lettera aperta alla politica ed ai candidati lucani

La composizione delle liste elettorali in Basilicata per le elezioni del 13-14 aprile 2008 non pare dia molta speranza ai cittadini in un reale cambiamento di quelle logiche politiche gregarie di interessi “altri” che hanno di fatto trasformato nei decenni la nostra regione in una colonia.

Non che ci aspettassimo altro dalle segreterie centrali dei partiti, se non la coatta e ripetuta cristallizzazione di poteri consolidati nella politica regionale ed alle cui logiche siamo abituati da tempo, poteri che risolvono in una missione da “truppe cammellate” a sostegno di maggioranze o minoranze il loro ruolo, in sostanza contribuendo a far numero per una politica nazionale priva di idee che traghettino il paese fuori dalla continua emergenza in cui agonizza. Una politica che, lontana da ipotesi di percorsi condivisi dalla collettività e basati sulla partecipazione dei cittadini ai processi di cambiamento, non solo non trova sbocco alla propria crisi di identità ed in sostanza a rappresentare la società nella diversificazione di opinioni ed istanze, ma anzi sacralizza liturgicamente l’indistinta, servile rincorsa ad addentellare gli apparati economici in una trama di commistione irreversibile ed obbligata tra gli interessi collettivi e gli interessi di casta e/o di categoria.  IIn altri termini, se è la stessa costituzione italiana a prevedere la partecipazione alle scelte del paese di classi imprenditoriali e categorie, vero è che ciò dovrebbe accadere in organismi di consultazione previsti e normati, e non in quei salottini buoni, in quei circoli ristretti, in quelle “cabine di regia”, in cui si decide che la gestione di questo paese, delle sue scelte e delle sue priorità debba ideologicamente partire dall’assioma di un consolidato ed irreversibile rapporto gerarchico, in cui sono i poteri forti a dettare l’agenda alla politica, in base a strategie economiche legate al binomio produzione-consumo. Queste elezioni, di cui buona parte degli italiani comprende a stento le ragioni reali, tanto il palazzo è sentito ormai come lontano dalla vita reale, vedono solo apparentemente una spaccatura politica del paese, ma nei fatti proponendoci una dialettica quasi inutile tra i due maggiori programmi elettorali, programmi generici che si somigliano troppo per non apparire ciò che sono realmente, il perno cioè del mantenimento del sistema di potere trasversale ed oligarchico, costruito a misura della rendita garantita di alcune categorie e lobbies, tra cui i petrolieri, che hanno bloccato e bloccano  tuttora con i propri referenti politici diretti ed indiretti il paese in ogni possibilità di raggiungere una modernità non fittizia, non solo economica, ma soprattutto sociale, una modernità che nonostante tutto oggi si esprime in decine e decine di comitati spontanei e gruppi di cittadini che chiedono una nuova politica, più vicina alla popolazione ed ai suoi bisogni reali. Ma di fronte a questa novità, a questa voglia di partecipazione, la cecità della politica di palazzo bolla ormai ogni istanza diretta delle popolazioni come il frutto di un pernicioso partito del no, un ostacolo da superare sulla strada di un modello di gestione da imporre e mai da mettere democraticamente in discussione, dimenticando che i territori e le popolazioni esprimono criticità sostanziali proprio a quei modelli di sviluppo che eludono richieste di democrazia diretta e semplici preoccupazioni che la storia di questo paese ci ha insegnato sempre essere più che reali. Così la politica, piuttosto che dar risposte alle istanze, ha imparato ad utilizzare come clava mediatica la categoria dialettica del “non poter fare” ciò di cui il paese ha bisogno per l’ammodernamento, per le sfide della globalità e della competizione, continuando ad imporre modelli che utilizzano l’interesse nazionale come una foglia di fico, ma che in realtà sono prima di tutto espressione di interessi privati al “fare” una cosa piuttosto che un’altra.

Nell’assenza di strategie virtuose ed innovative su argomenti tangibili come energia, rifiuti, trasporti, si reprimono le popolazioni che esprimono dissenso e si costruiscono infrastrutture inutili e dannose, con unica costante il soddisfacimento degli appetiti di un partito del “fare” dagli appetiti giganteschi. 

Ed è proprio in questa subalternità cronicizzata della politica a quei grandi aggregati economici che stabiliscono il destino di intere aree del pianeta che può leggersi molto chiaramente quanto accade nella nostra regione sul petrolio. L’attuale regime di trivellazioni selvagge in Basilicata, la cui superficie interessata è pari al 60% sulla base sia di istanze e permessi di ricerca , che di istanze e concessioni di coltivazione di idrocarburi, oltre ad oleodotti e centri oli, ciò è solo la parte macroscopica di un disegno di abbandono della regione, delle sue vocazioni e potenzialità, in sostanza della vita dei suoi abitanti, alle cupidigie di multinazionali e centri di poteri forti.

Utile è ricordare che è tutta la regione a soffrire di scempi ambientali, di snaturazioni economiche e produttive, di precarizzazione del lavoro, delle esistenze, della destinazione dei territori, di gravi condizionamenti democratici, e ricatti occupazionali e volatilità degli investimenti ne sono parte integrante, in un processo di resa al dominio di multinazionali votate per intrinseca natura all’utile di impresa, e non certo alla tutela dell’ambiente, della vita, della democrazia come voci di bilancio.

Dall’acqua minerale del Vulture regalata alla coca-cola, che prevede il raddoppio di produzione controle regole di gestione delle fonti, all’acqua per usi potabili in via di privatizzazione, con forzosi passaggi di titolarità delle fonti dai demani ad una società di capitali per il momento pubblica – domani si ritorna ai progetti della Lanzillotta? – dalle coste consegnate ad immobiliarismi vacanzieri eco-onnivori e dalle appendici molto inquietanti, alle creste montuose, svendute per pochi spiccioli di eolo-royalties, che se faranno cassa a piccoli comuni di montagna privi di risorse, invadono però di enormi pale eoliche, senza la minima idea di programmazione territoriale, spazi riservati alla natura, dai boschi e dall’agricoltura, presi di mira dal business bio-massa/bio-carburante, ai progetti di allocare in regione piattaforme per rifiuti tossici provenienti da tutta Italia, dallo stoccaggio di metano in pozzi esauriti ai progetti delle centrali a turbo-gas, dai mai sopiti progetti di sistemare in regione un sito unico di stoccaggio nucleare alla ipocrisia del sito di Rotondella che accoglie barre di materiale fissile, è l’intera regione ad essere colonizzata economicamente…e potremmo andare avanti con l’elenco! Se è opinione comune dei cittadini lucani che quanto accade nella regione sia ormai una cronaca consolidata non più di quel prezzo da pagare ad un futuro migliore che avrebbe riscattato dalla storica povertà di cui questa terra soffriva, nell’amarezza dolente raccontataci da Zanardelli, Levi, De Martino, come alcuni pur presentarono l’affare multinazionali, ma di devastazione pura e semplice, di sacco vandalico, nella coscienza comune di questi cittadini c’è la convinzione che se tutto questo accade e viene permesso dalle classi politiche locali – e questo accade e viene permesso! – vi sono due ordini di motivazioni per tentare di capire perché questo accade e viene permesso:

  • esiste ed alligna nelle nostre classi dirigenti un pernicioso senso dell’interesse generale che, in base ad idee superate nei fatti, le spinge sulla strada di uno sviluppo tutto basato sui parametri numerici e per nulla sul benessere delle popolazioni, avallando le richiesta delle multinazionali in cambio di royalties da immettere nei circuiti economici regionali come veicolo di una crescita economica impossibile, seguendo la logica delle fasi storiche dei processi storici di sviluppo nei paesi occidentali, in ciò peccando non solo di una gregarietà a modelli liberisti di auto-governo dell’economia abbandonati quasi ovunque, ma di grave sudditanza a classi imprenditoriali non sempre eticamente cristalline, che su questo concetto ideologico hanno costruito la pratica di un “capitalismo ”straccione” all’italiana, colpevole dei maggiori ritardi strutturali del paese.
  • esiste ed alligna, nella più drammatica sintesi di ciò che è la storia ad insegnarci essere il ruolo della politica in un territorio colonizzato, una classe politica che, in base a rapporti di tipo baronale tra gli elettori e gli eletti a cui è affidata la continuità stessa di un sistema di clientele e complicità diffuse e volte al consenso acritico in cambio di “favori” progressivamente più marginali lungo la piramide dei poteri stabiliti, innesta su se stessa l’interesse esterno della multinazionale allo sfruttamento di risorse locali per il mantenimento di un sistema di poteri e privilegi che nulla ha a che fare con la democrazia reale.

Alla luce di quanto descritto, possono i candidati lucani, scelti in base alla fedeltà ad un sistema politico gregario ai grandi affari che si consumano in regione, essere un bastione contro un presente di sfruttamento? O potrebbero essere altro che la riproposizione fine a se stessa di un sistema di poteri arcaici traslatosi nella modernità, ma che neppure vuol cambiare tutto per non cambiare nulla?  In questi giorni, tornato al primo posto dell’agenda politica lucana il dramma del petrolio estratto in regione, le bizzarrie e le capriole all’ultimo voto si sprecano, rivelando tutta la piccolezza di questi candidati piccoli, piccoli…qualcuno vuol ricontrattare con l’ENI royalties stabilite per legge (praticamente un inganno ben prima degli accordi del ’98), qualcuno vuol tirar giù il prezzo dei carburanti, qualcuno agita i risparmi sulle bollette del gas, qualcuno vuole il raddoppiare la fondovalle dell’agri e prima voleva il ponte sul Pertusillo ed in realtà non sa neppure lui cosa voglia. In questa girandola di dizioni contorte che non rendono giustizia alla dignità dei dialetti lucani, di giravolte sulle proprie scarse idee, di strette di mano e promesse di un interessamento al lavoro del figlio di questo, della pensione di quello, del finanziamento per la fabbrichetta di abitini per lombrichi, di uomini e donne calati da Roma a rappresentarci, dello struscio sorridente lungo il corso principale, delle promesse di una convenzione alla regione in cambio di appoggio elettorale, di un assessorato in cambio della simpatia, della desistenza o della benevolenza, in questa girandola di volti e parole che suonano come terribilmente vetusti in un mondo che sta imparando a chiedere di cambiare metodo, sistema, parole, fatti, il comitato no oil potenza chiede a questi candidati di esprimersi su quanto accade in questa regione, su come impedire che accada ancora, su come si impegneranno per fare in modo che la Basilicata si salvi dalla devastazione ed i lucani tornino ad essere protagonisti del proprio presente e del proprio futuro.  Miko Somma, portavoce del comitato no oil potenza

Un pensiero su “lettera aperta alla politica ed ai candidati lucani

  1. Miko,

    ti giro un interessante messaggio, corredato da video, pervenuto dal gruppo QuiMateraLibera:

    Ciao a tutti.
    Vi linko un video sulla disinformazione
    e sulle intimidazioni subite da normali cittadini,
    alla faccia della libertà di espressione.
    E’ un convegno sulla “termovalorizzazione” tenutosi
    a Matera qualche giorno fa e ripreso dal meetup matera 2
    e dal gruppo QuiMateraLibera.

    guarda il video:
    http://it.youtube.com/watch?v=LYKCOdU0A30

    grazie
    e buona visione

    L’argomento trattato, nonchè la modalità, potrebbe essere spunto di riflessione per un eventuale Post. Infatti il problema Inceneritori ci riguarda molto da vicino nonostante i ns. amministratori/dipendenti, con un restyling verbale, lo definiscono Termodistruttore quello che altro non è che un inceneritore di vecchissima generazione.
    !!!!!Pallarete e MonteGrosso la montagna delle meraviglie!!!!!!

    A presto
    Rocco V.

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