le parolacce

vi posto questo estratto da un articolo di italo calvino (Una pietra sopra, 1980. Articolo pubblicato inizialmente su Corriere della Sera, 12 febbraio 1978, col titolo: Al di là della polemica sul parlar greve alla radio. C’è parolaccia e parolaccia)…spero di fare cosa gradita…soprattutto a chi delle parolacce sembra non riuscire più a fare a meno nella comunicazione…

Le parolacce (I. Calvino)

 […] una volta che si è ben coscienti degli aspetti conservatori o regressivi dell’uso delle parole oscene, si può ben apprezzarne l’insostituibile valore, che classificherei in tre ordini, di cui ogni giusto uso deve tener conto.
Primo: la forza espressiva, per cui la locuzione oscena serve come una nota musicale per creare un determinato effetto nella partitura del discorso parlato o scritto. Questo implica una speciale orchestrazione, che subordina tutto a quell’effetto, se no la forza espressiva si ottunde, si logora, si spreca. […] Bisogna soltanto preoccuparsi che la parola non perda la sua forza, cioè sia usata nel momento giusto: se diventa d’uso corrente e anodino, non suonerà più con quel rilievo cromatico che costituisce il suo valore. Questo sarebbe una perdita per la nostra gamma espressiva. Le parole oscene sono esposte più delle altre a un’usura espressiva e semantica, e in questo senso credo ci si debba preoccupare di “difenderle”: difenderle dall’uso pigro, svogliato, indifferente. […] La nostra lingua ha vocaboli di espressività impareggiabile: la stessa voce “cazzo” merita tutta la fortuna che dalle parlate dell’Italia centrale le ha permesso di imporsi sui sinonimi dei vari dialetti. […] Va dunque rispettata, facendone un uso appropriato e non automatico; se no, è un bene nazionale che si deteriora, e dovrebbe intervenire “Italia Nostra”.
Secondo: il valore denotativo diretto, cioè l’uso della parola più semplice per designare quell’organo e quell’atto quando si intende parlare davvero di quell’organo o quell’atto, prescindendo il più possibile tanto dall’eufemismo quanto dall’uso metaforico. C’è un atteggiamento diciamo di “laicizzazione” delle parole oscene, nel senso di impiegarle né più né meno come si adopera qualsiasi sostantivo di cosa concreta o d’azione, dissolvendone l’alone sacrale […].
Terzo: il valore di situazione del discorso nella mappa sociale. L’uso di parole oscene in un discorso pubblico (per esempio politico) sta a indicare che non si accetta una divisione di linguaggio privato e linguaggio pubblico, una gerarchia sociale di linguaggi eccetera. Per quanto comprenda e anche condivida queste intenzioni, mi sembra che il risultato di solito sia di un adeguamento allo sbracamento generale, e non un approfondimento e uno svelamento di verità. Credo poco alle virtù del “parlare francamente”: molto spesso ciò vuol dire affidarsi alle abitudini più facili, alla pigrizia mentale, alla fiacchezza delle espressioni banali. È solo nella parola che indica uno sforzo di ripensare le cose diffidando dalle espressioni correnti che si può riconoscere l’avvio di un processo liberatorio.