comunicato stampa di Comunità Lucana-Mov. No Oil

 

 

E finalmente si scoprì l’acqua calda

 

 

I progressi dell’agire umano vanno sempre incoraggiati, sostenuti e se possibile indirizzati al giusto verso perché non risulti sminuito, o addirittura reso vano, lo sforzo dell’uomo per migliorar se stesso e la propria comunità attraverso proprio l’agire pionieristico.

  

Risulta allora del tutto da incoraggiare, da sostenere e se possibile indirizzare lo sforzo dell’ARPAB che finalmente scopre che sotto il centro olii di Viggiano qualcosa non funziona e – meraviglia – trova appunto nella falda del relativo sottosuolo sostanze inquinanti abbondantemente trattate sopra, nelle fasi industriali di desolforizzazione del greggio. Cosi quell’impianto, finora trattato come un santuario, pare emettere qualcosa che potremmo definire inquinamento, esattamente come altri impianto simili.

  

L’ARPAB scopre allora l’acqua calda e tutto sommato non è neppure la prima volta che la scopre, giacché anche all’impianto Fenice di Melfi scoprì la presenza, nella falda sottostante il plesso, di quel diffuso inquinamento che allora non si volle denunciare pubblicamente, nonostante precisi obblighi di legge, per non diffondere “allarmismo”, ma erano altri tempi, quelli del “tutt’appostismo” sigillitiano, oggi a viale del Basento vige un nuovo corso, il “dialogo tra sordi” che tale registriamo.

  

Abbiamo dunque per la prima volta accertato che quell’attività svolta presso il centro olii di Viggiano inquina e che quindi la nostra agenzia regionale di protezione ambientale funziona? Certamente no, sia in caso che nell’altro, ma che qualcosa non vada per il giusto verso è la prima volta che se ne accorge anche l’ARPA-B, l’unica agenzia ambientale d’Italia che non può validare i propri dati se non attraverso il costoso ausilio di altre strutture e così siamo certi che qualcosa di notevole sia accaduto, e nonostante radicali fuochi fatui che si incendiano ad intervalli regolari, godiamoci la scoperta – si fa per dire – prima che il sudario di una forma ancor più subdola del tutt’apposto cali nei panni di limiti di legge interpretati a mo’ di elastico, agendo sui parametri oggettivi sui quali i limiti stessi sono tarati.

  

Questa volta si considererà il fatto che in una zona di prossimità ad un parco nazionale (e di cui pur contrada Vigne avrebbe dovuto far parte come del resto tutto il fondovalle nella prima perimetrazione del parco nel ’91) quei limiti non si possono considerare alla stregua di quelli validi in qualsiasi zona industriale del paese? Si considererà che tale evenienza accade nei pressi di un bacino artificiale da cui è tratta anche acqua ad uso umano, oltre che irriguo e come tale indirettamente ricadente sulla stessa salute umana? Si considererà, in concomitanza con altri fattori, il rischio di ricadute dirette di un inquinamento sull’agricoltura locale nella collocazione dei suoi prodotti sui mercati in un momento di forte pressione della crisi e che a pagare è sempre la verità e non il mascheramento della stessa?

  

Non parlo così di mera formalità di legge, quanto di quella più sottile attività di programmazione del territorio che pure altrimenti avrebbe dovuto consigliare i fautori della scelta scellerata di allocare in quel punto l’attività e che oggi, alla stregua delle tante contraddizioni, non hanno però imposto alcuna prescrizione ad un impianto che in 25 giorni di sosta per manutenzione pure avrebbe potuto agire per mitigare alcuni effetti. E se Regione nulla disse, Parco commissariato zitto stette.

  

Sul petrolio ed il centro olii di Viggiano siamo giunti alla schizofrenia di un sindaco che nel mentre elogia l’ENI, non concede licenza edilizia per la costruzione di una ulteriore linea di produzione, di 3 lontre, animali notoriamente amanti delle acque pulite che appaiono nel laghetto a poche centinaia di metri dal centro olii – e la notizia fece certo scalpore innocentista – ma spariscono dopo pochi giorni (vista la posizione del laghetto, facile che siano arrivate e andate via in autostop), ma anche di morie di pesci e fioriture algali nel vicino lago, ben più grande, del Pertusillo, di monitoraggi sulle emissioni tanto difformi da far supporre differenti universi matematici di riferimento o di quella ridondante vox populi preoccupata e terrorizzata di quanto accadrebbe al centro olii, ma che fortemente aspira a sistemare un figlio, affidandosi per la bisogna alle consuete filiere oliate del consenso locale.

  

Ciò nonostante, scopriamo grazie all’ARPAB l’acqua calda – l’impianto inquinamento pur produce – e così speriamo di scoprire presto come usarla prima che raffreddi. E tanto per essere più chiari, che si faccia piena luce sull’attività di ciò che non è un santuario inviolabile, ma solo un impianto industriale.

     

Miko Somma, coordinatore regionale di Comunità Lucana – Movimento No Oil.