riflessioni…

I dati venuti fuori dalle urne, e oggi evidenti nelle difficoltà a comporre un governo, testimoniano certamente una necessità di cambiamento, d’altronde visibile, sulla cui qualità però molti analisti e cittadini si stanno interrogando, vista la sua palese illeggibilità immediata tra i visceralismi anticasta ed i ragionamenti più o meno meditati che pur compongono una richiesta di cambiare non solo passo, ma gambe, ma testimoniano anche e come conseguenza di uno stallo istituzionale molto pericoloso. 

Ma prima di continuare, vorrei premettere subito che la principale responsabilità della attuale situazione è tutta da postarsi sulla incapacità del PD di leggere la realtà che poco per volta si stava componendo intorno ad un paese senza più punti di riferimento nella crisi economica e nel quale le sofferenze economiche e sociali diventavano sempre più acute persino per strati sociali che si ritenevano fino ad oggi al sicuro, ed essere conseguente a questa lettura nell’impostazione di un proprio ruolo di alternativa politica, ruolo d’altronde evidente dopo i distastri berlusconiani ed il governo tecnico, in una previsione politica generale che solo fino al dicembre scorso lo vedeva come il vincitore certo della competizione elettorale, tanto che fino all’ultimo momento la proposta di modifica delle elegge elettorale si giocava sul suo raggiungere o meno, in coalizione, almeno il 42% dei consensi.

Ma la prima responsabilità del PD è  nel non aver richiesto a gran voce di andare subito ad elezioni all’indomani della caduta rovinosa di un governo di destra la cui inefficienza ed inerzia era divenuta pericolosa per la minima tenuta del paese, e di essersi del tutto appiattito su una presunta necessità dell’avere al governo un tecnico di cui purtroppo sin dall’inizio era chiara la vocazione a non esser tale, nella complicità colposa del Presidente della Repubblica che pur gli aveva dato un incarico ad occhi chiusi e seggio a vita senza tuttavia neppure pensare di limitarne la sfera d’azione a quei pochi provvedimenti urgenti che erano necessari per la tenuta immediata dei conti del paese, un tecnico così chesi era presto rivelato ideologicamente orientato a quella macelleria sociale senza precedenti che ha devastato ulteriormente il paese in nome di un controllo dei bilanci che sarebbe stato più urgente ed utile ricontrarrare in Europa, sbattendo se possibile i pugni sui tavoli, che imporre al pese con logiche recessive di austerity guidate da un feroce spirito ideologico. 

Spirito che era tipico dei salotti buoni dell’economia e dal quale il PD è sembrato poco distinguersi, finendo per diventare agli occhi dell’opinione pubblica da un partito a forte senso di responsabilità istituzionale di fronte alla prospettiva di una catastrofe finanziaria, piuttosto un partito complice di un sistema che faceva pagare i conti di una crisi creata dalla speculazione finanziaria e dall’assurda gestione dei debiti pubblici ai popoli invece che chiederne conto a chi proprio da quei salotti era stato invitato negli anni precedenti a finanziarizzare sempre più l’economia produttiva nel ricorso a titoli finanziari rivelatisi poi tossici, ed i bilanci dello stato nell’invito a mettere sul mercato internazionale quote crescenti di debito pubblico che andavano ad originare la speculazione sui titoli di stato e la conseguente dipendenza dei governi dal sistema finanziario stesso. Primo errore di fondo dunque fondere la propria immagine con quella macelleria, partecipando a volte del tutto acriticamente ad un consenso poco meditato e troppo spinto da quel senso di necessità che a tanti è parso solo una banale cialtroneria conviviale ad un desco senza progetto utile al paese reale e non certo il meditato e sofferto percorso sul quale si è voluta costruire un’immagine di responsabilità.

La seconda, ancor più grande responsabilità del PD è nell’aver condotto una campagna elettorale in cui il profilo è stato talmente basso da essere percepito come assente alle risposte sociali ed economiche che la popolazione attendeva, risposte che invece erano divenute nel frattempo preda di populismi e vagheggiamenti riassumibili nelle posizioni elettoralmente più comode del PDL e di Grillo. 

In sintesi ciò che è apparso chiaramente è stato un PD alla difesa del sistema, un partito di sistema dunque, colluso e complice di dinamiche che nel frattempo si svelavano in scandali continui, dove pur se in via minoritaria al PDL, era comunque sentito partecipe, un partito che così faceva appello ad una sorta di senso di responsabilità auto-assuntosi ad unico motivo per cui votarlo.

Un partito stanco, dopo essersi sfiancato in una lotta intestina alle primarie, e che non è mai entrato nel merito di alcuna proposta convincente a livello comunicativo, mentre comodamente gli altri facevano campagna elettorale giocando al rialzo dell’offerta elettorale.

Infine ancora gli appelli al voto utile e le proposte di desistenza, percepite dai più come isterismi verso forze politiche che prima erano state emarginate per quello spirito di auto-sufficienza che già fu di Veltroni, ben riassunto in quella vocazione maggioritaria del partito che dette origine alla sconfitta elettorale del 2008 ed alla cancellazione delle sinistre dalla rappresentatività, e poi si pretendeva di blandire ed ammansire con appelli tardivi e fuori da ogni logica.

Non poco infine ha contato l’aspetto un po’ blaséè di Bersani, così emiliano nella sua comunicazione a base di giaguari da smacchiare, di frasi tronche perché a suo giudizio tutto era chiaro e si poteva ben riassumere in una alzatina beffarda di spalle ed un sorrisetto, di appuntamenti elettorali al chiuso e percepite come riunioni private ed un po’ borghesi, di liste che seppur “primarizzate” molto poco avevano dato il senso di un reale rinnovamento politico anche lì dove si era riusciti a praticare la “faccia nuova” (e comunque sentita sempre come d’apparato). In sostanza il PD non proponeva politica e politiche, ma conservazione degli organigrammi in una verniciatina di gioventù, tra le altre in molti luoghi neppure praticata.

E tutto questo mentre Berlusconi si magnificava sul suo mezzo più congeniale, la televisione, dove poteva montare e rimontare ogni verità possibile ed immaginabile nella regia di un evento che racconta favole ed a cui nessuno chiede possano diventare realtà, quanto piuttosto che facciano show – ed il personaggio è un istrione gigionesco avvezzo alle regole della comunicazione per icone di ragionamento, più che per ragionamento stesso – e mentre Grillo occupava le piazze reali e virtuali con una presenza militante d’altri tempi ed urlava rabbia facile a chi quella rabbia non chiedeva altro che di sentirla urlare in un programma totalmente intercambiabile con ogni appartenenza politica pregressa delusa, al più condita con l’auspicio di una democrazia diretta dove tutti parlano ed il movimento decide, senza che tuttavia si sia capito chi ne sia il direttore d’orchestra – un altro istrione, a mio dire para-fascio-nazionalsocialista, se è vero come è vero che, nelle inevitabili differenze storiche e culturali, entrambe le derive autoritarie si siano nutrite di generiche condanne alla corruzione dei governanti dell’epoca per trovare consensi che i rispettivi programmi non sembravano riuscire a conquistare. 

Ma questo è ieri  ed occorre parlare dell’oggi, un oggi che recita di una maggioranza di governo quasi impossibile a formarsi nei veti incrociati e nelle prospettive concrete, mentre si approssima velocemente un nodo istituzionale che, non sciolto, condurrebbe il paese al blocco delle filiere democratiche, in presenza di una maggioranza bulgara per il centrosinistra alla Camera dei Deputati ed una maggioranza relativa risicata ed insufficiente ad ogni ipotesi di fiducia al Senato.

Appare ormai chiaro a tutti che se le camere si riuniscono entro 15 marzo, (art. 61. cost. comma 1, 1° capoverso “La prima riunione ha luogo non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni.”, e nella migliore delle ipotesi è solo intorno al 20 – 21 marzo che queste diventeranno operative (nella necessità non banale e non semplice visto il quadro politico, di nominare prima i rispettivi presidenti) e si inizierà la consultazione ufficiale tra i partiti con il Presidente della Repubblica, che, ricordo a norma di Costituzione è colui che può dare incarico ad un Presidente del Consiglio. Così è solo da quella data che potrà partire un discorso ufficiale sull’incarico, dovendo il primo in pochi giorni darlo sulla base di una maggioranza ricavabile proprio dalle consultazioni in entrambe le camere.

Ed in tutti questi passaggi non semplici c’è appunto il nodo, quello della scadenza del mandato del Presidente della Repubblica che dal 15 aprile cessa le sue funzioni, pur formalmente rimanendo in carica fino a metà maggio, data entro la quale occorre eleggere a camere congiunte e con maggioranze qualificate il nuovo Presidente della Repubblica (art. 83 cost.), ricordando che tocca a questa carica l’incarico, lo scioglimento delle camere, vista l’impossibilità al formarsi di una maggioranza, e l’indizione di nuove elezioni.

Il problema è proprio qui. Se non riesce a formarsi un governo, nelle more regolamentari e di prassi che pure dettano tempi in merito, a causa di una maggioranza che il Presidente della Repubblica non ravvisa nella composizione delle camere attraverso le consultazioni con i partiti, il rischio è che approssimandosi alla scadenza del mandato presidenziale non vi sia più materialmente in carica chi ha legittimità di dare un incarico od indire nuove elezioni in caso una maggioranza si rivelasse impossibile, appunto il Presidente della Repubblica.

E non essendovi più chi può farlo istituzionalmente non si avrebbe alcun Governo, mentre le camere potrebbero arrivare ad un blocco delle attività in merito alla scelta di un nuovo Presidente della Repubblica, essendovi nel frattempo come facente funzioni il Presidente di una camera, il Senato, dove non vi è alcuna maggioranza.

Un blocco pauroso ed imprevedibile persino ai padri costituenti, in cui tutto potrebbe accadere, persino una forzatura della stessa democrazia, ed in cui qualsiasi deriva in tal senso sarebbe resa facile dall’impossibilità ad organizzare reazioni per via della mancanza di un governo e così di un ministro dell’Interno, pur rimanendo l’attuale in carica per il disbrigo degli affari correnti.

Situazione questa che potrebbe protrarsi oltre ogni ragionevole tempistica, mancando ogni nuovo potere istituzionale che soppianti i vecchi e nella prospettiva di una perdita totale di controllo della situazione economica ormai al limite, sociale, finanziaria e forse di ordine pubblico. E potrebbe essere che a qualcuno interessi proprio questo, cortocircuitare la democrazia e forzarla verso territori inconosciuti a qualsiasi ragionevole previsione

Occorre quindi che un nuovo governo si formi, e presto, per chiudere il circuito dei poteri istituzionali, quindi che esista una maggioranza al Senato capace non solo di fornire la fiducia ad un governo anche provvisorio e con un mandato specifico visti i numeri, ma che sia già stata in grado di provvedere alla nomina di un Presidente dell’assemblea in grado si svolgere le funzioni di Presidente della repubblica fino a nuova elazione.

Un quadro estremamente difficile da comporre per via di molti fattori politici e di molte intenzioni e che provo a riassumere in punti.

  1. Bersani, che può contare su 121 senatori di centrosinistra più i 22 della coalizione montiana, come già dichiarato da suoi esponenti, può tentare la carta di una apertura a Grillo (cosa già respinta da costui senza neppure ascoltare la base, il famoso movimento) ed ai suoi 54 senatori, appellarsi alla PDL ed alleati perché dia comunque la fiducia, anche senza ufficializzarla come gruppo parlamentare, attraverso il voto di alcuni senatori autorizzati dei suoi 117, oppure tentare la carta di un’uscita concertata dall’aula dei grillini per abbassare il numero legale (ricordo che al Senato, l’astensione vale voto contrario), sempre che ciò non causi l’uscita del gruppo del centrodestra, cosa che farebbe venire meno in ogni caso lo stesso numero legale, invalidando il voto di fiducia stesso.

In alternativa potrebbe tentare la carta di un governo di coalizione nazionale (quindi con un’alleanza tecnica con Berlusconi dai risvolti mediatici nefasti e con contropartita proprio il Quirinale), rischiando però di far implodere l’alleanza con Vendola, o chiedere al Presidente della Repubblica un mandato esplorativo a formule inedite di maggioranza e di scopo (legge elettorale ed alcuni provvedimenti urgenti), cercando, una volta ottenuto il mandato stesso, di tirare fuori dai rispettivi gruppi di centrodestra e grillini i 15 senatori bastevoli ad una prima fiducia, cercando poi di navigare volta per volta ad ogni votazione, ma avendo come primo obiettivo quello di superare l’impasse sulla nomina del Presidente della Repubblica, oltre che l’approvazione non semplice di una nuova legge elettorale.

  1. Berlusconi, il cui unico interesse personale è l’elezione al Quirinale per stare lontano dai coinvolgimenti giudiziari attraverso l’uso di leggi ad hoc già fatte approvare dal suo governo, giocherà senz’altro due carte, o un governo di unità nazionale senza la sua partecipazione diretta, ma con appunto il biglietto assicurato per la presidenza, o un ordine di distacco temporaneo ad alcuni per la fiducia tecnica ad un governo in cambio della stessa promessa, dovendo considerare la possibilità di un suo incarico diretto (o attraverso il fedele Alfano) a formare il governo come del tutto illogico ad una prospettiva razionale.
  2. Grillo, il cui scopo evidente è spingere proprio verso la soluzione di un governo di unità nazionale od un governo tecnico per sperare in nuove elezioni e sfruttare l’onda lunga del consenso alle sue prevedibili urla contro costoro, è in un vicolo cieco, al pari di Bersani, poiché se assente alla formazione di una maggioranza, rimangiandosi le sue iraconde risposte alle proposte del leader del PD, perde una parte della base più radicale che lo ha votato, al contrario se non assente rischia di perdere un’altra parte di quella base votante, quella più ragionevole e favorevole ad una prima fiducia per poter poi giudicare volta per volta e teleguidare il centrosinistra verso alcune scelte congeniali al programma del 5 stelle.

Ma se ascoltasse infine la base perderebbe buona parte del controllo che oggi esercita sul movimento, dimostrandosi allora le sue intenzioni reali, se appunto è un dittatore in condominio che ha creato e sfruttato un movimento per interessi ancora da palesarsi, se è un leader che deve attendere giocoforza la creazione di una classe dirigente ancora non esistente (il movimento è nei fatti al momento comandato e diretto dallo staff di Casaleggio), se infine, opzione per la quale non propendo affatto, sia un vero democratico capace di essere conseguente ai suoi proclami di democrazia dal basso.

Ed è questo punto che potrebbero palesarsi le reali intenzioni del personaggio, nel mentre gioca in questi giorni una comunque comprensibile e politicante partita a scacchi in cui l’elastico si allunga per poi restringersi in un gioco di mediazione al rialzo “pro domo” che rischia di confondersi con il ricatto e denaturare completamente l’essenza del movimento (e che a quel punto sarebbe di tutti quando occorre lavorare, e di uno e qualcun altro, che mai hanno ricevuto alcun mandato dalla base, contando piuttosto su un consenso carismatico assai discutibile democraticamente, quando si tratta di prendere decisioni strategiche) o semplicemente abbiamo a che fare con qualcosa d’altro genere.

4)     Monti ed i suoi salotti buoni, sconfitti dai numeri che invece credo fossero stati in qualche modo previsti nella certezza di rimanere un ago della bilancia, un ago imbarazzante e tanto legato ad alcune logiche mostratesi quasi per intero durante il suo governo “tecnico”, da poter mettere una ipoteca seria su qualsiasi sviluppo della situazione che non vada nel senso previsto dai suoi mandanti finanziari.  

In mezzo a tutto ciò c’è un paese in una crisi gravissima che potrebbe avere gravi effetti socialmente destabilizzanti e del tutto imprevedibili, se non fosse invece prevedibile che poteri nascosti e mai sconfitti, poteri allignanti da sempre nel paese, approfitterebbero volentieri di una situazione di caos per qualche avventura i cui prodromi previsti e ricercati potrebbero essere già sotto i nostri occhi

E spero, per il bene del paese e per amore di democrazia, che sia solo un brutto sogno il mio…

miko somma