Il doppio turno misto contestuale

Qualcuno ricorderà, avendolo letto tra i punti del nostro programma (vedi, parte nazionale) che una delle nostre idee rispetto al sistema elettorale era appunto quella del doppio turno contestuale, a cui abbiamo per maggior chiarezza aggiunto il termine misto (e sarà chiaro dalla trattazione seguente il perchè dell’aggiunta di questo termine).

Vediamo allora di chiarire la natura di questa proposta di doppio turno contestuale, a partire da una breve descrizioni di cosa siano i diversi sistemi elettorali, essenzialmente quello proporzionale, dove cioè la rappresentanza è diretta scelta degli elettori nella composizione di numeri parlamentari direttamente proporzionali ai voti espressi, quindi in una fotografia elettorale che, a titolo di esempio, se si ottenesse il 30% dei voti espressi consentirebbe di avere il 30% dei seggi nella relativa camera del parlamento, e quello maggioritario, dove la scelta degli elettori è condizionata o da un premio di maggioranza attribuito alla lista o la partito che prende più voti sino a far raggiungere la maggioranza dei seggi, o da una scelta nei singoli collegi che premia appunto il candidato o la lista che prende la maggioranza relativa dei voti in quel collegio, esistendo comunque la possibilità di un sistema misto tra proporzionale e maggioritario che potrebbe, sempre a titolo di esempio (vedremo poi quello che noi suggeriamo) attribuire 2/3 dei seggi su base maggioritaria ed 1/3 su base proporzionale.

Dobbiamo però subito aggiungere che il tema della rappresentanza e quello della governabilità non sono necessariamente coincidenti, ma abbastanza distanti tra loro, il primo attenendo direttamente al diritto di espressione del voto popolare, quindi di una volontà sovrana del popolo a questo attribuita dalla costituzione e dal combinato di varie leggi che ne statuiscono concretamente la fattispecie, il secondo, come espressione diretta di un sostegno parlamentare (quindi in via indiretta) ad una funzione dell’ordinamento statale, la funzione esecutiva, ma i due temi sono spesso confusi ad arte in merito ad un indirizzo che si tenta di dare alla libera espressione del voto popolare verso la formazione di una maggioranza (vedi gli appelli al voto utile).

In italia siamo passati nel volgere di pochi anni da un sistema proporzionale puro, senza sbarramenti, e con la possibilità di preferenze (tre) che ha retto il paese dal dopoguerra al 1994, immediatamente dopo la bufera di tangentopoli, prima ad un sistema misto, definito mattarellum (dal nome del suo ideatore od estensore, mattarella, figlio di piersanti, presidente della regione sicilia, trucidato dalla mafia), che prevedeva collegi uninominali, poi nel 2005 ad un sistema definito porcellum (dal nome del suo ideatore – ma no, si scherzava, così appellato da una frase del suo ideatore calderoli, lega, che, appena approvato in parlamento, lo definì una porcata) e che sostanzialmente prevede alla camera un premio di maggioranza sino al 55% dei seggi (370 seggi) per il partito o lista che avesse conseguito la maggioranza relativa attribuita su base di un unico collegio nazionale, ed al senato un premio di maggioranza sul totale dei senatori esprimibili in un collegio regionale. 

Inutile forse aggiungere che la buona parte dei problemi attuali di una maggioranza stabile nelle due camere dipendono proprio da questa legge assurda che di fatto rende alquanto ingovernabile un ramo del parlamento, il senato appunto, attraverso numeri che premiano determinate liste in singole regioni (non a caso fu proposta proprio dalla lega ed accettata dalla pdl in virtù delle percentuali che esse potevano contare in regioni molto popolose sia del nord, vedi lombardia e veneto, sia del sud, vedi sicilia e campania), regioni che essendo molto popolate esprimono numeri di senatori molto alti e tali, attraverso il raggiungimento di quote di premio di maggioranza “locali” di determinare l’impossibilità a raggiungere la maggioranza assoluta dei seggi totali anche a chi abbia conseguito la maggioranza numerica dei voti espressi nell’intero paese.

Il resto è storia quotidiana sulla quale inutile sarebbe soffermarsi, occorrendo ormai modificare questa legge proprio in virtù di un quadro destabilizzante che essa produce se nessuno dei partiti o liste dovesse raggiungere una maggioranza dei voti espressi tale comunque da non essere determinata dalla trappola dei collegi regionali. 

Ma le modifiche di una legge elettorale non possono essere scevre di una domanda di fondo, quella che se sono solo le elezioni a poter consegnare un quadro delle diverse idee che circolano nel paese sino a determinarne un governo fondato proprio su queste, può la governabilità tout court, cosa che abbiamo chiarito riteniamo essere cosa diversa dalla rappresentanza, mai portare a distaccare tanto un governo dal voto popolare che pur dovrebbe essere l’unico motivo causale della sua esistenza, fino ad assumere quella governabilità un valore fine a se stesso ed in un certo senso antidemocratico?

La domanda non è peregrina, dovendo una democrazia comunque sempre interrogarsi circa la migliore coincidenza tra i valori di rappresentanza, sacri all’idea stessa di democrazia, ed i valori della stabilità di un governo, cosa questa che non necessariamente appartiene al concetto di democrazia, e non sembri filosofica o solipsistica la stessa domanda, poiché nel momento in cui l’esigenza di governare diviene più importante dell’esigenza che quel governo sia espressione della volontà popolare, il balzo nell’autoritarismo è compiuto.

Facciamo un obbligatorio passo indietro e torniamo al concetto stesso di democrazia, termine derivato dal greco δῆμος (démos )= popolo e κράτος (cràtos) = potere, e quindi governo del popolo nei suoi vari aspetti concreti con cui questo concetto può rappresentarsi, aspetti comunque caratterizzabili per  differenti modalità di dare al popolo la potestà effettiva di governo, distinguendosi in primis proprio tra democrazia diretta, cioè l’esercizio del potere esercitato direttamente dal popolo riunito nell’agorà, la piazza, per discutere, deliberare e delegare a funzionari preposti la funzione dell’esecuzione diretta di quella volontà espressa (grecia antica), e democrazia indiretta, dove il potere è cioè esercitato in via delegata, previe libere votazioni, da un numero di rappresentanti eletti dal popolo in un parlamento (le moderne democrazie, tra cui il nostro paese)…l’italia è appunto una repubblica parlamentare (quindi una democrazia indiretta) che ha però nel suo ordinamento alcuni strumenti di democrazia diretta, come il referendum, le proposte di legge di iniziativa popolare e la petizione popolare.

Senza soffermarci troppo, pur dovendo citarli per completezza di informazione, i classici cinque regimi governativi descritti da platone, aristocrazia, timocrazia, oligarchia, democrazia, che a sua volta può portare alla tirannia come conseguenza della demagogia legata all’acquisizione del consenso, e quelle 3 forme pure e 3 forme corrotte di governo che aristotele individuava rispettivamente in monarchia (il governo del singolo), aristocrazia (il governo dei migliori, costituenti classe) e timocrazia (il governo del censo, quindi del reddito), e dispotismo, oligarchia (il governo di una élite), e democrazia (potere del popolo in una accezione negativa che in termini più moderni sarebbe la cosiddetta dittatura della maggioranza nel suo aspetto dispotico ed autoritario che in qualche modo abbiamo sperimentato nei regimi totalitari del ‘900), e tralasciando il concetto di democrazia diretta, poco praticabile nella realtà, seppur tornata in auge in questo periodo particolarmente nel nostro paese (non meravigliatevi così si “follie” attribuibili al grillismo, poiché è la negazione di ogni forma democratica indiretta in favore di una eterea al momento democrazia diretta fondata sul web e sulla sua presunta libertà a muovere questa   formazione politica), ciò che identifica una democrazia indiretta sono il suffragio universale, quindi un diritto di voto e così di libera espressione attribuito a ogni cittadino senza alcuna distinzione, il primato della costituzione, quindi la supremazia di una forte regola legislativa condivisa quale base della tenuta di una collettività riunita intorno ad una forma di governo riunita e la separazione dei poteri, quindi nella classica ripartizione di montesquieau la perfetta indipendenza e separazione tra potere legislativo (far le leggi, come potere esclusivo del parlamento e così del popolo), potere giudiziario (far applicare le leggi nella somministrazione della giustizia amministrata in nome del popolo) e potere esecutivo (fare governo della cosa pubblica) nella ricerca di un equilibrio virtuoso tra questi, generalmente assicurato dalla carta costituzionale.

Lasciatemi solo aggiungere che in genere per una democrazia la tutela delle minoranze rappresenta una cartina di tornasole del livello democratico, in altri termini ponendo la democrazia norme e regole a tutela delle minoranze verso l’abuso dittatoriale di una “libertà” della maggioranza di imporre propri codici comportamentali, fornendo cosi quelle garanzie alle minoranze che nel corso del tempo hanno determinato il passaggio da forme di democrazia autoritarie a forme di democrazie fondate sul rispetto della legge e sulla certezza del diritto come parametro di uguaglianza reale tra tutti i cittadini, ed alla fine che fu Benito Mussolini a ritenere che la democrazia parlamentare di origine illuminista non fosse altro che una forma di dittatura massonica da oltrepassare attraverso forme di investitura popolare diretta.

Ciò chiarito, appare altresì evidente come la legge elettorale che meglio rispecchi la volontà popolare e le sue diverse espressioni, nella composizione di una maggioranza e quindi di un governo che ne sia conseguenza, è sicuramente lo specchio migliore di quella compiuta democrazia rappresentativa, il cui valore assoluto che è la domanda base che deve porsi nella formulazione stessa di questa legge (e degli obiettivi che deve assicurare) che non a torto è forse la principale legge democratica, essendo compresa nel cumulo delle leggi costituzionali poste a vincolo comune di riconoscimento di una collettività e delle sue scelte in merito a chi dovrà governarne le sorti.

Passiamo però alla nostra idea di legge elettorale, quel doppio turno misto contestuale di cui abbiamo accennato nel titolo, spiegando che si tratta di una idea in parte mutuata dal sistema francese, ma che essenzialmente prevede la possibilità, su singole schede elettorali per la camera ed il senato, che in un contesto contemporaneo (tale quindi da evitare il costoso doppio turno in date diverse) si voti prima in modo proporzionale e con preferenza espressa, collegio per collegio, scegliendo una lista ed un candidato di questa, poi in modo maggioritario per coalizioni già dichiarate tra le stesse liste, solo lì intervenendo su base nazionale un premio di maggioranza atto a mettere quella lista in condizioni di avere poi una maggioranza chiara attraverso meccanismi che legano il premio stesso al rispetto del programma e della coesione iniziale tra le liste, quindi con un premio che si vada a concretizzarsi su una lista unica di garanzia formata preventivamente tra i partiti sulla base di meccanismi primari di coalizione statuiti legislativamente, quindi ad esempio concreto 2/3 appunto dei seggi attribuiti in modo proporzionale ed 1/3 dei seggi attribuiti su via maggioritaria (il premio alla coalizione vincente), ma con questi seggi distribuiti a liste prefissate e scelte proritariamente attraverso primarie di coalizione.

In soldoni, date delle coalizioni chiare prima della campagna elettorale e dotate di programmi definiti e accettati dalle singole forze politiche, ad ogni elettore sarebbe richiesto prima di esprimere un voto proporzionale per la singola formazione  e candidato che meglio lo rappresenta sia alla camera che al senato, e contemporaneamente, ma in modo maggioritario tra le diverse coalizioni dichiaranti comune programma e candidato, in modo da determinarsi una scelta inequivoca per la coalizione all’interno della quale il proprio partito e candidato di riferimento sia comunque rappresentato, mantenendosi o meno nella parte proporzionale una soglia di sbarramento per evitare l’eccesso di frammentazione, che in ogni caso sarebbe riunito nella parte maggioritaria che attribuisce comunque il raggiungimento della maggioranza assoluta dei seggi alla coalizione vincente. 

Chiaro che il problema di base di qualsiasi legge elettorale si voglia oggi mettere in campo è proprio la frammentazione del voto espresso che sembra indirizzarla solo verso la governabilità piuttosto che verso quella migliore rappresentatività che a mio avviso è prodromica alla ricerca di un accordo tra le diverse componenti dell’espressione politica che il popolo ha indicato, e dal quale poi discende la governabilità, accordo che naturalmente deve esistere prima ed essere palese e chiaro, tale così da non essere sovvertibile per contesti che dovessero poi apparire diversi (un po’ quello che accade in questi giorni da noi, dove è proprio quel contesto frammentato a dare origine ad una continuazione di un governo che palesemente ha ricevuto un sostegno, con la parte politica che è sembrato sintetizzarne l’azione elettoralmente, di meno del 10% dell’elettorato.

Così credo che qualsiasi legge elettorale si metta in campo, se l’obiettivo è solo quello di assicurare governabilità attraverso meccanismi premiali che consentano alla forza che prende più voti di avere assicurati dei seggi, qualsiasi siano i voti effettivamente poi presi (qui ritorna il tema che se una forza politica prende il 25% dei voti come risultato proprio della frammentazione, con quale diritto “morale” essa potrà poi governare attraverso un congegno legislativo che le attribuisce più del 50% dei seggi?), nulla avremo risolto, poiché il problema sta nell’avere maggiore base rappresentativa in un quadro di chiarezza preventiva rispetto a programmi chiari e non sovvertibili sulla base di regole altre rispetto a quelle che sono emerse nel voto popolare, in un miglioramento “etico” della qualità del dialogo politico ed in un rasserenamento generale che riguarda anche l’atteggiamento di voto di chi, proprio non sentendosi rappresentato, tende o a votare “turandosi il naso” o a “sfasciare tutto”.

In estrema sintesi ciò che si propone è liberare il voto degli italiani dalle pastoie del maggioritario per ciò che attiene la scelta dei rappresentanti, quindi il primo turno proporzionale, contemporaneamente facendo esprimere, qui in modo maggioritario, la scelta di una maggioranza e quindi di un governo. 

miko somma

n.b. la proposta, per evidenti ragioni di lunghezza, non entra per il momento nella tecnica legislativa e nei dettagli che inevitabilmente si dovrebbero affrontare