comunicato stampa comunità lucana – movimento no oil

Reindustrializzazione, una farsa.

 

A parlare di sistema industriale in Lucania tutto si riassumerebbe nella parola fallimento, ma a parlare dei tentativi di resuscitare il morto a cui si dà il nome di reindustrializzazione, dalla tragedia di ogni fine di esperienza industriale si scivola nella comicità e qualche volta nella farsa.

 

Tale condizione drammaturgica contiene perfettamente il copione che, dopo la chiusura di uno stabilimento per le più svariate bizzarrie a cui il sistema produttivo ci ha abituati, vede prima l’affannosa ricerca di succedanei che possano mantenere inalterati i livelli occupazionali, poi l’annuncio che qualcuno si è trovato, ed ancora che, salvi gli adempimenti di una legge regionale da rifare, tutto è pronto e si possono aprire i cordoni della borsa pubblica. L’epilogo è al meglio la triste ammissione che il subentrante era “taroccato” o si è tirato indietro dopo attente analisi, al peggio che si è data fiducia e denari a lestofanti od improvvisati, e così ricominciano annunci, promesse, speranze, trattative, sequenza che pur porrebbe domande a cui dare risposte.

 

Quali devono essere i criteri per reindustrializzare un sito produttivo ed evitare il ripetersi di storie industriali che dominano il panorama lucano e che davvero troppo lungo sarebbe enumerare?

 

Va forse compreso che oltre le solidità finanziarie richieste solo dopo l’avvio delle procedure, oltre i piani industriali e di ricollocazione dei lavoratori, occorre una valutazione generale sul modello industriale che si intende adottare nella nostra regione e ricavare da questa uno spazio per ogni crisi, incentrandone la soluzione sul modello adottato.

 

Reindustrializzare un sito non può più imperniarsi sull’equipollenza matematica dei valori occupazionali (cosa che spinge verso qualsiasi generica soluzione possibile), ma necessita di forti indicazioni che contengano il problema locale – quel problema – in uno schema programmatico per il futuro, in altri termini che, adottato un progetto regionale che integri peculiarità del territorio, valori umani, sistemi di scala e filiere locali, ci si adoperi in quel recinto per il problema locale.

 

Chiaro che tutto questo prevede un momento separato dalla crisi locale, un momento concertativo ormai ineludibile tra politica, sindacati, categorie produttive, che individui obiettivi programmatici imperniati sulla massima integrazione tra schema industriale e territorio, valutando l’oggettività del possibile in rapporto alle potenzialità intrinseche ed al valore di incontaminatezza e rispetto dell’ambiente che va assunto a costante, facendo del confronto con le esperienze ambientaliste e dei comitati di cittadini momento di crescita, integrazione e scambio alla pari.

 

E’ solo elaborando una strada che si basi sulle reali potenzialità del territorio e delle sue risorse umane e culturali, che si trova una via d’uscita coerente sia alla crisi sistemica che a quella locale, facendo i conti con la realtà del luogo e non con un sistema industriale che tende a trasformare ogni luogo in un “qualsiasi luogo”, deprivato di caratteristiche proprie e ridotto a contenitore di un valore produttivo che fa riferimento sempre altrove.

 Miko Somma, coordinatore regionale