Un’altra Lucania è possibile, un’altra Lucania è necessaria.

L’attività di un comitato spontaneo parrebbe per intrinseca natura doversi rivolgere esclusivamente ad un contesto ben definito da un progetto e da una più o meno generale opposizione popolare a questo, almeno questa la percezione che si ricaverebbe da quel certo senso comune che vuole sia la politica a farsi carico a posteriori di una problematica mossa propria da quegli stessi cittadini.

Il comitato No Oil Potenza, nato nel novembre dello scorso anno per opporsi al nuovo progetto di trivellazione di Monte Grosso negli immediati dintorni del capoluogo di regione, e, appena maturata  la certezza di non potere enucleare le preoccupazioni per quella trivellazione rispetto a tutte le altre e tante trivellazioni nella nostra regione, trasformatosi nel comitato No Oil Lucania per rispondere a questioni critiche di natura più ampia rispetto all’intero sistema degli idrocarburi, già al suo nascere ben poco aveva in comune proprio con quella natura estemporanea che l’opinione pubblica pare attribuisca ai comitati spontanei, ed in effetti ben poco c’era di spontaneo nel nostro comitato, dal momento che quel sistema era già tenuto in costante osservazione da molti di noi.

Approfondito l’argomento petrolio e tenuto in salvo dalla voracità di certe parti politiche che sembra dessero più peso all’elemento numerico dei partecipanti ed ai loro voti che alla sostanza di ciò che si andava ad intraprendere, questo comitato avviò una raccolta firme sull’intero territorio regionale a sostegno della petizione popolare per un progetto altro sulle estrazioni petrolifere, cominciando a respirare così un disagio profondo della popolazione lucana, disagio che non riguardava solo le più che legittime preoccupazioni di natura sanitaria ed economica sull’argomento, ma che ci sembrava chiedere qualcosa di più ampio, un progetto diverso di gestione di questa terra.

Nei nostri incontri con le popolazioni, incontri che hanno portato alla nascita di cellule territoriali del comitato – è così che definiamo i nostri gruppi locali, cellule, proprio come quelle di un organismo più ampio alla cui sopravvivenza tutte contribuiscono – i temi di un diverso modo di pensare alla società ed al mondo che per tutti i partecipanti costituiscono una necessità oggettiva di cambiare il nostro modello globale di sviluppo, si sono intrecciati con le realtà locali in un connubio di criticità e di progetti che inevitabilmente finivano per portare alla stessa domanda, come fare, cioè, a mettere in pratica ciò che si andava dicendo?

La domanda e la stessa risposta a questi mesi trascorsi a girare in lungo ed in largo per la regione, toccando quelle troppo spesso abbandonate realtà locali in cui si consumano drammi ambientali, occupazionali, democratici figli di una emarginazione sociale reale e di una storia di abbandono e di degrado che affonda le proprie radici in progetti di sfruttamento non partecipati del territorio ed in un certo disinteresse della politica per il destino di tanti centri in nome di un PIL che deve crescere e poco importa come e dove cresca – anzi, paia proprio che a qualcuno importi molto! – è in una ben espressa ed assai specifica richiesta di prendersi le proprie responsabilità e di praticare con decisione quanto si andava predicando.

Energie rinnovabili, modelli di consumo e di gestione accorta del territorio e delle potenzialità delle risorse e degli esseri umani non in quanto meri elementi economici di costo o produttivi, attenzione all’ambiente in quanto contenitore vivente della nostra stessa vita, partecipazione democratica dal basso ai processi decisionali, giustizia ed equità sociale, cura delle relazioni umane come cemento di una nuova politica della società, sviluppo equilibrato dei territori in linea con le vocazioni originali della nostra terra, eticità della politica e limite al mercato globale, salvaguardia dei beni comuni e tanti altri sono stati gli argomenti che ci hanno portato ad una scelta meditata, condivisa, anticipata nelle nostre comunicazioni alla stampa, quasi ad ottenere un consenso il più ampio possibile, fare, praticare, costruire il cambiamento attraverso l’azione politica diretta, nei modi e nei tempi che è la nostra carta costituzionale ad assicurare ad ogni cittadino.

A ragione del rispetto che sentiamo vivo per la nostra regione e per i suoi abitanti, rispetto che le tradizionali forze politiche dimostrano di non possedere, preferendo sottostare a direttive nazionali lontane dalla Lucania e dai Lucani, il comitato No Oil Lucania, di cui il sottoscritto si onora d’essere il portavoce, si costituisce a partire da oggi in movimento politico regionale, democratico e pacifico, antifascista ed antixenofobo, per la giustizia sociale e la partecipazione popolare, con obiettivi la salvaguardia e la tutela della Lucania da qualsiasi progetto di sfruttamento del proprio patrimonio umano, ambientale, dei beni comuni e della società civile, annunciando la presentazione di proprie liste di movimento per le prossime elezioni amministrative in ogni comune lucano in cui i cittadini esprimeranno l’esigenza di un comune impegno al cambiamento, e nelle province di Potenza e di Matera, mirando direttamente tra due anni alla regione Basilicata 

Un’altra Lucania è possibile, un’altra Lucania è necessaria.

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  1. SAL SITO DI REPORT
    COPIO E INCOLLO

    L’EREDITA’
    di Sigfrido Ranucci
    In onda domenica 2 novembre 2008 ore 21.30

    ambiente

    Spegnere le centrali dopo che il referendum dell’87 aveva abrogato il nucleare è costato agli italiani circa 9 miliardi di euro. Soldi usciti dalle tasche delle famiglie con le bollette della luce per risarcire l’Enel del mancato guadagno e per mantenere in sicurezza gli impianti, che dopo 20 anni sono ancora lì con tutto il loro carico radioattivo.

    Un’eredità che nessun governo fino a oggi ha saputo affrontare. Ci avrebbe dovuto pensare la Sogin, una società pubblica, nata nel 1999 al momento della privatizzazione da una costola dell’Enel. Il nucleare era un ramo morto dell’azienda e presentarsi agli azionisti con un fardello simile significava partire con il piede sbagliato, meglio accollarlo alle famiglie. Ma fino a oggi la Sogin ha solo provveduto ad allontanare le barre di combustibile dagli impianti e neppure da tutte.

    Nella piscina della centrale di Caorso ce ne sono circa 700, l’equivalente di 1.300 kg di plutonio. Altre 47 barre, contenenti 150 kg di plutonio sono in quella di Trino Vercellese: entrambe sono sulla riva del fiume più grande d’Italia. Nella centrale del Garigliano non sanno più dove mettere i rifiuti, in quella di Borgo Sabotino hanno il problema della grafite radioattiva che non si può spostare se non si trova il sito definitivo.

    A La Casaccia a 25 chilometri da Roma c’è il più grande deposito di rifiuti radioattivi d’Italia, circa 7 mila metri cubi ed è al limite. Ci sono poi 5 kg di plutonio che possono essere usati per fini militari e che da due anni sono in un deposito dove l’impianto antincendio, dopo aver provocato un’esplosione, deve ancora essere omologato.

    All’Itrec di Rotondella, vicino Matera, da 30 anni un impianto è attivo solo per mantenere in sicurezza le barre di uranio e torio che gli americani ci hanno lasciato in custodia e di cui non sappiamo cosa farne.

    A Saluggia l’impianto si trova sul greto della Dora Baltea, in un sito che si è allagato tre volte in 15 anni. Ma il problema più grande l’hanno avuto per lo svuotamento di una vecchia piscina che dal 2004 perdeva liquido radioattivo minacciando la falda: avrebbe causato, secondo la testimonianza di un operatore intervistato da Report, un centinaio di casi di contaminazione interna.

    Alla fine sul nostro territorio si contano oltre 30 mila metri cubi di rifiuti radioattivi, che diventeranno 120.000 dopo lo smantellamento delle centrali previsto per il 2020. Tutta roba che dovrebbe essere seppellita in un deposito nazionale. Nel 2003, dopo il fallimento di Scanzano Jonico, il governo Berlusconi aveva dichiarato che sarebbe stato ultimato entro dicembre 2008. Mancano 2 mesi alla scadenza e del deposito nemmeno l’ombra. Tutto questo mentre la giostra del nucleare si prepara a ripartire…

    del 26.10.08

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