Comunicato stampa di Comunità Lucana – Movimento No Oil

Un’altra idea dei rifiuti

 La nostra presenza al presidio di fronte all’inceneritore di Potenza non era certo un atto di liturgia ambientalista, ma logica conseguenza di un’altra idea dei rifiuti e del loro trattamento in un’idea che mette insieme aspetti tra loro interconnessi, ma di cui spesso si sottace la reale importanza. 

Parlare oggi di raccolta differenziata è divenuto un vero e proprio luogo comune se non si penetra l’essenza di una materia tecnicamente complessa, ma la cui comprensione risulta semplice se, partendo dall’evidenza dell’avvenuta trasformazione della natura del rifiuto in fonte energetica, sia in sede europea che nazionale e locale – una specifica delibera regionale addirittura lo assimila alla legna ecologica, rendendolo combustibile in quelle centrali a bio-massa di cui abbondano ormai i progetti – evidenza però della possibilità e non certo dell’obbligo a questo utilizzo.

 

Praticare sulla scorta di questa possibilità la raccolta differenziata del Rifiuto Solido Urbano (RSU) spinge alla separazione delle frazioni del rifiuto volta alla primaria selezione di Combustibili da Rifiuto (CDR) da avviare verso una termovalorizzazione i cui risultati energetici, quindi ben al netto delle primarie evidenze ambientali e sanitarie, sono scarsi se non ammendati da frazioni altamente energetiche (carta, plastiche, resine, legno), ben altrimenti utilizzabili in un recupero delle frazioni merceologiche che assicurerebbe non solo minori masse da trattare o stoccare, ma cospicui ritorni economici con cui finanziare lo stesso sistema di raccolta.

 

Si finirebbe in questo caso per parlare di raccolta differenziata non per il riciclo di materiali, ma per la combustione del differenziato in un sistema che integra gestioni privatistiche degli impianti e così dell’energia residua prodotta con costi pubblici elevati sia nell’organizzazione della stessa raccolta, municipalizzata o esternalizzata, che nella costruzione della relativa impiantistica con finanziamenti pubblici che a ben altre attività potrebbero essere indirizzati, per esempio ad un sistema pubblico regionale o provinciale di raccolta spinta porta a porta con tariffa puntuale.

 

Partiamo ora dall’evidenza che il nostro sistema di raccolta e trattamento di rifiuti solidi urbani deve essere sovra-territoriale in ragione della piccolezza dei numeri in materia – la Basilicata, insieme al Molise, produce meno rifiuto/giorno/pro-capite in Italia con produzioni di 1,10 – 1,20 kg per abitante al giorno, attestandosi il rifiuto totale a circa 250.000 tonnellate anno – quindi posta la necessità che l’intero ciclo debba essere gestito da un “pubblico” reso più efficiente possibile – la prossimità all’esperienza campana ed alle pericolose intromissioni della criminalità organizzata nella gestione dei rifiuti ne è premessa – ed affermato che una gestione dei rifiuti oltre la pratica della discarica si fonda necessariamente sulla raccolta differenziata, la scelta tra una termovalorizzazione del rifiuto differenziato inutile e dannosa e tra una gestione del rifiuto inteso come prodotto post-consumo,  quindi da recuperare e riciclare con ovvi benefici ambientali, sanitari, energetici, occupazionali ed economici, ci pare debba oggi orientarsi proprio sulla virtuosità della seconda.

 

Posta allora la seconda scelta come “l’unica scelta virtuosa” diviene necessario che il sistema della raccolta differenziata arrivi a percentuali intorno al 60% in breve tempo e si interfacci alla maggiore prossimità possibile al consumatore finale (il porta a porta spinto), consumatore opportunamente sensibilizzato ed informato ad una selezione a monte del rifiuto ed “incoraggiato” da una premialità della separazione il più efficace possibile delle diverse frazioni (tariffa puntuale).

 

L’attuale gestione economica dei rifiuti si basa sulla TARSU (Tassa sui Rifiuti Solidi Urbani), introdotta dal d.l. 507/93 che fissa la natura del tributo come tassa, quindi come pagamento di un servizio specifico, e non come imposta, quindi attinente la fiscalità generale, cosa che prefigura un gravame fiscale derivato dall’effettivo conferimento e non certo da una serie di parametri generali (in buona parte i metri quadri di abitazioni o unità produttive). E’ questo l’elemento centrale su cui ruota una raccolta differenziata porta a porta con la “puntualità” della tariffa applicata, cosa che ovviamente presuppone la trasformazione della TARSU da tassa od imposta impropria in tariffa.

 

Partendo dalla base dell’attuale costo fatto 100, al porta a porta spinto si applicherebbe una tariffa in via proporzionalmente maggiore se il cittadino non differenzia affatto o lo fa in modo non idoneo, minore se il comportamento del cittadino rispetto alla raccolta differenziata è configurabile come un comportamento virtuoso e pienamente collaborativo, stabilendo così una precisa corrispondenza premiale o sanzionatoria rispetto alla efficienza della separazione a monte che fa la buona parte di una  raccolta differenziata efficiente. Separato infatti l’umido dal secco, separato ulteriormente in frazioni differenti e simili per tutto il territorio, da un lato si favoriscono i processi di compostaggio dell’umido (sia domestico che industriale) evitando il percolamento di liquami, dall’altro i processi di selezione di materie seconde da conferire ai consorzi di riciclaggio con ritorni di rifinanziamento del sistema e delle maggiori unità occupazionali create con tale raccolta di prossimità.

 

Tale operazione di raccolta presuppone però l’avvio di una riduzione a monte del rifiuto attraverso interventi legislativi e azioni di sensibilizzazione e premialità verso i comparti produttivi e distributivi che sono parte in causa non solo di una sempre più errata politica della produzione del rifiuto, ma di una tendenza diseducativa nei confronti delle attitudini del consumatore. In tal senso se le azioni legislative sono solo in parte attuabili da una regione e lo sono molto di più a livello di legislazione nazionale, le premialità o le sanzioni possono certamente essere stabilite su base locale attraverso l’incentivo al vuoto a rendere o alla distribuzione alla spina, la presa in carico degli imballaggi per unità singola di vendita, e via di seguito in un sistema ormai osservabile in molte realtà italiane ed i cui risultati di riduzione a monte sono sempre più incoraggianti, quando esista volontà cooperativa reale da parte di produzione e distribuzione.

 

Il funzionamento di simile sistema di gestione dei rifiuti è certo operazione complessa e di cui non si può certo dare esaustiva descrizione con un contributo stampa, ma se lanciare idee che portino a pratiche virtuose della gestione e del governo dei problemi della comunità è compito e dovere di chi intende la politica come servizio alla collettività, ci pare anche che costruire piani sui rifiuti che non siano impostati sulla raccolta differenziata e sul rientro nel ciclo produttivo dei materiali rischia di divenire la consacrazione sul nostro territorio regionale di quei processi di combustione che pur dovremmo cominciare a mettere da parte, sia nell’ottica della cura generale di un ambiente sano e di una salute umana ed animale che è un “bene comune”, sia nell’ottica di evitare alla nostra terra una definitiva condizione di pattumiera energetica.

Anche per quello eravamo davanti a quell’inceneritore a pronunciare un secco no, ma molti altri si.

  

Miko Somma,

coordinatore regionale di comunità lucana – movimento no oil