c.s. – una lotta per la sopravvivenza della Lucania

                – Comunicato stampa del comitato no oil Lucania- 

Il sistema del controllo politico-sociale lucano non nasce ieri, derivando piuttosto da un passato non recente, i sessanta anni a cavallo tra la repubblica partenopea di Mario Pagano, i moti carbonari del 1821 e la spedizione garibaldina. E’ in quegli anni che nuovi protagonismi sociali si affacciano sulla scena meridionale, il protagonismo di quelle classi liberali che in virtù di una propria maggiore rilevanza economica e sociale, assunta nel corso di decenni in cui il mondo era in rapida trasformazione, mancavano di adeguata rappresentanza politica nella società borbonica, una società cristallizzata nel mantenere un ordine sociale ferreamente basato sugli elementi della nobiltà.proprietà terriera, del clero-controllo delle coscienze, del sovrano-garante dell’ordine costituito di cui la restaurazione del congresso di Vienna dopo il bonapartismo era stato il manifesto ideale di una immutabilità storica della società.Ma avvocati, notai, medici, farmacisti, scrittori, imprenditori, classi su cui reggeva il peso economico di un sistema sclerotico di privilegi anti-storici, ed alla cui rilevanza sociale non corrispondeva un “peso” che assicurasse un’identità che da sociale necessitava di trasformarsi in politica, guardavano ormai da anni al processo savoiardo di unità d’Italia come garante di un cambiamento negato dalla società dei re napoletani, cambiamento al contrario sentito come promesso da un processo unitario che una volta compiutosi, lungi dal poter escludere proprio quelle classi sociali intorno alle quali si era organizzato il retroterra ideale del consenso al progetto unitario non poteva e non voleva in alcun modo prescindere dalla partecipazione diretta di quelle classi alla gestione del territorio e dei rapporti socio-economici.Ovvio che se nei decenni precedenti le resistenze ideologiche e reali dei ceti dominanti, veicolate dalle repressioni esemplari di moti e tentativi insurrezionali e da assidue pratiche di repressione quotidiana di ogni eventuale dissenso, repressioni condotte con la carota ed il bastone di fede, lavoro e galera, avevano spinto alla segretezza carbonara tutti coloro che sentivano con differenti spiriti e sensibilità la necessità di cambiamenti radicali, fu proprio su quella segretezza carbonara che ebbe un facile gioco l’innesto delle logge massoniche, ideale terreno di incontro tra quei settori della società borbonica più accorti alla propria sopravvivenza sociale dopo la prevedibile, inevitabile sconfitta del vecchio regime e quella nuova società “piemontese” che, avendo bisogno sia di territori vergini che di risorse materiali ed umane per un progetto di avvicinamento all’Europa di cui Cavour e la sua politica era il garante nei salotti buoni del continente, necessitava ora di un controllo ferreo dello status quo. Quando si parla di “notabilato liberale” si descrive un “fatto politico” accaduto allora in tutto il sud come nella nostra regione, un sovvertimento di un ordine sociale preesistente che, spinto e guidato da una differente visione del mondo e dell’economia, stabilì nuovi rapporti di forza nella società.Tale sistema di controllo, perfettamente ramificato anche nelle realtà territoriali più marginali attraverso le immancabili figure della “gente perbene”, viene con il tempo a costruirsi come più ampio coacervo di poteri capace di eleggere i suoi rappresentanti politici diretti, di veicolare quindi un ampio consenso nella società in cambio del mantenimento dei rapporti di forza ed influenza esistenti e di clientele di cui i finanziamenti sulle opere pubbliche erano spesso il pagamento per i servigi resi. Parliamo di un sistema politico in cui il voto, stabilito sul censo, quindi sulla capacità economica, era di fatto organizzato sull’esclusione dall’esercizio della democrazia delle masse contadine ed urbane, un sistema di rappresentanza diretta che non prevedeva alcuna o quasi partecipazione popolare, ma che negli anni seguenti riesce a costruire un consenso che, accompagnato dall’influenza socio-economica e culturale, e spesso dal potere di ricatto di quella stessa influenza, i notabili potevano contare in una società di analfabeti, trasla indenne sia attraverso la progressiva estensione del diritto politico fino al suffragio universale (disinnescato in buona parte dall’incoraggiamento all’emigrazione), sia nel periodo fascista, sia nel fobico dopoguerra democristiano, arrivando nella sua composizione quasi indenne ai giorni nostri, mutando certo abitudini e costumanze, ma non certo il vizio di fare sempre “cosa nostra”, chiudere cioè ogni decisione in un recinto salottiero esclusivo, ma a cui potere sedere dimostrando di essere parte di un rapporto di forza, qualunque esso sia.L’analisi storica accennata non è un accademismo di diporto, ma serve a comprendere come in questi anni la potenza economica di alcune multinazionali sia penetrata nella nostra regione, impadronendosi delle risorse, ed a volte di ampie porzioni di territorio, mostrando una forte capacità sovradeterminante  di influire sulle scelte generali nella più perfetta delle logiche coloniali, logiche che, come l’esperienza diversa eppure così uguale delle colonizzazioni britanniche insegna, non prevede la sconfitta totale di ogni avversario, ma più spesso ricerca l’alleanza con i poteri locali precostituiti, a cui viene assicurato sia il mantenimento dei propri privilegi, sia una quota parte dell’affare (in questo caso la gestione delle risorse petrolifere), in cambio di un clima di consenso fatto di blandizie, promesse, silenzi e deviazioni.In altre parole l’affare petrolio in Lucania (ma il sistema funziona allo stesso modo sia per l’energia in generale, che per acqua, rifiuti, turismo e gestione di territorio e finanziamenti statali e comunitari) si ammanta sin da subito di un fosco sudario di distorsione sistematica della realtà, distorsione fatta di cifre che non corrispondono mai, di sodalità del sistema dell’informazione, di rassicurazioni generiche da parte di inutili organi di controllo, di mancanza di volontà politica di avviare indagini ed ispezioni per dare risposte a dubbi e domande, una distorsione utile a deviare l’interesse dell’opinione pubblica dal cuore dei problemi che riguardano le estrazioni petrolifere, costi ambientali, per la salute umana, per le vocazioni produttive originarie, e che lascia il posto ad una generale disinformatzjia sul problema.Tale disinformazione sistematica serve ovviamente alle multinazionali, ma serve anche al trasversale principio di conservazione del potere delle classi politiche trasversali ai partiti stessi, imprenditoriali, edili in primo luogo, professionali, dell’informazione, classi il cui interesse sembra risieda nell’affare del petrolio lucano più di quanto non debba risiedere nel proprio lavoro.

Fa parte di questa disinformazione, oltre ai balletti di cifre contraddittorie, alle rassicurazioni che non rassicurano nessuno, alle solite promesse di sviluppo e lavoro – che se dopo dieci anni non è arrivato, e quando arriverà? –  al dispiegamento di mezzi di blandizie e di false rappresentazioni di un interesse pubblico che pare latitante, agli sprechi a pioggia di risorse finanziarie, l’auto-assolvimento collettivo di una presunta ineluttabilità alle estrazioni, una necessità a cui non potersi sottrarre o un dovere morale al sacrificio in nome della comunità generale fatto passare per la categoria dell’interesse nazionale, anche lì dove di interesse nazionale non esiste nulla (tenendo conto che l’Eni è una s.p.a. a gestione privatistica, e seppur il governo ne possegga la golden share, l’eventuale cessione a fini di riequilibrio di bilancio dello stato è tuttavia possibile, a trivellare la Lucania sono anche multinazionali estere).

E quando parliamo di conservazione della politica, è la politica a tutti i livelli, dai segretari cittadini di partiti ai sindaci, dagli assessori regionali ai consiglieri comunali, nell’interdipendenza tipica tra tutti i livelli territoriali ad essere parte in causa in quanto sistema (fatto salvo il generale principio dell’onestà, sempre da verificare e senza il quale è la democrazia stessa a perire nel sospetto). E quando parliamo di imprenditori, parliamo della lobby degli imprenditori edili e del movimento terra (sarà casuale che un comparto importante dell’economia lucana siano le costruzioni e che i fondi del POR Val d’agri vadano spesi prevalentemente in opere edili?), degli imprenditori dei rifiuti (i fanghi di estrazioni vanno pur smaltiti ed ecco che sorgono o sorgeranno impianti genericamente destinati anche ad altri rifiuti speciali tossici, ma di cui non vi è produzione in questa regione) e di imprenditori della fornitura di macchinari, logistica e materiali vari, delle associazioni di categoria (utile ricordare il peso di categoria degli edili nei direttivi e nei consigli) e quando parliamo di professionisti, parliamo di alcuni ingegneri immancabili ed alcuni umili geometri, di alcuni vanagloriosi architetti ed alcuni tecnici tranquillizzanti e di direttori di enti di controllo e di tutto un bestiario professionale che ruota intorno ai lavori di infrastruttura di cui le estrazioni hanno bisogno e che sono il motivo per cui non esiste un solo imprenditore del settore che non veda il petrolio come una manna piovuta dal cielo.In realtà estrarre petrolio in Basilicata è conveniente per le compagnie che pagano il 7% di royalties (d.l. 625/96) e non hanno alcun obbligo di tutela che non si stabiliscano da soli, per i politici nazionali di centro-destra-sinistra che capitalizzano i ringraziamenti dei petrolieri, destinando infine la regione al ruolo di produttore di energia non rinnovabile, idrocarburi e forse la centrale nucleare nel metapontino, in aggiunta al sito unico di stoccaggio ed al “regalo” colombiano della Trisaia di Rotondella, di energia rinnovabile, seppure campi eolici sterminati o l’incenerizione di biomasse provenienti dai Balcani siano ancora da considerarsi fonti rinnovabili – magari lo sono i rifiuti mascherati da bio-masse che a quegli impianti “ecologici” verrebbero avviati – ma è conveniente anche per i politici locali, che se non sono degli emeriti ingenui incompetenti, allora prendono mazzette per non vedere il disastro di una regione in balia di 41 istanze e permessi di ricerca petrolifera), per imprenditori e professionisti a caccia di una fetta di PIL, per alcuni giornalisti che accettano inviti di una multinazionale a visitare impianti petroliferi in giro per l’Europa, infine è conveniente per alcuni lucani che beotamente continuano a credere alle fiabe dello sviluppo senza aver visitato la Val d’Agri e parlato con uno solo dei suoi abitanti.In questa regione occorre resistere, resistere per sopravvivere, resistere per costruire la democrazia che non abbiamo, resistere per ritrovare la dignità sottrattaci come le risorse, resistere perché insieme alle richieste che portiamo con la nostra petizione popolare, e che mirano a costruire tutele reali per la salute umana, per una economia sana, per una programmazione del territorio rispondente alle proprie vocazioni originarie, per una politica di rispetto della Terra e della nostra terra, vi sia presa d’atto che è questo sistema economico, sociale, politico a trasformarci in consumatori e non in cittadini, è questa globalizzazione dello sfruttamento e della marginalità a trasformarci in ruote dentate di un ingranaggio senza fine, è questo mostro della speculazione eretta a sistema che, lungi dall’essere vera società di mercato, in cui ciascuno è parte attiva, è solo un mercato della società, in cui pochi oligopoli svendono esistenze, speranze, salute, diritti, passato, presente, futuro di intere comunità in cambio di una fetta di profitto che odora sempre più di una dittatura opprimente del denaro come pensiero unico. Il comitato no oil Lucania, nell’affermare la propria appartenenza a questa comunità messa in pericolo, nel ribadire di voler essere un onesto patrimonio di idee da condividere con questa stessa comunità, chiede ai lucani, a tutti i lucani, di riappropriarsi con la gioia della democrazia della propria terra, delle sue risorse, delle sue storie, della sua natura, della sua dignità mortificata dalle condanne alla mitezza che suonano come i fischi del pecoraio, di trovare la forza di tappare le proprie orecchie al canto delle sirene, di reagire con fermezza e provare tutti insieme a costruire, qui ed adesso, nella nostra regione, con noi, un altro mondo possibile, un altro mondo necessario. 

Miko Somma