto di speculazione. Secondo i modelli, il nucleo sarebbe costituito in prevalenza da carbonio e silicati, con temperature stimate sui 36 000 K e pressioni enormi, dell’ordine dei 4500 gigapascal (GPa).

La regione nucleare è circondata da un denso mantello di idrogeno liquido metallico, che si estende sino al 78% (circa i 2/3) del raggio del pianeta ed è sottoposto a temperature dell’ordine dei 10 000 K e pressioni dell’ordine dei 200 GPa. Al di sopra di esso si trova un cospicuo strato di idrogeno liquido e gassoso, che si estende sino a 1000 km dalla superficie e si fonde con le parti più interne dell’atmosfera del pianeta.

Atmosfera

L’atmosfera di Giove è la più estesa atmosfera planetaria del sistema solare, manca di un netto confine inferiore, ma gradualmente transisce negli strati interni del pianeta. Dal più basso al più alto, gli stati dell’atmosfera sono: troposfera, stratosfera, termosfera ed esosfera; ogni strato è caratterizzato da un gradiente di temperatura specifico. Al confine tra la troposfera e la stratosfera, ovvero la tropopausa, è collocato un sistema complicato di nubi e foschie costituito da stratificazioni di ammoniaca, idrosolfuro di ammonio ed acqua.

Nubi e bandeggio atmosferico

La copertura nuvolosa di Giove è spessa circa 50 km e consiste almeno di due strati di nubi di ammoniaca: uno strato inferiore piuttosto denso ed una regione superiore più rarefatta. I sistemi nuvolosi sono organizzati in fasce orizzontali lungo le diverse latitudini. Si suddividono in zone, di tonalità chiara, e bande, le quali appaiono scure per via della presenza su di esse di una minore copertura nuvolosa rispetto alle zone. La loro interazione dà luogo a violente tempeste, i cui venti raggiungono, come nel caso delle correnti a getto delle zone, velocità superiori ai 100-120 m/s (360-400 km/h). Le osservazioni del pianeta hanno mostrato che tali formazioni variano nel tempo in spessore, colore e attività, ma mantengono comunque una certa stabilità, in virtù della quale gli astronomi le considerano delle strutture permanenti e hanno deciso di assegnare loro una nomenclatura. Le bande sono inoltre occasionalmente interessate da fenomeni, noti come disturbi, che ne frammentano il decorso; uno di questi fenomeni interessa a intervalli irregolari di 3-15 anni la banda equatoriale meridionale (South Equatorial Belt, SEB), che improvvisamente vira sul colore bianco rendendosi indistinguibile dalle chiare zone circostanti per tornare individuabile nel giro settimane o mesi. La causa dei disturbi è attribuita alla momentanea sovrapposizione con le bande interessate di alcuni strati nuvolosi posti ad una quota maggiore.

sopra e sotto immagini delle nuvole e dei vortici su Giove – sonda Juno

NASA's Juno spacecraft performed its third close flyby of Jupiter.

La caratteristica colorazione marrone-arancio delle nubi gioviane è causata da composti chimici complessi, noti come cromofori, che emettono luce in questo colore quando sono esposti alla radiazione ultravioletta solare. L’esatta composizione di queste sostanze rimane incerta, ma si ritiene che vi siano discrete quantità di fosforo, zolfo ed idrocarburi complessi, mescolati con lo strato di nubi più profondo e più caldo. Il caratteristico bandeggio si forma a causa della convezione atmosferica: nelle zone si ha l’emergere in superficie delle celle convettive dell’atmosfera inferiore, che determina la cristallizzazione dell’ammoniaca che di conseguenza cela alla vista gli strati immediatamente sottostanti; nelle bande invece il movimento convettivo è discendente ed avviene in regioni a temperatura più alte.

È stata ipotizzata la presenza di un sottile strato di vapore acqueo al di sotto delle nubi di ammoniaca, come dimostrerebbero i fulmini registrati dalla sonda Galileo, che raggiungono intensità anche decine di migliaia di volte superiori a quelle dei fulmini terrestri: la molecola dell’acqua, essendo polare, è infatti capace di assumere una parziale carica in grado di creare la differenza di potenziale necessaria per generare la scarica. Le nubi d’acqua, grazie all’apporto del calore interno del pianeta, possono quindi formare dei complessi temporaleschi simili a quelli terrestri.

La Grande Macchia Rossa e altre tempeste

L’atmosfera di Giove ospita centinaia di vortici, strutture rotanti circolari che, come nell’atmosfera della Terra, possono essere divisi in due classi: cicloni ed anticicloni. I primi ruotano nel verso di rotazione del pianeta (antiorario nell’emisfero settentrionale ed orario in quello meridionale), mentre i secondi nel verso opposto. Una delle principali differenze con l’atmosfera terrestre è che su Giove gli anticicloni dominano numericamente sui cicloni (il 90% dei vortici con diametro superiore ai 2000 km sono anticicloni). La durata dei vortici varia da diversi giorni a centinaia di anni in base alle dimensioni: la durata media di anticicloni con diametri compresi tra i 1000 ed i 6000 km è di 1–3 anni. Non sono mai stati osservati vortici nella regione equatoriale di Giove (entro i 10° di latitudine), in quanto la circolazione atmosferica di tale regione li renderebbe instabili. Come accade su ogni pianeta rapidamente rotante, gli anticicloni su Giove sono centri di alta pressione, mentre i cicloni lo sono di bassa pressione.

La Grande Macchia di Giove, una tempesta che dura da centinaia di anni

Il vortice sicuramente più noto è la Grande Macchia Rossa (GRS, Great Red Spot), una vasta tempesta anticiclonica posta 22º a sud dell’equatore del pianeta. La formazione presenta un aspetto ovale e ruota in senso antiorario con un periodo di circa sei giorni. Le sue dimensioni, variabili, sono 24-40 000 km × 12-14 000 km. Si tratta di una struttura svincolata da altre formazioni più profonde dell’atmosfera planetaria: le indagini infrarosse hanno mostrato che la tempesta è più fredda rispetto alle zone circostanti, segno che si trova più in alto rispetto ad esse, circa 8 km sugli strati circostanti. Anche prima che le sonde Voyager dimostrassero che si trattava di una tempesta, vi era già una forte evidenza che la Macchia fosse una struttura a sé stante, come d’altronde appariva dalla sua rotazione lungo il pianeta indipendente dal resto dell’atmosfera.

La Macchia varia notevolmente di colore gradazione, passando dal rosso mattone al salmone pastello, fino al bianco; non è ancora noto cosa determini la colorazione rossa della macchia. Alcune teorie, suffragate dai dati sperimentali, suggeriscono che possa essere causata dai medesimi cromofori, in quantità differenti, presenti nel resto dell’atmosfera gioviana.

Non è noto se i cambiamenti che la Macchia manifesta siano il risultato di normali fluttuazioni periodiche, né tantomeno per quanto ancora essa durerà, anche se alcuni modelli fisico-matematici suggeriscono che la tempesta sia stabile e quindi essere una formazione permanente del pianeta.

Tempeste simili a questa, anche se temporanee, non sono infrequenti nelle atmosfere dei pianeti giganti gassosi: per esempio, Nettuno ha posseduto per un certo tempo una Grande Macchia Scura, e Saturno mostra periodicamente per brevi periodi delle Grandi Macchie Bianche. Anche Giove presenta degli ovali bianchi (detti WOS, acronimo di White Oval Spots, Macchie Ovali Bianche), assieme ad altri marroni; si tratta tuttavia di tempeste minori transitorie, per questo prive di una denominazione. Gli ovali bianchi sono in genere composti da nubi relativamente fredde poste nell’alta atmosfera; gli ovali marroni sono invece più caldi, e si trovano ad altitudini medie. La durata di queste tempeste si aggira indifferentemente tra poche ore e molti anni.

Nel 2000, nell’emisfero australe del pianeta, si è originata dalla fusione di tre ovali bianchi una formazione simile alla GRS, ma di dimensioni più piccole. Denominata Ovale BA, la formazione ha subito un’intensificazione dell’attività e un cambiamento di colore dal bianco al rosso, che le è valso il soprannome di Red Spot Junior.

Campo magnetico e magnetosfera

Le correnti elettriche all’interno del mantello di idrogeno metallico generano il più intenso campo magnetico del sistema solare (eccezione fatta, quello nelle macchie solari), 14 volte superiore al campo geomagnetico. Il campo magnetico di Giove preserva la sua atmosfera dalle interazioni col vento solare deflettendolo e creando una regione appiattita, la magnetosfera, costituita da un plasma di composizione molto differente da quello del vento solare. La magnetosfera gioviana è la più grande fra tutte le magnetosfere dei pianeti del sistema solare, nonché la struttura più grande del sistema non appartenente al Sole: si estende nel sistema solare esterno per molte volte il raggio di Giove (RJ) e raggiunge un’ampiezza massima che può superare l’orbita di Saturno.

 

La magnetosfera di Giove è convenzionalmente divisa in tre parti: la magnetosfera interna, intermedia ed esterna. La magnetosfera interna è situata ad una distanza inferiore a 10 raggi gioviani (RJ) dal pianeta; il campo magnetico al suo interno rimane sostanzialmente dipolare, poiché ogni contributo proveniente dalle correnti che fluiscono dal plasma magnetosferico equatoriale risulta piccolo. Nelle regioni intermedie (tra 10 e 40 RJ) ed esterne (oltre 40 RJ) il campo magnetico non è più dipolare e risulta seriamente disturbato dalle sue interazioni col plasma solare.

Le eruzioni che avvengono sul satellite galileiano Io contribuiscono ad alimentare la magnetosfera gioviana, generando un importante toroide di plasma che carica e rafforza il campo magnetico, formando la struttura denominata magnetodisk. Le forti correnti che circolano nella regione interna della magnetosfera generano aurore perenni attorno ai poli del pianeta ed intense emissioni radio.

L’interazione delle particelle energetiche con la superficie delle lune galileiane maggiori influenza notevolmente le loro proprietà chimiche e fisiche, ed entrambi influenzano e sono influenzati dal particolare moto del sottile sistema di anelli del pianeta.

Ad una distanza media di 75 RJ (compresa tra circa 45 e 100 RJ a seconda del periodo del ciclo solare) dalla sommità delle nubi del pianeta è presente una lacuna tra il plasma del vento solare e il plasma magnetosferico, che prende il nome di magnetopausa. Al di là di essa, ad una distanza media di 84 RJ dal pianeta, si trova il bow shock, il punto in cui il flusso del vento viene deflesso dal campo magnetico.

Emissione radio magnetosferica

Le correnti elettriche delle fasce di radiazione generano delle emissioni radio di frequenza variabile tra 0,6 e 30 MHz, rendendo Giove un’importante radiosorgente. Le prime analisi rivelarono che l’emissione è caratterizzata da flash intorno ai 22,2 MHz e che il loro periodo coincideva con il periodo di rotazione del pianeta, la cui durata fu quindi determinata con maggiore accuratezza. Inizialmente furino riconosciute due tipologie di emission, i lampi lunghi (long o L-bursts), della durata di alcuni secondi, e i lampi corti (short o S-bursts), che durano poco meno di un centesimo di secondo, ma in seguito scoperte altre tre forme di segnale radio trasmesse dal pianeta, ovvero esplosioni radio decametriche (con lunghezze d’onda di decine di metri), che variano con la rotazione del pianeta e sono influenzate dalle interazioni tra Io e la magnetosfera gioviana, ed emissioni radio decimetriche (con lunghezze d’onda di alcune decine di centimetri), la cui origine è stata imputata alla radiazione emessa dagli elettroni accelerati dal campo magnetico in un’area toroidale che ne circonda l’equatore.

Irraggiamento termico prodotto dal calore dell’atmosfera del pianeta.

La forte modulazione periodica dell’emissione radio e particellare, che corrisponde al periodo di rotazione del pianeta, rende Giove affine ad una pulsar, ma occorre comunque considerare che l’emissione radio del pianeta dipende fortemente dalla pressione del vento solare, quindi, dall’attività solare stessa.

Anelli

Giove possiede un debole sistema di anelli planetari, il terzo ad esser stato scoperto nel sistema solare, dopo quello di Saturno e quello di Urano. Fu osservato per la prima volta nel 1979 dalla sonda Voyager 1, ma analizzato più approfonditamente negli anni novanta dalla sonda Galileo e, a seguire, dal telescopio spaziale Hubble e dai più grandi telescopi a terra.

sopra mosaico di fotografie degli anelli di Giove scattate dalla sonda Galileo mentre si trovava nel cono d’ombra del pianeta.

sotto gli anelli di giove ripresi rispettivamente dalle sonde voyager 1 e 2

 
 
 

 
 

Il sistema di anelli consiste principalmente di polveri, presumibilmente silicati, ed è suddiviso in quattro parti principali: un denso toro di particelle noto come anello di alone; una fascia relativamente brillante, ma eccezionalmente sottile nota come anello principale; due deboli fasce più esterne, detti anelli Gossamer, che prendono il nome dai satelliti il cui materiale superficiale ha dato origine a questi anelli: Amaltea (anello Gossamer di Amaltea) e Tebe (anello Gossamer di Tebe).

L’anello principale e l’anello di alone sono costituiti da polveri originarie dei satelliti Metis e Adrastea ed espulse nello spazio in seguito a violenti impatti meteorici. Le immagini ottenute nel febbraio e nel marzo 2007 dalla missione New Horizons hanno mostrato inoltre che l’anello principale possiede una ricca struttura molto fine.

All’osservazione nel visibile e nell’infrarosso vicino gli anelli hanno un colore tendente al rosso, eccezion fatta per l’anello di alone, che appare di un colore tendente al blu. Le dimensioni delle polveri che compongono il sistema sono variabili, ma è stata riscontrata una netta prevalenza di polveri di raggio pari a circa 15 μm in tutti gli anelli tranne in quello di alone, probabilmente dominato da polveri di dimensioni nanometriche. La massa totale del sistema di anelli è scarsamente conosciuta, ma è probabilmente compresa tra 1011 e 1016 kg. L’età del sistema è sconosciuta, ma si ritiene che esista sin dalla formazione del pianeta madre.

Impatti

Giove, per via del suo vorace pozzo gravitazionale e della sua posizione relativamente vicina al sistema solare interno, è attrattore della maggior parte degli oggetti vaganti nelle sue vicinanze, ed è per tale ragione è anche il pianeta con la maggior frequenza di impatti dell’intero sistema solare.

Testimonianze di impatti sul pianeta gigante sembrano risalire già al XVII secolo: l’astrofilo giapponese Isshi Tabe ha scoperto tra i carteggi delle osservazioni di Giovanni Cassini alcuni disegni che rappresentano una macchia scura, apparsa su Giove il 5 dicembre 1690, e ne seguono l’evoluzione durante diciotto giorni; potrebbero quindi costituire la prova di un impatto antecedente a quello della Shoemaker-Levy 9. Un altro impatto degno di nota, presumibilmente di un asteroide di circa 500 m di diametro che apparteneva alla famiglia Hilda (vedi alla parte seguente) si è verificato nel luglio del 2009 e ha prodotto nell’atmosfera del pianeta una macchia scura, simile in dimensioni all’Ovale BA, dissoltasi in poche settimane.

L’ultimo impatto registrato, probabilmente di un meteoroide è avvenuto il 3 giugno 2010, alle 20:31 UTC. Scoperto da un astronomo amatoriale australiano, l’evento è stato confermato da riprese dalle Filippine; l’emissione luminosa è durata solo pochi secondi (circa 2 s). L’impatto ha interessato la Banda Equatoriale Meridionale (South Equatorial Belt), a circa 50º dal meridiano di riferimento.

L’impatto della cometa Shoemaker-Levy 9

Tra il 16 ed il 22 luglio del 1994 i frammenti della cometa D/1993 F2 Shoemaker-Levy 9 precipitarono su Giove,] prima, e finora unica, cometa ad essere osservata durante la sua collisione con un pianeta. Scoperta il 25 marzo 1993 dagli astronomi Eugene e Carolyn Shoemaker e da David Levy mentre analizzavano delle lastre fotografiche dei dintorni di Giove, la cometa destò immediatamente l’interesse della comunità scientifica: non era mai accaduto infatti che una cometa fosse scoperta in orbita attorno ad un pianeta e non direttamente intorno al Sole. Catturata da Giove presumibilmente tra la seconda metà degli anni sessanta ed i primi anni settanta, la cometa fu disgregata in 21 frammenti dalle forze di marea del gigante gassoso; la Shoemaker-Levy 9 si presentava nel 1993 come una lunga fila di punti luminosi immersi nella luminescenza delle loro code.

Gli studi condotti sull’orbita della cometa poco dopo la sua scoperta portarono alla conclusione che essa sarebbe caduta sul pianeta entro il luglio del 1994 e fu quindi avviata un’estesa campagna osservativa che coinvolse numerosi strumenti per la registrazione dell’evento. Le macchie scure che si formarono sul pianeta a seguito della collisione furono osservabili dalla Terra per diversi mesi, prima che l’atmosfera gioviana cancellasse le “cicatrici” di questo evento, che ebbe grande rilevanza mediatica, ma contribuì notevolmente alle conoscenze scientifiche; in particolare, le esplosioni causate dalla caduta della cometa si rivelarono molto utili per investigare sulla composizione chimica e sulle proprietà fisiche dell’atmosfera di Giove sotto gli immediati strati superficiali.

Nonostante alcune supposizioni ed esperimenti sulla possibilità che l’atmosfera di Giove possa supportare forme di vita in sospensione o galleggiamento, i dati forniti dalle due Voyager nel 1979 hanno confermato la non idoneità del gigante gassoso a supportare alcuna forma di vita.

per saperne di più

https://www.nasa.gov/jupiter

https://www.nasa.gov/mission_pages/juno/main/index.html

n.b. la prossima parte sarà dedicata ai satelliti di Giove, alcuni dei quali sono oggetto di studio per la loro possibilità di ospitare forme di vita