Comunicato stampa di Comunità Lucana – Movimento No Oil

Se 80 milioni vi sembran pochi…

 

Nella nostra disastrata regione anche solo un posto di lavoro in più fa una differenza in positivo, sia chiaro, così dovrebbe suscitare entusiasmo l’approvazione da parte della giunta regionale dei bandi di industrializzazione di Val Basento, Val d’Agri, zona industriale di Iesce-La Martella a Matera.

 

 

Qualche centinaio di posti di lavoro in più in regione non guasterebbero affatto in un periodo che ha visto cali massicci dell’occupazione lucana con pessime previsioni di riassorbimento della maggiore disoccupazione, inoccupazione, ricorso ad ammortizzatori sociali ordinari e straordinari, cosa che del resto appare comune alle altre economie occidentali e non solo, prospettandosi di fatto la crisi come strutturale sia rispetto agli attuali processi finanziari e produttivi, necessitando questi di cambiamenti radicali verso i quali si è esitato fino a perdere la buona occasione, sia rispetto a quei più generali ed allargati meccanismi di distribuzione della ricchezza sui quali non pare esista dibattito percepibile pur in presenza di una manovra correttiva che dovrebbe far riflettere su chi paga i costi reali delle crisi.

 

 

Stiamo invece alla puntualità delle osservazioni locali, così, fatta salva la constatazione che gioia ed entusiasmo per nuova occupazione è solo a consuntivo che avrebbero motivo causale per esprimersi e non mai a preventivo, correndo così il rischio di apparire pura demagogia se, come le esperienze  precedenti purtroppo insegnano, le previsioni o le speranze dovessero divergere poi tanto dai risultati effettivamente conseguiti, le poste finanziarie messe in campo dalla Regione Basilicata, 80 milioni di euro – pardon, 80 Meuro come usasi in certi ambienti – 45 rinvenienti dal piano di industrializzazione per Val Basento e Matera, 35 dalle royalties del petrolio per la Val d’Agri dovrebbero far riflettere.

 

 

I numeri son numeri e così se per creare 500 posti di lavoro – e stiamo davvero larghi sulle previsioni – si impegnano 80 milioni di euro per ogni posto di lavoro, ognuno di quei speriamo durevoli posti di lavoro costa alle finanze regionali ben 160.000 euro, una cifra spropositata sia per la constatazione che la maggior parte dei fondi finisce ad attività industriali già presenti nelle aree in questione, così finendo per apparire una assai “assistita” forma di finanziamento delle stesse ben oltre i risultati che queste sono state in grado finora di realizzare da sole nella logica di quel mercato della concorrenza di cui tutti i politici nostrani paiono mentori, sia per la sgradevole sensazione che assurge a certezza, che continuando così per assorbire i 10.200 disoccupati lucani conclamati e che vivono di sussidi di disoccupazione, CIG ordinaria e straordinaria occorrerebbero 1.600.000.000 di euro – a proposito, si scrive MMeuro? – senza intaccare la base dell’inoccupazione reale di coloro che neppure lo cercano più lavoro, campando al meglio di formazione o aiuti familiari. Dei giovani, poi, neppure a parlarne.

 

 

Assistiamo così al paradosso di un sistema industriale lucano che, lungi dal possedere una intrinseca vivacità produttiva che è l’unica in grado di assicurarne la sopravvivenza, sopravvive alla crisi grazie ai finanziamenti pubblici erogati da partite che a ben altri scopi si sarebbe potuto indirizzare.

 

 

Continuando a rinvigorire di danari pubblici i bilanci di aziende forse non in grado, stando alle leggi di mercato di cui sopra, di affrontare le “sfide globali” – mi è odioso anche il termine nel riconoscimento che se dove c’è una sfida, c’è anche un perdente, questo modo di gestire le economie posta denaro pubblico in imprese private cedendo al nuovo “trucco” del ricatto occupazionale usato dalle categorie industriali – sono proprio le parole chiave di questa economia, concorrenza e produttività, che non ne vengono affatto stimolate, incoraggiandosi semmai rendite di posizione nel recinto dell’aiuto pubblico.

 

 

Un cane dunque che si morde furiosamente la coda, in Europa come nel mondo, in Italia come nella nostra Basilicata, in un turbinio di cifre enormi postate dai bilanci pubblici su un sistema che nei fatti nulla assicura in termini di continuità occupazionale ed a nulla è tenuto oltre gli stretti limiti temporali a cui in qualche modo vengono legati i finanziamenti stessi. E se allora nessuno assicura che erogati i fondi quei posti di lavoro permangano nel tempo, non potremmo cominciare ad indirizzare gli stessi verso operazioni di “riscrittura” del sistema economico lucano, a cominciare dal vero potenziamento del settore primario verso cui occorrono sistemi di filiera protetta in primis autoreferenti ai consumi locali e verso il quale le logiche con le quali i PSR sono gestiti mostrano quantomeno una ristrettezza di vedute rispetto al vero tema della produzione agricola, avvicinare quanto più possibile i campi alle tavole, mettendo nel mezzo un sistema di trasformazione e distribuzione pubblico e lucano?

 

 

O non potremmo pensare di erogare fondi solo ad aziende il cui “vulnus” produttivo sia quanto più di prossimità all’integrazione tra attività umane, cura del territorio e tutela di ambiente e salute umana e animale in una idea nuova dell’industria che metta all’ultimo posto le esternalizzazioni dei costi umani ed ambientali che purtroppo sono l’unico dato storicamente certo di una industrializzazione miope e corsara della nostra terra?

 

 

Le proposte da questo movimento non mancano affatto, manca la volontà di ascolto, preferendosi in realtà i salamelecchi della corte di Versailles che festeggia nelle sedi della politica lucana.

 

 

Miko Somma, coordinatore regionale di Comunità Lucana – Movimento No Oil