comunicato stampa di comunità lucana-movimento no oil

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La sanità dei tagli e quella dei privati

 

Ciò che maggiormente lascia interdetti nel piano sanitario regionale con cui a breve i cittadini lucani  si troveranno a dover fare i conti, è che qualcuno quei conti li abbia già fatti e che è proprio da questi che emergeranno evenienze concrete insistenti sia sul diritto alla salute che sul diritto all’uguaglianza dei cittadini, nella nostra Costituzione a caposaldo del più generale diritto di cittadinanza.

 

 

Non è mia intenzione agitare demagogicamente il diritto dei cittadini con difese che altri, con maggior competenza, potrebbero pronunciare, né fare considerazioni astratte su quella traslazione coatta dal diritto universalistico di cittadinanza al diritto personalistico di consumo che pare debba per alcuni trasformare la difesa “rappresentativa e politica” del primo nella rappresentanza “corporativa e di status” del secondo, quasi la difesa dei cittadini sia ormai inquadrata nella “customer satisfaction”.

 

 

Ciò che a mio avviso viene seriamente messo in discussione dal piano per come è stato presentato è non la perdita effettiva del diritto a cure mediche efficienti e di cui non dubitiamo gli ospedali superstiti sapranno somministrare, ma la subordinazione degli stessi ad esigenze economicistiche che poco o nulla hanno a che fare con le economie da doversi necessariamente fare nei bilanci, quanto con una visione del tutto meccanica che trasforma la cura stessa in una “produzione”, tale la terminologia ad uso dell’assessore nella recente conferenza stampa della giunta regionale.

 

Visione meccanica che se sembra orientata alla razionalizzazione dei centri di cura sparsi in passato sul territorio da logiche spesso feudo-clientelari insostenibili all’oggi, e ad una visione dell’assistenza domiciliare che salutiamo come uniche vera novità di un approccio più dinamico alla sanità, peccano quando sembrano non considerare affatto la natura di presidi civili che gli ospedali rappresentano per una popolazione lucana tendente ad invecchiamento, cronicizzazione delle patologie e sindrome da abbandono da parte delle istituzioni, oltre alle condizioni morfologiche del territorio ed allo stato delle infrastrutture che rendono anche pochi km un calvario economico-organizzativo per le affettività dei pazienti, il cui ruolo nella degenza è una cura aggiuntiva alla medicina stando alla letteratura medica.

 

Nei fatti, trasferendo funzioni e reparti insostenibili ai costi di gestione verso strutture baricentriche si compie un’operazione di razionalizzazione altra rispetto alle esigenze di primo e secondo soccorso comunque assicurate, ma che pone problematiche ardue rispetto alle lungo-degenze ospedalizzate.

 

Come immaginare che la presenza di familiari nell’assistenza ai congiunti ricoverati, molto spesso ad adiuvandum dello stesso personale infermieristico nei reparti, possa essere assicurata con l’assiduità richiesta, quando i compiti lavorativi e familiari e le stesse condizioni economiche individuali possono divenire inconciliabili con percorrenze, costi e sacrifici che da oggi non potranno che aumentare?

 

Come immaginare che gli insufficienti mezzi a disposizione del 118 – solo oggi, dopo un decesso per infarto a Potenza in cui potrebbero aver concausa i 25 minuti di attesa dell’autolettiga, l’ammissione del S. Carlo di avere a disposizione solo due ambulanze in contemporanea, poco per la struttura a perno dell’intera sanità lucana! – poche eli-ambulanze non adatte per di più al volo notturno e poche auto-ambulanze dotate di strumentazioni efficienti possano caricarsi di compiti di assistenza per una regione intera? Provvederanno i parenti con mezzi propri?

 

Come immaginare che attraverso il day-hospital si possa fornire assistenza quando molto spesso le macchine diagnostiche specialistiche ed il relativo personale tecnico sono stati proprio per esigenze di razionalizzazione concentrati in poche strutture? Il paradosso sarebbe che per un ricovero in day-hospital si rischierebbe di dover trasferire il paziente in strutture centrali per riportarlo al termine degli esami nella prima struttura, con notevoli aggravi di costo. E dove avrebbe la sede il personale per le l’assistenza domiciliare se non in strutture centrali quindi anche qui con aggravi notevoli delle spese di trasferimento di equipe e macchinari?

 

Sembra chiaro che il gioco sia di trasferire funzioni ben remunerate a strutture di assistenza private, esternalizzando il dovere delle amministrazioni alla somministrazione di cure mediche, strutture che lungi dall’immaginarsi come le vecchie cliniche, vanno ad inserirsi in quel filone di servizi medici che impoverisce da anni la sanità pubblica in tutto il paese, in un gioco al massacro in cui tutto ciò che è pubblico “deve” apparire se non inefficiente, superfluo, e tale da dover essere appunto privatizzato.

 

La logica di questo privato non è certo quello della legittima e legale intrapresa medica, qui si va allo smantellamento condiviso di una rete di servizi che pure fanno parte della sanità in quel concetto più diffuso che ci pare una possibile soluzione, ma che si pensa di concedere a strutture politicizzate non partitiche, spesso pseudo-confessionali che, al netto di tanti allarmi di malassistenza citati dai media, molto spesso precarizzano il lavoro dipendente utilizzato in un settore dove la tranquillità lavorativa è una condizione di base per un corretto ed umanizzato servizio all’utenza.

 

Così pur condividendo la logica di un minore peso della sanità sullo scarno bilancio regionale e che comunque nella nostra regione non appare in situazioni disastrose, con bilanci passivi inferiori all’1% annuo, non si comprende come tale deficit non appaia recuperabile da economie di scala basate sul ridiscutere tutti i costi standard, tagliare i costi delle direzioni amministrative e sanitarie, intervenire su meccanismi intra/extra-moenia, reperire sul mercato interno derrate biologiche a chilometro zero per le mense (dati interessanti provenienti dalla asl emiliane indicano con l’uso di derrate fresche una diminuzione del 20% dei giorni/degenza con risparmi conseguenti), la ridiscussione degli appalti, etc.

 

Postare un intero piano sulla riduzione degli ospedali ci pare banale e poco democratico quando tale discussione mai è avvenuta all’interno delle comunità oggetto di quei tagli e dalle cui manifestazioni più pittoresche si può prendere distanza, ma mai passarvi sopra con leggerezza. E si dica piuttosto che la volontà è quella di privatizzare una quota parte di servizi e con l’onestà delle proprie posizioni si guadagnerebbe in un dialogo costruttivo che pare avulso dai metodo di governo di questa regione.

 

Non vorremmo che dopo Tinchi (dove ci parrebbe logica l’allocazione di una struttura di eccellenza per la cura del mesotelioma che in Val Basento ha fatto stragi, caratterizzandosi come una malattia del territorio), altri salissero sui tetti nel nostro inverno rigido.

  

Miko Somma, coordinatore regionale di comunità lucana-movimento no oil