comunicato stampa comunità lucana-movimento no oil

comulucana.JPG

 

 

O la borsa o la vita!

 

 

Chiusasi finalmente la COPAM il cui compito era render edule proto-scientificamente, secondo criteri mass-divulgativi alla Angela, il significato di scelte energetiche prese altrove e che trasformeranno la Basilicata in pila energetica e damigiana petrolifera, è tempo di alcuni bilanci che riescano a superare il gran circo del consenso in scena in questi giorni a Matera e Viggiano, verso cui facilmente intuiamo che una parte delle royalties qualche effetto pur avranno giocato (ognuno pro domo sua).

 

 

In sintesi estrema, si è deciso che in Basilicata la quota di estratto debba approssimarsi alla quota di 180.000 barili/giorno (praticamente il doppio dell’attuale livello) per una serie di ragioni che vanno da un interesse nazionale mai ben compreso (l’ENI è compagnia privata e le altre sono tutte straniere) alle “solite” opportunità per il territorio che fin qui abbiamo potuto apprezzare, ma non è questo forse il punto in discussione, trattandosi per gli idrocarburi di una proprietà esclusiva dello Stato che potrà magari decidere che l’interesse nazionale siano le accise e le tasse sugli idrocarburi da incamerare in un sistema federalista che ben si guarda dall’inserire queste risorse in quelle oggetto di devolution alle regioni (con tanto di avvallo di alcune forze di opposizione), piuttosto che una diminuzione della dipendenza dall’estero per gli idrocarburi di cui non si comprende allora bene la ratio.

 

 

Il punto è che tutto questo viene fatto passare come una libera scelta del territorio che, accortamente allestita una conferenza “scientifica” a tranquillizzare i cittadini, potrà così dare avvallo per mezzo di una opinione pubblica che non si è mai compreso in quali modi si esprimerà o potrebbe esprimersi in simile materia, essendosi forzati sia i termini dell’accordo ENI-regione del ’98 (102.000 barili/giorno il piano industriale), che quelli Total-Regione per Tempa Rossa (54.000 barili/giorno) in funzione non di un aumento teorico tutto sommato poco considerevole (20-30.000 barili/giorno), ma di un precedente che viene così a diventare ammissibile, il superamento di quegli accordi senza reale coinvolgimento delle popolazioni in virtù di decisioni energetiche prese altrove e che si tenderà a rendere sempre più facili (una delle proposte in tal senso parlava di un “semplificazione delle procedure”, la dottrina Scajola, per chi ha più memoria, che recitò questo carme in una visita in Val d’Agri nel 2009).

 

 

Ora se di aumenti delle quote royalties neppure a parlarne (bisognerebbe passare dal parlamento ed ottenere una revisione del decreto 625/96 e successivi provvedimenti), ciò che vien messo sul piatto della bilancia sono delle infrastrutture da costruire (e di cui occorrerebbe meglio valutare la necessità o l’opportunità) e la solita burla del lavoro (1300 posti).

 

 

In cambio di tanta generosità ci toccherà accettare non tanto l’aumento immediato della produzione di estratto per il quale servono prima i pozzi, quanto l’ampliamento dell’unità trattante del Centro Olii di Viggiano, che già fissata in dimensioni e capacità per il citato accordo con ENI, dovendo svolgere il solo ruolo di stazione di pompaggio per il petrolio di Tempa Rossa (dove è in costruzione l’impianto di desolforizzazione specifico), pesa in modo considerevole sull’intera questione per i risvolti sanitari ed ambientali che finora sono stati sottaciuti da monitoraggi di fatto poco lineari e che con la recente istituzione dell’Osservatorio Ambientale si pretende come annullati per ricostituire quel “punto zero” o inizio-emissioni che andrà accettato in quanto tale, staccare cioè una pagina dal libro della storia del petrolio in questa regione.

 

 

A supporto di questa opzione si sono dovuti così processare una serie di dati sulle malattie tumorali e croniche, nei fatti per la prima volta ammesse in aumento (ma mai citare che quest’aumento, la curva si direbbe, è il maggiore d’Italia), sui quali allegramente si è detto dipendere da cause quali aumento dell’età media, maggior capacità di diagnosi e maggiore sopravvivenza, stili di vita, cambiamento del clima globale e mai una sola volta accennando tra le possibili cause all’inquinamento da estrazione e trattamento degli idrocarburi, escluso da ogni ipotesi in una bizzarro aristotelismo alla rovescia e sul quale tuttavia bisognerebbe indagare e non spugnare via con tanta leggerezza.

 

 

Si è cioè esclusa ogni possibilità di concausa con buona pace del metodo scientifico spesso citato, ma soprattutto si è glissato sull’evidenza che mancando dati di riferimento certi dovrebbe essere una analisi basata sul principio di precauzione ex-lege a guidare la lettura dei pochi a disposizione.

 

 

Ma è soprattutto sul fatto che non si è affatto parlato di turismo ed agricoltura (le due vittime principali in rapporto alle estrazioni), quindi di destinazione del territorio, a lasciare intuire che era proprio di ciò che non si doveva parlare, di quale cioè, al netto di ogni polemica o dibattito, debba essere il destino produttivo della regione in rapporto ad una “perforabilità” del suo territorio che oggi diviene certezza, il tasto sul quale spingiamo con maggior forza a ribadire un’altro possibile destino per questa terra.

 

 

Cosa d’altronde ovvia, se la Basilicata deve diventare un hub energetico che non si parli d’altro e che si preferisca una conferenza a mano armata che suona purtroppo come un ….  “o la borsa o la vita!”

 

 

 

Miko Somma, coordinatore regionale di Comunità Lucana-Movimento No Oil