espettorazioni di candidati presidente

bene, siamo dunque arrivati all’estate ed al suo caldo, il benefico caldo reale ed atteso tanto a lungo nell’interminabile inverno lucano, il caldo che precede un altro “caldo”, quello di un autunno elettorale nel quale questa regione, forse per la prima volta nella sua storia recente, dovrà necessariamente confrontarsi con quella caduta di un sistema politico-baronale, quindi a forte connotazione post-feudale, che “scivolato” sulla buccia di banana di rimborsopoli, in realtà conclamava una sua crisi intrinseca ormai evidente da molto tempo e finora solo rimandata…

una crisi che era ed è di sistema, come pure dal discorso del presidente de filippo al consiglio regionale in occasione della discussione sulle sue dimissioni si era avvertito con nettezza, una crisi che è quindi di sistema politico, attenendo al modello di “scafo” con cui finora la regione ha navigato, ma anche di sistema economico, profondamente, troppo profondamente segnato dalle quelle indicibili, eppure note a tutti, liasons fatte di permeazioni ed ibridazioni tra politica e “fatti” imprenditoriali che nel corso dei decenni non hanno consentito, se non sporadicamente, lo sviluppo di un sano concetto del lavoro dell’imprenditore libero da lacci e lacciuoli politici o di relazioni politiche, e naturalmente di sistema sociale e financo culturale, quando è del tutto evidente che una regione che fonda l’espressione del consenso sulla perversità del “diritto-favore” che tante volte ho denunciato come causa prima del disastro di questa regione…

una crisi certo accelerata dalla crisi globale, enormemente più ampia, che mettendo in crisi i “fondamentali” di un sistema economico-finanziario che da oltre venti anni viene ormai considerato come ineludibile, è innegabile che faccia sentire alcuni dei suoi effetti più devastanti proprio sulle “periferie dell’impero”, sui quei sistemi locali cioè che per via di dipendenze e subalternità economico-politiche di vario genere, sono meno in grado di reagire dinamicamente, i sistemi dove “il margine operativo” di risposta agli effetti sociali più evidenti  della crisi, chiusura di aziende, disoccupazione e stato di fiducia dei cittadini in caduta libera, è ridottissimo quando non del tutto assente, poichè nel corso dei decenni precedenti non si sono fatte delle scelte economiche “fondate sul territorio” e le sue risorse materiali ed immateriali, quanto piuttosto si sono ricercate per calcolo e comodo “scelte calate sul territorio”, a volte persino quasi supinamente subite per ignavia, indolenza, provinciale dipendenza da filiere politiche nazionali, persino beota e crassa ignoranza sugli effetti a medio-lungo termine che proprio quelle scelte “facilone” avrebbero causato ai territori ed ai cittadini che quei territori abitano e vivono…

ed è abbastanza ovvio che se la più evidente di queste scelte-non scelte calate nel territorio sia stata il petrolio e, al netto di inquinamenti e danni ancora da potersi determinare con esattezza, per via di quelle tante zone a grigio opaco frappostesi tra conoscenza pubblica ed interessi privati, quella poca avvedutezza nel calcolare quanto il peso di aziende multinazionali dai bilanci mostruosi avrebbe finito giocoforza per opprimere di potenti condizionamenti un sistema politico-economico e socio-culturale fragile come quello lucano (e leggete pure in relazione quelle zone a grigio opaco ed i potenti condizionamenti), si è palesata in altre “scelte coloniali”, alcune precedenti, altre seguenti, il cui peso si è evidentemente poco calcolato in termini di dipendenze e mono-culture imprenditoriali ed occupazionali che proprio su quelle scelte si sarebbero venute a creare, con effetti che passata “l’orgia dei periodi di vacche grasse” e calati nella realtà della crisi globale, a mio personale avviso hanno già avuto ed avranno ancor di più effetti devastanti sui tessuti sociali locali interessati…

dipendenze e mono-culture che mentre più o meno lentamente, ma inesorabilmente, escludevano di fatto altre e ben più radicate culture produttive presenti già nel territorio e fondate sulla naturalezza di un rapporto diretto e storico tra queste, abitanti e risorse endogene, nel plauso generale di quella sciocca politica servile che sembrava voler incoraggiare ulteriormente quel distacco tra tradizione produttive ed innovazione calata dall’alto, forse per i meri motivi di facilità del consenso che sono legati nella percezione comune alla “fabbrica che arriva e fa tanto lavoro subito e par tanti e quel lavoro lo devi a qualcuno” – bene – è proprio nel momento della crisi che costringe al taglio di alcune attività divenute poco produttive e troppo dispendiose per le strategie di sopravvivenza di quelle aziende che evidenzia come ogni taglio parta sempre da ciò che è più lontano dal centro delle proprie attività (che pur ai mercati ed ai numeri che su questi sviluppano devono far riferimento), quindi dalle periferie della propria “geografia produttiva”, portando a ripensamenti strutturali della produzione che è proprio sui nostri periferici e marginali territori che richiedono “sacrifici umani”…

e sia chiaro che se nel caso specifico parlo della fiat-sata di melfi, dell’indotto di quella zona industriale e della concreta realtà di  ristrutturazioni evidenti che coinvolgono non solo lo stabilimento fiat, ma ogni stabilimento che oggi lavora quasi completamente alle dipendenze di fiat, in una mono-cultura produttiva evidente e pregiudizievole ad ogni altra attività produttiva, non è che in altre zone della regione ed in altri comparti produttivi le cose stiano messe meglio, concretizzandosi quasi ovunque lo spettro della chiusura di impianti produttivi divenuti quasi inutili in quel diminuire o cessare degli aiuti pubblici sui quali pure si era fondata la volontà di allocarli proprio lì che si è legato alle condizioni scatenate dalla crisi, chiusure di impianti che all’improvviso getterebbero nei numeri della disoccupazione lavoratori impossibilitati od ormai resi incapaci di ripensarsi e pensarsi occupazionalmente, sia dall’evidenza che altro lavoro in zona non esiste, sia dal troppo tempo trascorso da quando si eseguivano altre attività, tempo che di fatto inabilita a volte persino quella memoria di un fare altro che è poi spesso prodromica al fare stesso…

così se la crisi impazza e passa dal globale al locale con facile evidenza, gli stabilimenti chiudono o devono ristrutturarsi in quei pesanti ridimensionamenti e/o precarizzazioni dell’occupazione che significano anche meno consumi e meno ritorni di ciclo economico locale, con ulteriore aumento della profondità della stessa crisi, logica vorrebbe che dovendosi andare ad elezioni di qui a novembre, quindi in un battito di ciglia, le forze poltiche si impegnino a mettere in campo programmi seri ed in grado sia di contrastare gli effetti più immediati di questo declino economico che diviene subito anche sociale, in un paracadute che non si può più pensare costituito solo dagli ammortizzatori ufficiali in grande affanno, sia di immaginare scenari programmatico-pragmatici e visioni future in grado di portare quella fiducia nella politica che è solo l’entusiasmo per un progetto che riuscirà a suscitare nei cittadini delusi ed amareggiati (qundo non arrabbiati ed astiosi)…

ma le forze politiche, anzichè lavorare sui programmi e magari fare riferimento all’unico programma ad oggi esistente, il nostro, quello di COMUNITA’ LUCANA, espettorano (mi pare il termine più adatto) ogni giorno candidature di presunti presidenti senza alcun radicamento non solo nella società lucana per come essa oggi è, delusa e stanca, e non per calcoli di scenari del bisogno che non debbono o dovrebbero più esistere, ma persino nella logica più immediata che se occorre rimarginare la ferita che in qualche modo la poltica lucana ha inflitto ai cittadini, non è candidando “trombati” messi al calduccio, uomini per ogni stagione o da mezza stagione, gran boiardi o giovani vecchi “allevati in batteria” che si risponde alle principali domande dei lucani, chi, come e perchè dovrebbe essere il prossimo presidente dela regione che un quadro del consenso prevedibilmente abbastanza statico in questa terra potrebbe consegnarci per i prossimi 5 anni?…

direi allora che sarebbe il caso che la si smetta di starnazzare “nuovi correntismi d’altri tempi” in gradi di produrre forse alcuni micro-protagonismi di un edonismo provincialotto che troppi danni ha già prodotto, ma non quei protagonisti della ragione che oggi serve per un progetto vasto, la costruzione di una nuova regione nel faro di una “visione” di una terra che può farcela…

…e se permettete tra quei protagonisti, c’è il sottoscritto!!!

miko somma