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“Anche se siete assolti, siete lo stesso coinvolti”

  

Che l’inchiesta Toghe Lucane sia naufragata in un sostanziale nulla giuridico chiuderà magari aspetti e posizioni personali che nella legge e nel rispetto  formale delle sue procedure solo possono trovare ragione, smonterà alcuni teoremi di cupole e di “massonicità” del sistema politico-giudiziario lucano,  allenterà quei gravami di collusioni reali tra poteri sul cui sospetto si è retta l’inchiesta e la domanda di giustizia formale più o meno spontaneamente nata nell’opinione pubblica, ma certo lascia aperta la questione di quale democrazia si viva in questa regione quando, a pagine chiuse, è il confronto con la realtà che ci pone di fronte intatte le stesse domande a cui salvificamente qualcuno si era forse illuso di poter trovare risposta con l’inchiesta di un magistrato.

 

 

Chiariamo subito che alla domanda di giustizia relativa alla fattispecie concreta del reato associativo contestato dall’inchiesta era compito della giustizia dare risposta – e risposta è stata data e, piaccia o meno, tale risposta deve essere accettata se si riconosce alla giustizia quella terzietà a fondamento della democrazia stessa – ma è a quelle domande più ampie del contesto specifico che occorre dare risposte, risposte che erano e rimangono tutte politiche.

 

 

E’ questa una società dove il “santo in paradiso” sostituisce il merito ed anche il diritto? E’ questa una società dove la cordata familistica dei vincoli sostituisce la ragione collettiva? E’ questa una società dove si pratica la filiera del consenso oltre ogni logica di benessere comune? Domande politiche e da rivolgersi alla politica, poiché riguardano l’assetto concreto della democrazia nella nostra regione.

 

 

Avere negato la struttura di indagine di quell’inchiesta non significa avere negato altro che legittimità formale di costituire atto di giudizio per la stessa inchiesta specifica, non certo negare le ragioni di un sentire collettivo che il disposto dell’archiviazione di certo non farà morire nelle convinzioni dei lucani, che cioè esista non quel comitato o quell’associazione, ma un modus di gestione della cosa pubblica  che sostiene queste domande ed alle quali non sono i tribunali, ma la politica a dover fornire risposte e non solo sudari di persecuzione.

 

 

In altri termini la domanda che nasce da Toghe Lucane trasla dal senso meramente giudiziario che è contenuto nell’inchiesta, la richiesta di accertamento di verità oggettive in base a fattispecie concrete di reato, al suo senso più intimamente politico che si riassume nella richiesta di fornire prova della non esistenza in questa regione di comitati d’affari e legami trasversali sulla gestione delle maggiori partite economiche, finanziamenti comunitari allo sviluppo del territorio e royalties del petrolio.

 

 

Un’inversione dell’onere della prova che politicamente ha le sue ragioni dal momento che al cittadino ed alla sua esperienza concreta questa domanda ha già in nuce la risposta – quei comitati di affari e quei legami trasversali esistono e condizionano pesantemente il diritto sostanziale d’accesso sia alle risorse che alle loro opportunità a chi non ne faccia parte o non vi faccia riferimento. E difficilmente questa convinzione sarà scalfita da un’archiviazione, poiché convinzione “politica” ormai radicata a cui qualcuno dovrebbe cominciare a dar risposte politiche.

 

 

Ritorna così in mente un “io so tutto, ma non ho le prove” o un “anche se siete assolti, siete lo stesso coinvolti”, ma soprattutto la convinzione che un accertamento di verità giudiziaria non deve diventare  fonte di auto-assolvimento politico di cui oggi ammantarsi anche di fronte ai dati sconfortanti di una regione sostanzialmente al palo nonostante i decenni di gestione in proprio delle risorse comunitarie.

 

 

E così se l’evento giudiziario stabilisce innocenza rispetto all’evento specifico, il teorema tutto politico di una Basilicata “cosa loro” regge ancora, poiché suffragato nell’esperienza di una regione che ha dilapidato miliardi di euro per uno sviluppo inesistente, miliardi che se non spariti nel gran circo delle sodalità e delle filiere di consenso, pongono allora un problema serio di una classe dirigente non più o mai all’altezza dei suoi compiti e che “dovrebbero” essere i cittadini a sanzionare quando, votando, bene farebbero a fare considerazioni oltre il proprio particolare, poiché comitati d’affari, salotti buoni o logge esisteranno fin quando esisteranno cittadini servi o partigiani di interessi e non di idee.

 

 Miko Somma, coordinatore regionale di Comunità Lucana – Movimento No Oil.