trent’anni dopo

no, non è dumas in una riedizione appesantita da dieci anni di un elemento della saga dei tre moschettieri…no, non sono considerazioni sul progredire veloce dell’età in un tempo che non segue più il tempo nel suo scandire aritmetico la vita, ma piuttosto le ansie collettive, le nevrosi dell’epoca, il gossip quotidiano…

trent’anni fa a quest’ora la nostra regione era già stata profondamente cambiata da un avvenimento tragico, quel terremoto distruttivo, lunghissimo, potente che in un novembre insolitamente tiepido, in una domenica come le tante del villaggio che era e per certi versi è ancora la nostra terra, in un’ora che preludeva alla solita cena tranquilla, magari con ciò che era avanzato a pranzo, aveva sconvolto per sempre la vita di una regione e le vite dei suoi abitanti…

non spaventatevi, non ho intenzione di agitare la retorica del ricordo nell’enfasi di un qualche presente che da quel giorno ha cominciato a costruirsi…per queste cose basta il parterre ed il grand rondeau che oggi ha affollato il teatro stabile di potenza nel trentennale del terremoto del 23 novembre dell’80 e che ha giubilato il ricordo di quel giorno e di tutti i giorni ed i mesi che seguirono quell’evento…

giubilato, nella migliore tradizione dei parolai senza vergogna, un ricordo tanto tragico nell’auto-assoluzione acritica di una classe politica che lungi dal far schifo a se stessa, tanta fu la sua voracità di divorare ogni risorsa che pur lo stato non aveva lesinato, quasi si auto-santifica oggi pensando che “se peggio doveva andare, meglio andò” e dimenticando ogni remora di senso critico di fronte a ciò che questa regione è alla data odierna…un deserto!!!

miliardi di lire per costruire inutili zone industriali per altrettanto inutili aziende che a volte non arrivarono neppure qui, fermandosi appena dopo le soglie dell’incasso dei contributi pubblici e tangenti per quelle operazioni..

miliardi di lire per ricostruire tessuti urbani in bizzarre interpretazioni della storia di quelle architetture povere, ma dense di una storia antica e tangenti per l’attribuzione dei lavori…

miliardi di lire per strade che cominciavano nel nulla e finivano nel nulla, pur non essendo mai finite…

miliardi di lire buttati via a suon di clientele, promesse di lavoro, interesse a te o a lui o a voi, all’amico dell’amico, alla cummara ed al marito di costei che pur bisognava ricompensare di tanta pazienza, al fratello, al cugino, allo zio ed “all’anima de li mejo mortacci loro”, mi sentoirei di aggiungere in quel vernacolo romanesco che pur accompagnò il mio esodo dalla regione di lì a poco…

miliardi buttati certo anche per l’irragionevole speranza (ma qui saremmo alla colpa e non al dolo) di portare spicchi di uno sviluppo industriale senza concretezza, ma il più delle volte la cifra dello spreco fu la clientela locale, il servaggio ad un sistema vasto di do ut des e piccoli feudalesimi, di aristocrazie locali con i buchi alle mutande, di sindaci imbellettati e funzionari compiacenti a malapena in grado di esprimersi in un italiano soddisfacente e sufficiente…e molti pur credettero che qualcosa sarebbe cambiato e che ogni dieci soldi sprecati, almeno uno sarebbe andato alle cose giuste, alle cose da fare, alle cose necessarie…

e ci credettero ancora persino quando fu del tutto evidente che quelle industrie non aprivano che capannoni scheletrici, che quei soldi sparivano senza che nemmeno quel soldo ogni dieci fosse risparmiato, che quel progresso promesso moriva prima di aver diffuso il suo sapore, che allora come qualche anno prima, come decenni o secoli prima, senza santi in paradiso non sopravvivevi e rimaneva sola alternativa andare via od accettare senza riserve quel sistema di potere, in forma di quei bocconi inghiottiti a forza che a furia di esserlo, finiscono anche per piacere…

ed è quel sistema di potere nella sua procrastinazione temporale ed a volte negli stessi personaggi che hanno ancora l’ardire di parlare, che oggi gongolava beato e beota tra il teatro stabile ed il west nella crassa certezza che nessuno abbia mai nulla da dire e se lo dovesse dire, basta che il microfono sia spento…

pace in cielo e pace agli uomini di buona volontà…chi ha avuto ha avuto…acqua passata non macina…insomma di una rilettura della nostra storia in chiave di comprensione dell’oggi, neppure a parlarne…persino i più evidenti sprechi di denaro pubblico, persino le speculazioni più feroci, gli accaparramenti più guignol, sono diventati occasione di una becera mondanità reiterativa di quel nulla progettuale che staziona in un altro nulla, quello dentro le teste vuote di tanti…

e così il terremoto di ieri è diventato il terremoto di tutti i giorni, quella continua emergenza del doversi affidare a qualcuno per ogni cosa, fosse anche un certificato o il biglietto dell’autobus, figuriamoci il lavoro…questo sconosciuto, agognato, sofferto sogno per il quale tutto è in vendita e per il quale i nonni vendettero il futuro di figli e nipoti e via di seguito in una catena di saldi a buon mercato che per acquisirli a volte basta una promessa, quel lavoro che a foglia di fico si mostra perchè non si veda lo scandalo ambientale a cui costringono questa terra, chiamandola ancora paradiso e mandando certi sgherri e certi ceffi in costosi giri per il mondo a propagandarla, quel lavoro che ti fa dire sempre di si fino a dimenticare altre parole, quel lavoro per cui ti danneresti se ti fosse rimasta un’anima, perchè ad essere complici per necessità si diventa complici in natura e pari concorso…

una regione che si compra con una promessa di lavoro, nel sorriso compiacente del politicante che ti sodomizza ogni giorno proprio con quella sua promessa…ecco cosa ci ha lasciato il terremoto…trent’anni dopo!!!