comunicato stampa

Facciamo un’ipotesi

Partiamo da una voce da noi raccolta durante i nostri lunghi giri attraverso la regione per la raccolta di firme a sostegno della petizione popolare, voci molto vicine – chissà forse interne! – al centro olii di Viggiano che ci raccontavano di circa 30.000 metri cubi di materia oleosa trattata quotidianamente. Sono solo voci ed alle voci dobbiamo dare il peso che spetta loro – pur se recitavano i latini che Vox populi, Vox dei – ma noi del comitato no oil Lucania siamo degli “inguaribili pensatori a male” e pur nel rispetto della considerazione esposta, facciamo un’ipotesi, quella che al centro olii di Viggiano ogni giorno si trattino davvero 30.000 tonnellate di materia oleosa, quindi estratta dai pozzi della Val d’Agri ed inviata al centro per i vari trattamenti prima di essere inviata a Taranto via oleodotto.

Seguendo l’ipotesi e chiarendo che di ipotesi trattasi, diciamo che il petrolio naturale è una miscela di idrocarburi contenente piccole quantità di vari composti organici ossigenati, azotati e solforati, la cui composizione oscilla nei seguenti limiti: C (carbonio) 80-87% H (idrogeno), 11-15% O (ossigeno) 1-3%, N (azoto) 0,1-2%, S (zolfo) 0,3-5%, inorganici 0,05 -0,1% e che ad ogni diversa percentuale dei composti elencati corrispondono differenti densità espresse in gradi API [°API=(141,4/peso specifico) -131,5 ]. 

Per convenzione sono definiti olii pesanti quelli con °API minori di 25, cioè con peso specifico maggiore di 0,9; olii leggeri quelli con densità intorno ai 40° API, cioè peso specifico 0,83 (Va ricordato che il riferimento è il peso specifico dell’acqua, per convenzione stabilito a 1, cosa che significa che ad ogni cubo di 10 cm di lato corrisponde 1 litro e 1 kg nel caso dell’acqua)

Quindi se il peso specifico intorno a 0,83 è misura valida per olii come l’Arabian Light o il Brent, nel caso degli olii della Val d’Agri siamo nella fascia di olii intermedi, con peso specifico superiore a 0,83, ma sicuramente inferiore a 0,9. Se consideriamo che 1 m. cubo equivale a 1.000 litri d’acqua e 1.000 litri d’acqua ad 1 tonnellata, e altresì consideriamo che una buona parte delle impurità di estrazione (fanghi, acque salmastre, ma anche gas legati all’estratto) sono lavate al momento dell’estrazione, quindi sul pozzo) e le restanti impurità, oscillanti tra 20 e 13%, depurate al centro olii di Viggiano, ne concludiamo grossolanamente che per ogni tonnellata d’estratto stoccato a Viggiano, e che per convenzione al ribasso stabiliamo in 1000 litri di greggio, assumendo il peggiore possibile dei gradi °API,  corrispondendo il barile a 159 litri, nel centro olii di Viggiano si tratterebbero 14.100 tonnellate per un totale di 90.000 barili al giorno, cifra  questa sempre annunciata, smentita, diminuita e quant’altro la disinformazione regala sull’argomento, cosa che contrasta con le voci registrate e che assunte come buone porterebbero ad un totale a fronte di 30.000 tonnellate di estratto giornaliero a 188.000 barili al giorno, visto che da ogni tonnellata si ricavano per convenzione internazionale 6,28 barili.

Dalla quantità di materia oleosa che transita nei serbatoi secondo metodi di calcolo internazionale, si ricavano le royalties da versare alla regione Basilicata, cifre sulle quali oggi non è dato modo di avere alcuna chiarezza, e sulla base di quanto descritto tutto ciò porterebbe il totale dell’estratto a totali ben differenti da quei 90.000 barili al giorno dichiarati in Val d’Agri, ma dilaterebbe i quantitativi ad una cifra di 188.000 barili al giorno, con relativo ammanco ipotetico di royalties al 7% sull’estratto che, al costo del barile a 100 dollari, porterebbe a 896.000 dollari al giorno, (609.000 euro, considerando il cambio euro/dollaro a 1.47) che invece di essere versati alla regione, prenderebbero altre vie

Ci dica quindi l’ENI, per fugare questi dubbi quanti metri cubi o tonnellate di estratto vengono trattate a Viggiano, dove sono gli strumenti di misura, ed inviati a Taranto? Ci dica quindi l’ENI quale è la temperatura di esercizio degli impianti, considerando che a temperature elevate corrisponde maggior volatilità dei composti ricondensabili a valle dei serbatoi, e quindi minore massa liquida che potrebbe sfuggire a calcoli basati sul livello di riempimento nelle 24 ore degli stessi?

Ci dica l’ENI cosa sono le voci di esportazione verso la Turchia di greggio?

Ci dica l’ENI quante visite sono state effettuate dall’UNMIG per rilevare la giustezza tra le comunicazioni che la stessa ENI invia a questo ufficio del ministero dello sviluppo e la realtà, dato che lo stesso ufficio “ha facolta” di controllare (cosa che implica una potestà al fare, ma non il fare stesso) e non il dovere di farlo?

e speriamo l’ENI ci dica molte altre cose, non solo per i calcoli dell’estratto, perché noi che ovviamente siamo profani della materia e non possiamo che registrare voci, malumori, dissensi e far funzionare il cervello, senza volere o potere attribuire alle voci niente altro che consistenza di voci, attendiamo le risposte di costoro a fugare dubbi che stanno diventando realtà, nel profondo sentire di essere stati presi in giro Miko Somma, portavoce del Comitato No Oil Lucania

Un pensiero su “comunicato stampa

  1. Basilicata: interrogazione di Elisabetta Zamparutti su risorse petrolifere in Basilicata
    Elisabetta Zamparutti, deputata radicale eletta nelle Liste del PD in Basilicata, insieme ai componenti la delegazione radicale nel PD, ha presentato un’interrogazione n. 4-01191 ai Ministri dello Sviluppo Economico, delle Finanze e dell’Ambiente per chiedere chiarimenti, a partire dall’articolo di Carlo Vulpio sul Corriere della Sera del 22 settembre 2008 e di notizie apparse sul settimanale lucano “Il Resto”, su una serie di questioni relative alla gestione delle risorse petrolifere della Regione Basilicata.

    1 ottobre 2008

    • Dichiarazione di Elisabetta Zamparutti, deputata radicale eletta nelle liste del PD in Basilicata

    Sono molti gli aspetti su cui occorre da un lato fare chiarezza, dall’altro porre rimedio nella gestione degli idrocarburi lucani.

    Il petrolio lucano è un vero e proprio tesoro nazionale, tuttavia le royalties pagate dalle compagnie sono molto basse e il meccanismo di controllo dei quantitativi estratti è tale per cui colui che paga le royalties (al momento l’ENI) misura questi stessi quantitativi. Una posizione di vantaggio delle compagnie petrolifere che sarebbe rafforzata, per il 2008, attraverso la cosiddetta Legge-obiettivo, da un incentivo di 850 milioni di euro di fondi pubblici.

    Oltre a chiedere se e come i Ministri interessati intendano porre termine e rimedio a queste iniquità, abbiamo chiesto se è vero che il petrolio lucano, nonostante la crisi interna, sia stato recentemente venduto alla Turchia. Da un punto di vista ambientale non sapendo se i milioni di tonnellate di gas estratto assieme al petrolio (metano, etano, propano, butano), siano stati almeno in parte usati – e in che misura – e quanti invece si siano volatilizzati o siano stati lasciati bruciare in torcia con le relative conseguenze per l’ambiente e la salute pubblica, abbiamo chiesto cosa si stia facendo a livello locale o cosa il Governo intenda fare per monitorare la situazione ed informare i cittadini lucani.

    Sul Giudizio Favorevole di Compatibilità Ambientale espresso dalla Regione Basilicata nel 2007 relativamente al Progetto di perforazione di un pozzo esplorativo per ricerca di idrocarburi denominato ‘Monte Grosso 2′, a Brindisi della Montagna (PZ), nonostante una prima perforazione fosse fallita nel 1998-99 perché si era verificata una frana del sottosuolo, abbiamo chiesto al Governo, per quanto gli compete, se consideri opportuna questa autorizzazione.

    Ma a lasciare interdetti e su cui abbiamo chiesto se sono stati fatti di dovuti controlli, sono gli aspetti finanziari della vicenda, con rilevanti passaggi all’estero, nel 2005, di proprietà e controllo dei diritti di sfruttamento delle risorse del sottosuolo italiano a prezzi irrisori.

    Segue testo interrogazione

    INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA

    Al ministro dello Sviluppo Economico

    Al ministro delle Finanze

    Al ministro dell’Ambiente

    Per sapere, premesso che –

    un ampio articolo del Corriere della Sera del 22 settembre 2008, a firma Carlo Vulpio, pone una serie di questioni relative alla gestione delle risorse petrolifere della Regione Basilicata, tra cui: quantità estratte e autorità di controllo; royalties; acquirenti; stream gas; incentivi alle compagnie petrolifere; permessi di estrazione; impatto ambientale dell’attività estrattiva…;

    secondo le stime ufficiali riportate nell’articolo, i 47 pozzi del giacimento della Val d’Agri custodirebbero circa 465 milioni di barili (finora ne sono stati estratti quasi 11 milioni), che al valore corrente di 90-100 dollari al barile formano un tesoro da quasi 50 miliardi di dollari; la Basilicata, che produce circa l’ottanta per cento del petrolio estratto in Italia, non intenderebbe fermarsi a quello della Val d’Agri, estratto dall’Eni, perché dal 2011 comincerebbe a sfruttare – con Total, Esso e Shell – i giacimenti di Tempa Rossa, poco più a nord: altri 480 milioni di barili, altri 50 miliardi di dollari; e sarebbe inoltre pronta a far trivellare anche Monte Grosso, proprio a due passi da Potenza, dove ci sarebbe altro petrolio per 100 milioni di barili;

    le royalties sul valore del greggio estratto e avviato al consumo, che le compagnie concessionarie devono corrispondere a Stato e Regioni, sono state fissate al 7%, una percentuale molto bassa rispetto a quella relativa ad altri Paesi produttori; di questo 7%, il 30% va allo Stato, mentre il 55% e il 15% vanno, rispettivamente, alle Regioni e ai Comuni interessati dall’attività estrattiva;

    nel suddetto articolo, è riportato che, il 20 settembre 2007, il presidente della giunta regionale, Vito De Filippo, avrebbe chiesto all’Unmig (l’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e la geotermia, presso il ministero dello Sviluppo economico) “quanto petrolio è stato estratto in Basilicata dal 1995 a oggi… ma nella risposta dell’Unmig non ci sarebbe il dato richiesto… perché l’Unmig «ha facoltà», non il dovere, di verificare le quantità prodotte”, dato che “a comunicare all’Unmig le quantità di petrolio estratto sarebbe «il responsabile unico di ogni concessione»; in altri termini, il controllore sarebbe lo stesso soggetto che dovrebbe essere controllato: l’ unico a misurare il petrolio estratto sarebbe proprio colui che paga le royalties.”

    “Infatti – osserva Vulpio nel suo articolo – i 30 comuni lucani, a cui va il 15% di quel 7% che costituisce la royalty sul valore del greggio, ricevono direttamente dall’Eni l’estratto conto, in cui si dice: questa è la quantità che abbiamo prodotto e questo è quanto spetta a voi.”;

    inoltre, dal suddetto articolo si evincerebbe che una certa quantità di petrolio estratto in Lucania sarebbe stato venduto alla Turchia, il che avverrebbe nel bel mezzo di un rialzo senza precedenti del prezzo del greggio e a discapito del fabbisogno nazionale;

    ancora, nell’articolo del Corriere si afferma che “in questi anni centinaia di migliaia di tonnellate di stream gas (metano, etano, propano, butano), cioè quel gas che viene fuori assieme al petrolio, e definito «cedibile» dalla stessa Eni, è stato lasciato bruciare in torcia e quindi si è volatilizzato”, con probabili ricadute sull’ambiente, l’agricoltura e la salute degli abitanti del luogo;

    ad esempio, dallo studio effettuato dall’Università della Basilicata sui composti aromatici contenuti nel miele prodotto nella Valle dell’Agri e a Corleto Perticara (PZ), zone di estrazione petrolifera lucane, emergerebbero fragranze al benzene e a tutti gli altri composti aromatici degli idrocarburi; mentre il monitoraggio regionale sulla ricaduta inquinante causata dalle estrazioni petrolifere si limiterebbe a quattro o cinque parametri, nessuno dei quali indicativo della presenza nelle attività antropiche dei composti aromatici tipici degli idrocarburi (Il Resto, 19 luglio 2008);

    tutto ciò mentre, si nota nell’articolo di Vulpio, “le compagnie petrolifere, per il 2008, attraverso la cosiddetta Legge-obiettivo, hanno ottenuto come incentivo 850 milioni di euro di fondi pubblici.”;

    secondo una ricostruzione del settimanale lucano Il Resto (articolo del 12 luglio 2008), la società “Gas della Concordia Spa” (poi Coopgas), di Concordia sul Secchia (Modena), il 26 aprile 2005, avrebbe ceduto per 11,2 milioni di euro alla sua controllata “Intergas Più” tutto il ramo d’azienda riguardante 17 permessi di coltivazione e 5 permessi di ricerca, tra cui quelli in Basilicata; dopo solo otto giorni, il 4 maggio 2005, la Intergas Più sarebbe stata acquistata per soli 10.000 euro da una multinazionale di diritto inglese, la “Mediterranean Oil and Gas Company”; la società inglese avrebbe poi assicurato il pagamento del valore reale della società italiana attraverso la sottoscrizione di azioni e obbligazioni convertibili da parte della Mizuho International, con sede a Londra, la Shepherd Investments International, con sede nelle Isole Vergini Britanniche, e la Stark Investment, con sede nelle Bermuda;

    il 5 novembre 2007, la giunta regionale della Basilicata, con la delibera n.1566, ha deciso all’unanimità di esprimere “Giudizio Favorevole di Compatibilità Ambientale relativamente al Progetto di perforazione di un pozzo esplorativo per ricerca di idrocarburi denominato ‘Monte Grosso 2’, ubicato in agro del Comune di Brindisi della Montagna (PZ), proposto dalla Società Intergas Più S.r.l.”;

    il 5 novembre 2007, lo stesso giorno della delibera che ha autorizzato la “ricerca” di idrocarburi in località Monte Grosso, sarebbero state scambiate diecimila azioni Med. Oil & Gas; il giorno successivo 12.600; nel mese seguente gli scambi giornalieri si sarebbero alternati fra 3.595 e 103.494; ma – sempre secondo notizie di stampa – qualcosa già si sapeva prima del 5 novembre, leggendo gli scambi del 19 ottobre 2007, quando in un solo giorno sarebbero passati di mano 2,373 milioni di azioni che al prezzo medio di 155,5 sterline per azione fanno la bellezza di 369 milioni di sterline (500 milioni di euro) (Il Resto, 5 gennaio 2008);

    stando a quello che scrive nel suo “Annual Report 2007”, la Mediterranean Oil and Gas Company conosceva già la consistenza del giacimento di Monte Grosso: fra i 64 ed i 109 milioni di barili, per un valore oscillante fra i 6,4 e i 10,9 miliardi di dollari; inoltre, nel suo consuntivo annuale, MedOil scrive: “31 Ottobre, 4 permessi di ricerca sulla terraferma in Italia assicurati” e più oltre si spiega che fra questi è incluso Monte Grosso (Il Resto, 5 gennaio 2008);

    il pozzo esplorativo Monte Grosso 2, come esplicita il verbale della seduta del 10 agosto 2007 del Comitato Tecnico Regionale Ambiente, “rappresenta la riperforazione del pozzo Monte Grosso 1, eseguito nel 1998-99 da British Gas International e British Gas Rimi Spa (diventata poi Gas della Concordia Spa, società che controlla il 100% della Società Intergas Più, concessionaria di Monte Grosso 2 e, come detto sopra, acquistata per 10.000 euro dalla multinazionale Mediterranean Oil and Gas Company, Ndr), che non raggiunse l’obiettivo per motivi tecnici”; in realtà, il primo pozzo venne abbandonato in seguito a una frana del sottosuolo, dove – scrive il Comitato Tecnico Regionale Ambiente – “sono presenti numerose e diffuse sensibilità ambientali”;

    a giudizio degli interroganti, nelle vicende su descritte non vi è stata né la dovuta trasparenza né una informazione adeguata ai cittadini, a partire da quelli lucani.

    Atteso che l’Unmig (Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e la geotermia), in base alle norme vigenti, «ha facoltà», non il dovere, di verificare le quantità di idrocarburi prodotte, se non sia il caso di modificare sostanzialmente le attuali norme e, comunque, cosa intenda fare il governo per superare l’attuale sistema che affida al controllato, cioè il rappresentante unico delle società concessionarie, il controllo, vale a dire la corretta misurazione delle quantità prodotte e avviate al consumo, da cui dipende il valore – già molto più basso percentualmente rispetto ad altri Paesi – delle royalties da corrispondere allo Stato e alle Regioni.

    Se corrisponde al vero che – e, nel caso, quanta – parte del petrolio estratto in Basilicata sia stata venduta in Turchia.

    Se i milioni di tonnellate di gas estratto assieme al petrolio (metano, etano, propano, butano), che l’ENI definisce “gas-cedibile”, siano stati almeno in parte usati – e in che misura – e quanti invece si siano volatilizzati o siano stati lasciati bruciare in torcia con le relative conseguenze per l’ambiente e la salute pubblica.

    A questo proposito, cosa si stia facendo a livello locale o cosa il Governo intenda fare per monitorare la situazione secondo parametri scientifici volti e atti a rilevare in tutte le attività antropiche la presenza o meno di composti aromatici degli idrocarburi, oltre che per informare adeguatamente la popolazione sulla eventuale ricaduta inquinante causata dalle estrazioni petrolifere.

    Data la rilevanza di un passaggio all’estero di proprietà e controllo dei diritti di sfruttamento delle risorse del sottosuolo italiano, se vi sia stata, e da parte di quale organismo, una autorizzazione preventiva al trasferimento di quote di titolarità dei titoli minerari mediante cessione di ramo d’azienda dalla società italiana “Intergas Più s.r.l.” alla società estera Mediterranean Oil & Gas Company.

    Al di là dei diecimila euro pagati il 4 maggio 2005 da “Mediterranean Oil and Gas Company” per l’acquisto di “Intergas Più”, se risulta che il valore reale di quest’ultima sia stato successivamente pagato attraverso sottoscrizioni di quote azionarie, e di quale società o banca.

    Se si sia provveduto ad effettuare i dovuti controlli e quel è stato l’esito sullo scambio o tratte di azioni da parte di Mediterranean Oil and Gas Company o sue collegate, nel periodo che va dal 19 ottobre 2007 (quando sarebbero state scambiate ben 2.373.000 azioni, per un valore di 500 milioni di euro) fino al mese successivo al 5 novembre 2007, quando Med Oil e Gas Concordia Spa hanno scambiato diecimila azioni.

    Se, dopo la prima perforazione fallita nel 1998-99, si sia proceduto al ripristino ambientale, alle condizioni preesistenti, dell’area di Monte Grosso in Basilicata e se il Governo, per quanto gli compete, consideri opportuno che sia stata autorizzata una seconda perforazione nella stessa area e a partire dalla stessa piattaforma, peraltro ad opera della stessa società della prima perforazione.

    Elisabetta Zamparutti

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