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More iudicio ed una regione muore

  

Lascia interdetta la pubblica opinione la notizia della “promozione” di indagati per gravi reati (se confermati e giudicati tali) ad altri incarichi nell’organigramma della Regione Basilicata – i principi di saggezza e dignità avrebbero suggerito altri comportamenti, anche in presenza di rapporti di lavoro ad oggi non passibili di sanzioni – con ciò confermandosi la ormai generale opinione di una preoccupante melassa che impasta l’operato della politica regionale.

 

 

Questo paradigmatico aspetto dello scollamento tra chi prende (o non prende) decisioni e la legittima preoccupazione delle nostre comunità che ben altre priorità sovra-intendano alla tutela di salute ed ambiente, si materializza nella sentenza del TAR Basilicata che boccia, su ricorso della proprietà dell’inceneritore Fenice, la mal congegnata determina della Provincia di Potenza che ne sospendeva l’esercizio, pur in distinzione doverosa tra piani di legittimità, l’uno quello strettamente legato alla giustizia amministrativa che giudica sugli atti in rapporto alle leggi – e che non tocca al sottoscritto sindacare – l’altro però più squisitamente politico e programmatorio che chiama in causa Regione e Provincia su uno status quo ante di cui non si è tenuto conto se non al presentarsi di una notizia di reato.

  

In altri termini, se la Provincia accampava a motivo di precedenti decisioni (o non decisioni) in merito all’inceneritore ed al suo iter autorizzativo gli scarni “tutt’apposto” inviati dall’ARPAB ed una non potestà legislativa tipica dell’ente, chiamando in qualche modo in correo l’attività mancante in tal senso della Regione, è solo in seguito agli arresti che la situazione precipita, crollando di colpo il castello di rimpalli che aveva consentito fino a quel momento a Fenice di procedere la propria attività anche di fronte ad un inquinamento conclamato da tempo, così dandosi luogo ad una decisione dirigenziale facilmente cancellata dal TAR.

  

Il problema non è così nel TAR che applica la legge in rapporto agli atti amministrativi, ma in atti amministrativi che o sembrano fatti apposta per essere bocciati (con ciò mallevando ogni responsabilità politica in un gattopardismo inquietante che lascia il mondo così com’è) o fatti male per oggettiva imperizia burocratica (e con ciò sollevandosi ben altre domande), in una più generale riflessione che provo a sintetizzare in un “ma a chi serve Fenice?”.

  

Certo non alla Basilicata che, se ottemperasse alle leggi, già entro il 31/12 (franco proroghe) del corrente anno deve raggiungere il 60% di raccolta differenziata pena commissariamento del sistema rifiuti ed è ben lungi dal farlo, certo non al sistema FIAT di S. Nicola di Melfi ed i cui rifiuti termodistrutti a Fenice divengono sempre più esigui nell’altrettanto esigua fornitura elettrica derivante dall’inceneritore, certo non alle popolazioni locali che non comprendono la natura causale dell’avvelenamento della propria terra ( a meno di non ritirare fuori la desueta bufala dei posti di lavoro).

  

Il nostro movimento continua a proporre quel piano regionale dei rifiuti da noi elaborato che pare al momento l’unica proposta globale e coerentemente coesa intorno al tema degli RSU e di una loro gestione virtuosa ed alla necessità di “toglier benzina” agli inceneritori, ma resta la domanda che ora si apre sull’atteggiamento della Regione in merito alla programmazione in tempi rapidi di una gestione “a freddo” dei rifiuti urbani nell’ottica del massimo recupero di materia prima e compost bianco da questi, ma nello specifico di quale risposta ora si intenda mettere in campo per recuperare quella supplenza di potestà riempita dalla sentenza TAR.

  

Ricorso al Consiglio di Stato, ovviamente, come da iter procedurale, ma nella richiesta della massima cura legale dello stesso da parte di Regione ed Enti interessati e pieno supporto da parte della politica regionale, superando l’equivocità fin qui percepita sulla vicenda Fenice.

  

E ci permettiamo di aggiungere che a prova di una auspicabile e nuova volontà di tutela del proprio territorio, l’avvio di una causa per un cospicuo risarcimento del danno prodotto sino ad oggi dall’inquinamento conclamato di Fenice sarebbe un passo doveroso verso una terra che non è una colonia e verso un popolo che non è servo. E dovrà essere il primo passo di una serie di passi per ridare dignità ad una regione troppo calpestata per interesse dei pochi e danno dei tanti.

  

Non si perda altro tempo, perché non permetteremo mai che, more iudicio, la regione muoia.

  Miko Somma, coordinatore regionale di Comunità Lucana- Movimento No Oil