Comunicato stampa di Comunità Lucana – Movimento No Oil

Passate le elezioni restano le estrazioni.

  

Passate le elezioni, i problemi lucani restano tutti, sapendo ognuno di noi che sperare nella loro risoluzione richiede atti di fede basati sul dogma che la nostra classe politica voglia e riesca a venirne a capo e dal momento che il sottoscritto non ama dogmi, si definisce scettico ed agnostico, rifugge dalle liturgie, veniamo così a porre alcune domande ormai annose sulla questione petrolio.

 

Dato e non concesso che l’estrazione di idrocarburi sia davvero una risorsa ed accertato che le compagnie e lo stato centrale non hanno alcuna voglia di renderla tale per le popolazioni locali, accertato altresì che si preferisce giocare su improbabili sconti della benzina piuttosto che chiedersi quale reale ricchezza tale sfruttamento abbia portato alla regione intesa come popolazione e non certo come istituzione –  toccherebbe chiedersi anche come mai le seconde a volte sembrano non rappresentare i primi – rimangono in piedi molte questioni che proviamo celermente a rappresentare.

 

Questione ambientale. Ci si interroga se vi siano state e vi siano tuttora conseguenze ambientali tali da far prefigurare un danno grave al patrimonio di bio-diversità animale e vegetale lucano e non abbiamo mai avuto alcuna risposta seria in merito.

 

Questione sanitaria. Ci si interroga se vi siano stati e vi siano tuttora nocumenti alla salute dei cittadini, nonostante gli allarmi spesso sopiti nel tuttoappostismo dominante nelle comunicazioni ufficiali, affidate a pompose conferenze stampa, e non abbiamo mai avuto risposte serie in merito.

 

Ovviamente, si parlerà dei famosi monitoraggi che solo dopo molte insistenze, del sottoscritto e non solo, sembrano ora avviarsi ad un reale screening della situazione, ma nulla può essere più fuorviante che parlare di monitoraggi affidati a centraline che spesso non riportano i dati, soprattutto in prossimità degli ormai tanti incidenti – pardon, l’ENI non li definisce tali, ma prove dell’efficienza del sistema – che si limitano a monitorare gli inquinanti emessi in atmosfera e non mai a misurarne gli effetti in terra nel ciclo biologico animale e vegetale a più lungo termine di quello delle piante annuali normalmente utilizzate in alcune stazioni, e questo per verificare gli effetti di accumulo degli stessi inquinanti in tessuti che spesso finiscono nel ciclo alimentare, probabilmente portando a fenomeni di tossicità e teratogenia che nessuno ha mai, se non sporadicamente, indagato davvero.

 

C’è poi da chiedersi se chi conduce simili ricerche, ammesso siano condotte, sia poi più o meno riconducibile ad una filiera di ricerca consensuale in qualche modo connessa ai finanziamenti alla ricerca o dell’ENI stessa o di una Regione che ha dato prove di non considerare il petrolio un problema, ma certo le royalties una risorsa per i suoi piani di “sviluppo”. Neppure a nominarla, l’ARPAB, che non essendo un ente certificatore non si comprende per quale motivo debba allora occuparsi di monitoraggi e prevenzione ambientale che poi affidiamo a privati al modico costo di qualche milione di euro.

 

Questione economica. Ci si interroga se, pur considerando assolutamente incongrue le royalties percepite per l’85% dalla regione e per il 15% dai comuni nel cui territorio si svolgono le estrazioni (e ciò in virtù della clausola di interesse nazionale posta agli accordi del ’98 per la quale fu trasferita alla regione anche la quota di competenza statale), vi sia poi un accettabile sistema di misurazione delle stesse che non sia auto-referente ai soli dati ENI trasmessi all’UNMIG e poi alla regione Basilicata e che assicuri che non una sola goccia di petrolio sfugga ai contatori.

 

Questione vocazionale. Ci si interroga se data per scontata la presenza del sistema petrolio, tale sistema non abbia portato a “spostamenti d’asse” delle reali vocazioni economiche delle zone interessate tali da non potersi compensare con le royalties, soprattutto in considerazione delle prevedibili conseguenze di fine estrazioni.

 

Ed ovviamente si finirà per parlare della mancata programmazione economica dei nostri territori, delle vocazioni originarie degli stessi spesso solo evocate in generiche esternazioni statutarie, ma mai realmente praticate e sostenute con fatti concreti, il turismo, l’agricoltura di qualità, la conservazione del patrimonio biologico lucano, la cultura, l’artigianato e tutte quelle dichiarazioni che divengono puro fumus di fronte al dato innegabile di una regione tanto appetita dalle multinazionali degli idrocarburi da essere a breve invasa da trivelle ovunque, a giudicare da istanze e permessi di ricerca e coltivazione che coprono il 60% del territorio e che par si stiano avviando tutti insieme, se è vero che c’è tale grande fermento di richieste di autorizzazioni regionali che alcune sono state concesse dalla giunta persino in periodo di vacatio elettorale.

 

L’argomento petrolio è così di interesse primario per questa regione che non vorremmo che ai silenzi sull’argomento in campagna elettorale seguisse poi il silenzio indotto di fatto di una società tanto prostrata dal fatalismo della rapina consentita da non rendersi più conto di cosa accade. E qualcuno la chiama anche mansuetudine del lucani.

Miko Somma, coordinatore regional di Comunità Lucana – Movimento No Oil